Agostino e san Giovanni: affresco a Tolentino
ANNO 1262
Anni di Christo 1262 - della Religione 876
1 - Quanto a gli affari della Chiesa e del Mondo, altro di più grave non riferiscono gli Autori, tanto Ecclesiastici quanto Secolari, salvo solo, che Urbano IV, Sommo Pontefice, stando ancora in Viterbo, et arrivandoli ogni giorno più, gli avvisi infausti, ma però certi, della pertinace ostinatione nel male, di Manfredo, non Re, ma Tiranno delle due Sicilie, e delle grandi sceleraggini e ribalderie sacrileghe, che alla giornata andava più che mai commettendo contro Iddio e la sua Chiesa, con scandalo gravissimo per infino de gli stessi Infedeli, si risolse finalmente di fulminare quel miscredente, con la Scommunica horribile in Coena Domini, et anche di publicare contro di lui, una solenne Crociata; la quale poi fu predicata a' Popoli dell'Italia da varj Predicatori di tutte le Religioni Mendicanti. Ad Alfonso poi Re di Castiglia, il quale con grande istanza chiedeva alla Santità Sua, la sublime Corona dell'Imperio, con virile costanza la negò; e nello tempo stesso comandò, sotto gravi pene, al Re di Boemia, che non la dovesse né meno dare, per quanto a lui spettava, a Corradino figlio di Corrado, e Nipote di Federico, già asserti Imperatori. Havendo ancora fulminata la stessa Scommunica, et anche fatta publicare la Crociata contro di Michele Paleologo (il quale, haveva scacciato dall'Imperio Greco l'Imperatore Balduino, con tutt'i suoi Latini) et havendo ancora concitato contro di lui, quasi tutt'i Principi Christiani, tanto Orientali, quanto Occidentali, e spetialmente la potentissima Republica di Venetia; havendo ciò molto bene considerato il suddetto Michele, e stando in grand'apprensione, per un così grande apparato d'Armi, contro di lui commosso, per iscansare una tanta rovina, si risolse d'acquistarsi l'amicitia del Pontefice, e così spedì alcuni suoi Ambasciatori a Roma per tale effetto, con dimostrare al Pontefice, che grandemente bramava l'Unione della sua Chiesa Greca con la Latina, per la qual cosa, il buon'Urbano grandemente rallegratosi, gli rispose con una Bolla gratiosa, e così per qualche poco, quietaronsi le cose.
2 - Ma lasciamo le cose generali del Mondo e della Chiesa, e passiamo alle particolari della nostra Religione; la prima delle quali si è, che essendosi raccomandati a questo pietoso Pontefice, li nostri Padri del Convento d'Ascoli nella Marca d'Ancona, affinchè si degnasse di prenderli sotto la di lui Apostolica Protettione e di confermare altresì con la sua ampia autorità, ciò che di presente possedevano, et erano per possedere ne' tempi a venire; egli benignamente si compiacque d'esaudirli con una sua Bolla data in Viterbo nel mese di Genaio a' 28 di quest'Anno; e di questa ne fa menzione il dotto Errera nel Tomo I del suo Alfabeto a car. 216.
3 - Già sotto l'Anno 1257 registrassimo una Bolla di Papa Alessandro IV, diretta alli due Generali di S. Agostino, e di S. Guglielmo, nella quale gli ordinava, che non dovessero ricevere ne gli Ordini loro, nè dare l'Habito ad alcun Religioso Professo dell'Ordine de' Minori, senza espressa licenza de' suoi Ministri; alla quale havendo sempre poi puntualmente ubbidito, cominciarono indi a poco li Padri Minori stessi a cadere nello stesso errore, che havevano ne' nostri fatto del Pontefice correggere, et emendare, prendendo nell'Ordine loro, e dando l'Habito di loro Religione a' nostri Religiosi Professi, senza riguardo veruno; laonde fu necessario, che i nostri Superiori ricorressero anch'essi a' piedi del S. Pontefice medesimo, affinchè con l'autorità sua rimediasse ad un tanto pregiuditio, che ci facevano que' Padri, il che fece ben tosto, come vedessimo sotto li num. 12 e 13 dell'Anno 1259, con una Bolla ben stretta, nella quale, doppo havere ripresi li Superiori di quell'Ordine, perchè facessero contro di noi quello, che essi non havevano volsuto sopportare, che fosse da noi fatto, a pregiuditio loro; li comandò poi, che non dovessero mai più per l'avvenire, intraprendere un così pregiuditiale maneggio. Hor tutto ciò non ostante, benchè per all'hora, forse si astenessero di ciò fare, non troppo andò, che tornarono non solo come prima, a ricevere nell'Ordine loro, et a dare l'Habito di sua Religione e chiunque de' nostri Frati Professi, da noi fuggendo, si ricovrava fra di loro; ma di vantaggio, si diedero a sollicitare, e subornare con molte lusinghe (cosa in vero, che non crederessimo già mai, se non la leggessimo espressamente in una Bolla d'Urbano IV, che fra poco produrremo) li nostri istessi Novizzi, cercando in questa guisa d'isviare que' semplici Giovinetti dalla nostra Religione, nella quale erano stati da Dio benedetto chiamati; la qual cosa, come in sommo grado esorbitante, non volendo in verun conto tolerare il nostro Santo Generale Lanfranco, ricorse per tanto a' piedi del mentovato Pontefice Urbano, et havendoli con gran sentimento esposto una così grave ingiuria, che veniva al suo Ordine fatta da que' Religiosi, per altro buoni, e Santi, accese di tal sorte quel sovrano Monarca, che incontanente spedì a' Superiori di quell'Ordine la seguente Bolla, la quale habbiamo ritrovata nel nostro Archivio di S. Giacomo di Bologna, non è però stata notata dal P. Vadingo, come né meno l'altra del 1259; non so poi per qual cagione; e questa poi è del tenore seguente:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
4 - Dilectiis filiis, Generali, et Universis Ministris Fratrum Minorum, salutem, et Apostolicam benedictionem. Quantum praeclara Ordinis Vestri Religio, inter Religiones alias, per insignem gratiam meritorum; prerogativam virtutum, et eminentiam sanctitatis conspectiori rutilat claritate, tanto magis vestram condecet honestatem, ut omnem in vobis iustitiam adimplentes debite charitatis legem erga singulos observetis, non faciendo id alijs, quod vobis adscriberetis non immerito ad offensam. Sane dilecti filij Generalis, ac caeteri Priores, et Fratres Eremitae Ordinis S. Augustini, Nobis graviter sunt conquaesti, quod licet fel. Rec. Alexander Papa praedecessor Noster, vobis per suas Litteras dederit in virtute obedientiae firmiter in praeceptis, ut aliquem Fratrem praedicti Ordinis post Professionem in eo emissam, sine sui Prioris licentiam, in Ordine vestro nullatenus recipere praesumatis; aliqui tamen vestrum huiusmodi Praeceptum observare non curant recipiendo Professores ipsius Ordinis S. Augustini, et etiam solicitando Novitios ipsius Ordinis, quod ad vestrum Ordinem debeant se transferre, indictorum Priorum, et Fratrum suorum grave scandalum, et Ordinis eorum non modicum detrimentum. Quare petebant a Nobis, ut super hoc adhibere opportunum remedium curaremus. Qua vos eis per Litteras ipsius Praedecessoris sub poena Excommunicationis iniungi, sicut afferitur, procurastis, ut Fratres Ordinis vestri Professos in suum Cosortium non admittant; et propter hoc vos decet pati Legem, quam illis obtinuistis imponi, universitatem vestram attente rogandum duximus, et monendam, per Apostolica vobis scripta in praedicta virtute obedientiae firmiter praecipiendo mmandantes, quatenus praeceptum eiusdem Praedecessoris nostri, vobis in hac parte directum, solicite observantes, contra illud nullum Fratrem Eremitam de caetero in vestro recipere Ordine praesumatis, ab huiusmodi solicitatione Novitiorum ipsorum penitus desistentes, ita quod nulla inter vos, et ipsos, occasione huiusmodi, contentio exoriri valeat, sed potius charitas, et dilectio iugiter augeri de bono in melius; et nos devotionem vestram exinde commendare possimus. Dat. Viterbij 7 Kal. Martij, Pont. nostri Anno primo.
