Agostino e san Giovanni: affresco a Tolentino
ANNO 1249
Anni di Christo 1249 - della Religione 863
1 - Tentò di nuovo in quest'anno il Grand'Iddio, con un gravissimo castigo, di ridurre a penitenza l'animo et il cuore durissimo di Federico, e fu la prigionia d'Entio Re di Sardegna e di Corsica, suo figlio bastardo, il quale, essendo venuto in agiuto dei Modanesi, seguaci del partito di Federico, con molta buona gente, così d'Alemagna come d'altre città d'Italia, divote dello stesso suo Padre, contro de' Bolognesi; questi nella temendo l'Esercito nemico, che costava di 22 milla Soldati, si partirono anch'essi molto bene armati con un Esercito di 20 mila Guerrieri, et incontratisi in un luogo detto Foss'Alta, poco più di due miglia lontano da Modana, azzuffaronsi con l'Esercito nemico, di cui era Capitano Generale il sudetto Re Entio, con tanto coraggio e valore, che se bene li nemici, più numerosi di loro, non mancarono di fare ogni sforzo per restare vincitori; furono però di tal sorte rotti e fracassati da' nostri, che oltre un numero grandissimo di morti restati sul piano, oltre la perdita di tutte le Bandiere e Stendardi, di tutto il Bagaglio e di tutte le Monitioni da bocca e da guerra; rimasero altresì prigioni sopra 8 mila Soldati, e fra questi moltissimi Personaggi et Ufficiali di stima e di valore, et in particolare il mentovato Re Entio, il quale, con tutti gli altri, fu condotto a Bologna da' Vincitori, con tutto il Bottino fatto, entrando questi coronati di frondi di Quercia, e trionfanti nella Città. E se bene il misero Federico hebbe da impazzire per una tanta disgratia, che però offerse a' nostri Bolognesi, per riscatto del Figlio, un Cerchio d'Oro così grande, che potesse cingere la loro Città nulla di meno, eglino, spreggiando le di lui offerte, non li vollero mai più dare la libertà; anzi che gli fabricarono in sontuoso Palagio, ove lo tennero sempre racchiuso fino alla morte, che successe 22 anni, 11 mesi e 17 giorni doppo, cioè a dire, l'anno del Signore 1272 a' 13 di maggio, e fu sepellito con pompa Regale nella Chiesa di S. Domenico, ove ancora hoggidì si vede il suo Epitaffio. Il Senato poi, per la suddetta segnalatissima Vittoria, costumò, per molti Anni, di dare 100 Corbe di Formento per elemosine, al Monistero delle nostre Monache di S. Agostino, le quali stavano in Strada Maggiore, ove fu poi fondato il magnifico Convento e Chiesa de' Padri Serviti; nel qual Convento di Suore parlassimo sotto l'anno 1200 in cui appunto fu fondato. Vedansi tutti li Cronisti di Bologna, e specialmente il nostro P. Ghirardazzi, et anche il Masini.
2 - E già che siamo entrati a favellare della detta Vittoria, che si suppone ottenuta per l'intercessione forsi del nostro P. Agostino, mentre vediamo, che il Senato dava perciò così grossa limosina ogn'anno alle Monache suddette della sua Chiesa et Ordine e farà bene, che produciamo una Bolla di Papa Innocenzo IV diretta al Card. Ottaviano Ubaldini Legato nelle parti di Bologna, in cui li comanda che debba esaminare le Constitutioni de' nostri Padri Brittinensi, e se ritrova che siano più rigorose di quelle de' Padri Cluniacensi, come quelli asserivano, operi in ogni conto, che si facci il transito dei detti Cluniacensi, li quali stavano nel Convento di S. Maria Maddalena di Val di Pietra fuori di Bologna poco tratto, all'Ordine et all'Habito de' suddetti nostri Brittinensi; perochè, quantunque lo stesso Pontefice havesse dato quest'Ordine fin dell'anno 1247 allo stesso Cardinale (come all'hora ampiamente scrivessimo, con produrre anche la Bolla) nulladimeno, perchè il Vescovo s'oppose, con dire che questo passaggio fare non si poteva, a cagione che l'Ordine de' Brittinensi e la Regola loro, che era l'Agostiniana, erano assai più miti dell'Ordine e la Regola dei Cluniacensi; per la qual cosa havendo replicato li nostri Brittinensi suddetti, che ciò non ostava; perochè, se bene la Regola di S. Benedetto era più austera della regola di S. Agostino, le loro Constitutioni poi erano assai più rigorose delle Benedettine di detti Cluniacensi: ben'è vero, che ordina al Cardinale suddetto, che non permetta in questo passaggio, che siegua alcun pregiudicio al Vescovo mentovato di Bologna. La Bolla fu data in Lione a' 7 di dicembre l'anno settimo del suo Pontificato, et è questa, che siegue, e la produce il Padre Empoli nel Bollario Agostiniano a car. 172.
3 - Dilecto filio O(ctaviano) S. Mariae in Via Lata Diacono Cardinali Apostolicae Sedis Legato salutem, et Apostolicam benedictionem. Dilecti filij Prior, et Fratres Eremitarum de Brictinis Ord. S. Augustini, Fanensis Dioecesis, nobis exponere curaverunt, quod cum Prior et Fratres Domus S. Mariae Magdalenae de Valle Petrae Ordin. S. Benedicti Bononiensis Dioecesis incorporari eorundem Eremitarum Domui, et Ordini assectarent, tibi direximus scripta nostra, ut Ven. Fratrem nostrum Bononiensem Episcopum monere, ac inducere procurares, quod Fratres dictae Domus S. Mariae Magdalenae Ordini, et Domui dictorum Eremitarum studeres; sed eodem Episcopo, a te super hoc monito diligenter, id non posse propter diversitatem Ordinum asserente, ad supplicationem eorundem Prioris et Fratrum Eremitarum asserentium, quod ipsi propter eorum Constitutiones eorum Ordini additas, longe actiores, quam dicti Fratres Sanctae Mariae Magdalanae observantijs adstringuntur; iterato tibi nostris dedimus litteris in mandatis, ut si Ordinem praedictorum Eremitarum Ordine Fratrum eorundem S. Mariae Magdalenae ex Constitutionem additione, tibi arctiorem esse constaret, super incorporatione, sive unione praedictis praefati Episcopi requisito assensu, et ipsius in omnibus iure salvo, dispensative procederes, prout videret tua circunspectio expedire: et licet huismodi negotium Dilecto filio Magistro Ubaldo Subdiacono et Capellano nostro duxeris committendum, in ipso tamen nullus habitus est processus. Quare praefati Prior, et Fratres Eremitarum nobis humiliter supplicarunt, ut ne in ipsorum preiudicium factum huismodi diutius proteletur, incorporationem sive unionem praedictam fieri, de benignitate Sedis Apostolicae mandaremus. Quo circa Discretioni tuae per iterata scipta mandamus quatenus super incorporatione, sive unione praefatis, procedas, iuxta traditam sibi formam, Contradictores per Censuram Ecclesiasticam, appellatione postposita, compescendo. Datum Lugduni 8 Idus Decembris Pontif. nostri Anno Septimo.
4 - Da questa Bolla, come si scorge la perseveranza dei Monaci del Convento di S. Maria Maddalena di Valle di Pietra, nella buona volontà di far passaggio dall'Ordine loro antico Cluniacense a quello di S. Agostino nell'Osservante Congregatione dei Padri Brittinensi, e la loro lunga e virtuosa patienza nel tolerare la dilattione del suddetto passaggio, così all'incontro si vide, quanto verso di questa Santa Congregatione fosse benevolo et affettionato il pietoso Pontefice, mentre per farli fare l'acquisto del mentovato Convento e Monaci, spedì ben quattro Bolle, benchè solo di tre ne sia appresso di noi rimasta la copia. Se poi seguisse il detto passaggio et unione, e quando, e come, e se dal Sommo Pontefice ella fosse confirmata, et in che tempo, lo scriveremo sotto l'anno del Signore 1253 ultimo di questo secolo, a Dio piacendo.
5 - Ma lasciamo li Frati di Brettino e li Cluniacensi, et andiamo a ritrovare il Beato Gio. Buono nel suo sagro Eremo di Budriolo. Haveva questo gran servo di Dio, per lo spatio di 40 anni, menata nell'Eremo accennato (come habbiamo ne gli Anni scorsi più volte motivato) una vita più tosto ammirabile, che imitabile nell'Ordine nostro Agostiniano; e ciò che maggiormente rilieva, haveva nello stesso Ordine, con particolare privilegio della S. Sede, instituita e formata una molto osservante e santa Congregatione di Religiosi, la quale ricca ben presto divenuta di molti Huomini illustri, così nella Santità e Dottrina, come in ogni altra sorte di virtù, erasi non solo dilatata per le nobilissime Provincie della Romagna e della Lombardia, ma anche per alcune altre contigue alle suddette; e vi sono alcuni Autori, fra quali il dotto Errera, li quali stimano che distendesse ancora li suoi gloriosi rami, fuori dell'Italia, il che però io non approvo in conto alcuno, per le ragioni che altrove produrrò. Ma ecco, che essendo già arrivato alla decrepita età di 80 e più anni, e volendo hoggimai il Signor Dio premiarlo per tante sue fatiche, et havendo altresì decretato fino ab eterno, che ciò seguisse in quest'anno, per mezzo d'una santa morte, volle, prima di chiamarlo a se, per sua maggior consolatione, farlo nella sua Patria di Mantova passare, affinchè ove egli haveva cominciato a vivere, ivi ancora dolcemente morendo, dasse principio ad una vita eterna ed immortale. Et acciò questo Divino favore maggiormente spiccasse, li fece il tutto intendere e sapere per mezzo d'un Angelo.
6 - Ricevuto l'aviso Celeste, il buon Giovanni, pensò ben tosto di dovere ubbidire al Divino Comando, per la qual cosa, preso da' suoi Figli, e da molti Cittadini di Cesena (e massime, com'è da credere, dal Vescovo, di cui era suddita in questo tempo, la sua Congregatione) l'ultimo comiato, con estremo dolore d'ogn'uno, e tolto in sua compagnia il suo Confessore, il quale era un Religioso Cesenate di santa vita, per nome F. Bonaventura, via alla volta di Mantova s'incaminò; e se bene nel viaggio egli procurava, quanto più poteva, occultare la sua persona era nulladimeno così grande la fama della sua smisurata Santità, che da tutte le Città, terre e Luoghi, per i quali passare doveva, uscivano in gran numero ad incontrarlo gli habitanti, ricevendolo come un Santo del Paradiso, con giubilo, allegrezza e riverenza incredibile; tanto maggiormente, quanto, che il Grand'Iddio, per honorare il suo Servo fedele, non cessava d'operare quasi in ogni luogo, a pro e beneficio de' suoi divoti, maraviglie inaudite, delle quali ci riserbiamo di fare particolare racconto nel ristretto, che scriveremo poco più a basso in quest'anno medesimo, di tutta la di lui gloriosa e tanta vita.
