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Torelli: Secoli Agostiniani - Tomo V

Agostino, san Giovanni il Battista e san Gerolamo in un bella tappezzeria di fattura fiamminga del XVI secolo

Agostino, il Battista e san Gerolamo

 

 

ANNO 1326

Anni di Christo 1326 - della Religione 940

 

 

 

 

1 – Videsi in quest’anno del Signore 1326 una gran commotione della nostra Italia; attesochè, essendosi Roma divisa in due Fattioni, l’una delle quali seguiva le parti del Pontefice, e l’altra quelle di Lodovico il Bavaro, come ciò diede ansa a molti Tiranni d’oprimere varj Luoghi dell’Italia, così fu cagione principale, che il detto Bavaro si risolvesse di venire nell’annno seguente a finire d’affligere questo infelice Regno; nel che hebbe non poca parte la venuta di Carlo Duca di Calabria figlio di Roberto Re di Napoli a Firenze, accompagnato da un numeroso stuolo de’ primi e principali Baroni del sudetto Regno, con altra molta gente da guerra, sotto pretesto di difendere li Fiorentini da Castruccio, Signore di Lucca; ma in effetto poi per rendersi padrone di quello Stato, se bene poi, l’uno e l’altro fine li riuscì vano, Bzovio, Rainaldi, Villani, et altri.

2 – Quanto alle cose dell’Ordine, habbiamo, che essendo già stato creato Vescovo di Molfetta Maestro Alessandro da S. Elpidio, come scrivessimo nell’anno scorso, e dovendosi perciò eleggere un nuovo Generale in suo luogo, il P. Vicario Generale, che governava la Religione, in questo mentre havendo intimato il Capitolo Generale nella Città di Firenze, colà per tanto convennero nel Mese di Febraio li PP. Vocali, et ivi con somma concordia e pace, nel giorno ventesimo ottavo, in cui dall’Ordine nostro si solenizza la Festa della prima Traslatione del nostro P. S. Agostino, elessero per Generale di tutto l’Ordine il non meno Santo, che dotto Maestro F. Guglielmo da Cremona, il quale fors’anche doveva havere governato, doppo Alessandro, in qualità di Vicario Generale, per que’ pochi Mesi, la Religione; e riuscì poi questo famoso Prelato così utile, e giovevole all’Ordine tutto, tanto nello spirituale, quanto nel temporale, come per appunto promettiamo di chiaramente dimostrare, col divino beneplacito, per l’intiero corso degli anni 17 ne’ quali hebbe sorte la Religione di godere il governo d’un così Santo Superiore.

3 – In questo Capitolo poi non si fece novità alcuna, che di molto rilievo fosse, tutto perché essendo stata la Religione governata per l’adietro con gran rettitudine, e prudenza, e mantenendosi perciò la Regolare Osservanza senza alcun rilassamento, poca occasione perciò v’era in questi tempi di far nuovi Statuti o Decreti, in ordine alla sudetta Osservanza. Solamente dunque ritroviamo appresso il Panfilo, che si decretò nel detto Capitolo, che in avenire si dovesse in tutta la Religione recitare l’Officio Divino secondo il Rito della Chiesa Romana, come che per avanti havesse costumato l’Ordine di recitarlo secondo il Rito antico delle Monastiche Religioni. Fu altresì decretato, che il Convento del Castello della Pieve, hora Città, il quale era stato smembrato dalla Romana Provincia, et unita a quella di Siena, tornasse di nuovo a riunirsi alla sudetta sua prima Provincia Romana.