5 - E perchè in questo tempo istesso molti nostri Religiosi Professi (o che l'Osservanza dell'Ordine li paresse troppo rigorosa, o che la loro vocatione non fosse dallo spirito buono venuta, o pure, che essi si fossero lasciati di soverchio tentare dal Demonio, senza farli la dovuta resistenza) havevano abbandonata, non che la Religione, ma anche l'Habito istesso, e come secolari, con gravissimo scandalo dell'Ordine, e pericolo manifesto dell'Anime loro, nel Secolo vergognosamente vivevano; per oviare dunque ad un tanto male, e per rimediare a que' poveri meschini, ottennero li nostri Superiori facoltà dal Pontefice Urbano, di procedere contro di questi tali con Censure, e Scommuniche, e di poterli ancor prendere, e farli a viva forza ritornare nella Religione, malamente da essi abbandonata, e piegare il collo a quel giogo soave, al quale l'avevano fin da principio, volontariamente sottoposto; fu poi data la Bolla di questa Concessione in Viterbo a' 17 d'Aprile, e fu diretta al Generale, et a gli altri Provinciali, e Superiori dell'Ordine, ed è registrata nel Bollario Agostiniano a car. 366 nella seguente guisa:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
6 - Dilectis filijs, Generali, et Provincialibus, Prioribus Presbyteris, Ordinis Eremitarum S. Augustini, salutem, et Apostolicam benedictionem. Provisionis vestrae cupimus provenire subsidijs, ut Religio vestra, semper in melius Deo propitiante proficiat, publice corigatur. Vobis itaque quos in Divini Nominis Amore vigiles, delectat extirpare vitia, et plantare virtutes, ut Apostatas vestri Ordinis nisi vestris salubribus monitis acquiescant, Excommunicare, aut capere, si videbitur expedire, possitis, auctoritate praesentium concedimus facultatem. Nulli ergo omnino hominum liceat, etc. Dat. Viterbij 15 Kal. Maij, Pont. nostri Anno I.
7 - E perchè molto questo importante affare, cioè di ridurre nell'abbandonata Religione li suddetti Apostati, al Santo Pontefice premva, poco doppo, cioè alli 7 di Maggio di quest'Anno istesso, spedì un'altra Bolla a tutti li Prelati della Chiesa di Dio, nella quale espressamente li comandò, che tutti quegli Apostati, che li Frati di Santo Agostino, in vigore della Bolla antecedente, havessero dichiarati Scommunicati, non solo essi Prelati, dovessero la prattica di quelli onninamente fuggire, ma di vantaggio ancora cooperare, che da' Sudditi loro fosse fatto il medesimo, fino a tanto, che que' miserabili havessero alla loro Religione, et alle proprie Coscienze intieramente sodisfatto; fu data similmente questa Bolla in Viterbo nel giorno, Mese et Anno, come quella registrata, sotto il numero passato, et è questa, che siegue:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
8 - Venerabilibus Fratribus, Archiepiscopis, Episcopis, et dilectis filijs Abbatibus, Prioribus, Praepositis, Archidiaconis, Archipresbyteris, et alijs Ecclesiarum Praelatis, ad quos Litterae istae pevenerint, salutem, et Apostolicam benedictionem. Provisionis nostrae cupimus provenire subsidijs, ut Religio dilectorum filiorum Fratrum Eremitarum Ordinis S. Augustini semper in melius, Deo propitiante proficiat, et si quid obstare dignoscitur solicite corrigatur. Hinc est, quod cum Nos dilectis filijs Generali, et alijs Prioribus praedicti Ordinis (sicut asserunt) per nostras Litteras sub certa forma duxerimus concedendo, ut Apostatas ipsius Ordinis possint Excommunicationis vinculo innodare; universitati vestrae per Apostolica scripta mandamus, quatenus huiusmodi Apostatas, quos per eosdem Priores auctoritate Litterarum ipsarum, quo manifesta, et rationabili causa, excommunicari, contingeret, vos, usque ad satisfactionem condignam, evitetis arctius, et faciatis a vestris subditis evitari. Datum Viterbij nonis Maij Pont. Nostri Anno primo.
9 - Nello stesso giorno pure, Mese, et Anno, spedì il detto Urbano un'altra Bolla a favore de' Frati del Convento di Brettino; nella quale li confirmò un Privilegio di Papa Alessandro IV emanato nell'Anno 1260, quale registrassimo sotto il num 10 di quell'Anno medesimo; nel qual Privilegio concesso gli haveva, che non potessero essere levati di quel Convento, né altr'Ordine in quello potesse essere indrodotto, fuori che l'antico loro di S. Agostino. Gli è forza, che qualche potente Personaggio procurasse di levare alla Religione quel solitario e divoto Monistero, per darlo a qualchedun'altra; imperochè s'altrimente fosse stato, che sarebbe occorso, che questi Religiosi, per salvarlo per la Religione, fossero tante volte ricorsi alla Santa Apostolica Sede? Ma non sapendo noi di certo quale si fosse veramente la cagione di questo, troppo in vero molesto, e noioso disturbo, non ci arrischiamo d'assegnare alcuna per certa, ma solamente ci basta di produrre in campo alcune verisimili congetture; ma diamo la copia della detta Bolla, la quale appunto fu diretta al Priore, et a' Frati del detto Monistero, et è registrata anch'ella nel suddetto Bollario nostro a car. 367, in questa guisa, che siegue:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
10 - Dilectis filijs, Priori, et Fratribus Domus Eremitarum de Brictinis, Ordinis S. Augustini Fanensis Dioecesis, salutem, et Apostolicam benedictionem. Solet annuere Sedes Apostolica pijs votis, et honestis petentium, desiderijs, et favorem benevolum impartiri. Exhibita siquidem Nobis vestra petitio continebat, quod Domus vestra, quia est ab hominum, semota frequentia, et ex sui situ accommoda, locus Religioni conveniens est, et aptus. Unde, cum in ipsa, sub commodo pacis, et quietis silentio, devotum impendatis, et perpetuo desideretis impendere Domino famulatum. Nos vestris precibus inclinati, ad instar fel. Rec. Alexandri Papae praedecessoris nostri, statuimus, ut in eadem Domo vestra , vita Eremitica perpetuis temporibus observetur; districtius inhibentes, ut in ipsa Domo, de caetero alium Ordine quisquam inducere, vel ipsam ad alium locum transferre praesumat. Nulli ergo omnino hominum liceat, etc. Datum Viterbij nonis Maij, Pont. nostri Anno primo.