7 - Giunta in tanto a Mantova la lieta novella del felice ritorno del suo beato Cittadino Gio.Buono, non si puole con humana lingua e con pena frale, bastevolmente esprimere ed ispiegare, da quanta e quale allegrezza e contento, soprafatti restassero li suoi Concittadini, basta a dire che subito gli uscirono incontro, e come un Nume, inviatoli dal Cielo, con gran riverenza l'accolsero, donandoli ben tosto per suo alloggio una divota Chiesa posta fuori del Porto, dedicata alla Gloriosa Vergine S. Agnese; appresso della quale, fabbricatoli un picciolo Convento, ivi col suo Confessore lo lasciarono in santa pace. Non istette però guari il detto Monistero in quella piccola forma, perochè, come alla vista d'una tanta Santità e d'un tanto esempio, molti di que' Cittadini chiedessero l'Habito Santo della religione, ben presto fu di mestieri ingrandirlo. E doppo la morte del beato, se bene li PP. in gran parte passarono dentro della Città a fondarne un altro molto più grande e cospicuo, col titolo pure di S. Agnese (il quale pur anche in questi nostri tempi, più che mai illustre nell'Ordine si conserva, et è membro della Congregatione di Lombardia, di cui più volte, per l'avvenire, ci occorrerà di favellare) rimase nulladimeno altresì in piedi questo primo, e si chiamò poi in avvenire, e tuttavia si chiama, non più col titolo di S. Agnese, ma ben sì di S. Gio. Buono; ben è vero, che ora egli è suppresso in vigore della Bolla di Papa Innocenzo X e questo fu il principio di questo Convento. E' di parere altresì il P. Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto, che anche il Convento di S. Agnese dentro della Città fosse fondato in questo medesimo anno a spese de' Cittadini, e molto più con le facoltà d'una Signora di Casa Frizza, nel quale poi fu solennemente trasportato il Vener. Corpo del glorioso Gio. Buono nel primo giorno di maggio, benchè non si sappia in qual'anno.
8 - Ma di gratia facciamo passaggio da Mantova a Ferrara, perochè ben tosto ci farà colà ritornare la santa Morte di questo B. Servo del Signore, per ammirarla, ove insieme daremo un brieve, ma però succoso Compendio della di lui gloriosa e santa Vita e miracolose Operationi. In quest'anno dunque il Generale della Congregatione dello stesso B. Giovanni Buono (che si chiamava F. Matteo, ed era stato assunto a quella grave Dignità, fin dall'anno 1230 dal Vescovo di Cesena, in luogo dello stesso B. Giovanni, che rinonciata l'haveva nelle mani del detto Prelato, come accennasssimo sotto il detto anno) havendo governata la detta Congregatione lo spatio d'anni 19 e considerando, che nell'amministratione di quell'officio laborioso, che per tanti anni maneggiato haveva, più lungamente ei non poteva durare, senza scandalo e disordine, stante che molti de' suoi Religiosi lo stimavano hoggimai inhabile (forse per la di lui sovverchia vecchiaia, come mi faccio a credere) per reggere un tanto peso; chiamati per tanto, e convocati tutti li Priori et altri Padri Capitolari, gl'intimò il Capitolo Generale nella Città di Ferrara, in cui intendeva di rinonciare egli il Generalato, acciò poi essi, insieme con lui, n'eleggessero un altro in sua vece.
9 - Congregati dunque nel tempo destinato li vocali nel Capitolo in Ferrara, e volendo il Generale F. Matteo suddetto rinonciare l'Officio, e dopoi eleggere li Deffinitori, conforme il precetto delle Costitutioni di quel tempo; il Priore ed i Frati di Cesena, con molt'altri Priori e Frati della Romagna, tentarono d'impedire questa rinoncia del Generalato, et in conseguenza l'elettione de' Deffinitori; ma come vedessero, che il loro tentativo riusciva vano, per la costante risolutione di F. Matteo, il quale voleva in tutt'i modi rinonciare e venire ad una nuova elettione; finalmente quelli, contro il precetto del detto Generale, se n'uscirono fuori del Capitolo, e sdegnati, se ne ritornarono a Cesena, ove fondati su l'antica usanza di riconoscere per loro Capo Supremo e Generale, il Priore di Cesena, con la conferma però del Vescovo di quella Città, radunatisi perciò, come in un nuovo, e secondo essi, più legittimo Capitolo Generale, elessero in Scisma per Priore di Cesena e Generale di tutta la loro Congregatione, un certo F. Marco da Cesena; la detta elettione fecero poi altresì confirmare dal Vescovo, conforme l'accennato uso loro.
10 - Hor ciò stante, ritorniamo noi fra tanto a Ferrara, a vedere, che risolutione e che partito prendessero F. Matteo e gli altri Padri, ivi rimasti nel Capitolo, doppo la partenza dei Padri Romagnuoli. Il Generale Matteo dunque, con tutti gli altri aderenti, doppo la partenza dei detti PP. di Romagna, senza punto turbarsi, vennero all'elettione de' Deffinitori, nelle mani de' quali rinonciò egli il Generalato; e se alcuna giuridittione haveva egli nella sua conferma ricevuta dal Vescovo di Cesena, tutta la rassegnò nelle mani d'un suo Nuntio od Agente, che ivi presente si ritrovava; il che subito si passò all'elettione d'un nuovo Generale, e come piacque a Dio, fu ben tosto, con molta pace, eletto un tale Frat'Ugo da Mantova, huomo stimato da tutti, per le di lui rare virtù, capacissimo di quel sovrano Posto. Furono poi fatte doppo molti Decreti per il ben publico dell'Ordine o Congregatione, e fra gli altri, uno fu di mutare la forma della professione, ordinando, che fosse nella seguente guisa: Ego Frater N. facio professionem et promitto obedientiam Deo, et B. Mariae, et tibi Priori Generali Fratrum Eremitarum F. Ioannis Boni. La dove prima solevano farla in quest'altra forma (come si cava da un Diploma del Card. Guglielmo Fieschi Protettore di detto Ordine, quale a suo tempo dovuto produrremmo): Ego N. facio professionem, et promitto oboedientiam Deo, et B. Mariae, et tibi Priori Fratrum Eremitarum S. Mariae de Cesena tuisque Successoribus usque ad mortem secundum Regulam B. Augustini, et Costitutiones Fratrum istius loci etc.
11 - Fatta dunque l'elettione del nuovo Generale, e terminate tutte l'altre Capitolari fontioni, andossi a presentare davanti al Legato del Papa, quale io mi credo, che facesse la sua residenza in Parma, perochè egli era appunto quel valoroso Gregorio Montelongo, eletto Patriarca d'Aquileia, il quale haveva pochi anni avanti levata, con incredibile valore e sua gloria immortale, la sudetta Città all'empio Federico, a cui anche poco appresso, tolse a viva forza la nuova Città, fondata in faccia di Parma dallo stesso Tiranno, e chiamata da esso col nome di Vittoria, facendolo vergognosamente fuggire con tutti quelli, che lo puoterono seguire, con la perdita di tutto il Bagaglio e tesoro Imperiale; in cui vi si comprese per infino la sua Corona dell'Imperio, la quale era pretiosissima come scrivono gli Autori. Hor presentatosi dunque il Generale moderno de' Giamboniti F. Ugo da Mantova davanti il detto Legato, e narratoli il successo nel Capitolo di Ferrara, lo pregò che come Legato Apostolico, si compiacesse di confirmare la sua elettione et insieme tutte l'altre Capitolari fontioni; e come egli era un Soggetto molto saggio e prudente, vedendo che il tutto era stato fatto legittimamente, di molto buona voglia, soddisfece alla giusta richiesta del nuovo Generale.
12 - Diviso in questa guisa l'Ordine del Beato Giovanni Buono (il quale appunto nel giorno antecedente a questo scismatico Capitolo se n'era volato al Cielo, così permettendolo Iddio, affinchè non vedesse con gli occhi proprij uno scandalo così grave, benchè tutta la colpa era di quelli che s'erano dal Capitolo di Ferrara cervicosamente partiti) cominciarono subito l'un l'altro li Generali eletti a fulminarsi Scommuniche contro, come altresì contro de' Priori eletti, e di tutti li Frati che seguivano l'uno e l'altro partito; li quali, non per ciò, si rimasero di proseguire nelle loro cariche, e di celebrare li Sacerdoti, e d'ordinarsi quelli che non l'erano. Per la qual cosa il Generale Ugo spedì ben tosto alcuni Religiosi della sua ubbidienza nella Città di Lione di Francia, ov'era la Corte del Papa, per ottenere altresì dalla Santità Sua la medesima conferma, come impetrata l'haveva dal suo Legato; li quali, non così tosto esposero le loro suppliche, che furono dal buon Pontefice esauditi con una Bolla gratiosa, in niun'altra cosa differente (dice il Card. Guglielmo Fieschi in un suo Diploma, quale a suo tempo produrremo) da un'altra data prima, fuori che nel solo titolo, delle quali due Bolle non n'è rimasta copia (almeno io non l'ho potuta rinvenire) appresso di noi; ben'è da credere, che stiano nascoste nell'Archivio del Vaticano. Con tutte queste diligenze però, non puotè mai ridurre il Generale Ugo, li Frati di Cesena e della Romagna con il loro Scismatico F. Marco Generale intruso, a riconoscerlo per il vero e legittimo Capo della loro Congregatione, laonde il Pontefice, doppo il suo ritorno in Italia, fu necessitato a porvi la mano, come vedremo, per mezzo del mentovato Card. Guglielmo Fieschi suo Nipote, già creato da esso Protettore dell'Ordine del B. Gio. Buono; il quale con tanta prudenza maneggiò questo gravissimo affare, che alla fine cessò lo scandaloso Scisma, et ogni passata turbolenza quietossi.
13- Lasciamo dunque fra tanto questi Scismatici con le loro gare, e torniamo noi in Mantova a contemplare, et ammirare insieme la beata Morte del Glorioso e Beato Gio. Buono, successa per appunto, come più sopra accennamo un giorno avanti, che succedesse lo Scisma di Ferrara, cioè a dire a' 23 del mese di ottobre: prima però, che riferiamo la detta Morte, vogliamo, giusta il nostro consueto, dare un saggio od epilogo della di lui gloriosa, e santa Vita, con buona parte delle sue più eroiche operationi, e de' suoi più stupendi Miracoli. Vita, Virtù, e Miracoli del B. Giovanni Buono da Mantova - Eremita Agostiano.
