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Torelli: Secoli Agostiniani - Tomo V

Agostino, san Giovanni il Battista e san Gerolamo in un bella tappezzeria di fattura fiamminga del XVI secolo

Agostino, il Battista e san Gerolamo

 

 

ANNO 1348

Anni di Christo 1348 - della Religione 962

 

 

 

 

1 - Da quel punto infelice, et infausto in cui la Regina di Napoli Giovanna Prima di questo nome, hebbe cuore di fare indegnamente morire, con una morte da Servo, Andreasso suo marito, fratello di Lodovico Re di Ungheria; questo generoso Regnante s'inviperì di tal sorte contro di colei, che giurò di non volere quietare fin tanto, che non havesse fatta giustissima vendetta d'una tanta sceleratezza, et ingiuria fatta alla sua Casa Reale. Et in effetto havendo posto in ordine un poderoso Esercito in quest'Anno, postosi egli medesimo alla testa di quello, s'incaminò con esso a gran giornate verso il sudetto Regno di Napoli. Per la qual mossa improvisa, spaventata oltremodo Giovanna, e conoscendo di non haver forze bastanti per opporsi ad un così potente nemico, prese saggio consiglio di fuggirsene, su le Galere con Lodovico Principe di Taranto suo novello Sposo, nella Provenza, ove possedeva alcuni Stati, con animo altresì d'implorare il favore, e l'agiuto del Pontefice Clemente VI e procurare ancora, per mezzo d'esso, l'accomodamento con lo sdegnato Re dell'Ungheria, il quale in questo mentre si rese ben tosto di tutto il Regno Signore. Il Biondo, il Bonfinio, il nostro Panvinio, con altri molti.

2 - Scrivono parimente tutti gli Autori d'accordo, così della Chiesa, come del Secolo, che essendo in quest'Anno medesimo insorta all'improviso una fiera Peste negli ultimi confini dell'India Orientale, se ne venne poi questa furiosamente serpendo per tutta l'Asia, indi traghettando nell'Europa, tutta la scorse fino a gli ultimi suoi confini Occidentali; e poscia a sinistra torcendo, se ne passò nell'Africa, e tutta in ruina la pose, di sorte tale, che in tre Anni, che ella durò, fu calcolato da' Saggi, che havesse distrutta più della terza parte de' Viventi: e di vero, per quanto alla nostra Religione si aspetta, è fama, e lo scrivono quasi tutti i nostri Autori, che morissero sopra cinque mila Frati nostri.

3 - Havendo intanto il Generale Tomaso d'Argentina terminato il triennio del suo Generalato, convocò il Capitolo Generale in quest'Anno anch'egli nel nuovo Convento di Pavia, nel quale essendosi radunati tutti li Padri vocali dell'Ordine alli 8 di Giugno, e considerando con molta prudenza,che il sudetto Generale per la sua rara dottrina, e per il suo gran zelo, e bontà era molto utile, e profitevole alla Religione, tutti di commune accordo lo confirmarono per un altro Triennio nel Generalato. Così scrive il Panfilo, il Crusenio, l'Errera, e tutti gli altri Autori dell'Ordine.

4 - Furono poi fatti in questo Capitolo alcuni Decreti, quali furono stimati necessarj per il buon governo della Religione, de' quali uno solo qui mi giova di registare, e fu; che niun Religioso dell'Ordine nostro di qual si voglia conditione, havesse ardire non solamente di leggere, e di studiare, ma né tampoco di tenere in propria Cella la Logica, e qual si voglia altro Libro composto da F. Guglielmo Ocam Minorita Inglese, il quale per longa serie d'Anni, con ostinata pertinacia, havendo aderito all'Antipapa Corbario, et a Lodovico di Baviera fino alla morte, per la qual cosa le di lui Opere si rendevano molto sospette di poca sana dottrina appresso de' buoni Cattolici: se bene in verità questo, per altro dottissimo Scrittore, haveva composte, prima di cadere negli accennati suoi gravissimi errori, alcune Opere così di Filosofia, come di Teologia, le quali fino al giorno d'hoggi sono tenute dagli huomini dotti, e letterati, in molta stima.

5 - E già, che stiamo seriamente trattando delle cose universali dell'Ordine, ci piace di registrare in questo luogo una Bolla molto decorosa del nostro Santo Pontefice Clemente VI nella quale, con termini molto precisi, e con clausole molto honorevoli, et efficaci, alla maniera di molti Pontefici suoi predecessori, e specialmente di Bonifacio VIII prende sotto la sua sovrana Pontificia protettione Apostolica tutto l'Ordine nostro, a cui concede, e conferma tutto ciò, che haveva da quelli, et in particolare da Bonifacio impetrato; e sopra d'ogn'altra cosa l'esime, come quest'ultimo Pontefice fatto haveva, dalla giuridittione di qual si voglia Ordinario, volendo, che onninamente stasse solamente soggetto al Pontefice Romano. Questa Bolla poi fu data in Avignone a 19 di Luglio nell'Anno sesto del suo Pontificato, e si produce dal P. Empoli nel Bollario Agostiniano a car. 64 il cui tenore è il seguente.

 

Clemens Episcopus Servus Servorum Dei.

6 - Dilectis filijs Generali, et alijs Prioribus, ac Fratribus Ordinis Eremitarum S. Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Ad fructus uberes, quos sacer Ordo vester in agro militantis Ecclesiae, Caelestis agricolae dispositione plantatus, indesinenter producit, considerationis nostrae aciem convertentes, et considerantes attente, quod voluntariam eligentes pro Christi nomine paupertatem, sub arctae Religionis iugo, devotum Deo incessanter obsequium exhibetis, dignum ducimus, ut vos, et Ordinum vestrum, specialis Sedis Apostolicae libertate, ac Privilegio muniamus. Sane petitio vestra Nobis nuper exhibita continebat, quod licet fel. Recor. Bonifacius Papa VIII praedecessor noster, tunc in humanis agens vos, et Ordinem vestrum, ac personas, et Ecclesias, Oratoria, Domos, res alias, et loca vestra, ac spectantia ad eadem, in quibus inhabitabatis tunc, vel inhabitaretis in posterum, cum omnibus iuribus, et pertinentijs suis, ac personis degentibus in eisdem, in ius, et proprietatem Beati Petri Apostolorum Principis, ac Sedis Apostolicae assumpsisset, illaque a cuiuscumque Dioecesani, et cuiuslibet alterius potestate, iurisdictione, ac dominio in perpetuum exemisset omnino, decernens ex tunc vos, et Ordinem ipsum, ac personas, Ecclesias, Oratoria, Domos, et Loca praefata, nec non pertinentia ad eadem soli Romano Pontifici, et eidem Sedi in spiritualibus, et temporalibus absque ullo medio subiacere; ita quod nec locorum Ordinarij, nec alia quaevis persona Ecclesiastica in vos, et ordinem, personas, Ecclesias, Oratoria, Domos, et Loca pradicta (utpote prorsus exempta) possent Excommunicationis, Suspensionis, aut Interdicti promulgare Sententias, vel alias potestatem, seu iurisdictionem aliquam exercere, ac omnino irritum, et innane si quid foret in contrarium attentatum; tamen quia in indulto exemptionis huiusmodi, non cavetur, quod vos ratione delicti, seu contractus, aut rei, de qua agitur, conveniri minime valeatis; vos timententes super ijs posse, forsitan in posterum molestari, nobis humiliter supplicastis, ut providere vobis super hoc de opportuno remedio, dignaremur. Nos igitur, qui vos, et Ordinem ipsum speciali prosequimur in Domino Charitate, cupientes attente, ut eo sit quietior status vester, quo ampliori dictae Sedis dotati fueritis libertate, vestris supplicationibus inclinati, vobis, et successoribus vestris in perpetuum auctoritate Apostolica tenore praesentium indulgemus; ut huiusmodi eiusdem Praedecessoris indulto in suo robore permanente, coram quibusuis Dioecesanis, et locorum Ordinarijs, ac alijs Iudicibus quibuscumque ratione delicti, contractus, seu rei de qua agitur conveniri, vel impeti nullatenus valeatis: felic. Recor. Innocentij Papae Quarti praedecessoris nostri, ac alijs Constitutionibus Apostolicis contrarijs non obstantibus quibuscumque. Decernentes ex nunc irritum, et innane, si secus super ijs a quoquam, quavis auctoritate scienter, vel ignoranter contigerit attentari. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae Concessionis, et Constitutionis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, etc. Datum Avenione 14 Kalen. Augusti, Pontificatus nostri Anno sexto.