11 - Hor in questo mentre, che li nostri Religiosi di Brettino pativano questo disturbo accennato, li nostri Padri di S. Giacomo di Bologna a Savena, erano anch'essi grandemente molestati da alcuni nelle loro Possessioni e Beni, a segno tale, che furono necessitati di ricorrere a' piedi del pietoso Pontefice, ad implorare il di lui benigno Patrocinio contro di que' poco timorati di Dio, li quali ardivano di offendere, e di molestare que' poveri Servi del Signore. Intesa dunque, con suo grave dispiacere, il gran Pastore, la giusta querella loro, spedì subito una Bolla al Vescovo di Forlì, nella quale, con ogni più calda premura, gl'impose, che con Apostolica Autorità, dovesse in ogni conto procurare, che que' Poveri Frati non fossero da alcuno molestati, et offesi, contro gl'Indulti, e Privilegi ottenuti dalla S. Sede, Scommunicando, in caso di disubbidienza, gli Offendenti, e Molestanti. Fu data questa Bolla a' 12 di Giugno, e si conserva nell'Arch. di S. Giacomo di Bologna, et è la seguente:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
12 - Venerabili Fratri, Episcopo Foroliviensi, salutem, et Apostolicam benedictionem. Sub Religionis Habitu vacantibus studio piae vitae, ita debemus esse propitij, ut in Divinis beneplacitis exequendis, malignorum non possint obstaculis impediri. Cum itaque dilecti filii, Prior et Conventus Fratrum Eremitarum S. Iacobi de Savina Bononiensis Ord. S. Augustini a nonnullis, qui nomen Domini in vacuum recipere non formidant graves, sicut accepimus, super Possessionibus, et aliis Bonis suis, patiantur molestias, et iacturas. Nos eorum providere quieti, et malignorum malitijs obviare volentes, Fraternitati tuae per Apostolica scripta mandamus, quatenus eosdem Priorem, et Conventum, pro Divina, et nostra reverentia, favoris opportuni praesidio prosequens, non permittas, ipsos, contra Indulta Privilegiorum Apostolicae Sedis ab aliquo indebite molestari. Molestatores huiusmodi per Censuram Ecclesiasticam, Appellatione postposita, compescendo, Presentibus, post triennium, minime valituris. Datum Viterbij 2 Idus Maij, Pontificatus nostri Anno primo.
13 - Da questa Bolla ben chiaramente si cava, quanto in questi tempi mal volentieri soffrissero i Secolari, che li Religiosi, massime Mendicanti, possedessero Beni stabili; che però, non potendo fare, che non ne tenessero, per lo meno s'igegnavano di dannegiarli in guisa, che poco, o niun frutto ne cavassero, non considerando il gravissimo peccato, che essi commettevano contro Dio, così fieramente trattando i di lui Servi, e la grande ingratitudine, che dimostravano contro di quelli, che giorno, e notte, altro non facevano, che impiegarsi nel profitto, e salute dell'Anime loro; le quali cose molto bene considerate dal generoso Pontefice, perciò prese egli così intrepidamente la diffesa di questi poveri, et innocenti Religiosi.
14 - Pur anche a' 25 del medesimo Mese di Maggio, concesse lo stesso Pontefice a' nostri Padri di S. Agostino di Siena, li quali stavano in questo tempo con gran calore attendendo alla Fabbrica della nuova Chiesa, che potessero ritenere per elemosina fino al numero di 20 Marche d'argento di robba acquistata per via di Rapine, di Usure, et altri modi illeciti, pur chè coloro a' quali si doveva fare la restitutione, non si possino con humana diligenza sapere, o ritrovare; così parimente di qual si sia Legato indistamente lasciato per qualche uso pio, pur chè vi sia il consenso de gli Esecutori de' Testamenti; e così finalmente ancora l'istesso Indulto gli concedesse per commutatione, e redentione de' Voti, fatti però prima con l'autorità de gli Ordinari, trattone però solamente quello di Gierusalemme, e tutto ciò si dichiara di concedere loro, pur chè simil Gratia non habbino da esso un'altra volta ottenuta; dichiarandosi in oltre, che se delle suddette 20 Marche, o in tutto, o in parte ne rilasciaranno, o restituiranno, o daranno indietro a coloro da' quali l'havevano ricevute, che nulla vaglia loro in quel caso l'accennata Liberatione, né in conto alcuno s'intendino quelli assoluti; fu data poi questa Bolla al suddetto Priore, e Frati del Convento di Siena, diretta a' 25 di Maggio, come sopra, l'Anno primo del suo Pontificato, la quale registrata ancora si legge nel Bollario nostro a car. 368, la di cui copia è questa:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
15 - Dilectis filijs, Priori, et Fratribus Domus Eremitarum Senensium Ord. S. Augustini, salutem, et Apostolicam benedictionem. Necessitatibus vestris benigno compatientes affectu, ut de Usuris, et Rapinis, et alijs male acquisitis, dummodo ij, quibus ipsorum restitutio fieri debeat, omnino sciri, et inveniri non possint; necnon de quibuslibet Legatis indistincte in pios usus relictis, dummodo executorum Testamentorum ad id accedat assensus; et commutatione, et redemptione Votorum, Dioecesanorum auctoritate prius factorum (Hierosolymitano duntaxat excepto) usuque ad summam viginti Marcarum Argenti, recipere valeatis auctoritate vobis praesentium duximus concedendum, si pro similium receptione, alias non sitis a Nobis huiusmodi Gratiam consecuti. Ita quod si aliquid de ipsis viginti Marchis dimiseritis, vel restitueritis, aut dederitis illis, a quibus eas receperitis, huiusmodi dimissum, vel restitutum, seu datum, nihil ad liberationem eorum prosit, nec quantum ad illud, habeantur aliquatenus absoluti. Nulli ergo omnino hominum liceat, etc. Praesentibus, post Annum minime valituris. Dat. Vitervij octavo Kal. Iunij, Pont. nostri Anno I.
16 - Poco appresso, cioè a dire, nel seguente Mese di Giugno in questo medesimo Anno, concesse pur anche al Generale, et a tutti li Provinciali dell'Ordine, di potere assolvere dall'Ecclesiastiche Censure, quelli, che volessero entrare nell'Ordine, e ricevere altresì l'Habito della nostra Religione, et anche quelli li quali, doppo essere entrati, si ricordassero d'essere stretti da somiglianti legami spirituali, con patto però, che se per avventura, uscissero fuori dell'Ordine, non s'intendessero in quel caso assoluti, ma tornassero a soggiacere alle medesime Censure di prima; dichiarando in oltre, che se le Suddette Censure li fossero state fulminate, o per debiti, o per ragioni ed interessi d'altri, che non si assolvino, se prima non daranno sodisfatione alle parti interessate; fu data poi questa Bolla in Viterbo a' 13 di Giugno, e si legge nel nostro Bollario nella guisa che siegue:
Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.