14 - Nacque, come già vedessimo nel suo proprio tempo e luogo, il B. Giovanni Buono nella nobilissima città di Mantova l'anno di nostra salute 1168, giusta il sentimento de' più classici scrittori, et in ispecie del P. F. Costanzo Lodi da S. Gervasio, che scrisse esattamente la sua Vita in conformità di ciò, che letto espressamente haveva ne' processi fatti, poco doppo la morte del Beato, per ordine di papa Innocenzo IV, come a suo tempo vedremo, con produrre anche la Bolla continente il detto Ordine. Furono li di lui Genitori, Giovanni e Buona de' Buonomi, non meno nobili entrmbi di sangue, che di sofficenti ricchezze commodamente provisti: chiamaronlo nel Battesimo col nome di Giovanni Buono, affinché, come in se stesso accoppiava li nomi del Padre e della Madre, li quali erano virtuosissimi, così havesse egli altresì occasione d'imitarli e di seguire le vestigia loro nel glorioso camino delle virtù, come in qualche parte fece ne' primi anni della sua prima giovinezza.
15 - Nel qual tempo essendo il di lui Padre, troppo per tempo in vero, all'altra vita passato, Gio. Buono, il quale, come figlio unigenito, era stato troppo teneramente allevato, cominciò per tanto a non temere molto Buona la genitrice, qual'hora lo correggeva, per le mancanze che giornalmente andava facendo; e finalmente dal poco timore, quasi in dispreggio passando, non andò guari, che datosi totalmente in preda al Senso, cominciò, alla maniera d'un isboccato Cavallo, a correre precipitosamente per lo scosceso sentiero di tutt'i vitij: e per poter ciò fare con più sfrontata licenza, pensò d'involarsi ben tosto da gli occhi, così della buona Madre, come altresì de gli altri Parenti, de gli Amici e della Patria tutta, affinché in questa guisa non vi potess'essere alcuno, che con vero zelo, gli errori suoi giovanili, correggere e censurare potesse; essendo pur troppo vera la sentenza di quel Saggio, che disse: ubi non timetur reprehensor, iniquitas ibi licentius perpetratur.
16 - Partitosi dunque all'improviso dalla Casa e dalla Patria, et avvenutosi ben tosto, per sua maggior sciagura in una Compagnia di Comedianti (meglio havrei detto di Serpenti, già che questi ancora col veleno della loro conversatione, per lo più, poco honesta, anzi purtroppo d'ogni vitio ripiena, contaminano le menti de' Mortali, et in particolare dell'incauta Gioventù) con quelli di buona voglia accompagnossi, e com'era molto spiritoso e vivace, cominciò per tanto anch'egli a recitare con essi ne' più famosi teatri dell'Italia, con grande applauso de' spettatori.
17- Piangeva in questo mentre Buona la sconsolata Genitrice, e con i continui colpi delle lagrime sue fervorose, quasi con tante palle infuocate, batteva la gran Rocca del Paradiso, affinché il Sovrano Monarca, mosso di lei a pietà, come con S. Monica fece, il di cui Figlio liberò dalle mani de' Manichei, anzi pure dalle fauci dell'Abisso, così il suo ritogliesse dalle mani di que'malvagi Histrioni, li quali lo strascinavano all'Inferno, et intatto lo rendesse alla di lei materna pietà, anzi pure a se stesso. E perché di vero le lacrime sparse, principalmente per la causa di Dio, e per la salute dell'Anime, espugnano il cielo, ed ottengono ciò che bramano dal Signore della Gloria; onde disse il nostro Grand'Agostino, che le lagrime entrano coraggiose in Paradiso, e con somma fiducia si presentano davanti al Tribunale dell'Altissimo, e con dolce et amorosa violenza, lo necessitano, per così dire, a concederli quanto pretendono. Quindi n'avvenne, che havendo havuto pietoso riguardo il benignissimo Padre delle Misericordie, alle lagrime dolorose di questa buona Madre, mosso di lei a pietà, deliberò di liberare non solo il di lei caro Figlio dall'evidente periglio, che correva di dannarsi, nell'esercitio di quella poco lecita professione, ma di vantaggio, di farlo riuscire un gran Santo.
18 - E per ciò fare, si servì ben tosto del potentissimo mezzo della corporale infìrmità, la quale appunto suol essere d'ordinario una prodigiosa calamita, che ben presto a sè tira il ruginoso ferro del Peccatore, et un'Alchimia Celeste, che lo trasmuta in Oro purissimo di Santità. Fermò dunque S. D. M. questo Giovine bizzarro col freno d'una mortale malatia; dalla quale mentre appunto, come ferro rugginoso e come Oro di miniera, cominciò a sentirsi acremente purgare, tenendo da dovero, che quella, dall'un de' lati, l'ultima forsi di sua vita non fosse, e dall'altro, considerando il pessimo stato in cui egli si ritrovava; e conoscendo all'incontro, per gratia particolare del Cielo, che il Signore mandata glie'havea, affinché egli mutasse vita e costumi, e facesse de' suoi passati errori una condegna penitenza, fece egli, per tanto, subitamente Voto a S. D. M. che se gli dava gratia di risanarsi di quella mortale infermità, volevasi tutto quant'era al suo Divino servitio consagrare, con abbandonare affatto il Mondo falace e lusinghiero. E perché le humili preghiere appena giungono in Cielo, che ritornano tosto con la gratia pretesa in terra: ecco appunto che il fortunato Giovanni Buono, non così presto hebbe nel suo cuore di così fare pensato, che incontanente si vidde, senza alcun'humano medicamento, alla primiera sanità restituito.
19 - Rihavutosi in questa guisa miracolosamente dal suo grave malore, il nostro Gio. Buono, memore della promessa fatta a Dio, fece ben tosto con esattissima diligenza, l'esame della sua Coscienza, e poscia veloce si portò a' piedi del vescovo di Mantova, e con lagrime copiose di vero pentimento, ad esso fece la generale Confessione di tutti i suoi peccati. E perché il Signor Dio dispone sempre le sue cose soavemente, fece sì, che mentre Gio. Buono, per mezzo della santa Penitenza, risorgeva dalla tomba del vitio alla vita della gratia, la di lui pietosa Genitrice, a guisa appunto di S. Monica, la quale anch'essa. doppo la Conversione del suo figlio Agostino, felicemente morì, così andasse anch'ella in quell'istante della Conversione di suo figlio, per mezzo d'una christiana morte, a ricevere, come piamente si crede, in Cielo, il premio dovuto alle di lei sante operationi.
20 - Vedutosi dunque il penitente Gio. Buono libero, e sciolto affatto da ogni terreno imbarazzo, ringratiando Iddio d'ogni sua Divina dispositione, determinò di vendere tostamente, come fece, ogni suo mondano havere, e darne il prezzo a' Poveri: il che havendo posto in esecutione, se ne parti ben tosto dalla Patria, e passatosene nella Romagna, sì ritirò in un divoto Eremo, poco dalla città di Cesena lontano, et ivi vestitosi, con licenza del vescovo, con l'habito di semplice Eremita, essendo in età di 35 anni in circa, come prudentemente congettura il dotto Errera, diede principio ad una vita cosi aspra e penitente, che rendevasi ammirabile, per infino a gli Angeli del Paradiso.
21 - Per la qual cosa non passò guari di tempo, che molti di quel contorno, e poco appresso altri di più lontani paesi, mossi dall'esempio di così rara santità, desiderosi anch'essi di fare, sotto la disciplina d'un così Santo Maestro, condegna penitenza delle loro passate colpe, e servire per l'avvenire con purità di cuore al Signore, al Santo Eremita n'andavano, e imitandolo meglio che potevano, procuravano di giungere con esso alla meta sublime della Religiosa perfettione.
22 - Ma come il prudentissimo Servo di Dio, indi a poco saggiamente considerasse che in progresso di tempo, senza l'appoggio di qualche Regola approvata, massime in quel tempo, malagevolmente haverebbe potuto sussistere la sua Eremitica Radunanza, deliberò per tanto di passarsene ben tosto a Roma, come fece, giusta il sentimento del P. Errera intorno all'anno del 1207 (benchè il Donesmondi nella Storia Ecclesiastica di Mantova scrive del 1210, et il Vadingo nel suo Apologetico del 1233, come habbiamo di sopra notato) e chiedere del papa che gli assegnasse qualche Regola et anche alcun'Habito Religioso conforme il suo Apostolico Beneplacito; della quale giusta richiesta, volendolo il buon pontefice, che era Innocenzo III, compiacerlo, gli diede per tanto, insieme con la Regola altresì l'Habito del P. S. Agostino, come tiene la più commune opinione de' più classici scrittori, e specialmente ciò costa da' processi fatti per ordine della S. Sede, poco dopo la di lui morte, come scrive nella sua Vita il P. F. Costanzo Lodi, più sopra da noi citato.
23 - Divenuto dunque in questa guisa il B. Gio. Buono, con Apostolico Indulto Eremita Agostiniano, vestì subito con l'Habito medesimo tutt'i suoi Discepoli, dandoli da osservare da indi avanti la Regola altresì del Grand'Agostino: e fra questi suoi Discepoli, uno si tiene che fosse (come probabilmente si crede, e si scrive da una numerosa schiera di accreditati Autori) quel glorioso Serafino d'Assisi S. Francesco, il quale poi, indi a non molto, a più grandi imprese dalla Divina voce chiamato, diede principio ad un'Ordine nuovo, il quale, prendendo il nome humile di Minori, s'è poi sempre fatto conoscere alla grandezza delle sue Eroiche e Massime Operationi, l'Ordine de' Maggiori.
24 - Stabilita dunque ch'egli hebbe in questa forma, con la Regola et Habito Eremitano del Gran P. S. Agostino, il nostro penitente Eremita la sua divota Congregatione, proseguirono a moltiplicare di tal sorte, quelli che richiedevano d'essere in quella ricevuti, che fu ben presto necessitato il Servo di Dio a fondare varij conventi per le due vaste Provincie della Romagna e della Lombardia, et anche in alcune altre Provincie dell'Italia, e fuori di quella, come piace ad alcuni, benché ciò dicano, quanto a quest'ultima parte, senza alcun sodo e vero fondamento, come altrove diremo e provaremo con evidenza: anzi che alcuni ancora pensano, et ha del probabile in qualche parte, che molti conventi altresì vecchi della vera Religione Eremitana di S. Agostino, massime di quelli ai quali da per se stessi reggevansi, senza alcuna soggettione a verun Generale, allettati dalla Santità del B. Gio. Buono e de' suoi Religiosi, alla di lui Congregatione s'incorporassero, e fra questi vi contano li conventi di Bologna, di Ferrara, di Milano, d'Imola, di Faenza et altri ancora; ma ciò parimente è contro la verità, almeno de' mentovati perochè quello di Bologna lo fondò lo stesso B. Gio. Buono sotto il titolo dei SS. Giacomo e Filippo su le ripe del fiume Savena l'anno del 1218, restando quello di S. Paolo di Ravone antico più dell'anno 1123, sotto il governo del Generale Agostiniano della Lombardia e della Romagna, distinto da quello de' Giamboniti, come più di proposito dicessimo nella Prefatione al secondo Tomo, e tornaremo a replicare sotto l'anno del 1255, il che diciamo di quello di Milano, benché ci sia qualche dubbio, come a suo tempo diremo, cioè è dire sotto l'anno 1252. Quello di Ferrara pure sta in dubbio, perochè, si come nella detta città, oltre quello di S. Andrea, v'era quello di S. Leonardo, che soggiaceva al Generale della Toscana, come scriveremo sotto l'anno 1251. In Faenza ve n'erano tre, uno detto di S. Agostino della Malta, e questo certo non si soggettò mai alla Congregatione del B. Gio. Buono, ma sempre stette sotto l'ubbidienza del Gen. di S. Agostino della Toscana. Fino a' tempi della grand'Unione, come parimente faremo costare sotto l'anno, pur poco dianzi accennato del 1251, l'altro era de' Brittinensi, e si chiamava di S. Maria Maddalena, et il terzo, che di Talaviera appellavasi, fu fondato per ordine suo da un certo F. Bartolo l'anno 1231 come in quel tempo scrivessimo. Di quello finalmente d'Imola, di cui costa essere più antico di questo tempo, non si sa, che mai militasse sotto lo Stendardo del B. Gio. Buono.