7 - Fu nobilitato quest'Anno dal felicissimo passaggio da questa bassa Terra alla sublime altezza del Cielo di tre gloriosi Beati del nostro sagro Istituto; il primo de' quali fu il B. Simone da Cassia tanto decantato, e celebrato dalle lingue, e dalle penne di tutti più eruditi Letterati della Chiesa; il secondo è il Beato Umberto Accarigi da Siena; et il terzo finalmente è il Beato Elia Megliorati da Prato. Di questi tre dunque dobbiamo noi quivi, giusta il nostro lodevole costume, tessere brievemente le Vite, e per procedere secondo l'Ordine del tempo, cominciaremo dal Beato Simone, e poi proseguiremo con lo stesso Ordine a descrivere le Vite degli altri due.

 

Vita maravigliosa, e santa del Beato Servo di Dio il Beato Simone da Cassia.

8 - Egli è fuori di dubbio, che la Patria di questo gran Servo del Signore, fu la non meno nobile, che antica Terra di Cassia, la quale su l'altezza de' Monti Cartulani, su le confina della Provincia della Sabina, quasi Regina signoreggia le Montagne, e le Valli, che d'ogn'intorno la circondano; e quantunque sia cosa certa, che egli nacque dalla Nobilissima Famiglia de' Fidati, come dicono tutti gli Autori più classici, che di lui scrivono, non v'è però alcuno fra di loro, che ci sappia ridire quali fossero li nomi de' suoi fortunati Genitori, come né tampoco in qual tempo precisamente succedesse la di lui nascita felice; solo ben si potiamo regionevolmente congetturare, che ella potesse accadere intorno all'Anno di Christo 1280 o al più tardi verso quello del 1285 se è vero quello, che scrive Lodovico Giacobilli nella sua Vita, cioè, che egli prendesse l'Habito della nostra Religione nell'Anno del Signore 1300.

9 - Communque sia del tempo della Nascita sua, questo è fuori di dubbio, che egli fu da' suoi Nobili Genitori, li quali dovevano essere ottimi Christiani, allevato, et educato, non meno nel santo Timore di Dio, e nella pietà, e divotione verso Sua Divina Maestà, e de' suoi Santi, che nelle buone creanze, e nell'istrutione di tutte le Virtù, che possono rendere cospicuo, e segnalato un ben nato Giovinetto. Il buon Simone dunque, com'era stato provisto da Dio benedetto d'un ingegno perspicacissimo, e d'una indole inclinatissima al ben'oprare, così riuscì egli ben tosto nelle Lettere humane versatissimo, e nella divotione, e nella pietà oltremodo segnalato.

10 - Per la qual cosa non fu poi maraviglia, se giunto all'Adolescenza, come erasi di già maravigliosamente innamorato di Dio, et il suo cuore stava sempre fisso nelle cose del Cielo, così nauseando all'incontro queste frali immondezze della Terra, si risolvesse poi in quella così florida età di abbandonare il Mondo, la Patria, i Parenti, e gli Amici, e fuggirsene nelle sagre Solitudini del Gran Patriarca S. Agostino. E se bene egli è da credere, che ciò non facesse senza la dovuta participatione de' suoi buoni Genitori; nulladimeno ha molto del verisimile, che assai rincrescesse loro, che da essi si appartasse un così caro figliuolo; se bene poi dovettero godere in sommo grado, mentre considerarono, che se ad essi si toglieva, ciò era per tutto poi donarsi, e dedicarsi a Dio. Vestito dunque dell'Habito Santo del sagro Ordine nostro, com'era bastantemente istrutto nelle Lettere humane, fu dalla Religione applicato allo studio più grave delle sagre Lettere, nell'acquisto delle quali fecesi in brieve tempo conoscere da tutti di lunghissima mano avanzato sopra d'ogn'altro de' suoi Compagni; riuscendo altresì all'incontro in ogni sorte di Virtù morale altamente fondato; imperciochè i digiuni, le astinenze, le discipline, e le altre consuete mortificationi della Religione li sembravano delitie; avegnachè era così grande l'amore, che verso Iddio li sfavillava nel cuore, che haverebbe volsuto continuamente patire per amor di quel Dio, che si degnò di patire anch'egli tante pene, e tomenti per amor suo, e di tutto il Genere humano.

11 - E qui prima di più oltre procedere, mi giova di quivi riferire un singolarissimo favore, che Nostro Signore si degnò di fare a questo suo gran Servo, mentre egli era ancora Religioso Giovinetto (se bene il Giacobilli stima, che ciò succedesse nella sua più adulta età, benchè con poco fondamento, come appresso vedremo) e fu, che mentre quegli stava nella Chiesa divotamente orando, gli apparve Christo Nostro Signore con un Calice d'oro nelle mani ripieno d'una pretiosa bevanda, et avicinatosi al fortunato F. Simone, così li prese a dire: "Puer munde mecum de Calice bibe"; cioè, "Fanciullo puro, bevi meco a questo Calice": al cui gratioso invito, nulla replicando il Santo Religioso, tostamente si accostò, et una buona particella ne gustò; e poscia rivoltosi al suo Signore, con profonda humiltà lo supplicò a voler far parte di quella soavissima bevanda a gli altri Religiosi suoi compagni; ma Christo, mostrando di non far caso della richiesta sua, li soggiunge queste parole: "Puer munde si totum ebibisses, universum mundum illustrasses": e volle dire, "Purissimo fanciullo, se tutto questo liquore havessi bevuto, havreste illustrato il Mondo tutto". E ciò detto incontanente disparve, lasciando il felice Giovinetto ripieno di tanta dolcezza, che nel rimanente di sua vita non gustò poi già mai alcuna cosa così soave, e delicata, che amarissima non li sembrasse in paragone di quel dolcissimo Liquore, che bebbe in quel Calice Celeste; e rimase poi il di lui intelletto così ampiamente illuminato, et illustrato, che non fu poi maraviglia se riuscì uno de' migliori Predicatori, e Teologi, che nel suo tempo havesse la Chiesa di Dio, come chiaramente testificano l'Opere sue divine, che egli compose, delle quali appresso parlaremo.

12 - Prima però, che perdiamo di vista la poco dianzi descritta Apparitione, non potiamo di meno di non ponderare in essa tre cose molto gravi, et importanti; la prima si è, che egli era Giovinetto, e non altrimente quasi giunto a' confini della Vecchiaia, come pare, che vogli il Giacobilli, e l'habbiamo anco motivato più sopra; atteso chè Christo Signor nostro chiaramente lo chiamò col nome di Fanciullo Puer. L'altra consideratione, che facciamo sopra la sudetta Apparitione si è, che da quella potiamo venire in cognitione di tre principali Virtù delle quali fece pomposa mostra negli occhi di Christo il B. Simone; la prima delle quali fu la Purità, che però lo chiamò Fanciullo mondo, e puro. L'altra fu l'Humiltà, imperciochè potendo egli bevere, per concessione del suo Signore, tutto il Liquore, che era in quel Calice, nulladimeno riputandosi forse indegno d'un così gran favore, si contentò di beverne una sola particella. La terza Virtù poi, che in questa grande attione, fu la carità, e l'amore, che verso il suo Prossimo dimostrò, mentre supplicò il benignissimo Redentore a volere participare ancora quella Bevanda soave a gli altri Religiosi suoi Compagni. La terza consideratione poi, che sopra di questa divina Apparatione facciamo, consiste in questo; che noi piamente stimiamo, che a quel Calice bevendo, li fosse da Dio in quella Bevanda infuso il dono della Scienza.