4 – Fu parimente celebrato in quest’anno istesso il Capitolo Provinciale della sudetta Provincia Romana nel Convento d’Orvieto, et in esso fu, per via di scrutinio, eletto Provinciale F. Giacomo Saffi Romano, Religioso di gran talento ne’ governi, e ciò che magiormente importa, di gran bontà di vita, et in conseguenza molto zelante della Regolare Osservanza; così nota il Registro Romano. In questo Capitolo poi, riferisce l’Autore del detto Registro, che si fece da’ Padri un Decreto molto degno; e fu questo: che in tutti i Monisteri della Provincia Romana si dovessero, con molta carità ricevere et alloggiare li Religiosi dell’Ordine del P. S. Domenico; e ciò dissero di fare, perché havevano inteso da varie parti dell’Ordine, che li sudetti Padri ricevevano anch’essi, et alloggiavano con molta cortesia li nostri Frati, ne’ Monisteri loro; la forma poi del Decreto è questa: Cum Fratres Praedicatores affectuose Ordinem nostrum diligant, ut multis Fratres nostri, ex diversis Mundi partibus, testantur; ideo volentes eis pro posse gratam vicissitudinem respondere definimus, quatenus dicti Fratres ubique a nostris Fratribus debeant honorari, ac in Locis nostris, sicut Fratres nostri recipi, et charitative tractari, etc.

5 – In questo medesimo anno fu fatta, per divino volere, una molto insigne Rivelatione dal nostro P. S. Agostino ad un gran Servo di Dio dell’Ordine suo Eremitano, che non viene nominato dal B. Giordano di Sassonia, il quale riferisce la detta Rivelatione et Apparitione del Santo Patriarca nel Libro primo delle Vite de’ Frati al capitolo 18, nella quale Rivelatione venne, benchè con qualche oscurità, a manifestare il Santo Dottore a quel suo beato Figlio, che ben presto dovevasi riunire il suo Ordine sudetto al suo Santo Corpo nella Chiesa di S. Pietro in Cielo d’Oro di Pavia; la Visione poi fu della seguente maniera, come appunto la racconta nel detto luogo il B. Giordano in latino, quale noi tradurremo quivi in volgare. Pareva al detto Religioso incognito di stare con molti altri Religiosi anche de’ primi dell’Ordine, in una Chiesa, quale non era della nostra Religione; in essa poi eravi un Sepolcro alto d’un Santo Vescovo grande, come dimostrava un’Immagine scolpita sopra di quello, il quale poi era poco decentemente tenuto dalle persone di quella Chiesa; imperciochè il Pulpito et i Candelieri, tutti carichi di polvere, si vedevano gettati sossopra con poco decoro. Stando in questa guisa li sopradetti Frati nella mentovata Chiesa, riguardando il detto Sepolcro, parevali di vedere il Santo Vescovo in quello giacente alzarsi, e gettar via sdegnato certe Stuore, che cuoprivano il detto Sepolcro; indi uscendo totalmente fuori vestito in Pontificale, se ne passò a stare davanti all’Altare maggiore, et invitando i Frati sudetti ad accostarsi ad esso, cominciò a cantare il Salmo 33, et in ispecie quelle parole: Venite, venite filij, audite me timorem Domini docebo vos; nel tuono graduale, nel quale appunto sogliono cantare i Vescovi, quando stanno nella Cattedra Episcopale. Doppo di che si pose a sedere, e fece sedere altresì tutti que’ Frati secondo l’Ordine loro, e poscia fece una soave esortatione a’ medesimi, come un Padre a suoi figliuoli, dalle quali parole conobbe chiaramente quel Religioso, che quel Vescovo era il P. S. Agostino (perochè prima conosciuto all’Habito non l’haveva essendo vestito in Pontificale) volendo poi il detto Santo Padre dimostrare il suo affetto a que’ Frati, havendo nelle mani un Vaso di vetro puro, mondo e cristallino ripieno d’una bevanda chiara, e bella, bevè egli, e poscia diede da bere con le sue prorie mani a tutti que’ Frati per ordine, intuonando dolcemente quelle parole dell’Ecclesiastico al capit. 15: aqua Sapientiae potavuit eos Dominus; et essendo arrivato al Religioso, che ebbe la visione, bevè anch’egli, e li parve una bevanda generosa e dolce, la quale haveva un sapore straordinario, che sembrava quello d’un Claretto vecchio; dalla qual bevanda restò tutto ricreato; et havendo tutti bevuti, il sudetto Vescovo diede a tutti la santa Benedittione, e poi fece al Sepolcro ritorno, la qual cosa veduta da que’ Padri, si diedero al pianto, dolendosi della di lui partenza, ma esso a quelli rivolto li consolò, con dirli: non piangete Figli miei, posiachè io starò con essi voi fino al fine del Mondo. Ciò detto, quel Religioso si risvegliò, e si trovò con la bocca, col palato e con la lingua tutta radolcita; laonde tutto ripieno di stupore, rese somme gratie al Signore, fermamente sperando, che quella visione non fosse stata a caso, ma che dovesse essere un futuro presaggio di qualche gran bene all’Ordine, come poco appresso fece chiaramente conoscere l’effetto; attesochè indi a due soli Mesi vennero Lettere dalla Romana Corte, che davano aviso certo che il Sommo Pontefice, ad istanza del nostro B. Generale, haveva concesso all’Ordine nostro di potere riunirsi al sagrosanto Corpo del nostro glorioso Patriarca S. Agostino, con fondare un Convento attaccato alla Chiesa di S. Pietro in Cielo d’Oro, ove sta seppellito, il che più chiaramente spiegaremo nell’anno avenire.