17 - Dilectis filijs, Generali, et Provincialibus, Prioribus, Presbyteris Eremitarum Ordinis S. Augustini, salutem et Apostolicam Benedictionem. Caelestis Amor Patriae mentes vestras sic allexisse prospicitur, ut quasi hoc solum delectationem vobis tribuat, quo Divinae voluntati sit placitum, et salutem proferat Animarum procedit ex hoc, quod nos vestris pijs petitionibus favorem largiri benevolum delectantes, maxime, cum ex Apostolici cura teneamur officij circa Religionis augumentum attenti, et vigiles inveniri, vobis auctoritate praesentium Indulgemus, ut volentibus vestro aggregari Collegio, qui Suspensionis, aut Interdicti, vel Excommunicationis Sententijs sunt ligati absolutionis beneficium, iuxta formam Ecclesiae impertiri, et ipsos in Fratres recipere: ac eos, qui post assumptum Habitu, recoluerint, se talibus in saeculo fuisse sententijs innodatos, secundum formam ipsam absolvere valeatis. Ita tamen, quod si ijdem Ordinem vestrum exiverint, eo ipso praedictis sententijs sint legati; et si aliqui ex eisdem, huiusmosententijs, vel pro aliorum Iuribus sunt adstricti, prius de ijs satisfaciant, ut tenentur. Nulli ergo omnino hominum liceat, etc. Dat. Viterbij Idibus Iunij, Pont. nostri Anno primo.
18 - In questo mentre li nostri Padri di Verona, li quali, per lunghissimo tratto di tempo, havevano habitato nell'antico e divoto Monistero posto vicino ad un luogo chiamato Montorio, ove alcuni Anni prima era miracolosamente apparita quella Gloriosa Immagine di Maria Vergine la quale fu poi trasportata nella Chiesa di S. Michele, vedendo che, per l'insolenza de' Fuoriusciti, per l'ingiurie delle continue Guerre, per la maligna conditione de' tempi, si rendeva loro hormai non che malagevole, ma quasi affatto impossibile il potere più durare in quel luogo, doppo essersi più volte raccomandati a Dio, che si degnasse d'ispirarli quel che fare si dovessero in così gravi emergenti, finalmente si risolsero di supplicare Manfredo eletto Vescovo della Città suddetta di Verona, il quale in questo tempo ritrovavasi in Viterbo, ove risedeva la Romana Corte, affinchè si compiacesse d'assegnar loro, per carità, un luogo opportuno nella Città, ove potessero fabbricare un nuovo Convento, perochè erano risoluti di lasciare l'antico, e ricovrarsi dentro della Città; per la qual cosa, il suddetto Manfredo, mosso a pietà di que' poveri Padri, scrisse al suo Vicario, che era un tal Maestro della Carra, che dovesse loro donare la Chiesa di S. Eufemia, vicino al Fiume famoso dell'Adige, con tutte le sue Attinenze e Giuridittioni; il che fu ben presto dal detto Vicario esequito, con consegnare la predetta Chiesa a F. Fino Priore de' suddetti Padri Agostiniani; tanto dice costare il P. Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto a car 516, da un'Istromento rogato in questo medesimo Anno da Lanfranchino Notaio del Vescovo.
19 - Ma vogliamo produrre il Testimonio di tutto ciò, che habbiamo detto fin qui dell'erudito Historico di Verona, Girolamo della Corte, il quale appunto nella prima parte dell'Historia di Verona nel lib. 9 a car. 500, sotto di quest'Anno 1262, parlando di questa trasmigratione de' nostri nella Città, dice queste parole: Hoc ipso Anno venerunt habitatum Veronae RR . Eremitani Ordinis S. Augustini, qui prius extra Urbem degebant versus Montorium in eo ipso loco quo aliquibus antea Annis miraculose apparuerat Gloriosa illa Deiparae Imago quae postea ad S. Michaelem deducta est. Ibi antiquissimam Ecclesiam, cum Monasterio satis ornato, et commodo possidebant. Praecipua occasio inde recedendi, orta ex incivilitate, et insolentia quorundam, et bellorum iniurijs, propter malignitatem, et miseram temporum conditionem, ne tot periculis expositi remanerent.
20 - Più succintamente riferisce questa mutatione di luogo fatta da' nostri Padri in quest'Anno, il nostro eruditissimo Panvinio nel Libro, che scrisse delle Antichità di Verona, ove sotto di quest'Anno, dice le seguenti formali parole: Hoc eodem Anno Fratres Eremitae Ordinis S. Augustini venerunt cum Norandino Priore ex loco S. Augustini extra Portam Episcopi ad habitandum Veronae in Monasterio S. Euphemiae; nelle quali parole habbiamo di più di quello, che riferisce Girolamo della Corte, il titolo dell'Antico Convento, che era del nostro Glorioso P. S. Agostino, in una cosa però si mostra differente un Autore dall'altro, cioè a dire, nel nome del Priore, imperochè, là dove il primo lo chiama col nome di Fino, il secondo lo nomina con quello di Norandino; ma è facile l'accordarlo, imperochè, puol'essere, che Norandino fosse il Nome, e Fino il Cognome.
21 - Soggiunge poi il mentovato Girolamo della Corte, che nella detta Chiesa di S. Eufemia, vi stavano prima alcune poche Monache, le quali, havendo ricevuta alcuna competente rimuneratione, cedettero il Luogo, e furono poi dal Vescovo divise in altri Monisteri della Città.
22 - Aggiunge il dotto Errera, per relatione dello stesso Historico della Corte, che l'entrata de' detti Padri nella Città, successe nel giorno 16 di Settembre; e nota il Panvinio, che era giorno festivo di Domenica; etrarono dunque (doppo havere prima cantata con gran divotione la Messa dello Spirito Santo nel primo luogo) sotto la guida del loro Santo Priore, processionalmente, nella Città, accompagnati, e seguiti da gran moltitudine di Popolo, et arrivati alla Chiesa suddetta, furono posti in possesso di quella, alla presenza di molti Testimonj, da un Chierico chiamato Zenone; et è da notare, che tanto più riuscì divota la loro venuta, quanto che la resero tale, con portare processionalmente la Vener. Immagine, tanto in que' tempi miracolosa, della Beatiss. Vergine detta della Pietà, che pur anche, fino a nostri giorni, dentro della Porta maggiore della Chiesa, alla sinistra mano si vede, opera di perfetto rilievo, formata già, come a suo tempo accennassimo, da' nostri Gloriosi e Santi Eremiti, Benigno e Caro, antichi e degni Eroi della nostra Santa Religione; con la quale Sacratissima Immagine, portarono ancora i Corpi Gloriosissimi delli due Beati Religiosi Veronesi, Evangelista e Pellegrino. Dice Francesco Pona, che nell'ingresso loro nella Città, furono incontrati dal Vescovo, il qual forse era ritornato da Viterbo, e soggiunge, che da esso ancora furono condotti alla Chiesa di S. Eufemia, e posti in possesso di quella; Io però più certo stimo, e più sicuro il racconto primo di Girolamo della Corte, e del Panvinio. Come poi, ben presto fabbricassero in migliore e maggior forma la detta Chiesa, et anche il Convento, con ogni maggiore magnificenza, aggiutati dall'elemosine de' divoti Fedeli, e spetialmente da' Signori della Scala, all'hora Patroni di Verona, et anche da altri Nobili, e Potenti; e come all'incontro, in questa Fabbrica patissero grandissime oppositioni, e travagli, ci serbiamo di dirlo ne' tempi, e luoghi dovuti. Ma già, che habbiamo fatta mentione de' due Corpi Venerandi de' Beati Evangelista, e Pellegrino, che portarono nella loro nuova Chiesa dentro della Città, li nostri Padri, e non sappiamo, né in qual tempo fiorissero, e morissero, stimiamo bene di darne in questo luogo il più succoso saggio, che potiamo, con tessere le loro Vite, nel miglior modo, che sarà possibile.