13 - Così dunque col divino favore, e con lo studio ancora dovitiosamente arricchito il sottilissimo intelletto del glorioso Simone, divenne un dottissimo Teologo, et un celeberrimo Predicatore; imperciochè essendo egli stato provisto da Dio d'un gran talento naturale, e predicando con gran zelo per fare acquisto d'Anime al Paradiso, non si può credere quanto fosse grande il frutto, che egli fece ne' primi Anni, che cominciò ad esercitare quell'Apostolico Ufficio. Per la qual cosa essendosi ben tosto sparsa la fama di così insigne Predicatore per ogni angolo dell'Italia, cominciarono per tanto le più illustri Città di quella a gareggiare fra di loro, per ottenerlo per Predicatore, così ne' corsi Quaresimali, come negli Annuali; che però in termine di pochi Anni non vi fu Città cospicua, in cui egli non predicasse con frutto grande dell'Anime. E quantunque da tutte le Città, ove egli predicava fosse singolarmente amato per la sua gran Dottrina, e Santità, nulladimeno tre sopra tutte l'altre in questo si segnalarono: furono poi queste Bologna, Firenze, e Siena; alle quali quando predicava in altre parti non macava poi egli di farli partecipi della divina Parola, la quale se non glie la poteva spiegare con la lingua la spiegava con la penna, scrivendoli Lettere ripiene veramente d'un zelo totalmente Apostolico; laonde veniva comunemente chiamato, così nel predicare, come nello scrivere Lettere somiglianti, un altro S. Paolo.

14 - E ben si può conoscere quanto fosse ardente lo spirito, et il zelo di questo gran Ministro del Vangelo in una Lettera, che fra l'altre scrisse al Popolo Fiorentino; la quale stampata si legge nel principio di quell'Opera grande, che egli scrisse divisa in quindici Libri de gestis Salvatoris, la qual Lettera è così ripiena di santi documenti, e così copiosa d'energetiche inventive contro de' Peccatori, che sembra per appunto una di quelle, che l'Apostolo scrisse a' Galati, et a' Corinti, o pure una di quelle Prediche, che facevano con tutta libertà gli antichi Profeti al popolo d'Israelle prevaricante. E già, che siamo entrati a favellare del Popolo di Firenze, fa di mestieri, che soggiungiamo, che in questa Città più che in altra esercitò egli così il suo Apostolico talento, come gli atti della sua ardentissima carità; attesochè non contento delle fatiche della santa predicatione, che quasi giornalmente faceva, così nella nostra, come in altre Chiese della Città, desideroso ancora di convertire dalla loro pessima vita ad una vera penitenza quelle misere Donnicciuole, le quali havendo prostituita la loro honestà, servivano di reti diaboliche per prendere Anime, da doversi poi racchiudere per tutta l'Eternità nell'infernale Gabbione dell'Abisso; se n'andava sovente, quest'Apostolico Religioso, nelle Contrade più frequenti, ove dimoravano quelle Meschinelle, e con un Crocefisso alla mano, predicava loro con tanto ardore, e con tanta efficacia, la divina Parola, e con così viva espressione li faceva vedere il pessimo stato, nel quale, per la loro laidissima vita, si ritrovavano, e li rappresentava così vivamente le horribilissime pene dell'Inferno, nelle quali stavano di momento in momento per precipitare, se non si emendavano, che quasi sempre, molte di loro pentite, lasciavano l'infame esercitio.

15 - Per la qual cosa havendone egli ridotto al ben'oprare un numero considerabile, determinò egli di racchiuderle in un Monistero, quale agiutato con grosse limosine da que' pietosi, e divoti Cittadini somministratele, ben tosto fece fabricare, et in quello pose le dette Convertite, dandoli l'Habito, e la Regola del nostro P. S. Agostino, il quale tuttavia si conserva con gran frutto, e profitto di quelle Donne infelici, che lasciando il peccato fanno felice ritorno al loro Iddio. Ed acciò non paresse, che di tal sorte egli attendesse alla Conversione delle sudette Femine di Mondo, che poi scordato si fosse delle vergini honeste, e dell'honorate Matrone, volle altresì per queste fondare un nobilissimo Monistero, e fu quello per appunto, che fondò fuori di Firenze al Monte di S. Gaio con il titolo di Santa Catterina, quale pure in poco tempo riempì di Nobilissime Donzelle; e questo pure tutt'hora si conserva, e si mantiene con molto splendore, e ciò, che più rilieva con grandissima perfettione.

16 - Amò parimente non poco la nobilissima Città di Siena, nella quale più volte ancora predicò con gran profitto di quel Popolo: e già che siamo entrati a favellare di Siena, e delle prediche, che più volte vi fece, mi torna quivi in acconcio di riferire un caso molto notabile, che successe una volta in una Villa, poco distante dalla detta Città, mentre appunto il nostro Beato stava ivi predicando: il caso poi nella seguente maniera passò. Un povero Contadino infermo della detta Villa, conoscendosi molto aggravato dal male, mandò a pregare il suo Curato, acciò l'andasse a Communicare, perché forsi prima erasi Confessato: il Sacerdote sudetto, che doveva essere molto semplice, per non dire poco divoto, prese ben tosto, con poca riverenza, una Particola consagrata, e la pose nel suo Breviario, che era manoscritto in carta pergamena, e postoselo sotto il braccio s'incaminò verso la Casa del Contadino, ove giunto, e volendo fare la sagra funtione, ecco, che aperto il Breviario, vidde con suo gran spavento, et horrore, che quell'Ostia sagrosanta erasi quasi tutta in pretioso Sangue convertita, havendo insanguinate ambe le carte, che toccate haveva. Il Sacerdote, tutto che incredibilmente stordito fosse per un caso cotanto prodigioso, hebbe pur nondimeno tanta prudenza, che chiuse tostamente il Breviario, e disse al Contadino, che del caso tremendo accorto non si era, che procurasse di prepararsi meglio per ricevere la Santa Communione, qual'egli non intendeva di darle per all'hora.

17 - Partitosi dunque da quella Casa si portò ben tosto a Siena, e di primo tratto entrò nel nostro Convento, e si andò a gettare a' piedi del Santo Predicatore Simone, la di cui gran fama haveva egli udita risuonare per ogni lato, e fors'anche haveva ascoltata alcuna delle sue Prediche. Così dunque prostrato con gran copia di lagrime confessò al zelante Predicatore la sua enormissima irriverenza portata al Divinissimo Corpo del suo Signore; e nello stesso tempo aprendo il Breviario, fece vedere al glorioso Servo di Dio il miracoloso spettacolo. Qual rimanesse il Beato nel mirare un cosi gran prodigio della Divina Bontà, non si puole bastantemente con questa rozza penna descrivere; solo concludo, che egli, doppo haverlo aspramente ripreso per la sua così grande irriverenza, finalmente poi dandole la conveniente penitenza, l'assolse dal suo gravissimo reato, facendosi lasciare il sudetto Breviario. Terminato poi il corso delle sue Prediche, se ne passo a Perugia, ove fatto fare un Reliquiario di argento, vi pose dentro uno delli due Fogli insanguinati, ed ivi nella nostra Chiesa lo lasciò. L'altro Foglio poi pure insanguinato insieme con le sagratissime specie lo portò al suo Convento di Cassia. Tutto questo miracoloso racconto si legge in una Nota manoscritta antica di quel tempo, la quale fino al giorno d'hoggi si conserva, con le Scritture più rare, nell'Archivio del detto Convento, il di cui tenore è il seguente.