25 - Non si puole poi con humana lingua bastevolmente spiegare quanto austera e rigorosa fosse la vita, che menava nel sagro Eremo questo gran Servo di Dio; perochè se noi, di primo tratto, vogliamo trattare della sua astinenza, siamo dalla verità forzarti a dire cose così grandi, che più tosto ci faranno stimare per un favoloso Poeta, che per un'Historico veritiero; egli è però certo, e costa nel Processo fatto in ordine alla di lui canonizzatione, che egli digiunò mai sempre in quell'Eremo di Cesena, e dovunque egli si ritrovò, per fin ch'ei visse, ogni giorno, eccettuate le Domeniche, cibandosi solamente d'herbe, di radici, di pomi, e d'altre così fatte frutta, ma però in così poca quantità che riferisce il P. Costanzo Lodi nella sua Vita, che il cibo, che egli mangiava in otto giorni, sarebbe malamente bastato ad un'huomo ben anche parco in un sol giorno; la sua bevanda poi fu sempre acqua schietta: non era però tanto indiscreto, che quando tal'hora egli era infermo, non guastasse qualche volta, massime se il Superiore glielo comandava, la carne.
26 - Nella Quaresima poi egli era cosi scarso nel mangiare, che, si può dire, che miracolosamente egli in quel tempo vivesse; avvegnachè, come alcune volte avvenne, egli nel primo giorno d'altro non si cibava, fuori che della S. Communione; nel secondo prendeva un pane di tre oncie, e lo sprezzava in minutissimi pezzetti, e ne andava poi mangiando un pezzetto per giorno (che era appunto, come se non avesse mangiato d'alcuna sorte) fino al Giovedì Santo; nel quale poi prendeva quelle brisciolette, che gli erano avanzate, e congregratosi anch'egli con gli altri frati nel Reffettorio, le benediceva, e quelle per Divina Virtù, di tal sorte moltiplicavansi nelle di lui mani, che bastavano per il desinare di quel giorno a tutta la Famiglia di quel Monistero; ne gli altri due giorni fino a Pasqua, viveva totalmente digiuno senza gustare alcuna cosa, ma solo pascendosi dell'Oratione e dell'amara contemplatione dell'atrocissima Passione del suo Signore.
27 - Altre volte poi successe (perochè non sempre teneva et osservava lo stesso stile, ma viè sempre più andavasi, col crescere dell'età, avanzando nell'austerezze) che nel primo giorno della Quaresima, egli mangiasse tanto Pane quanto è un'ostia, nel secondo quattro radiche di Persemolo, e nel terzo sette grani di fava, tornando poi nel quarto da capo a mangiare quella picciola quantità di Pane, nel quinto il Persemolo, e nel sesto li sette grani di Fava, e così proseguendo alternativamente fino al Giovedì Santo, come sopra. Ed era tanto puntuale in queste sue rigidissime austerezze, che, quanto più egli andavasi invecchiando, tanto maggiormente ancora andava le sue prodigiose rigidezze aumentando, a segno, che negli ultimi anni della sua decrepita età costumò sempre, fino alla morte, di digiunare ogn'anno tre Quaresime, una appresso all'altra, non prendendo altro cibo, fuori che tre semplici granelli di fava per ciaschedun giorno, cosa che recava stupore, per infino a gli Angeli del Paradiso.
28 - Hor sì come il buon Giovanni con il suo continuo et horrido digiuno, rallegrava la Celeste Corte, e dava gusto al Gran Monarca Iddio: così poi con il medesimo incredibilmente tormentava il Demonio; che perciò disse S. Ambrogio, Ser. 25: in Quadragesima Diabolus terretur pallore ìeiunij debilitatur inedia infirrnitate prosternitur. Quindi il perfido, di pura rabbia schiattando, procurava, con ogni suo sforzo, di rappresentarli tal'hora il gusto, che soleva già dalle vivande delicate sentire, quando nel Secolo vanamente viveva, ma ne restava sempre il malvagio deluso e vinto: perochè da quelle sue tentationi ne cavava sempre il glorioso Giovanni Buono ampia materia d nuove vittorie, mortificandosi sempre viè più del consueto.
29 - E perchè il Digiuno e l'Astinenza sono i veri genitori della Castità, anzi pure di tutte le Christiane e Religiose virtù, onde con buon proposito disse il nostro Gmnd'Agostino nel Serm. 130: De tempore jeiunium purgat mentem, sublevat sensum, carnem spiritui subijcit; cor facit contritum et humiliatum, concupiscientiae nebulas dispergit, libidinis ardores extinguit, charitatis lumen accendit. Quindi è, che dal tempo della sua Conversione dal Secolo alla Religione, conservò mai sempre sino alla morte intatto et illeso il purissimo candore della sua votata Castità, a segno che per mantenerla e conservarla, hebbe più volte a perdere la vita.
30 - E se bene di questa verità ne potressimo produrre molti esempi, uno solo però, ma che vale per mille, mi giova di registrare in questo luogo. Una tal volta fra l'altre, ritrovandosi solo, fu dall'infernal Tentatore gagliardamente assalito, con rappresentarli all'imaginativa, una tal Donna del Mondo, da esso molto bene nel Secolo conosciuta, per lo che gli s'impresse nel cuore incontanente con tanto ardore, che il Santo Eremita sentivasi abbruggiare in vive fiamme libidinose; ma egli molto bene avvedutosi della forza e dall'arte dell'Inimico, pensò ben tosto di superarlo in questa guisa: prese egli una Canna, e tagliatala in molti pezzi, alcuni di quelli con un coltello aguzzò, e sotto l'unghie di ciaschedun dito delle sue mani li pose, indi gagliardamente percotendo con quelle sopra d'una gran pietra, tutti subitamente gli entrarono fino a mezzo le dita per quelle parti cotanto sensitive e delicate, con tanto suo estremo dolore, che non solo tostamente si dileguò, ed affatto svanì ogni lascivo moto nel Beato, ma di vantaggio n'hebbe egli a rimanere di puro spasimo estinto, avvegnachè cadde subito in terra tramortito, ed in tal guisa stette per spatio di ben tre giorni intieri.
31 - Ma il benignissimo Signore, il quale in questo tempo affacciato a' balconi del Cielo (come già fece nel tempo della morte del gran Protomartire S. Stefano) con suo sommo contento, vagheggiata haveva la valorosa tenzone del suo Servo Fedele, vedendolo rimasto vittorioso, ma però crudelmente ferito, compiacquesi per tanto egli medesimo di scendere dal Cielo e venire personalmente a guarirlo, e a confortarlo con queste dolcissime parole: Fili mi surge, quia bene coepisti, optime vitam consumabis, nec deinceps ullo pulsaberis vitio. Come volesse dirgli: Alzati su figlio mio diletto, perochè io ti rendo certo, che sì come hai dato ottimo principio ad impiegare tutta quant'è, la tua vita nel mio santo servitio, così con ottimo fine, nel medesimo la terminarai: e per l'avvenire sta sicuro, che mai più assalito sarai dal vitio, non solo della concupiscienza, ma nè meno di quali si sia altro peccato; e ciò detto disparve, rimanendo il Beato perfettamente guarito e risanato dall'horribili ferite cagionategli da quelle acute cannuccie.
32 - Fu in sommo grado divoto della Santiss. Passione di Giesù Christo che però non solo giorno e notte stava con la mente fisso nella contemplatione di quella, ma di vantaggio andava ben e sovvente procurando di partecipare de' dolori del suo appassionato Signore con varie mortificazioni, che dava al suo Corpo, non solo con un'horribile Cilicio, e molto grande, che del continuo portava, con le rigorose et aspre discipline, che si dava, co' digiuni e con altre austerezze, communissime a tutti gli altri Servi di Dio; ma in oltre ancora con altre sorti di tormenti, che egli medesimo inventati haveva, per maggiormente partecipare di quella gran Passione, martirizzava egli il suo aflittissimo Corpo. Fra l'altre inventioni. haveva egli scavate due fosse tanto lunghe e larghe, ch'egli vi potesse capire, e nel fondo poi d'una di quelle vi haveva piantati alcuni caviglioli di legno, corti sì, ma però acuti, sopra de' quali poi ignudo coricandosi, s'andava tanto rivolgendo, che tutto ne rimaneva il di lui Corpo lacero e squarciato; godendo in questa strana guisa di potere partecipare dell'amara Passione del suo dolce Giesù. Nell'altra poi, ch'era più scavata nell'uno che nell'alto capo, si poneva egli sovvente col capo in giù nella parte più cupa, e per tanto tempo vi dimorava con suo estremo dolore, fin tanto, che per lo meno havesse, ben 200 volte recitata l'oratione Domenicale.
33 - Fu altresì cotanto dedito alla santa oratione. la quale è il cibo più sostantievole, di cui l'Anima, veramente innamorata di Dio, si pasce, che ben si può dire che egli, alla Lettera, intendesse quelle parole di S. Paolo, cioè a dire: Oportet semper orare et numquam deficere. Perochè, di vero, il suo vivere et operare, era un continuo orare; e riusciva poi la di lui oratione così grata a S. D. M. che non solo, per mezzo di quella, otteneva quanto chiedere sapeva, ma di vantaggio gli haveva il Signore concessa questa gratia, che in qualunque modo egli contemplava nell'oratione S. D. Maestà, in quella medesima appunto gli si faceva visibilmente, e vedere, e palpare; a segno che se egli Bambino nel presepio il meditava orando, e tale appunto gli si dava egli a vedere, ad abbracciare et baciare: se lo contemplava Flagellato, Coronato di Spine o Crocefisso, nella stessa guisa, come con gli occhi dell'Anima, così co' quelli del corpo gli era di vagheggiarlo concesso. Ed era così continua questa sua oratione, che non v'era parte nel pavimento della sua Cella, nella quale impresse non si vedessero le vestigia delle sue sante ginocchia e de' suoi beati piedi.