Brive Racconto delle Vite e Miracoli, de' Beati Evangelista e Pellegrino da Verona.
23 - Quantunque egli sia certo, che nell'antica, e famosa Città di Verona, di assai Nobili Parenti nascessero questi due fortunati Campioni, nulladimeno, niuno de gli Autori, che di essi hanno scritto, ci dà ragguaglio del tempo preciso della loro felicissima nascita; questo solo tutti ci additano, che nacquero in questo medesimo Secolo, e per quanto io posso credere, nel bel principio di quello; non siamo né tampoco certi, chi di loro prima o doppo, venisse alla bella luce del Mondo; se bene, e si sa di sicuro, che sortirono due Anime, e due Genij, cotanto fra di loro conformi, e così amendue inclinati alla Pietà, et alla Divotione, che pareva, che non due Anime distinte, ma una sola que' due Corpiccioli informasse. In darno per essi piegava la fanciullesca età, alli scherzi, et a' spassi soliti, perochè, un'Indole grave, mal grado de' pochi Anni, li faceva in ogni loro attione, apparire di senno grave, e maturo; in fatti ben chiaramente scorgevasi, che dal Cielo, non erano stati creati, che per il Cielo. Così l'uno dall'altro separato, e fors'anche ignoto, con la stessa direttione del Paradiso viveva, quando si compiacque il benignissimo Iddio, che fra di loro all'improviso, si conoscessero, e subitamente quella stretta amicitia, che doveva poi durare per tutta l'Eternità; così dunque uniti più nel Divino, che nel terreno Amore, questi due veri Accati del Cielo, si diedero unitamente, con licenza de' loro Genitori, così da dover a servire con tutto il cuore a Dio, che non solo i suddetti Parenti ne restavano ammirati, e con lagrime di devotione, e di tenerezza, ne lodavano sommamente il Signore, ma di vantaggio la Città tutta restava anch'ella soprafatta da un immenso stupore, e ringratiava Iddio con il cuore, che in tempi così turbolenti, et infelici, gli havesse mandati dal Cielo que' due terreni Angeletti, da' quali speravano anche un giorno di dover ricevere qualche gran sollievo nelle loro hormai quasi insoportabili calamità.
24 - Hor mentre dunque questi due cari Amici attendevano alla loro Angelica Vita, accadde, che mentre essi (ciascheduno però in sua Casa) stavano una tal notte, doppo le loro consuete orationi, riposando nel mezzo delle loro beate Camerette, apparve a ciascheduno di loro, la Beatiss. Vergine della quale erano maravigliosamente divoti con il suo bambino Celeste fra le braccia, e con essa lei la sua Santiss. Madre Anna; e mentre ciascheduno di loro stava in questa guisa, quasi che naufragando in un profondo Mare d'infinito piacere, ecco, che la suddetta Madre di Maria, cavandosi di sotto il venerando Manto una Cintura di Cuoio, non solo parveli, che gli la mostrasse, ma di vantaggio, che lasciandone cadere alcuni ne' seni loro tacitamente, gli accennasse, che con quelli si dovessero cingere, et a ciò fare parevagli, che anche gli esortassero la Vergine Immacolata, et il suo Divino Fanciullo.
25 - Passata l'oscura notte, che per essi loro era stata un luminosissimo giorno di Paradiso, e risvegliati dal sonno, ciascheduno di loro balzò ben tosto di letto, non vedendo l'hora di gire a communicare al Compagno la celeste Visione. Hor mentre l'uno all'altro la racconta, conoscendo a vicenda, che amendue erano stati dal Cielo, con l'istesso favore honorati, e considerando, che quella Beata Visione, altro non era stata, fuori che una tacita, anzi pure una ben loquace vocatione, a prendere l'Habito sagro della Vener. Cintura del P. S. Agostino; a cui anche come a' suoi Religiosi, li quali fuori di Verona nel sopramentovato Convento santamente vivevano, havevano essi, per altro, grandissima divotione, e sovvente ancora, perciò, la loro Chiesa frequentavano; finalmente ispirati in questa così degna guisa dal Signore, e dalla di lui Madre Maria Santissima, si risolsero d'inviarsi nello stesso momento, senza far motto ad alcuno, al detto sagro Eremo, e chiedere a' Superiori, et a' Padri di quello, con la dovuta humiltà, l'Habito santo della Religione.
26 - Con questa santa risolutione verso quella volta s'inviarono, et arrivati, prima di entrare nel Convento, vollero, visitare nella Chiesa, come fecero, per pregare S. D. M. che si degnasse d'accettarli per suoi Servi, e Schiavi dentro di quella santa Casa; indi tutti ripieni di santa confidenza, entrati nel Monistero, e ritrovato il Priore, prostraronsi a suoi piedi, et humilmente, con supplichevoli parole, accompagnate da molte lagrime, li chiesero, con grande istanza, l'Habito sagro della Religione, perochè essi havevano deliberato di volere, entro de' sagri Chiostri del Grande Agostino, come in un sicuro Porto, ricovrarsi, per isfuggire, et iscansare le continue pericolose Tempeste di quest'infido, e procelloso Mare del Mondo.
27 - E' costume de' prudenti Superiori di non concedere così presto l'ingresso nella Religione a chiunque lo chiede, ma di farsi ben sì più d'una volta pregare da chi lo pretende; e di vero ciò si fa con molta ragione; imperochè l'isperienza vera maestra del sapere, ha fatto più volte conoscere, che non tutti quelli li quali chiedono l'Habito Religioso, benchè sia con molta premura, sono dallo spirito buono guidati, ma ben' e sovvente è un stratagema del Demonio, il quale molti a ciò ne spinge, li quali non essendo in vero, nel di dentro del cuore dallo Spirito Santo chiamati, sono ben sì ricevuti, ma appena entrati, o poco appresso se ne ritornano al Secolo, o se pur stanno saldi per vergogna, fanno poi una così cattiva riuscita, che sconvolgono i Conventi più regolati, e servono di penoso purgatorio a' buoni Religiosi; laonde è cosa molto buona, e sicura, il provar prima per qualche tempo lo spirito di ciascheduno, che l'habito richiede, appigliandosi in ciò al consiglio, che ci da S. Giovanni nella sua prima Canonica, ove sensatamente a tutti li Superiori dice: Nolite omni spiritui credere, et probate spiritus, an ex Deo sint: come, che voglia dire: andate ben cauti, o Superiori nel ricevere nelle vostre Religioni e Monisteri, ogni sorte di persone, che l'Habito vostro richiedono, né vi lasciate così subito prendere da un apparente fervore, che in alcuni vi paia di scorgere, ma provate di conoscere molto ben prima, se lo spirito, che li conduce, sia buono, o finto; perochè in questa guisa facendo, raccomandandovi anche con tutto il cuore al Signore, e facendo fare publiche orationi da' vostri Religiosi, difficilmente potrete errare in somiglianti affari di tanta importanza; et a dire la verità, io per me certamente stimo, che la caduta di molte Religioni, sia stata cagionata dalla poca cura tenuta di questa tanto importante, e necessaria politica.