18 - Nota quod quidam Presbyter senis habebat curam Animarum in villa quadam prope senas, et cum quidam Agricola aegrotaret, dici fecit huic Presbytero, ut illi sacram Eucharistiam deferret. Presbyter non nimis devotus Corpus Domini sumpsit, et inter Breviarij folia reposuit, illudque sub brachium deferens, ad communicandum infirmum perrexit. Quaedam illi verba bona dicere coepit, et aperiens Breviarium, ut quamdam orationem diceret, ubi erat Hostia, invenit eam totam liquefactam, et quasi sanguineam. Tunc Presbyter id videns clausit Breviarium, et iterum illud misit subtus Brachium, et dixit ad aegrum se reversurum, neque Communionem sic improvide dandam. Regressus senas ad Conventum Sancti Augustini perrexit, ubi praedicabat M. Simon vir doctissimus, et sanctus homo, et narravit illi casum. Praedicator fuit prudens, et fecit sibi afferri Sacramentum, praeparavitque in Camera sua Altare, et ibi illud posuit, absoluitque Presbyterum ab eo errore; veniensque Perusiam, donavit Conventui Folium illud, totum plenum illo liquore, qui videbatur Sanguis; factumque fuit illi Tabernaclum argenteum, quod etiam nunc habemus, et Hostiam secum duxit Cassiam. Et rem hanc manifestavit Frater Stephanus Perusinus, qui illius meminerat, habebatque cum obijt centum, et tres Annos.

19 - Sopra di questa Nota, la quale di certo fu fatta molto tempo doppo, e per quanto io stimo, non essendo più vivo il B. Simone, fa una prudente consideratione l'Errera nostro nel Tomo primo dell'Alfabeto Agostiniano a carte 167 la quale è questa, che ove si dice nella Nota sudetta, che lasciò il Foglio insanguinato in Perugia, e l'Ostia miracolosa a Cassia portò, si deve intendere, che portò anche seco il medesimo Foglio, o se pure lo portò in Perugia, portò poi seco l'altro foglio con l'Ostia sagrosanta, poiché gli è certo, che essendo ella stata da quel Sacerdote indevoto, posta fra due fogli, ambi restarono tinti da quel pretioso Sangue.

20 - Noto io di vantaggio, che questa Nota fu fatta qualche tempo prima, che fosse Pontefice Bonifacio IX attesochè nella detta Nota non si fa alcuna mentione del Culto grande, che cominciò ad havere la sudetta Veneranda Reliquia al tempo di quel Santo Pontefice: la qual cosa se bene non spetta a questo tempo, in cui hora camina la nostra Historia, nulladimeno acciò non resti sospesa la curiosità di chi legge, vogliamo quivi anticipatamente di quella darne un succinto raguaglio. Deve dunque sapersi, che essendosi già scoperto quel pretioso Tesoro, il quale per molti Anni era stato occulto, cominciarono i Popoli di quelle parti a concorrere in gran numero a riverire, et adorare un così insigne Santuario: per la qual cosa essendone giunta la fama all'orecchie del mentovato Pontefice Bonifacio IX egli, che del Santiss. Sacramento era divotissimo, si compiacque di concedere, con una sua ampia Bolla, quella grande Indulgenza, qual godono quelli, che nel primo, e secondo giorno d'Agosto visitano la Chiesa di S. Maria degli Angeli d'Assisi (e si chiama l'Indulgenza della Portiuncula) a tutti quelli, che Confessati, e Communicati visitaranno nel giorno del Corpus Domini da' primi Vespri fino al tramontar del Sole della detta Festa, la nostra Chiesa, et ivi con divotione adoraranno, e riveriranno la predetta sagrosanta Reliquia; e nella stessa Bolla concede al Priore di quel Convento, facoltà di potere deputare quattro Sacerdoti, tanto Secolari, quanto Regolari, li quali sei giorni avanti la detta festa, e per tutto quel giorno istesso, possino ascoltare le Confessioni di tutti que' Fedeli, che vorranno conseguire la sudetta Indulgenza, li quali habbino facoltà di potere assolvere da qual si voglia caso, pur che non sia uno di quelli, per l'assolutione de' quali, si deve necessariamente consultare la S. Sede. Nel suo tempo proportionato ci riserbiamo di produrre, a Dio piacendo, di questa Bolla la copia.

21 - Devesi in oltre sapere, che nell'Ottava della mentovata Festa del Corpus Domini, il Clero di Cassia và processionalmente alla nostra Chiesa di S. Agostino, e d'indi poi s'incomincia la Processione del Santiss. Sacramento, alla sinistra del quale si porta sotto il medesimo Baldachino il mentovato Foglio con le Specie miracolose Soggiunge quivi l'Errera, che intorno a questo sagratissimo Foglio passò già ne' tempi andati fra il Clero sudetto, et i nostri Padri una gravissima lite, con occasione della quale furono spedite alcune Bolle Apostoliche, le quali, com'esso dice, tuttavia si conservano nell'Archivio del Monistero.

22 - Ma tempo è hormai, che proseguiamo la Vita del nostro Beato, quale habbiamo tralasciata per brieve tratto, a cagione di riferire il miracoloso evento fin'hora da noi descritto, il quale per essere passato per le sue mani, viene maggiormente a manifestare l'amor grande, che il Signor Dio, per i suoi gran meriti li portava, che però ad esso solo volle, che si manifestasse un così gran Miracolo, e da cui anche si compiacque, che ne fosse fatta a beneplacito suo la distributione. Io dunque mi persuado, che dopo haver egli riposta la Vener. Reliquia nella Chiesa del suo Monistero, facesse a Firenze ritorno, ove era la sua stanza ordinaria, et ivi attendesse nel rimanente di sua vita a predicare la parola di Dio, et a scrivere varie Opere spirituali; fra le quali una fu, che più sopra mentovassimo, cioè de' Gesti del Salvatore, e la divise in quindici Libri con ordine tanto bello, che non si può dire di vantaggio; e questa, come la fece, e la compose ad istanza di Tomaso Corsini gran Dottore di Legge, e suo carissimo amico, così ad esso lui la dedicò. E' questa un'Opera così ricca di dottissimi sentimenti, così abbondante di spiritosi, e divoti pensieri, e così copiosa di Sentenze celesti, che chiunque la legge resta così ammirato, che la stima un'Opera dettatali da qualche Angelica Creatura, o pure, il che è più certo, dallo Spirito Santo istesso. Di questa poi, come dell'altre Opere sue, ne produrremo il Cattalogo nel fine di questa Vita.

23 - Hebbe poi il B. Simone, per sentenza commune di quanti hanno scritto, e trattato di lui, lo Spirito di Profetia, quale suole Iddio Benedetto ordinariamente concedere a' suoi Servi più cari; laonde quando egli predicava contro de' vitij, e de' peccati, che enormissimi nel suo tempo si commettevano, e non ne vedeva seguire quell'emenda, che desiderava, tutto acceso nel volto, e più nel cuore infiammato di santo zelo, con profetico Spirito prediceva loro varj castighi, che li sovrastavano per la loro indurata ostinatione, li quali poco stavano a caderli sul capo.