34 - Divotissimo in eccesso altresì fu del Santiss. Sacramento (che sempre sia lodato) laonde procurava, che tali ancora lo fossero li suoi Religiosi, per lo chè si Racconta, che una tal volta havendo in ispirito conosciuto, che uno de' suddetti di sua Famiglia titubava nella ferma credenza di quel Venerabile sacramento, ardendo in un tratto di vero zelo, lo trasse in disparte, e manifestogli la sua infedeltà: per lo che il Frate, non negando l'errore, mostrò solo di non poter capire un così recondito e prodigioso Mistero; il che inteso il Beato, lo condusse ad un Fonte vicino, e fattali prendere una tazza di quell'acqua, li comandò, che bere ei la dovesse, ed ecco, che subito tramutatasi in dolcissimo Vino, venne in questa guisa, con così stupendo Miracolo, a stabilire nella ferma credenza di quel gran Mistero l'incredulo Frate. E questo Miracolo di mutar l'Acqua in Vino, lo fece due altre volte ne' due giorni seguenti a questo, che pur hora abbiamo riferito: l'occasione poi fu, che passando per il suo Convento di Cesena due Frati Lombardi dell'Ordine alla volta della loro Provincia, et essendoli raccontato il Miracolo occorso il giorno avanti dell'Acqua tramutata in Vino, si rendevano increduli e quasi pareva, che con S. Tomasso volessero anch'essi vederlo con gli occhi proprj prima di crederlo; la qual cosa essendo stata al Santo Padre riferita, si compiacque egli di replicare il Miracolo, non già per vana ostentatione, ma per maggiormente stabilire i suoi Discepoli nella Fede; e lo stesso altresì fece nel susseguente giorno, per togliere medesimamente l'infedeltà dal cuore d'un altro Religioso, per nome Nicola, che per li due passati non credeva.
35 - Il Demonio intanto, il qual vedeva, che per qual si voglia sua industria o stratagema usato, non l'haveva mai potuto far sdrucciolare in qual si sia minimo errore; anzi all'incontro sempre sperimentato haveva, che quanto più egli s'affaticava di stimolarlo al male, tanto più egli s'infervorava nell'esercitio d'ogni bene, arrabbiato oltre modo fremeva, e non sapendo che altro farsi, così permettendo il Signor Dio, per maggior merito del suo Servo, spesse fiate l'assaliva all'improvviso, e con fiere percosse e battiture crudeli, lo maltrattava a segno, che lo lasciava come morto su la terra disteso. Una volta fra l'altre, apparendoli in forma humana, diedegli un'urto nel petto così gagliardo, che lo fece precipitosamente cadere, e percuotere col capo sopra d'un sasso, in guisa, che ne doveva certamente restare infranto, e pure non si fece alcun male. Un'altra volta pure, mentre stava nella sua Cella il Santo, accostatosi il Demonio alla finestra di quella, li scagliò con gran forza un sasso nella fronte, e gliela ruppe, a segno, che subito ne spicciò fuori (o stupendo et insolito prodigio) non già sangue, ma ben sì, in sua vece, acqua limpida e cristallina. Altre volte ancora gli appariva, massime, quando si poneva in oratione, per frastornarlo da quell'hora, in forma di Gatto, hora Scimia, hora di Volpe, hora di Lupo, et hora in altre forme anche più strane; ma nulla giovava perochè il fortissimo Campione di Christo, schernendo ogni sua Diabolica metamorfosi, immobile si rimaneva nel suo Angelico esercitio.
36 - Dalle cose, sin qui narrate, ben chiaramente comprendere si puole, quanto svisceratamente, e con tutto il suo cuore egli amasse il suo Iddio; il che dava egli ottimamente a conoscere, non solo con le sue austerissime penitenze, ma molto maggiormente con l'ardente carità et amore, che al suo Prossimo portava. Il quale appunto è un vivo argomento dell'amore, che a Dio si porta; onde disse Christo Signor nostro a S. Pietro, quando gli comise la cura della sua Chiesa: Si diligis me, pasce Oves meas; cioè a dire, se veramente tu mi ami, o Pietro, pasci e governa li miei Fedeli. Hor il B. Gio. Buono, altro per appunto già mai non faceva, che impiegarsi nel beneficare il suo Prossimo per amor di Dio, hor consolando gli Afflitti, hor risanando gl'infermi, hor liberando gli Offesi perochè e de gli uni e de gli altri, in gran copia ne venivano giornalmente al suo Monistero, a' quali tutti dava opportuno rimedio, operando continui prodigi e Miracoli, a gloria di Dio, et utile del suo Prossimo.
37 - Ma come era così grande e numerosa la moltitudine di questi Bisognosi, quale a lui venivano, che faceva quasi di mestieri, che tutto quant'era il giorno, lo spendesse in benificio loro, onde molti venivano a frastomarlo da' suoi spirituali esercitii, et in particolare, dalla tanto da esso frequentata oratione e contemplatione insieme delle Celesti cose; et inoltre, perché con li continui Prodigij e Miracoli, che operava il Signore, per i suoi meriti, a pro del Prossimo, veniva egli grandemente honorato, celebrato, e fin sopra le Stelle innalzato, come un Santo del Paradiso, quindi non potendo egli, come humilissimo ch'egli era, sopportare d'essere in cotal guisa stimato, si risolse per tanto di fuggirsene secretamente da quel Monistero, e passarsene nella sua Patria; et in effetto partitosi una tal sera, alla volta di Mantova s'incaminò, e con piè frettoloso tutta la notte caminando, mentre su l'apparire dell'Alba rosseggiante pensava d'essersi grandemente da Cesena dilungato, ecco, che guardandosi attorno, co' suo gran stupore, si vidde nello stesso Convento di dove s'era partito la sera; dimostrandoli in questa guisa il Signore, che era suo volere, che egli quivi si rimanesse, e ne' soliti esercitij di Religiosa pietà proseguisse ad impiegarsi, sin tanto, che egli altro di lui determinasse.
38 - Fu gran perdonatore d'ingiurie, e sempre pregò Iddio per i suoi Nemici; et all'hora ciò fece in effetto vedere, quando essendo stato malignamente accusato al Vescovo di Cesena, di molte malvagità, nè meno da esso lui sognate, egli procurò ben sì di fare conoscere a quel Prelato la sua innocenza e la pura verità del fatto, ma però di buon cuore perdonò a que' maligni Impostori, e pregò humilmente il Signore per la loro salute.
39 - Per mantenere poi nel bene il suo Prossimo, e frastornarlo dal male, non si può bastevolmente dire, quanto s'affaticasse. Una volta, fra l'altre, essendoli riferito, che un Novizzo del suo Monistero di Cesena, istigato dallo Spirito rubello, voleva lasciar l'Habito della Religione et al Secolo far ritorno, andossene incontanente il zelante Padre nella Cucina, ove quegli, con molt'altri, a scaldarsi si stava, e senza dir parola, fece nel mezzo della detta Cucina accendere un gran fuoco, e poscia a' piedi ignudi entro di quello entrato, per buona pezza vi si trattenne, senza patire alcuna lesione, per la qual cosa maravigliandosi sommamente que' Religiosi, e massime quello, che haveva determinato d'abbandonare la Religione, quindi prendendo occasione il B. Gio. Buono di dolcemente ammonirlo, così gli prese brievemente a dire: Vedi figlio, questa et altre gratie maggiori concedere suole Iddio, a chiunque fedelmente, nella Santa Religione perseverando, sino alla morte lo serve, e non mai, né meno per un puntino, rivolge il capo indietro.
40 - Nè di questo contento, prese di vantaggio un Tizzone di quel fuoco, e così infuocato, e mezz'arso, com'era l'andò a piantare nell'Horto del Monistero, e per Divina Virtù, non passò tutto quel giorno, che radicandosi nel terreno, notabilmente crebbe e produsse ben tosto, e frondi e fiori, e prima, che il giorno spirasse, produsse ancora i frutti in abbondanza; li quali poi, come frutti Celesti erano mangiati da' Religiosi per divotione. Da così stupende e rare maraviglie dunque, restando confuso quel Novizzo detestò la sua incostanza, e con fermo proposito, deliberò di restare, come fece, fermo e stabile nella santa vocatione.
41 - Né fu questa la prima volta, ch'egli fece il B. Gio.Buono somiglianti prodigi, perochè un certo F. Buongiovanni da Bologna, Religioso dell'Ordine, testifica con giuramento nel Processo formato per la sua Canonizatione, che trovandosi egli con il detto Beato e con altri Religiosi appresso il fuoco, prese egli parimenti un Tizzone, e portatolo similmente nell'Horto, lo piantò, e quasi nello stesso momento si fè vedere di frondi e fiori adorno: del qual stupendo Miracolo, come subito ne corresse la fama nella vicina Città di Cesena, in un subito quasi tutti que' Cittadini, colà volando se ne passarono, per vedere con gli occhi loro propri una così insolita maraviglia, del che avvedutosi il Servo di Dio, per farli di vantaggio conoscere, quanto fosse grande l'Onnipotenza di Dio, tornò di nuovo a sbarbicare dal suolo il già fiorito Tizzone, e nell'essere suo primiero lo ritornò; ma ripiantatolo poscia di bel nuovo alquanto dal Monistero lontano, tornò subito di bel nuovo a rinverdire et a fiorire, e poscia ancora a fruttificare, e durò poi a beneficio de' Padri, e d'altri ancora, per molto tempo: e questo fu appunto un ramoscello di Cilegia.
42 - Così pure un'altra volta avvenne, che passeggiando per l'Horto istesso del Monistero con alcuni dei suoi Religiosi di varie cose, spettanti allo spirito, divisando, vidde un Nociuolo di Mandorlo totalmente arrido e secco, laonde egli prendendolo, a vista di tutti, lo piantò nel terreno, e proseguendo poi a passeggiare, non passò un'hora, che egli era di già non solo nato, e fuori della terra spuntato, ma di vantaggio cresciuto, e già fatto arboscello perfetto, con le sue frondi e fiori; laonde traspiantatolo, prima che di quell'Horto uscisse, fecesi poi in brieve un'albero fruttuoso, che non cessò di somministrare per lungo tempo i frutti a quella divota famiglia Religiosa.
43 - Erano in somma così grandi e cosi frequenti li prodigiosi Miracoli, che del continuo operava, mediante la Divina gratia, questo gran Taumaturgo, che io ardisco di dire, che quasi tutte le sue attioni havevano del miracoloso, e di vero, se io volessi togliere a raccontare minutamente tutti li Prodigi e Miracoli del B. Gio. Buono nel brieve ristretto di quest'anno, mi riuscirebbe lungo al pari d'un Secolo intiero. Solo dunque mi giova d'aggiungere, che per infino gli Animali irragionevoli prontamente ad ogni suo minimo cenno l'ubbidivano; laonde si legge nello stesso Processo della sua Vita, di sopra più volte mentovato, che una volta egli comandò ad un'Uccello, che dovesse a lui venire, e quegli ubbidiente a lui ratto ne venne; il che fatto, il Beato tornò a comandarli, che via se ne volasse; et havendo egli prontamente ubbidito, tornò di nuovo a richiamarlo il Santo Padre, ed egli, non meno di prima ubbidì; doppo di che tornò di nuovo a licentiarlo il buon Giovanni, ma con patto però, che rilasciar dovesse in libertà un povero Uccelletto, che afferrato col rostro egli teneva per mangiarselo, del che fu tostamente ubbidito; e tutto fece il Servo di Dio, per eccitare una viva fede nel cuore d'una Donna sua divota, e renderla ubbidiente al Marito.