6 – Il P. Errera, doppo havere riferita la poco dianzi da noi registrata Visione, come appunto narrata viene dal B. Giordano nel luogo di sopra mentovato, soggiunge egli nella sua Risposta Pacifica a carte 97, ove appunto la trascrive, che il B. Giordano, se bene dice che la detta Visione e Rivelatione, fu fatta ad un Religioso divoto, come voglia dimostrare essere un altro da se stesso diverso, nulladimeno egli ha per costante che fosse fatta allo stesso Giordano; che se egli la riferisce, come fatta ad un altro, ciò fa per pura humiltà. Nel che fare, dice lo stesso Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a carte 375, venne egli ad imitare un Santo Religioso dell’Ordine Cisterciense, il quale (come si legge in un Libro manoscritto de initio Ordinis Cisterciensis dist. 2 cap. 7) raccontò una Visione di S. Bernardo, come fatta ad un altro Monaco di quell’Ordine, quale però fu stimata, che fosse fatta al medesimo che la raccontò: diamo le parole del sudetto Autore: Domnus Morandus Abbas de Moris, quod est Monasterium vicinum Claraevalli, vir Religiosus, mirabilem quandam rem, quasi de alio retulit familiaribus suis, quam tamen sibimet evenisse putamus, etc.

7 – Habbiamo in quest’anno la morte del Card. Pietro Colonna Protettore dell’Ordine nostro, successa in Avignone, il di cui Cadavere fu, come haveva testato, portato in Roma, ove nella Basilica di S. Maggiore, a’ piedi del Sepolcro del Pontefice Nicola IV fu sepellito. Se poi doppo la di lui morte fosse in suo luogo sostituito un altro Protettore della nostra Religione da Clemente V non è certo, solo ben si sa, che nell’anno 1342 fu da Clemente VI destinato nostro Protettore Stefano d’Alberto da Limoges, che riuscì poi, doppo dieci anni Sommo Pontefice col nome d’Innocenzo VI di cui più di proposito tornaremo a parlare nell’accennato anno 1342, tanto scrive l’Errera nella sua Risposta Pacifica a car. 346, num. 637 e 638.

8 – Havendo il Pontefice Gio. XXII trasferito alla Chiesa Cattedrale della Città di Tricarico Gottifredo del Tufo, Vecovo d’Avellino, sostituì poi in luogo suo, un Religioso nostro, chiamato Natimbene, o Nascimbene; e la Bolla della detta sostitutione fu data in Avignone in questo anno a’ 18 di Febraio. Di qual Patria poi, e di qual Provincia, e Convento fosse figlio questo Prelato è totalmente ignoto; solo si sa, che doppo otto anni fu anch’egli trasferito alla Chiesa di Trivento nello stesso Regno di Napoli, e noi nel detto tempo ne tornaremo a dire alcuna cosa. Vedasi l’Ughelli nella sua Italia Sagra nel Tomo 8 alla colonna 272.