24 - E se bene molti Peccatori, o poco, o nulla nell'ascoltare le di lui Prediche si approfittavano; nulladimeno innumerabili furono quelli, che si convertirono dal male oprare, e si diedero di buon senno a servire Iddio con tutto il cuore, non solo in Firenze, ma etiamdio in tutte l'altre Città, e Luoghi, ne' quali per tutto il corso di sua santa vita andò diseminando la divina Parola. E non è maraviglia se così grande fu il frutto, che egli con le sue Prediche fece, imperciochè, per ciò più facilmente conseguire, alla maniera dell'Apostolo S. Paolo, castigava il suo Corpo innocente con rigorose penitenze, e mortificazioni, humiliando se stesso sotto i piedi dell'Altissimo, e riputandosi indegno d'essere suo Ministro, raccommandandosi sempre con tutto il cuore alla Beatissima Vergine, della quale fu sempre divotissimo Servo, e svisceratissimo Amante; che però con tal patrocinio assistito, e di tali opere provisto, cotanto poi egli fruttuosamente lavorava nella gran Vigna di Dio. E qui notar dobbiamo, che se bene il Giacobilli nella Vita di questo Beato, che egli non volle ammettere già mai alcuno di que' titoli, e gradi, che suole dare la Religione a gli Huomini dotti, e letterati, e ciò per mera humiltà, nulladimeno io tengo per costante, che questo Autore si allucinasse in questo; atteso chè io ritrovo, che l'Autore della Nota data di sopra lo chiama, e lo nomina col titolo di Maestro, e di Santo, dicendo Magister Simon Vir Sanctus.

25 - Havendo dunque questo gran Servo del Signore per lunga serie d'Anni affatticato nella Chiesa di Dio per beneficio dell'Anime redente col pretiosissimo Sangue di Giesù Christo, continuamente predicando la parola di Dio, e scrivendo Libri ripieni di gran dottrina, spirito, e divotione, alla maniera appunto, che fatto havevano il glorioso Apostolo S. Paolo, et il suo gran padre S. Agostino, quali sempre seguì come suoi Maestri, e Protettori; alla perfine volendolo il Signor Dio premiare per tante sue santissime operationi, mandatale un'infirmità mortale, per mezzo di quella a se lo trasse nel Cielo. Successe la di lui beata Morte nel secondo giorno di Febraio, giorno dedicato alla Purificatione della B. Vergine, della quale era sempre stato in sommo grado divoto, in quest'Anno appunto del 1348 in Firenze, ove fu seppellito per all'hora in un Deposito particolare; dal quale poi in tempo a noi ignoto fu levato, e trasportato al suo Convento di Cassia, ove fino al giorno d'hoggi si riveriscono, e si adorano le sue ossa venerande in una cassa decente, et honorevole deposte.

26 - Gli è poi certo, che fin dal tempo della sua Santa Morte egli ha sempre goduto, e pur tutt'hora gode il titolo di Beato; attesochè tutti li Scrittori, tanto nostri, quanto esteri, lo chiamano, o con titolo tale, o pure lo descrivono per un'Huomo di santa vita, e che hebbe lo Spirito di Profetia. Ambrogio da Cora, che fu Generale dell'Ordine 200 Anni sono nella sua brieve Cronica Agostiniana, lo ripone fra Beati dell'Ordine nel vigesimoquinto luogo, dicendo: "Vigesimusquintus fuit Beatus Simon de Cassia, qui alter Paulus in Charitate, et praedicatione Verbi Dei fuit, etc". Lo stesso poi fanno tutti gli altri Autori più classici dell'Ordine, cioè il Panfilo, il Romano, l'Orosco, il Crusenio, il Gelsomini, l'Errera, e cento altri tali. Degli esteri poi sommamente estolle il di lui nome fin sopra le Stelle, si per la Santità, come per la Dottrina, e per il dono di Profetia, Giovanni Tritemio Abbate Benedittino ne' suoi Scrittori Ecclesiastici; lo stesso fanno Sisto Sanese Domenicano nella sua Biblioteca Santa; Antonio Possevino, e Roberto Bellarmino Cardinale ambi della Compagnia di Giesù, quegli nel suo Apparato sagro, e questi nel libro de Scriptoribus Ecclesiasticis; e così di mano in mano fanno tutti gli altri Scrittori, che di lui scrivono, quali per non riuscire tedioso a' miei benigni Lettori, tralascio dall'un de' lati.

27 - Ma tempo è hormai, che quivi produciamo il cattalogo dell'Opere, che scrisse questo gran Dottore, come habbiamo di sopra promesso, e con quello terminiamo la di lui santissima Vita. La prima Opera dunque, e la più insigne, fu quella, che egli scrisse, e compilò da tutti quattro gli Evangelisti, quale intitolò: De Gestis Salvatoris, e la divise in quindici Libri. La seconda fu un Libro de Doctrina Christi. La terza fu un Trattato de Vita Christiana divisa in due Libri. La quarta fu un Libro de Patientia. La quinta un altro Libro de Disciplina Spirituali. La sesta un Libro divoto de Speculo Crucis. La settima un Libro de Stultitijs imprudentium in bello spirituali. L'ottava un Libro de Vita Eremitica. La nona un Libro de Conflictu Christiano. La decima un Libro de expositione Symboli Apostolici. La undecima un Libro di Epistole scritte a diversi. La duodecima un Trattato de cognitione Peccati. La terzadecima un Libro nel quale espone moralmente tutti quattro gli Evangelj. E finalmente varj Trattati, et Amonitioni latine, e volgari dirette a varie Città nelle quali haveva predicato, e specialmente a Bologna, a Firenze, a Siena, et ad altre. Ma diamo hora il brieve racconto della Vita del Beato Umberto.

 

Vita del Beato Umberto Accarigi da Siena.

28 - Se fosse così noto il tempo preciso, in cui nacque al Mondo il B. Umberto della Nobilissima Famiglia degli Accarigi di Siena, come è notissimo quello della sua beata Morte, potressimo quivi nel bel principio della sua Vita notarlo; come anche i nomi, e le qualità de' suoi Nobili Genitori, se da gli antichi Scrittori, che di lui hanno scritto ce ne fosse stata lasciata qualche notitia. Gli è però da credere, che fossero buoni Christiani, e che in conseguenza educassero questo loro Figlio nel divino Timore; e che poi altresì procurassero, che fosse diligentemente istrutto da ottimi Maestri nelle Lettere humane, e molto più ne' Christiani insegnamenti.

29 - Quindi non è poi maraviglia, se così santamente educato, et istrutto, quando fu giunto a gli Anni della pubertà, egli coraggiosamente sprezzando gli agi, et i commodi della sua Nobilissima Casa, se ne passò a vivere nel solitario Eremo Leccetano, vestendosi in quello con l'Habito Eremitano del nostro gran Patriarca S. Agostino; nel quale doppo haver data a' que' buoni Padri chiarissima esperienza della sua Religiosa costanza, e ciò che più rilieva, una sicura speranza di dovere riuscire, così nell'acquisto delle sagre Lettere, come della Religiosa perfettione, fu da essi con allegrezza grande ammesso alla solenne Professione.

30 - Havendo poi, per ordine de' Superiori, atteso per alcuni Anni a studiare ne' Conventi della sua Provincia, le Scienze naturali, e le divine, et havendo fatto in esse un maraviglioso profitto, fu perciò da' medesimi Superiori maggiori mandato a Parigi a proseguire in quella sapientissima Accademia della Sorbona i medesimi studj; il che fece poi egli con tanta perfettione, che in termine di poco tempo fu stimato degno di essere ivi condecorato con la Laurea Magistrale con tutti i Privilegi, che hanno sopra tutti gli altri Maestri dell'Ordine, li Dottori, e Maestri Parigini.