44 - Un'altra volta avvenne altresì che fuggendo una Lupa con un suo figlio in bocca, da una gran truppa di Cacciatori e di Cani, li quali con velocissimi passi l'incalzavano, venne, per sorte, a passare davanti al Convento del Beato, il quale veduto quell'Animale così spaventato, ed inteso ancora l'ullulato di quel tenero Luparello, mosso per tanto d'ambedue quegli Animali, benchè per altro odiosi, a pietà; comandò alla Lupa, che si fermasse vicino al Convento, nè punto si movesse, il che fece ella con pronta ubbidienza, ponendo il figlio in terra; ed ecco, che perdendone tosto li Cacciatori ed i Cani accennati la traccia, essa libera si rimase; a cui poscia rivolto il Santo Padre, li diede licenza d'andarsene, mostrandoli inoltre la strada sicura, per la quale incaminare si doveva, doppo haverlo però con molti scuotimenti, e di capo e di coda, in segno di gratitudine, più volte ringratiato: e di questo gratioso avvenimento solevasi poi servire il B. Gio. Buono ne' ragionamenti, che a' suoi Frati faceva, per maggiormente indurli a prontamente ubbidire a' Superiori, ricordandoli, che, se un'Animale irragionevole così ad esso lui ubbidito haveva, quanto più ciò dovevano far essi, che erano huomini di ragione dotati, e che di più n'havevano fatto voto.
45 - Fra gli altri doni poi, tanto naturali quanto sopranaturali, che quasi innumerabili, egli haveva dal Signor Dio ricevuti, non fu de minori lo Spirito et il dono della Profetia; il quale, se bene è un Dono et una Gratia gratis data, che anche tal'hora il Signor Dio l'ha concessa, come nella Scrittura si legge a' Saulli, a' Balaami, et ad altri ancora, che Santi non furono, nulladimeno gli è certo, che questo Dono Iddio d'ordinario non lo concede, fuori che a' suoi cari e fedeli Amici. Hor questo Spirito profetico fu molto famigliare al nostro Beato, perochè a chiunque voleva, e conosceva essere necessario, non solo prediceva le cose a venire, ma di vantaggio palesava li loro più occulti pensieri del cuore: così appunto una tal volta fece con un certo F. Mantovano, a cui disse, che si levasse dal cuore il malnato pensiero, che haveva di apostatare dalla Religione, assicurandolo che se egli ciò faceva, haveva ben presto da terminare, con horrendo infelice fine la sua vita, il che per l'appunto successe; perochè non ostante che il suddetto Frate confessasse il detto malvagio suo pensiero, che palesato gli haveva il B. Gio. Buono, nulladimeno, indi a tre giorni doppo il santo aviso, lasciò l'habito, e via se ne fuggi; ma ecco, che in brieve spatio, fu in Ravenna preso per Ladro, e come tale fu publicamente frustato, e poco vi mancò, che non fosse sospeso ad un'infame patibolo. Ma qui non hebbe fine il suo male: imperciochè appena uscito di prigione, postosi in habito di Prete, cominciò sacrilegamente a spacciarsi per Sacerdote, et a celebrare la Messa, et ascoltare le Confessioni, e ciò per lo spatio di ben 5 anni intieri, iniquamente offendendo con così horribile sacrilegio, il pietosissimo Iddio, et ingannando empiamente l'Anime de' Fedeli; per le quali sceleratezze, finalmente, disperando di poterne conseguire da S. D. M. il perdono alla perfine precipitossi in un pozzo, in cui, conforme la profetia del Santo Padre, perdè l'Anima et il Corpo, per tutta l'eternità.
46 - Cosi pure a F. Michele Veronese, il quale haveva notati alcuni Miracoli del Beato in un Libro, per lo chè ne veniva da alcuni scioperati schernito; havendoli di vantaggio il Beato tolto il detto Libro, e stracciatolo, come molto se n'attristasse quel divoto Religioso, così egli, consolandolo, gli disse: Non temere, né ti attristare, o figlio, nè tampoco ti prendere alcuna briga di me; imperochè il Grand'Iddio, il quale cotanto sempre mi ha, contro ogni mio merito, favorito in vita, molto più mi favorirà doppo la morte, permettendo, che io in quel tempo sia grandemente honorato; e qui li predisse tutti gli honori, che ricevere doveva, massime nella sua Patria, in cui doveva per ordine del Cielo, terminare la sua gloriosa vita.
47 - Un'altra volta al Priore dell'Hospitale di S. Spirito di Rimini, il quale, essendo gravemente infermo, gli haveva inviato fra Giovanni Barba, laico di sua Congregazione, affine d'intendere da esso, se di quella malattia doveva risanare o pur morire, mandò a dire per il medesimo, che disponesse pure alle cose dell'Anima et anche del Corpo, perochè di certo fra pochi giorni egli sarebbe morto, il che per l'appunto successe, indi a sei giorni soli. Allo stesso fra Gio. Barba, il quale era tormentato da una Tosse tanto terribile, che temeva grandemente di doverne restare soffocato, e perciò con molta istanza e confidenza, erasi all'orationi del Beato raccomandato, egli, doppo haver fatta per esso una brieve, ma però calda preghiera et oratione, li disse, che stasse di buon'animo, e non temesse, perochè di quel male sarebbe ben tosto guarito, e di vantaggio ad esso lui sarebbe sopravissuto; il che poi puntualmente s'avverrò, imperciochè, indi a tre giorni, rimase da quella Tosse liberato, e visse poi doppo la morte del B. Giovanni, non so quanti Anni.
48 - Predisse altresì a F. Martino da Cesena Sacerdote, che un tal F. Gratiadei da Mantova, il quale essendo già stato Religioso del suo Ordine, n'era poi uscito, e di nuovo eravi ritornato, non havrebbe nello stesso Ordine idubitamente perseverato, il tutto, indi a tra anni puntualmente successe, giusta la di lui predittione. Havendo rivelata ad un'Eretico occulto la sua infedeltà, anzi di più tutte le sue sceleraggini, co' questo mezzo convertì alla cattolica Fede, et havendoli fatto anche volare su le ginocchia un'uccello, divenne poi quegli suo gran divoto e Famigliare. Allo stesso, mentre stava una tal notte dormendo nel suo letto, apparve ancor vivente il medesimo Beato, e gli disse: svegliati figlio, che la tua Casa abbruggia; per lo che quegli svegliatosi, e veduto pur troppo essere più che vero ciò, che dormendo, inteso haveva dal Santo Padre, chiese subito aiuto a' vicini, ed estinse prestamente il detto fuoco. Un'alta volta volendo questo medesimo Huomo, che chiamavasi Giacomino, portarsi in Venetia per suoi affari, fu dal Glorioso Beato Giovanni sconsigliato, con dirli che non andasse, perchè haverebbe havuto male incontro; e così fu, perochè essendo andato, contro il consiglio del S. Religioso, alla volta della suddetta Città, prima di giungere a Ferrara, s'avvenne in certi Masnadieri, li quali lo spogliarono di quanto seco portava, e bisognò di vantaggio altresì, che con molti altri danari riscattasse la vita; per le quali cose, si dispose di abbandonare il Mondo e farsi Religioso, come poi ben presto fece.
49 - Hor finalmente havendo ricevuto ordine da Dio, per mezzo d'un'Angelo, come di sopra accennassimo di dover ritornare alla sua Patria di Mantova, perchè era volontà di Sua Divina Maestà, che egli ivi terminasse il corso della sua santa vita; havendo dunque egli ubbidito, e fondati dentro e fuori di quella due Conventi, come scrivono alcuni (benchè io porti per opinione, che solo fondasse quello di fuori, che hora, anzi fin dal tempo della sua morte, si chiama, e sempre s'è chiamato di S. Gio. Buono) hor, comunque sia, egli è certo, che poco doppo il suo arrivo in Mantova, egli rivelò il giorno, l'hora et il punto della sua morte, che dovea succedere in questo medesimo anno. Doppo questo non molto andò, che successe la morte del figlio d'una povera Vedova, la quale havendo inteso dire tante gran cose della Santità e de' gran Miracoli del B. Gio. Buono, ripiena per tanto d'incredibile confidenza, prese il figlio nelle braccia, et al Santo Eremita lo portò; il quale appena stese una mano verso del Morto, che vivo e sano lo rese alla sua cara Genitrice.
50 - Essendosi congregati li Padri della sua Congregatione in Ferrara per celebrare il Capitolo Generale, come scrivessimo nel principio di quest'anno, scrisse il Generale F. Matteo a F. Bonaventura da Cesena, Confessore del Beato e Religioso anch'egli di santa vita (non sapendo forse, che egli fosse infermo, come in effetto era) che dovesse portarsi tantosto in Ferrara per intervenire anch'egli al Capitolo; questi desideroso d'ubbidire, dall'un de' lati, e dall'altro temendo di non potere, a cagione dell'accennata infirmità, se n'andò dal B. Padre per consigliarsi di quel che far dovesse in così grave emergente; a cui egli rispose: Vanne allegramente, o Padre, poichè io ti faccio sapere, che in quel medesimo punto, che io farò libero dalla mia febre (intendendo però, per mezzo della morte, come fu) tu ancora rimarai dalla tua infermità libero e salvo. Assicurato per tanto il P. Bonaventura, partesi per Ferrara, e giunge sano nel giorno di Sabbato; et ecco, che nel giorno seguente di Domenica arrivano due Religiosi della famigli di Mantova in diligenza a Ferrara, li quali portano nuova a' Padri del Capitolo, come nel giorno appunto avanti era volata l'Anima del glorioso Giovanni Buono al Paradiso; et all'hora conobbe F. Bonaventura, che in quel medesimo tempo, che egli guarito era dalla sua febre, il B. Gio. Buono era morto, come predetto gli haveva avanti la sua presenza.