28 - Hor, quantunque il Savio e prudente Superiore di quella santa Casa, tutto ciò molto bene sapesse, e d'ordinario in prattica lo ponesse, tuttavolta questa fiata non se ne volle servire; perochè era cotanto nota, così a lui, come a tutti gli alrti Padri della sua Famiglia, la gran bontà delli due purissimi Giovinetti, come che sovvente frequentavano quella loro Chiesa, che non dubbitando punto, essere veramente la loro vocatione da Dio, non volle prolungare con altre prove il loro desiderio, ma ben tosto con grandissima allegrezza di tutto il Monistero, di buona voglia, senza alcuna replica accentandoli, li vestì altresì dell'Habito della Santa Religione, con tanta consolatione delle loro Anime innocenti, che non si puole con humana lingua ridire.
29 - Vestiti dunque, come bramavano, con l'Habito Eremitano del P. S. Agostino, et entrati nel Novitiato, non si può credere, quanto terribilmente s'apparecchiasse il Demonio, per assalire, e combattere la fortissima Rocca de' loro Cuori, fin che diroccato il muro della loro costanza, precipitasse a terra altresì la Fortezza tutta d'ogni santa risolutione; ma i gloriosi Servi di Dio, li quali, se bene erano Novizzi nell'Ordine, erano però Soldati veterani nella spirituale Militia, nulla paventavano gli assalti, e le machine di quella fiera Bestia, perochè armati con continui Digiuni, Astinenze, Vigilie, Discipline, et una perpetua Oratione, così bravamente s'opponevano alli di lui sforzi, che non potendo quel maligno resistere, via sempre svergognato, e deluso, se ne fuggiva.
30 - Non occorreva, che il loro Maestro troppo s'affaticasse, per insegnarli le religiose Virtù, col vero modo di pratticarle, atteso che le havevano così perfettamente apprese, prima, che nella Religione entrassero, che ne potevano essi essere Maestri de gli altri. L'ardente Carità verso Dio, e verso il Prossimo; la profonda Humiltà; la continua Mortificatione di tutt'i sensi più contumaci; la perpetua Oratione, erano quelle Virtù, le quali maggiormente facevano spiccare la loro certissima Santità, a segno, che ogn'uno, che stantiava in quel Santo Monistero, benediceva continuamente l'hora, et il punto, in cui erano entrati in quel loro Monistero, e ne ringratiava con tutta la maggiore espressione del cuore, il benigno Signore.
31 - Finito l'Anno dell'Approbatione, furono di commune accordo de' Padri, ammessi alla solenne Professione, doppo della quale raddoppiarono di tal sorte le loro Virtù, Austerezze, e Penitenze, che quelle da loro esercitate con tanta perfettione nel Novitiato, appresso di questi, sembravano cose da scherzo, fra l'altre cose, che in loro spetialmente furono osservate, et ammirate, il primo luogo tennero mai sempre l'Humiltà e l'Oratione; in riguardo di quella, si vedeva, che quanto più essi erano stimati da gli altri Religiosi, tanto più essi nel cospetto di tutti s'abbassavano, recandosi anzi a grand'honore il potere scopare la Chiesa, il Convento, e le Celle de' Padri, e servire nell'Infermaria, cucinare, e fare insomma tutti gli altri servigi più vili della Casa.
32 - Quanto poi all'Oratione nella quale havevano riposte tutte le loro delitie, fu dal Superiore, e da molti altri ancora, più, e più volte osservato, che essi per lo più andavano a pratticare quel santo, e divoto esercitio, a Cielo scoperto, sprezzando in questo, affatto ogni sua rigida più inclemenza. E se bene piamente da principio, quasi ogn'uno si dava a credere, che ciò forse facessero, acciò specchiandosi nel Cielo, meglio contemplar potessero nelle cose visibili le invisibili, e così poi maggiormente ne' loro concetti venissero ad avvilirsi le terrene bassezze, nulla per tanto, perchè tal'hora furono veduti, in un felicissimo Ratto sollevati, sfavillare da' sagri volti alcuni luminosi raggi d'una quasi Celeste Maestà, parve perciò al prudente Superiore di doverli richiedere della cagione, perchè così allo scoperto, e non nelle Celle, e nel Coro, alla maniera de gli altri, essi frequentassero l'oratione, come che in questa guisa volesse accennargli, che in ciò fare, erano da gli altri per singolari notati; costretti dunque in questa guisa dall'Ubbidienza, furono necessitati a palesare i segreti de' loro cuori, humilmente rispondendo, che qual'hora a Cielo scoperto, sopra del nudo suolo, piegavano le ginocchia, spalancavansi loro i Cieli, quasi a due Steffani novelli, e vedevano, con sommo contento delle benedette Anime loro, la Regina del Paradiso, col suo Divino Infante nelle braccia, et insieme la gloriosissima S. Anna, servite, e corteggiate da Schiere innumerabili di Spiriti Beati, come appunto nella primiera Visione, furono da quelli alla Religione amendue chiamati, parendoli in questa quisa di godere anco in terra con gli occhi terreni, e mortali, una gran parte del Paradiso. Per la qual cosa, il Superiore ammirando, e riverendo insieme l'alte maraviglie di Dio, nulla più sopra di ciò dicendo a que' felici Sacerdoti, attese indi avanti a riverirli, insieme con gli altri, come due veri Santi del Cielo.
33 - Stava in questo Monistero sopra del muro effigiata un'Immagine di Maria Vergine, il di cui volto spirava una così grande, et insolita Maestà, che ben pareva, che non un'huomo mortale, ma un'Angelo ivi dipinta l'havesse; et era appunto quella, che hoggi giorno nella Chiesa vicina a S. Michele di Campagna, con tanta frequenza di Miracoli, e con tanto concorso di Popolo è riverita; avanti dunque a questa Gloriosa Immagine, andavano per lo più questi due Beati Compagni a fare le loro quotidiane orationi, godendo insieme la bella vista del Cielo aperto, come poco dianzi narrato habbiamo. Ma perchè la fama della loro smisurata Santità s'era non solo sparsa per la vicina Città di Verona, ma era anche giunta nelle più rimote parti dell'Italia, venivano per tanto molti Languenti a ritrovarli, con certa speranza di ricevere, per mezo delle loro efficaci intercessioni, a' loro malori qualche opportuno rimedio, e non era vana la speme loro, avvegnachè essi conducendoli subito davanti alla Gloriosa Immagine di sopra mentovata, interponendovi le loro potenti preghiere, a quella raccomandavano que' miseri oppressi, li quali per lo piu la bramata salute ricuperavano; laonde, non si può credere quant'erano dalle voci grate di que' Poverelli acclamati, et innalzati fino alle Stelle i nomi loro, insieme con quello della Madre di Dio, benchè di vero, queste lodi più tosto affligessero non poco i Servi del Signore, quanto a loro toccavano, in riguardo della loro profondissima humiltà.