31 - Tornato dunque in Italia, e ridottosi nella sua Provincia, e Monistero, fu dalla Religione applicato ben tosto a dovere insegnare a gli altri ciò, che con tanta diligenza, e studio imparato haveva; laonde havendo prontamente ubbidito, lesse poi per alcuni Anni in varj Monisteri dell'Ordine, con molto profitto di chi hebbe sorte dal Cielo d'essere suo discepolo. Essendo poi altresì stato conosciuto il buon'Umberto di gran talento nel Predicare, li fu per tanto intimato a doversi preparare ad esercitare, per beneficio de' Popoli, quell'Apostolico ufficio; ed egli corrispose poi così perfettamente alla commune aspettatione, che in brieve tempo divenne uno de' più famosi, e rinomati Predicatori, non pure della Toscana, ma dell'Italia tutta; e ciò, che più rilieva, erano le sue Prediche così fruttuose, che ben'haveva un cuore di macigno quel Peccatore, che al rimbombo della sua voce non lasciava il peccato, e non si convertiva di buon cuore a Dio.

32 - Fu altresi più volte eletto Superiore così del suo Convento di Lecceto, come anche di tutta la Provincia, e si come governò quello con gran zelo, e santità e l'accrebbe di molte fabriche, così nella Chiesa, come nel Convento, e di molte rendite ancora; così questa mantenne in una perfetta, et esatta osservanza della Regola Santa, e delle Costitutioni dell'Ordine, che è lo stesso, che dire, che egli come Superiore, col Santo esempio suo, più con le parole, che co' precetti, manteneva in filo, e faceva caminare con gran facilità, per il retto sentiero del Paradiso i suoi Sudditi, già che disse per infino quel grande Erudito, benchè Etnico per altro, Seneca, che longum iter per praecepta, breve, et facile per exempla.

33 - Così dunque il buon Servo di Dio Umberto insegnando, e predicando, e governando altresì, e reggendo Monisteri, Provincie, e Religiosi, per tutto il tempo di sua vita, alla perfine, ricco di meriti grandi, e carico di virtù, fu da Dio Benedetto, per mezzo d'una Santa Morte a 20 di Maggio in quest'Anno 1348 chiamato all'eterno riposo del Paradiso. E se bene di lui non si raccontano dagli Antichi Scrittori, così dell'Historie Leccetane, come di tutta la Religione, Miracoli di questo Beato, nulladimeno visse egli con tanta perfettione, che poi fin dal tempo della sua morte, è sempre stato chiamato col glorioso titolo di Beato, non solo da' nostri Religiosi, ma etiamdio dagli esteri tutti massime della Toscana. E di vero se non fosse stato un Soggetto sommamente insigne, così nella Dottrina, come nella Santità, non haverebbe mai permesso la Religione, massime in que' tempi così semplici, et humili, che doppo morte fosse stato seppellito in un Sepocro particolare con una Lapide decorosa, in cui a caratteri ben grandi fossero descritte le di lui sante qualità nella seguente guisa:

SIS UMBERTE MAGISTER VERMIS TABES/ HIC QUOD ERIS, SUM CORPORE PULVIS/ EX ACCHARISIIS ILLUSTRIS SANGUINIS ORTUS:/ SED MEA MENS SACRO PRAEDIVES NECTARE DIVO./ DOGMATE PARISIUS CAELUM CONSCENDIT AMAENUM. / OBIIT ANNO DOMINI 1348 DIE XX MENSIS MAII.

34 - Trattano poi, e scrivono con somma lode di questo gran Servo del Signore, tutti li Scrittori Leccetani, li quali sono citati, e prodotti nella sua Selva Leccetana a carte 101 da Ambrogio Landucci Vecovo di Porfirio, e susseguentemente dagl'Historiografi principali dell'Ordine, cioè dal Vescovo Panfilo, dal Crusenio, dal Romano, dall'Errera, e da altri. Degli esteri poi, ne scrivono parimente con molto decoro, il Rappi nella sua Lima Spirituale, L'Ugurgeri Domenicano nel suo Cielo Sanese, et ultimamente ne hanno descritta la Vita gli Accademici Intronati ne' loro Fasti Sanesi a carte 282.

 

Vita del Beato Elia Megliorati da Prato.

35 - Nella Nobilissima Terra di Prato, hoggidì Città illustre al pari di molt'altre della Toscana, nacque intorno a gli Anni del Signore 1280 il nostro Elia, il di cui Genitore fu Lappo de' Megliorati, una delle più Illustri Famiglie della sudetta Città; e come il Fanciullo era d'ottima indole, così essendo stato da' suoi Christianissimi Parenti allevato, e nutrito nella Santa Legge Christiana, ed in tutte le Virtù, che sono proprie d'un fedel Servo di Dio, così divenne egli anche nella sua tenera età si perfetto nel divino servitio, che appena uscito fuori della pubertà, prese santa risolutione d'abbandonare il Mondo con tutte le sue pompe, e vanità, e di prendere lo stato Religioso nel nostro Ordine Santo. E così, communicato il suo benedetto pensiero a' suoi Genitori, e ricevutone da essi il consenso, prese poi l'Habito nel Convento di S. Anna, poco tratto fuori della detta Città, con tanto contento dell'Anima sua, come se egli fosse entrato in quel tempo in Paradiso; e ciò successe, come scrive Ambrogio Landucci nella sua Selva Leccetana a carte 100 nell'Anno di nostra salute 1295.

36 - E perché nella Religione fece in brieve tempo notabile profitto, così nell'acquisto delle Sagre Lettere, come moto più della Santità, fu, dopo fatto Sacerdote, applicato dalla Religione, così all'istruire la Gioventù dell'Ordine, come a predicare altresì la parola di Dio a' Popoli, il che fece poi egli con molto profitto di quelli per qualche tratto di tempo. Ma essendo poi nel principio di quest'Anno, come accennassimo di sopra, entrata nell'Italia, e precisamente in Prato, un'horribile pestilenza, la quale dava morte con tanta prestezza, che molte volte morivano le persone senza accorgersi d'essere infetti del pestifero malore. Laonde leggesi nelle antiche memorie di questo Servo di Dio, che mentre stava egli celebrando la S. Messa nella Chiesa nostra di S. Anna nel giorno solenne di S. Croce a 3 di Maggio, successe che nella stessa Chiesa un'Huomo, e due Donne, sternutando, incontanente morissero; per la qual cosa, mosso a compassione, fece Voto a Maria Vergine Santissima, la di cui Immagine in atto d'essere Assunta al Cielo, con le mani giunte teneva davanti gli occhi, che se per la di lei intercessione fosse rimasta libera da quell'horrenda Peste, la sua cara Patria, egli voleva andare a visitare il glorioso Sepolcro del suo Santissimo Figlio. Et ecco, che mentre stava egli facendo questo pietoso Voto, fu veduta, non solo da esso, ma da tutti quelli, che erano nella Chiesa, quella Santa Immagine disgiungere le mani, et allargare le braccia in segno di volere a sua contemplatione soccorrere, col suo celeste patrocinio, quella misera Città.

37 - Per la qual cosa essendosi veduto ben tosto un gran miglioramento, il buon Elia tutto lieto se ne partì a 6 dello stesso Mese alla volta di Gierusalemme, ove è fama, che in pochissimo tempo fosse da un Angelo miracolosamente condotto. Ma perché non cessando totalmente la Peste, o morirono tutti i Religiosi, che erano rimasti nel Monistero, o se ne fuggirono altrove,restò per tanto il Convento vuoto di Frati, e totalmente abbandonato: laonde quindi prese occasione Cigno Altoviti Nobile Fiorentino, di chiederlo in dono ad Anibaldo Cardinale Legato Apostolico in Toscana. Ma essendo indi a poco ritornato il buon'Elia, et havendo ritrovato il Monistero in mano d'altri, ricorse ben tosto al medesimo Legato, da cui facilmente impetrò la rivocatione del dono, poco giustamente concesso all'Altoviti, per mezzo ancora della Communità di Prato. Così dunque havendo ripigliato Elia il possesso del suo Monistero, e tornatolo ad habitare con alcuni altri Religiosi, proseguendo egli a servire il Signor Dio con le sue consuete penitenze, ed austerezze, finalmente si compiaque il benignissimo Signore di chiamarlo a se in questo medesimo Anno nel Cielo, per dovere ricevere dalle sue Mani Divine la Corona immarcescibile dell'eterna Gloria, quale ben meritata haveva con le sue sante operationi, e virtù. Trattano di lui tutti gli Autori Leccetani, e specialmente il Vescovo Landucci sopracitato nel luogo prodotto, et altri ancora, come l'Errera et il Crusenio.