51 - Ma vediamo brievemente, come questa felice morte passasse. Essendosi egli infermato, et havendo predetto a' Padri, che del continuo gli stavano facendo pietosa corona intorno al suo povero Letticciuolo, in cui languente giaceva, che egli, senza alcun fallo, doveva di quella infermità morire, e che l'Anima sua, subito uscita dal Corpo, doveva essere da gli Angeli portata in Paradiso, e che il suo Corpo sarebbe stato da essi con gran riverenza seppellito, e che il benedetto Iddio, per mezzo di quello, haveva da operare grandissimi Miracoli, e che poi anche sarebbe stato per qualche tempo tenuto poco conto di lui; ma che poi finalmente sarebbe stato di nuovo riverito, honorato et adorato per Santo; alla perfine, chiesti e ricevuti con somma riverenza e divotione, li Santissimi Sacramenti della Chiesa, mentre già tutto quieto, stava aspettando di volarsene al Cielo, ecco, che di la su, in un momento, scesero schiere innumerabili di Paraninfi beati, li quali havendolo circondato, s'udì poco appresso dal mezzo d'essi, una dolcissima voce, la quale, invitandolo all'eterno Riposo, così soavemente gli diceva: Veni Dilecte mi, veni Columba mea, veni Sponsa mea dilecta. Al qual celeste e glorioso invito, Gio. Buono divenuto oltremodo lieto e ridente, incontanente, con quiete del Paradiso, consegnò l'Anima sua Beata nelle mani di que' Spiriti Celesti, li quali, in un baleno, con melodiosi canti festosi la portarono in Paradiso, ove gode, e goderà in eterno il premio, ben dovuto alle Opere grandi, ch'egli mai sempre fece nello spatio di 80 anni e più, ch'egli visse in questa bassa Valle di miserie; benchè di quelli, pochi più di 40 ne spendesse nella nostra religione Agostiniana, giusta il computo de' più classici Scrittori. Successe poi il suo felice passaggio a' 23 d'ottobre in quest'anno del 1249 su l'hora di Nona in giorno di Sabbato.
52 - Alla fama della sua beata Morte, vi concorse non solo tutto il popolo Mantovano, ma di vantaggio tutte le genti altresì di quei vicini contorni, e ciascheduno, insieme co' suoi Religiosi, amaramente piangeva la perdita d'un tanto Padre; benchè poi dall'altro canto, ogn'uno si consolava, con darsi fermamente a credere, che come in vita, era stato verso del suo Prossimo cotanto caritativo, così pur anche dovesse hora maggiormente farlo, che si trovava colà su nel Cielo, ove meglio poteva vedere e conoscere le necessità et i bisogni de' suoi Fedeli divoti; e non fu vana la loro speranza, perochè, prima ch'egli fosse sepellito, operò il Signor Dio, per i suoi altissimi meriti, molti e vari Miracoli e Prodigi, quali potrà, a suo bell'agio, leggere e vedere il divoto Lettore nella sua vita stampata dal P. F. Costanzo Lodi da S. Gervasio, più volte da noi in quest'anno mentovato, da cui altresì noi habbiamo succintamente cavato tutto ciò, che quivi habbiamo in questo brieve Compendio registrato. Questo è corto, che nel Processo formato due anni doppo la di lui beata morte, per ordine di Papa Innocenzo IV, come in quel tempo scriveremo, con produrre anche la Bolla, furono autenticamente provati 92 Miracoli operati da esso, 48 mentr'era vivo, e 44 doppo la morte sua, fra quali v'è un Morto risuscitato; e tutti gli altri consistono in Ciechi illuminati, in Zoppi radrizzati, in Infemi risanati miracolosamente da varie e tutte pericolose Infermità, et altri molti Languenti et Offesi liberati, oltre quelli, che nel corso di questo brieve Compendio habbiamo prodotti, che non sono pochi, nè di poca importanza. Dall'hora poi in qua, che sono passati 420 anni, innumerabili sono li Prodigjj, li Miracoli e le Gratie, che ha operato, e tutta via non cessa d'operare il benedetto Iddio, per l'intercessione potentissima del suo Servo Gio. Buono; fra li quali non è de' minori l'essersi conservato quel sagratissimo Corpo sempre intiero, palpabile ed incorrotto, come appunto lo viddi io, benchè indegnamente, l'anno del 1647, mentre io di la passai, per andare a predicare nella Quaresima di quell'anno in Verona nella Chiesa di S. Eufemia.
53 - Doppo la sua beata Morte ha poi sempre goduto il titolo glorioso di Beato, anzi pure di Santo, massime in Mantova, benchè realmente egli, fin'hora non sia mai stato Canonizzato, non ostante, che molte volte ciò sia stato procurato con molto calore, e da' Duchi e Cittadini di Mantova, e dalla nostra Religione istessa, come ne' suoi propri luoghi vedremo. Viene però fra tanto honorato ogn'anno nel giorno della sua beata morte con Festa solenne, et i nostri Padri ne recitavano già l'Officio d'un Confessore non Pontefice, per concessione, come si dice, di Sisto IV. Come altresì noi più esattamente scriveremo sotto l'anno 1483. Nel qual dicono gli Autori, e fra questi specialmente Maestro Luca Castellini, che fu poi Vescovo di Catanzaro, dell'Ordine di S. Domenico, nel Libro che scrisse de Canonizatione Sanctorum cap. 9, a car. 457, e più chiaramente nel cap. 2, al Punto 51, pag. 118. E come tale registrarono il di lui nome ne' suoi Martirologi il Molano nell'Additioni a quello d'Usuardo; il nostro B. Servo di Dio F. Bartolomeo da Palazzuolo e Filippo Ferrario Servita sotto il giorno 23 di ottobre.
54 - Ma sia pur sempre in eterno lodato e glorificato il grand'Iddio, che finalmente in questo nostro felicissimo tempo s'è degnato, d'honorare il suo Santo Servo con il dovuto culto; imperochè il nostro Illustriss. Monsig. Eusanij Sagrista e Confessore del nostro benignissimo Pontefice Clemente X, tanto s'affaticò con il suo zelo appresso la Sagra Congregatione de' Riti l'anno 1672, che finalmente da quella ottenne, col beneplacito altresì di S. Santità, un Decreto favorevole, in cui si concede a tutto il Mondo disteso, così ne' Religiosi, come nelle Religiose, che possi recitare l'Officio e celebrare la Messa sotto Rito semidoppio nel giorno festivo del suddetto Beato, cioè a dire a 23 d'ottobre fu dato il detto Decreto a' 5 del mese suddetto, nell'anno mentovato del 1672, la cui copia è questa che siegue: Ordinis Eremitarum S. Augustini.
55 - Sanctissimus D. N. Clemens Papa X ad preces Fr. Iosephi Eusanij Aquilani Episcopi Porphyriensis Sacrarij Apostolici Praefecti, benigne concessit, et indulsit ut omnes, et et singuli utriusque sexus Religiosi sui Ordinis Eremitarum S. Augustini, tam Fratres, quam Moniales, in quibuscumque Mundi partibus existentes, licite et libere recitare possint, et valeant die 23 octobris Officium et Missam de Beato Ioanne Bono Mantuano dicti Ordinis, nuper in Martirologio Romano ex concessione Sacrae Rituum Congregationis die praedicta appositi sub ritu semiduplici, de Communi Confessorum non Pontificum, cum Lectionibus proprijs ex S. Antonino Archiepiscopo Florentino, alijsque gravibus Auctoribus desumendis, et ab eadem Sacra Rituum Congregatione approbandis, ac in Kalendario Breviarij, et Missalis Ordinis praefati de praecepto apponendis, et imprimi posse concessit. Hac die 5 octobris 1672. F. M. Episc. Portuen. Card. Brancat. Bernardinus R. R. Cong. Sec.
56 - E ciò fu facile al suddetto Prelato d'ottenere dalla suddetta sagra Congregatione; imperochè alcuni mesi prima, cioè a dire a' 6 di febraio dello stesso anno 1672 haveva ottenuto alla medesima un altro Decreto, di fare cioè registrare nel sagro Martirologio Romano, che di momento ristampare si doveva, il di lui santo nome, insieme con quelli d'alcuni altri Santi e Beati dell'istessa nostra Religione Agostiniana, e perchè questo Decreto a tutti fu commune, lo vogliamo perciò quivi distendere per consolatione universale di tutta la Religione; eccone dunque copia:
57 - Ordinis Eremitarum S. Augustini. Idibus Ianuarii: Mediolani in Coenobio Sanctae Marthae Beatae Veronicae Virginis de Binasco Ordinis Sancti Augustini. Decimo Septimo Kalendas Junii. Mirandulae in Aemilia S. Possidij Episcopi Calamensis, Discipuli S. Augustini, eiusque praeclarae vitae Scriptoris. Undecimo Kalendas Iunii: Cassiae in Umbria Beatae Ritae Viduae Monialis Ordinis Eremitarum S. Augustini, quae post saeculi nuptias, aeternum Sponsum Christum unice dilexit Pridie Idus Iunii: Salamanticae in Hispania B. Iohannis a Sancto Facundo Confessoris Ord. Eremitarum S. Augustini, fidei zelo, vitae sanctimonia, et miraculis clari. Decimo quinto Kal. Septembris: In Monte Falco Umbriae B. Clarae Virginis Monialis Ord. Erem. S. Augustini, in cuius visceribus Dominice Passionis mysteria renovata, maxima cum devotione fideles venerantur. Decimo quarto Kal. Octobris: Valentiae in Hispania S. Thomae de Villanova Ord. Erem. S. Augustini Archiep. Valentini, propter insignem, et flagrantem in pauperes charitatem ab Alexandro VII in Sanctorum numero adscripti cuius iussu festum hac die celebratur. Decimo Kalendas Decembris: Mantuae Beati Ioannis Boni Ordinis Eremitarum S. Augustini, cuius praeclaram vitam S. Antoninus scripsit. Sacra Rituum Congregatio, referente Eminentiss. D. Card. Brancatio, ad preces F. Iosephi Eusanii Aquilani Episcopi Helenopolitani Sacrarii Apostolici Praefecti, censuit supradicta Elogia, ut iacent, admitti posse in Martyrologium imprimendum die 6 februarii 1672. F. M. Episc. Portuen. Card. Brancat. Bernardinus Casalius S. R. Cong. Sec. E qui finalmente terminiamo la Vita di questo glorioso Beato nel nome del Signore. [Continua all'A. 1251 dal n. 1 al 5]
58 - In quest'anno medesimo viveva nella Francia un Religioso di gran fama per nome F. Guglielmo Alberone, di cui riferisce la Cronica dei Conventi di Tolosa, che essendo in quest'anno venuto a morte Raimondo Conte della detta Città, si confessò prima dei suoi peccati da questo F. Guglielmo, il quale doveva forse essere suo Confessore, et anche per avventura Tolosano; già che, allo scrivere del Padre Simpliciano di S. Martino dottissimo Cattedratico e Decano di quella famosa Università, ultimamente morto nell'anno scorso del 1669 in età di passa 90 anni, nella sua Difesa dello stato Monacale del P. S. Agostino, e dell'Istitutione da esso fatta del suo Ordine Eremitano, nel § 6 del cap. 24 apertamente dice e prova, che il Monistero di Tolosa è assai più antico della grand'Unione generale fatta al tempo, anzi per ordine di Papa Alessandro IV nell'anno del 1256. Altro non si sa di questo Religioso di vantaggio, ben però si può ragionevolmente presumere, che fosse un soggetto molto qualificato, imperciochè li Principi non sogliono d'ordinario prendere per loro Confessori, fuori che Religiosi di molta dottrina e bontà.