34 - Ma essendo hoggi mai vicina a giungere al sommo auge la perfettione di questi Beati Confessori, volle Iddio benedetto honorarli con rivelarli l'hora, et il punto preciso della loro Morte, con la certezza dell'Eterna Beatitudine, che preparata gli haveva; perochè alcune settimane prima, che Evangelista morisse, essendo pur egli in ottima sanità, trasse Pellegrino da parte, e svelatamente gli disse, che egli nel tal giorno sarebbe passato, per mezzo d'una felice morte, a godere l'Eterna Vita del Cielo; e così seguendo con la solita tranquillità di spirito, et allegrezza di volto, le fontioni della mente, e del Corpo, giunto il prefisso giorno, al Compagno predetto trasferitosi con gli altri Padri nel Choro, doppo havere consolato il suo diletissimo Pellegrino, e più volte replicate quelle gran parole di Davidde: In manus tuas Domine commendo Spiritum meum: con gli occhi fissi nel cielo, spirò la sua Anima grande, la quale se ne volò in un baleno all'Empireo, per ivi eternamente gioire col suo, amato, e sospirato Signore.
35 - Quali si rimanessero i Padri, che ivi presenti si ritrovavano, e spetialmente il suo fedele Acate Pellegrino, non si puole con humana lingua spiegare; gli è però da credere, che spargessero tutti molte lagrime, non tanto per la tristezza d'haver perduta in terra la compagnia d'un così gran Servo di Dio, quanto altresì, per l'allegrezza d'havere acquistato un così potente Intercessore nel Cielo. Pellegrino in particolare, benchè con incredibile patienza una così dura separatione soffrisse, non cessava però di continuamente pregare, con infuocate orationi, la Divina Bontà, acciò quanto prima lo scarcerasse hormai da questa oscura prigione del Mondo, et al suo diletto Compagno Evangelista lo tornasse ad unire, per non doversi poi in eterno scompagnare da esso.
36 - Hora havendo più, e più volte, replicata a' piedi del Sovrano Monarca questa fervorosa preghiera, si mosse finalmente a pietà del suo Servo, il benignissimo Signore, onde ordinò ad Evangelita, che nella chiusa Cella del suo Beato Compagno, in un'istante scendendo, li portasse la felice nuova del suo vicino passaggio. Mentre dunque se ne stava il buon Pellegrino una tal notte riposando, gli apparve di repente Evangelista, e con chiare note gli disse: Rallegrati Amico, perochè, fra poc'hore, sarai meco nel Cielo. E ciò detto, con la velocità, che sparire vediamo tal'hora il Lampo, si dileguò egli dalla vista del fortunato Pellegrino, il quale non capendo in se stesso per la sovverchia gioia, che sentiva d'havere fra poco di giungere alla gloriosa meta del suo felicissimo pellegrinaggio, altro non sapeva che farsi, salvo solo, che ringratiare incessantemente la Divina Misericordia; armatosi dunque co' Santiss. Sacramenti della Chiesa, chiesto perdono a' Padri, doppo mille tenerezze di spirito passate con interni affettuosi colloquj col suo amoroso Iddio, terminò anch'egli in fine, i suoi ben spesi giorni, con una Morte beata; e perchè era stato così indiviso compagno d'Evangelista, stimarono bene i Padri di sepellirlo nella stessa Tomba di lui; e ben subito si vidde, e si provò da molti, che non era quello un Sepolcro di Morte, ma un Albergo di Vita, mentre concorrendo infinite persone alla loro sagra Tomba, tutti ne cavavano, come da una Celeste Aromateria, gli opportuni rimedj alle loro varie infirmità, e malori, operando Iddio, per i meriti de' suoi Beati Servi, incredibili maraviglie e prodigj; le quali cose tutte, considerata massime la santità delle loro intemerate Vite, gli acquistarono il glorioso titolo di Beati, fin dal tempo in cui da questa bassa terra, fecero glorioso passaggio al Paradiso; qual titolo poi hanno sempre goduto, essendo sopra gli Altari, con Ecclesiastica Dispensa, come veri Beati, con Dio regnanti nel Cielo, sempre stati adorati da' divoti Fedeli.
37 - Non si è potuto già mai sapere per qual si voglia diligenza da noi usata, et anche da altri, non solo il giorno, et il Mese, ma né tampoco l'Anno in cui morirono questi Servi di Dio; solo si sa di certo, che nel transito, che fecero in quest'Anno, li nostri Padri del Convento vecchio, che era fuori della Città, al nuovo di S. Eufemia, dentro di quello erano morti, anche forsi di molto tempo prima, che però nel detto passaggio fecero anche la Traslattione de' loro Beati Corpi, e perciò ancor noi, non sapendo sotto qual'Anno registrare le loro gloriose memorie, quivi con l'occasione di riferire la detta Traslatione, con il passaggio de' Padri nella Città suddetta, ci è parso bene di fare il simile, del succinto racconto delle Vite loro. Quanto habbiamo qui scritto di questi due Beati Veronesi, l'habbiamo fedelmente raccolto dal Bugata, e dal Pona, Scrittori molto celebri della detta Città; et anche dal P. Simpliciano di S. Martino, e dall'Errera nostri famosi Historici Agostiniani. Quello poi, che succedesse a' nostri Padri nella fabbrica del Convento, sul bel principio, lo diremo, nel brevissimo Saggio, che scriveremo in quest'Anno medesimo, del Venerabile Padre F. Fino, o Norandino, come lo chiama il Panvinio nostro, il quale era in questo tempo Priore di quel Convento, come accennassimo sul principio; così susseguentemente, ciò, che de' suddetti Corpi Beati è avvenuto in varj tempi, l'andremo ne' suoi proprj luoghi puntualmente spiegando.
38 - Quando dunque si fece questo passaggio da' nostri PP. Veronesi dal Monistero vecchio di Montorio, al nuovo di S. Eufemia nella Città, era di quello Priore un gran Servo di Dio, per nome F. Fino, o pure Norandino Buri, il quale, benchè alcuni Scritori di Verona dichino, che fu Veronese, nulladimeno e' si tiene per certo, ch'egli fosse Pisano; pul'essere però, che egli forse, o perchè prese l'habito nel Convento di Verona; o perchè si fece anche da Religioso figlio di quella Casa, perciò si chiamasse Veronese, benchè di Nascita e di Patria egli fosse Pisano; communque sia, quest'è certissimo, che in questo tempo conoscendo egli, come vigilante Superiore, che in riguardo dell'intollerabili insolenze, et ingiurie, che continuamente venivano barbaramente usate a quel suo Religioso Monistero da molti Sgherani, e Banditi, che infestavano la Campagna, oltre le continue Guerre, che in que' Paesi facevansi, non era più possibile il poter ivi habitare, hebbe per tanto riccorso a' Signori Scaligeri, li quali in quel tempo dominavano in Verona, et havendoli esposto il travaglio, e le miserie, nelle quali si ritrovava il suo Monistero, senza speranza alcuna di poter migliorare, ottenne facilmente la facoltà di potere entrare a fondarne un nuovo dentro della Città; il che tanto più volontieri li fu concesso, quanto che doveva molto bene essere nota a que' Signori la di lui Santità. Ottenuta dunque la bramata licenza di fare il nuovo Convento in Verona, vi mancava hora il beneplacito del Vescovo, et anche il luogo, ove fondare; laonde, per ottenere, e l'uno, e l'altro, scrisse, e forse fece scrivere ancora da' Signori della Città al Vescovo, che in Viterbo dimorava, il quale concesse tutto ciò, che si bramava, donandoli la Chiesa, et il Monistero di S. Eufemia, come più sopra dicessimo.