38 - In questo tempo era priore del Convento di Lecceto il B. F. Nicola Tini de' Marescotti, il quale, come era un gran servo di Dio, et un insigne amatore de' Poveri, e vedendo perciò, che quelli in quest'Anno infelice del 1348 parte dalla Pestilenza, e parte dalla Carestia erano miseramente combattuti, ed atterrati, mosso di loro a pietà, cominciò a dispensarli con larga mano quanto grano, e quanto vino era nel Monistero stato risposto per il sostentamento de' Padri; e se bene li veniva detto dal Predicatore, e da altri, che presto sarebbe mancata la provigione del Monistero, e che li Padri poi si sarebbero ridotti in grande angustia; nulladimeno esso sorridendo li diceva, che non temessero, perché Iddio non lascia morire di fame, chi dalla fame libera i suoi Poveri, anzi pure esso medesimo in quelli; e fu, come in tutte l'altre cose, così in questa veridico Profeta: attesochè, essendo hoggimai quasi totalmente finito il grano, et il vino, mentre stavano i Padri molto mesti per tale accidente, ecco, che appena il pietoso Priore da la Benedittione a quel pochissimo avanzo di grano, e di vino, quando subito, per divina virtù, così l'uno, come l'altro cresce, e moltiplica di sorte tale, che non solo basta per il mantenimento de' Padri, per tutto il tempo della carestia, ma di vantaggio ancora ve n'avanza in copia cosi grande, che è sufficiente altresì a sostentare i Poverelli come prima. Molti altri Miracoli segnalati fece questo gran Servo del Signore, quali ci riserbiamo di narrare, col divino volere, ne' loro tempi, e luoghi dovuti nel Tomo sesto. Vedasi fra tanto a proposito dell'accennato Miracolo, il Vescovo Landucci nella Selva Leccetana a carte 105 ove cita molti altri Autori, così domestici, come esteri.

39 - Essendo stato in quest'Anno medesimo mandato Ambasciatore, dal Principato di Cattalogna al Re d'Aragona, il nostro famoso Maestro F. Bernardo Oliverio Vescovo di Tortosa, per gravissimi affari del sudetto Principato, di cui era Signore il mentovato Re, et havendo concluso, a gran sodisfattione di chi mandato l'haveva, i detti affari; ecco, che appena era giunto alla sua Chiesa, che subito fu assalito da un'infirmità così grave, che in pochi giorni lo privò di vita. Soggetto in vero, e per la dottrina, e per la destrezza nel maneggiare ogni più difficile trattato, e molto più poi per la bontà della vita, degno d'eterna memoria. Fu egli prima Vescovo d'Osca, poi di Barcellona, e finalmente di Tortosa; e se bene alcuni scrivono, che fu anche creato Cardinale, come già nel suo tempo notassimo, nulladimeno gli è certissimo, che non fu mai publicato per tale dal Pontefice, gli è ben vero però, come pure ci ricordiamo di havere nel suo luogo notato, che Papa Clemente VI allo scrivere del Zurita, mentre era Vecovo di Barcellona, diede intentione al Re D. Pietro d'Aragona, di conferirle la mentovata Dignità. Vedasi l'Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a car. 104.

40 - Morirono altresì in quest'Anno istesso quattro altri Vescovi della nostra Religione, tre Italiani, et uno Inglese: degl'Italiani, uno fu Maestro F. Giovanni Vergoni Vescovo di Sutri: fu il secondo Maestro F. Francesco Onij da Gubbio Vescovo di Città Castellana: il terzo poi, fu Maestro F. Bernardo Martellini Nobile Fiorentino Vescovo di Cesena, il quale volle essere sepellito nella nostra Chiesa di S. Agostino: così riferisce di tutti tre nel Tomo primo, e secondo della sua Italia Sagra l'Ughelli. L'Inglese poi fu Maestro F. Galfrido di Grosffeld Vescovo di Ferna nel suo Regno d'Inghilterra. Vedasi Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a carte 244.

41 - Ma se la morte con la sua adunca Falce levò alla Religione tre Vescovi nell'Italia, il Pontefice Clemente VI tre altri glie ne creò in vece di quelli: il primo fu Maestro F. Egidio di Biagio da Cortona insigne Teologo, e famosissimo Predicatore, a cui conferì il Nobilissimo Vescovato di Vicenza. Fu poi data la Bolla di questa sua elettione in Avignone a 7 di gennaio, et è per appunto l'Epistola 36 nel Regesto Pontificio, come scrive l'Ughelli nel Tomo 5 della sua Italia Sagra alla colonna 1138 numero 51 e questo Prelato subentrò nella sudetta Dignità per la traslatione di F. Biagio dell'Ordine de' Minori, dalla detta Chiesa di Vicenza a quella di Rieti.

42 - Essendo parimente stato trasferito in quest'Anno dal Pontefice Clemente VI F. Pietro dell'Ordine de' Minori, dalla sua Chiesa di S. Angelo de' Lombardi a quella di Trivento; fu nello stesso tempo dalla Santità Sua promosso alla mentovata Chiesa di S. Angelo un nostro Religioso molto dotto, chiamato F. Roberto Estore, e questa sua promotione fu confirmata con una Bolla data in Avignone a 29 di Giugno, et è l'Epistola 260 nel Regesto Vaticano, come nota il citato Ughelli nel Tomo 6 alla colon. 1016 num. 4 governò poi quella sua Chiesa molto santamente fino all'Anno del Signore 1359.

43 - Havendo altresì inteso il Sommo Pontefice medesimo, che F. Ugolino dell'Ordine de' Predicatori, quale poco dianzi haveva creato Vescovo di Sutri, doppo la morte del nostro F. Giovanni Vergoni, di cui habbiamo favellato di sopra, appena giunto alla sua Chiesa erasi infermato così gravemente, che anche indi a pochi giorni era passato all'altra vita; e prestando Sua Santità indubitata fede alla sudetta relatione, creò ben tosto Vescovo della medesima Città di Sutri, in luogo dell'accennato Ugolino, un nostro Religioso di gran dottrina, e sapere, per nome F. Raimondo, non si sa poi di qual Famiglia, anzi né tampoco di qual Patria, e natione egli si fosse; solo è certo, che fu ben tosto consagrato Vescovo dal Card. Albanense. Ma ecco, che appena era terminata questa sagra funtione, quando giunse nuova certa, e sicura alla Romana Corte, che il sudetto Ugolino non era altrimente morto, anzi che s'era intieramente riavuto dalla sua gravissima infirmità; laonde convenne poi al nostro Raimondo di aspettare due Anni intieri d'essere promosso ad altra Chiesa, il che poi seguì verso il fine dell'Anno del Signore 1350 in cui fu creato Vescovo di Giovenazzo nel Regno di Napoli, come in quel tempo, a Dio piacendo, scriveremo. Vedasi fra tanto l'Ughelli nella sua Italia Sagra nel Tomo primo colonna 192 num. 28 e nel Tomo 7 col. 991 num. 18.