9 – Siamo certi, che in questo tempo possedeva la Religione un Monistero nella Terra non ignobile di Cerreto nella Provincia dell’Umbria, attesochè in quest’anno appunto li PP. del detto Monistero, rinunciarono il Beneficio di S. Sentio, che possedevano a favore di Bartolomeo Vescovo Cerretano, e tutto ciò dice l’Errera, che costa per un publico Istromento in pergameno, fatto in quest’anno, e rogato per Caraggio da Verazzano, publico Notaio, e famigliare del detto Vescovo a’ 5 di Marzo. In questo Istromento poi, quale tuttavia si conserva in questo Monistero, vengono nominati dal Notaio F. Paolo Maffioli da Spoleti Priore, e F. Rugiero da Castelvitaldo, e F. Andreaccio dall’Aquila. Solo qui osservo, che ove nomina quel Bartolomeo Vescovo Cerretano, non vuol dire, che egli fosse Vescovo di Cerreto, perché questo luogo non è Città, né mai lo fu, che si sappia ne’ tempi andati, ma più tosto Vescovo Cerretano si chiama, perché fu forse naturale di quella Patria.

10 – Fu altresì promosso da Papa Giovanni XII alla Cattedra Episcopale di Cesena, sotto la famosa Metropoli di Ravenna nella Provincia di Romagna, un’insigne Letterato, e gran Maestro nella Sagra Teologia dell’Ordine nostro, per nome F. Ambrogio; non si sa poi di qual Natione, di qual Patria, e di qual Famiglia egli fosse; attesochè l’Ughelli nel Tomo 2 in cui lo registra alla colonna 474, num. 49, fuori del nome e della Professione Religiosa, altro di lui non scrive; fu però fatta questa promotione in quest’anno a’ 26 di Giugno; resse poi il detto Prelato quella Chiesa con molta prudenza, giustitia e rettidudine fino all’anno 1333 in cui morì.

11 – Ci ricordiamo d’havere già notato e scritto più sopra in questo Tomo istesso sotto l’anno 1324 che il Pontefice Gio. XII così pregato e supplicato da nostri Padri Bolognesi, concesse con una sua ampia Bolla a F. Napoleone Galuzzi, figlio di questo Convento, due Monisteri fra Bologna e la Toscana; e che egli così in virtù di questa Bolla, come d’un’altra pure del medesimo Pontefice, data nell’anno primo del suo Pontificato e di Christo 1316, e da noi ivi registrata, fondò un convento nella Villa di Loiano nel territorio di Bologna, et un altro nel Castello di Scarperia nel Territorio e Diocesi di Firenze. Hor ecco, che non così tosto hebbero dato i nostri Padri principio alla fabrica di questo secondo Monistero, quando subito il Priore et i Capellani della Pieve di S. Maria di Fagnia, si portarono a’ piedi del Pontefice, e li presentarono aspre querele contro la detta fabrica, asserendo, che tornava in gran pregiudicio della loro Pieve, e la Chiesa di Fagnia, che però supplicavano la Santità Sua a volere restar servita di commandare, che li nostri Padri non procedessero più oltre nella sudetta fabrica incominciata.