39 - Ma come indi a poco s'applicasse il buon Padre alla fabbrica d'una nuova Chiesa (come che quella di S. Eufemia fosse in vero troppo picciola, et angusta) innanimito a ciò fare dalla pietà de' Dominanti, e di molti altri Signori di quella Patria, che li promettevano non ordinario aiuto, e soccorso, si diede però principio al sagro lavoro, ma ben tosto s'incontrarono grandissimi disturbi, avvegnachè, essendo necessario per condurre la maestosa Fabbrica al destinato fine, di troncare una strada diritta, la quale da S. Fermo cominciando, veniva a terminare nell'Adige, e per questa, così i Cavaglieri a passeggio, come le Dame nelle Carrozze frequentemente si diportavano, massime ne gli estivi calori; hor molti mal volontieri, anzi con sdegno grande, intendendo, che si doveva togliere una sì bella vista, et un così commodo diporto, cominciarono ad impedire con ogni loro sforzo, l'incominciata fabbrica; laonde molte volte avvenne, che la notte fosse demolito, quanto nel giorno avanti era stato edificato, e quantunque da' Padroni si procurasse di reprimere una tanta insolenza, col tenere genti appostate, le quali alcune volte ferirono malamente, et altre volte ancora uccisero alcuni di que' Miscredenti, et altri di vantaggio colti in fragranti dalla Corte, perdessero perciò miseramente la vita ne' pubblici Patiboli, non per questo cessava la temeraria molestia, che moltiplicava il dispendio, e prolongava la fabbrica; nel progresso della quale, fra gli altri Altari della Chiesa, uno ne fu eretto dalla Famiglia Lombardi, il quale sta di rimpetto alla Porta minore, et è quello per appunto, ove al presente, di pittura molto antica, effigiati si scorgono li due Beati Evangelista e Pellegrino, in atto di adorare Christo, la di lui Genitrice, e S. Anna; ben'è vero, che il detto Altare, come hora si vede, non fu fatto in quest'Anno, anzi, che la fabbrica, e per le narrate molestie, e per mancamento di elemosine, si prolongò per alcuni Anni, come vedremo.
40 - Quanto poi al benedetto Priore, non sappiamo di certo, né che opere egli facesse, né in che tempo egli morisse, né tampoco ove fosse il di lui Corpo sepellito doppo la morte; ben sì solo ci persuadiamo, che mentre ha sempre goduto da tempo immemorabile, per quanto almeno si cava dalle Storie di Verona, il glorioso titolo di Beato, così le di lui Attioni fossero santissime; e la sua Morte, come quella di tutti gli altri Servi di Dio, pretiosissima; e che altresì da' Padri, fosse con ogni honore sepellito. Ne facciamo memoria in questo luogo, perchè in questo tempo appunto lo ritroviamo solamente mentovato nelle Historie. De gli altri due Beati, Evangelista e Pellegrino, ci occorerà forsi altrove trattarne, massime quando scriveremo, con la Divina Gratia, l'Historie di quest'ultimo Secolo, in cui hora viviamo, massime sotto gli Anni del 1609 e 1638.
41 - Ma gli è tempo hormai, che partendoci di Verona, ce ne passiamo nella vicina Germania, e spetialmente nella Provincia della Svevia, a ponderare un racconto, che fa intorno alla Fondatione del nostro antico Monistero di Tubinga Città di quella Provincia, Martino Crussio ne' suoi Annali di Svevia, il quale appunto riferisce, che la detta Fondatione fu fatta in quest'Anno; soggiunge però quest'Eretico Scrittore, che quantunque egli habbia ritrovato essere stato principiato il detto Convento in quest'Anno, altrove poi ha ritrovato altresì, che il medesimo Monistero non fu principiato, fuori che nell'Anno 1464 perochè leggesi, dice egli, nel muro del Chiostro, una Memoria di questa sorte: Anno Domini 1464 Monasterium hoc extrui inchoatum est. Dalla quale Memoria, egli ne cava questa consequenza, che ivi prima vi fosse una semplice Casa, non un Monistero in cui li Religiosi Agostiniani habitavano, essendo certo, dice, che molto prima erano stati in Tubinga li suddetti Religiosi, cioè a dire, fin da quest'Anno del 1262.
42 - Ma quivi dice l'erudito Errera, notabilmente zopica, e zavaria questo Annalista Eretico, perochè, ciò, che qui dice nel lib.7 cap. 14 a carte 405, è totalmente contrario a quanto scritto haveva del medesimo Monistero nel lib. 5 cap. 5 a car. 265 cioè, che nella Chiesa de' Padri Agostiniani, che è appunto quell'istessa, che dice essere stata cominciata a fabbricarsi del 1464 in una Lapide incastrata nel muro vi si legge quest'Epitaffio: Anno Domini 1356 obijt Nobilis Domina Agnes Destadion, etc. E sotto l'Anno 1416 dice, che la moglie di Giovanni Eutero, lasciò per testamento alcuni Beni al predetto Convento. Hor come va questo fatto? Se il Convento degli Agostiniani di Tubinga, in cui hora, com'egli dice, v'è un Collegio d'Eretici, cominciò a fabbricarsi del 1264 dunque prima non v'era, e se prima di quel tempo non v'era, come dunque nell'Anno del 1356 nella Chiesa di quello, vi fu seppellita quella Signora Agnese; e del 1416 quell'altra lasciò alcuni Beni a' Padri Agostiniani di Tubinga habitanti in quel Monistero, ove hora è quel Seminario, o Collegio di Pestilenza? Non ha dubbio, che l'Eretico suddetto, poco ricordevole di quanto haveva detto in un luogo, poco pensava a disdirsi, senza avvedersene di quanto haveva detto prima in un altro; diciamo dunque noi, che il Convento, non ha dubbio, che fu preso, e fondato in Tubinga in quest'Anno del 1262, ma poi in progresso di tempo si trasferirono forse in un altro posto; se pur dir non vogliamo, e forse meglio, che del 1464 distrutto il vecchio Convento, ne incominciassero a fabbricare i Padri un nuovo, lasciando però la Chiesa in piedi; e tanto ancora si deduce, e non più dalla memoria, che si legge nel muro del Chiostro, cioè: Anno Domini 1464 Monasterium hoc extrui inchoatum est. Osservisi, che nella detta Memoria si parla solo della fabbrica nuova del Monistero, e nulla si dice della Chiesa. E questo è quanto ci occorre di parlare per hora di questo Convento, di cui altre volte ne' suoi tempi opportuni, a Dio piacendo, torneremo a discorrere.
43 - Scrive altresì il nostro P. Maestro Pietro del Campo nella sua Cronica Agostiniana nel lib. 2 al cap. 20, che in quest'Anno del 1262 il Sommo Pontefice Urbano IV confirmò sotto la nostra Regola, il nuovo Ordine, pur poco dianzi, fondato in Bologna, de' Cavaglieri Gaudenti, chiamati della Militia della B. Vergine, tanto ancora testifica, e scrive il nostro Crusenio nel suo Monastico Agostiniano.