59 - Solo qui però mi giova di produrre un sentimento del P. Errera intorno alla persona di questo Religioso; il qual è, che egli stima essere questi stato alunno della Congregatione od Ordine del B. Gio. Buono; il suo fondamento poi è questo: perochè dice egli, che l'Autore della citata Historia degli Albigensi lo chiama F. Guglielmo Eremita, senz'altro aggiunto, titolo dice, che in questo tempo davasi precisamente anche per Apostolico Indulto, a' Religiosi dell'Ordine del B. Gio. Buono suddetto: ma mi perdoni pure questo dotto Maestro, imperciochè il titolo semplice d'Eremiti, senz'altro aggiunto, non fu determinato per li Frati dell'Ordine del detto Beato, prima dell'anno 1252 come nel detto anno chiaramente dimostraremo, con prudurre di vantaggio un diploma del Card. Guglielmo Fieschi, et una Bolla di Papa Innocenzo IV in comprobatione di questa verità.
60 - Ma già che più sopra sotto il num. 58 habbiamo detto, con la scorta del P. M. Simpliciano di S. Martino, essere il Convento di Tolosa nostro, più antico della grand'Unione, et altresì di quest'anno, in riguardo di F. Guglielmo Alberone, quale habbiamo stimato potere essere stato alunno, o figlio di quello; vediamo noi dunque hora, che fondamento produca in prova della verità l'accennato P. S. Martino della detta supposta antichità. Primieramente nel mentovato § 6 di quel cap. 24 egli dice, che il Monistero nostro antico di cui egli parla, non è quello, che hoggi possiede la Religione dentro della Città; ma è un altro, il quale era prima fuori di quella, vicino però ad una Porta, che chiamasi di Mattabiou, e fu poi trasferito dentro della detta Città appresso alla medesima Porta, verso l'anno del 1268 havendo ottenuti per il sito della nuova Fondatione due Arpenti di terra in contracambio d'alcuni Beni stabili, dall'Abbate e da' Monaci di S. Saturnino della stessa Città: e tutto ciò si cava dal Repertorio delle Note e Protocolli delle Scritture, che sono nell'Archivio della mentovata Abbatia, fatto nell'anno 1540 a foglio 49 ove questa Nota si legge: Augustini Religiosi (Idest Augustiniani) Tolosae erant olim et eorum Conventus extra muros Tolosae, prope Portam Mattebovis et quia Dominus Abbas S. Saturnini Tolosae permiserat illos, et eorum Conventum intra muros Tolosae mutare, et ponere; dicti Augustini dedere certa Bona immobilia, certas possessiones in proprietatem. Vide Instrumentum donationis de data finali 1268. Et in un'altra Nota dello stesso Repertorio si soggiunge sotto l'anno del 1269: Augustinis (idest Augustinianis) Tolosae ad aedificandum eorum Conventum duo eripenta terrae fuere concessa eisdem per D. Abbatem S. Saturnini Tolosae, et cum certis pactis super divino servitio, et alijs, et etiam donatio certorum Bonorum facta Augustinis per quemdam Vicecomitem Hospitalis Guillelmi de Termis. Vide dicta Instrumenta, in eadem pelle inserta, de data 1269. Che poi il detto Convento sia molto più antico della grand'Unione, lo deduce il detto P. S. Martino dalla Parola olim, che significa lungo tempo, il quale fors'anche fu prima dell'anno 1200 avvegnachè gli è certo, che la nostra Religione è antichissima nella Francia, e massime nelle parti dell'Aquitania, ove è situata Tolosa, nelle quali fiorì ne' primi Secoli della Religione S. Antonino figlio del Re d'Apamia, glorioso Martire di Christo la cui Vita e Martirio dassimo già nel nostro primo Tomo; oltre che gli è certissimo, e l'habbiamo più volte notato ne gli Anni e Secoli scorsi, che nella Francia e nell'Inghilterra, v'era prima della grand'Unione, un gran Corpo d'Eremitani Conventi di S. Agostino, che haveva un proprio Generale, come dimostrassimo palpabilmente con una Bolla d'Alessandro IV da noi prodotta nella Prefatione del secondo Tomo di questi nostri Secoli Agostiniani; vedasi altresì la Bolla d'Innocenzo III quale registrassimo sotto l'anno 1210 in questo Secolo Nono.
61 - Soggiunge di vantaggio il P. S. Martino, che non si può, nè si deve dubbitare del testimonio notato in quel Repertorio di S. Saturnino, perché egli ha veduti e letti gl'Istromenti, quali, per essere troppo lunghi, egli non si curò di trascrivere, tanto più, che non facevano per il suo Monistero di bisogno, havendo li nostri Padri antichi, non solo dati que' Beni stabili, di sopra accennati, all'Abbate e Padri di S. Saturnino, ma di vantaggio ancora venderono, con licenza di Clemente V il fondo et il sito istesso, ov'era fondato il Monistero vecchio, l'anno 1310 trasportando dentro la materia per servitio della fabbrica del nuovo, che non era ancor finita; e ben'è da credere, che trasportassero ancora l'antiche Scritture, fra le quali vi doveva essere la memoria della Fondatione del primo; ma questa con l'altre s'abbruggiò l'anno 1461 in cui appicciatosi il fuoco nella Città, ridusse in cenere una gran quantità di case, et anche alcuni Monisteri, fra quali, altresì il nostro; e se è rimasta la memoria della licenza, poco dianzi mentovato, di Clemente V di vendere il fondo del suddetto Monistero vecchio, ciò è avvenuto, perché la Bolla originale era nell'Archivio del Capitolo di S. Stefano. Ha poi questo Convento (parlo del nuovo) partoriti in varii tempi molti insigni Religiosi, tanto nella Santità, quanto nella Dottrina, et altre eroiche virtù, fra quali Pietro di Vena, che fu Generale di tutto l'Ordine intorno a gli Anni di Christo 1414 de' quali tutti copiosamente scriveremo ne' loro tempi e luoghi dovuti.
62 - Quanto a' Conventi di Mantova, de' quali habbiamo più sopra favellato nella Vita del B. Gio. Buono, io torno a dire, che il primo fuori del Porto, dedicato in honore di S. Agnese (che poi, doppo la morte del detto Beato, chiamossi, e pur tuttavia hora si chiama di S. Gio. Buono) fu veramente fondato in quest'anno dallo stesso Beato, come habbiamo detto di sopra. Ma il secondo di S. Agnese pure, fondato dentro della Città, che hoggidì soggiace all'osservante Congregatione di Lombardia, quale il P. Errera nel secondo Tomo dell'Alfabeto a cart.107 stima essere stato poco doppo la morte dello stesso B. Gio. Buono fondato, non so veramente se in questo, od in altro anno a questo posteriore, egli fondato fosse; questo ben sì è certo, che è molto antico anch'egli, e certamente credesi, che principiato fosse prima della grand'Unione per l'Ordine o Congregatione de' Giamboniti con l'agiuto, e con le Ricchezze d'una nobilissima Matrona di Casa Frizza, e poi doppo ancora, fu molto adornata la Chiesa, che è bellissima, dalla Serenissima Casa Gonzaga, alla quale molto obbligata sempre fu la nostra Agostiniana Religione. Oltre il Beato Gio. Buono, altri due Beati sono usciti da questo Convento, cioè a dire il B. Ugolino detto da Cortona, perché morì in quella Città, et anche, come piace ad alcuni il B. Filippo detto da Piacenza anch'egli, perché pure per lungo tempo ivi habitò, e finalmente morì l'anno 1306. Molti altri Soggetti dotti, e celebri, ha pur anche prodotti in varj tempi, de' quali abbondevolmente a suo tempo e luogo parleremo; concludendo, per hora, che il priore di questo Convento fu in perpetuo creato Conte Palatino da Carlo V, mentre l'anno 1532 si fermò ad alloggiare in quello per tre mesi continui; dandoli ampia facoltà di creare Notari, di Addottorare, di Legittimare Bastardi, di Laureare Poeti, con altre preminenze solite, come in quel tempo tornaremo più ampiamente, e più di proposito a ripetere, con produrre di vantaggio la copia del Privilegio Cesareo et Imperiale.
63 - In questo tempo habbiamo un'altra memoria del Monistero di Parma dentro della città, e ciò costa, per un'istromento di compra fatta dal Priore del detto Monistero, d'un podere, o vogliam dire d'una pezza di Terra con la sua Casa, etc. posta fuori della città, ma però vicina alle fosse di quella, fuori della Porta di S. Michele dell'Arco di sopra della Strada Claudia; il Venditore fu un tal Giglio, figlio del già inclito Fredalfo da Fornovo, habitante nella contrada di S. Christina nella stessa Città di Parma; la detta vendita poi fu stabilita a' 6 di febraio dell'anno presente del 1249. Comincia l'Istrumento: In nomine Domini nostri, etc. Anno a Nativitate eiusdem 1249 etc. Gilius filius quondam D. Fredalfi de Furnovo qui habitat in Vicinia S. Christinae Civitatis Parmae, dedit, vendidit, atque tradidit ad pretium, et per summam, Fratri Simoni Ioannis Belli de Transetulo Priori Fratrum Remitanorum, et Fratri Iacobo de Caruaco de ipsis Remitanis existentibus, et recipientibus pro eis, et pro alijs Fratribus Remitanis Parmae commorantibus, et pro Ordine dictorum Remitanorum unam petiam Terrae laboratitiae, cum Domo una cupata, supraposita extra Foveas novas in ripa ipsarum Fovearum deforis a Porta S. Michaelis de Arcu desuper a Strata Claudia, etc.
64 - Né si può dire, che questi Frati Eremitani fossero della Congregatione del B. Gio. Buono, li quali, come habbiamo accennato di sopra chiamaronsi per Apostolico comando, dell'Ordine de gli Eremitani; perochè ciò non avvenne, se non doppo tre anni, cioè del 1252 anzi che e' si tiene per cosa certa, che questo Monistero soggiacesse all'Ordine vero et antico del P. S. Agostino, che in un Corpo separato da gli altri ritrovavasi nelle parti della Lombardia e della Romagna, di cui appunto era Generale nel tempo della grand'Unione, F. Filippo Desterampa da Parma, huomo stimato di santa vita dal P. Errera, e da altri, come scrivessimo sotto l'anno 1245. Quando poi il detto convento fosse fondato in Parma, non l'ho potuto rinvenire, aggiungo ben sì, che é traditione di que' Padri, che prima fosse fuori della città in luogo però incerto: comunque sia, questo é certo, che molto prima di quest'anno egli era stato dentro della città trasferito. Ha prodotti molti Huomini illustri, de' quali faremo ne' suoi tempi honorata memoria.