12 – Havendo dunque il Pontefice mentovato intese le querele e le doglianze de’ sudetti Ecclesiastici, spedì ben tosto due Bolle dirette al Guardiano dell’ordine de’ Minori del Convento Fiorentino, date in Avignone a’ 17 di Settembre nell’anno decimo del suo Pontificato, cioè in questo del 1326, nelle quali li comanda, che debba esaminare le querele del Priore e de’Capellani della Pieve di S. Maria di Fagnia contro gli Eremiti di S. Agostino, per haver questi fabricato un Monistero nel Castello di Scarperia della Diocesi di Firenze, in vigore d’alcune Lettere Apostoliche, per le quali havevano facoltà di fondare alcuni Conventi in qualsivoglia Provincia della Christianità; queste due Bolle poi, per quanto scrive il nostro Errera nel tomo 2 del suo Alfabeto Agostiniano a car. 415, registrate si leggono nel Regesto Vaticano, cioè la prima nel Tomo primo delle Lettere secrete dell’anno decimo, et è in ordine la 300, e l’altra nel Tomo 2 pure dell’anno decimo, et è la 1899.

13 – Da queste Bolle poi io ne ricavo, e l’ho anche accennato di sopra, che forse li nostri Padri nel fare la detta Fondatione, non si servirono della Bolla concessa dal Pontefice al sopramentovato F. Napoleone Galuzzi, ma più tosto dell’altra più generale, di potere fondare conventi in qualsivoglia Provincia, già che il Pontefice nelle sudette due Bolle fa solo mentione di questa, e non di quell’altra, se forse ciò non avvenne, perché la parte avversa produsse quella e non questa, come forse la stimasse meno pregiudiciale alle sue pretensioni. Ciò che poi succedesse in questa Causa, lo vedremo, a Dio piacendo, sotto l’anno 1331. Osservo in fine qui di passaggio che il P. Vadingo nel suo Tomo 3 non fa alcuna mentione di queste due Bolle, come né meno d’un’altra data nel medesimo anno, tutto che quelle fossero dirette, come habbiamo accennato, al Guardiano del Convento di Firenze, e questa all’Inquisitore, ambi dello stesso Ordine Francescano.

14 – Habbiamo altersì la Fondatione del Monistero del nobile Castello di Garzimugnoz nella Provincia di Andaluzia, fatta pure in quest’anno da D. Gio. Emanuele, figlio dell’Infante D. Emanuele, che fu figlio del Re di Castiglia. Dura tuttavia nell’Archivio del detto Convento il Privilegio del mentovato Fondatore fatto alli 11 di Maggio nell’Era 1364, cioè nell’anno di Christo 1326, nel qual Privilegio D. Gio. Emanuele Adelantado Maggiore del Regno di Murcia, e Donna Costanza, figlia di Giacomo Re di Aragona, sua Moglie, fondano il detto Monistero, e lo dotano con molte entrate e doni, e poscia lo donano e consegnano a D. F. Pasquale di Deuza, Priore di Toledo, e D. F. Martino suo Compagno , acciochè prieghino il Signore per essi e per li loro Antenati. Ecco la copia del detto Privilegio da noi fedelmente tradotta dall’Idioma Spagnuolo nel nostro Italiano.

15 – Sappino quanti vedranno questa carta Carta, come Io D. Giovanni, figlio dell’Infante D. Emanuele, Adelentado Maggiore della Frontiera del Regno di Murcia, et Io Donna Costanza sua moglie, figlia del nobilissimo Re Giacomo, per la gratia di Dio Re di Aragona, diamo di buona voglia, conoscendo quanto bene ci fece Iddio, e sapendo che il bene, che per amor suo faremo, ci ha da giovare, mentre viveremo in questo Mondo, e nell’altro, ove habbiamo da vivere tutta l’Eternità, per la remissione de’ nostri peccati, credendo che una delle cose, che molto ha da giovare, per il fine già detto, sono li Sacrificj e l’Orationi degli Huomini buoni e giusti. Per tanto vogliamo che ci sia in questa nostra Villa, chiamata il Castello, un Monistero di Frati dell’Ordine del Beato Signore Sant’Agostino; e diamo per far il detto Monistero, un sito che comprassimo da coloro di cui era, e quello, che è nostro, e lo diamo a voi D. F. Pasquale di Deuza, Priore di Toledo, et a D. F. Martino vostro Compagno, et alli Frati, che saranno in perpetuo nel detto Convento al servitio di Dio; et il detto sito è vicino alla Porta, che chiamano di Conca per que’ confini, che Io D. Giovanni posi di mia mano. Vogliamo però che fra il detto Convento, et il muro della Villa, si lasci una strada, per la quale possino andare del pari tre huomini a cavallo, e che non si faccia nell’accennato Convento Fortezza, per la quale ne possa venire danno alla Villa, né alcuno impedimento al nostro Alcazar. Diamo parimente alli Frati, che voranno vivere in questo Monistero, la nostra Heredità, che habbiamo da Miraflora, nelle Terre come stanno, lungo al Fiume Xucar, fra il Calce ed esso Fiume, in cui possano lavorare, e fare Orti, e Molini, o qual si voglia lavoro, che vogliano fare nel detto Calce, come nella detta Heredità. Però vogliamo, che non possino dare, né vendere, né cambiare, né alienare in veruna maniera, ma che sempre habbi da servire per il mantenimento de’ Frati, che dimorano nel detto Monistero. Che se però trovassero cambio per la detta Heredità, che sia però vicino al Convento del detto Castello, o più profittevole, che lo possino pur fare, però col nostro consiglio e consenso, altrimente non vogliamo, che vaglia il detto cambio. Diamo parimente per agiuto della fabrica del detto Convento, per dieci anni avenire, mille Maravedis per ciascun anno, sopra le rendite di quel Castello; e così il detto Sito, come l’Heredità, e li detti denari li diamo, acciò che preghino nostro Signore per l’Anima del Re D. Sancio, da cui trago l’origine Io D. Giovanni, e del Re D. Ferdinando da cui hebbi l’Heredità, e dell’Infante D. Emanuele mio Padre, e della Contessa D. Beatrice mia Madre, e della Regina D. Bianca Madre della mia detta Infanta, e per la vita e buon stato del Re D. Alfonso Nostro Signore, e della Regina D. Costanza sua moglie, la nostra Figliuola, e del Re d’Aragona, Padre della mia detta Infanta, e di noi e de nostri figli, e doppo la nostra morte per l’Anime nostre. E preghiamo e comandiamo alli nostri Heredi, o a qual si voglia d’essi, che mantenghino, et osservino, e faccino osservare tutte queste cose, conforme si contiene in questa Carta, alli detti Frati del detto Monistero; e qual si voglia, che ciò non farà, Iddio scarichi il suo sdegno, e la sua maleditione sopra di quello, e noi li diamo la nostra, e preghiamo Iddio che la di lui Anima vada dannata con Giuda Scariote. E finalmentre comandiamo, che se alcun altro verrà contro di questo, che si è detto, o contro una parte di quello, che paga per ciascheduna volta, chi lo farà, mille Maravedis della moneta nuova, e questa pena la paghi a quelli, che descenderano da noi, e alli Frati del detto Monistero rifacci il danno, che riceverano, duplicatamente; et acciò questo sia stabile, e non dubbioso, comandiamo che li sia data questa Carta sigillata con i nostri Sigilli pendenti. Data nel Castello alli 11 di Maggio nell’Era del 1364. Io Egidio Fernandez di Conca, Scrivano del detto Signore D. Giovanni, la feci scrivere per suo ordine. Io D. Gonzalo Martinez, Capellano della detta Signora Infanta D. Costanza, la feci scrivere per ordine suo.

16 – Fu parimente fondato in quest’anno medesimo nella Città di Foligno un Convento di Monache nostre, essendo Vescovo di quella Citta Paolo di Nallo Trinci, in un luogo, che hoggidì chiamasi delle Puelle. Questa Fondatione poi fu fatta per opera et industria di F. Francesco da Spello, figlio del Convento di Foligno, come poi, doppo 90 anni di professione Agostiniana, passassero queste Monache ad altra Regola et Habito, lo scriveremo, a Dio piacendo, sotto l’anno 1416, Errera Tomo primo dell’Alfabeto Agostiniano, a carte 267.