44 - Fioriva in questo tempo ancora nella nostra Religione un gran Letterato Padovano, chiamato F. Matteo, il quale nella Romana Corte dava continuo saggio della sua gran dottrina, e della sua incomparabile eloquenza, a segno tale, che il Sommo Pontefice Clemente VI grandemente l'amava, et in molta stima lo teneva. Gioseffo Panfilo nella sua brieve Cronica Agostiniana a car. 56 e Maestro F. Angelo Portenari nostro Agostiniano nel suo bel Libro della Felicità di Padova, ne parlano con somma lode, e dicono, che egli compose alcune Opere molto dotte, et erudite, le quali si conservavano già, come dice il detto Panfilo, nella Libraria del Monistero nostro di S. Eufemia di Verona. Aggiunge Bernardino Scardeoni nel libro 2 dell'Antichità di Padova alla Classe 7 che il fu sudetto F. Matteo fu così caro al mentovato Pontefice, che quando hebbe da essere Maestro, volle, che facesse li suoi Atti publici nel famoso Tempio di S. Pietro in Vaticano, alla quale funtione volle egli medesimo ritrovarsi presente col Collegio de' Cardinali, et in conseguenza con tutto il rimanente della Romana Corte, cosa in vero molto rara, e singolare.

45 - Ma a questo racconto, come apocrifo, si oppone il P. Errera, perochè può ben'essere, dice egli, che a gli Atti del suo Magistero si trovasse presente qualche Cardinale, ed anche qualche Prelato, che all'hora per aventura ritrovavasi in Roma; ma che Papa Clemente VI con la Corte Romana, honorasse con la sua presenza la mentovata funtione, egli è falsissimo; attesochè questo Pontefice non vidde mai Roma in tutto il tempo del suo Pontificato: laonde bisogna dire, se ciò fu vero, che non Clemente VI ma più tosto Clemente IV honorasse questo Soggetto in Roma; se non vogliamo dire, che forse questa funtione la fece non in Roma, ma in Avignone, e così poi puote ivi honorarlo Clemente VI.

46 - Morì pur anche in quest'Anno nel nostro Convento di S. Giacomo di Bologna, un dottissimo Maestro da Fabriano per nome F. Giovanni, il quale per lo spatio di molti Anni haveva publicamente letta la sagra Teologia con sua gran lode, e con molto decoro dell'Ordine nostro in questa famosissima Università. Compose egli questo insigne Dottore molte Opere tutte degne del suo elevatissimo ingegno; fra le quali le più stimate furono una Concordia, che egli fece della Dottrina di Platone con la Divina Scrittura; un'Espositione molto chiara, e copiosa sopra li quattro Evangelisti; et alcuni Commentarj molto dotti, et eruditi sopra l'Etica, e la Politica d'Aristotile. Di questo gran Religioso ne fanno honorata memoria il Panfilo, e l'Errera, e più esattamente d'ogn'altro il nostro Cherubino Ghirardacci nel Tomo 2 dell'Historie di Bologna a carte 192.

47 - Quantunque F. Girolamo Romano scriva nella centuria 10 a carte 69 che il Convento di S. Agostino di Carcassona, membro nobile della Provincia d'Aquitania, o pure di Tolosa, come hoggidì communemente si chiama, fosse fondato nell'Anno del Signore 1351 nulladimeno l'erudito Errera nel Tomo primo dell'Alfabeto a carte 168 stima più probabile la Sentenza del Vescovo Panfilo, il quale asserisce nella sua Cronica Agostiniana a carte 56 che egli fu fondato in quest'Anno presente del 1348 gli è ben vero però, che né l'uno, né l'altro Autore, produce nella Sentenza sua alcun minimo fondamento. Nella Chiesa di questo Monistero si conserva, come un pretiosissimo Tesoro, il Sagrosanto Sudario, o Fazzoletto, che fu posto sopra la Santiss. Faccia di Nostro Signore nel S. Sepolcro; del quale appunto parlò S. Giovanni nel suo sagrosanto Vangelo nel cap. 20 quando disse: Che essendo entrato Pietro nel Sepolcro, altro ivi non vidde, fuori che le sagre Lenzuola, et il Santo Sudario posto in disparte. Venit ergo Simon Petrus sequens eum, et introivit in Monumentum, et vidit Linte anima posita, et Sudarium, quod fuerat super caput eius, non cum Linteaminibus positum, sed separatim involutum in unum locum, etc. Come poi, et in qual tempo facesse acquisto il fortunato Convento di Carcassona di questa così insigne, e veneranda Reliquia, non l'habbiamo fin'hora potuto rinvenire: solo ben si aggiungiamo, che di questa ne havessimo certissima cognitione dal P. M. F. Gio. Tomaso Giromini da Iesi di buona memoria, il quale vidde, et adorò questo gran Santuario l'Anno del Signore 1659 mentre accompagnava il Reverendissimo P. Generale Maestro f. Paolo Luchini da Pesaro di fel. Memoria, nella visita generale delle Provincie della Francia.

48 - Testifica parimente il mentovato Panfilo nel medesimo luogo di sopra citato, che vidde altresì il Convento di Perpignano nella Provincia d'Aragona i suoi primi principij in quest'Anno medesimo; e ciò ha molto del verisimile, attesochè riferisce l'Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto Agostiniano a carte 307 d'haver veduta una Bolla di Papa Paolo II data in Roma a 20 di Giugno l'Anno di Christo 1467 del suo Pontificato il terzo, a favore di questo Monistero di Perpignano, contro la Casa di S. Maria de Agullo, nella qual Bolla dice Pontefice, che il detto nostro Convento haveva in quel tempo d'antichità 100 Anni, e più, che viene per appunto a cadere intorno al tempo assegnato dal Panfilo. Questo Monistero ha partoriti alla Religione molti Soggetti Illustri, fra quali, il più cospicuo è stato F. Pietro da Perpignano, che fu Abbate del Monistero di Valbuona de' Campi.

49 - Passiamo hora da Perpignano, che sta su gli ultimi confini della Spagna, e veniamo nella Provenza ultima Provincia della Francia, posta su i confini dell'Italia, et esaminiamo l'origine vera del Convento di Brinonia, membro non ignobile della mentovata Provincia di Provenza. Il Romano nella Centuria 9 delle sue Historie Agostiniane a carte 53 parlando dell'antichità di questo Monistero, dice, che per quanto egli haveva potuto raccogliere dalle Scrittutre antiche di quella Casa, ella era stata fondata intorno all'Anno di Christo 1271 ma nella Centuria 10 a carte 68 tornando a favellare dello stesso Monistero, né ricordandosi più di ciò, che scritto haveva nella sudetta centuria 9 dice espressamente, che la Fondatione del Convento di Brinonia non è più antica dell'Anno 1351. E questa seconda opinione del P. Romano più si avicina al vero, già che quasi con esso lui si accorda il Vescovo Panfilo, mentre nella sua Cronica Agostiniana a car. 56 scrive, che fu fondato il detto Monistero nell'Anno di Christo 1348.

50 - Acquistò la Religione in quest'Anno un Monistero di Monache fuori della porta di S. Gallo dalla Città di Firenze un miglio lontano, situato nella Diocesi di Fiesole, anzi pure nell'antica Rocca dell'accennata Città di Fiesole, già distrutta, il quale, quantunque ne' suoi principij fosse dedicato alla Natività di Maria Vergine Santissima, nulladimeno sempre si è chiamato, e pure tutt'hora si chiama il Convento di Lapo, non per altra ragione, se non perché il Fondatore di quello fu un Nobile Cittadino Fiorentino, il quale chiamavasi Lapo Guglielmi. Questi dunque havendo raccolte alcune Fanciulle nella sudetta Rocca nell'Anno del Signore 1333 con pensiero di farle divenire Religiose di qualche Ordine Osservante, comprò poi anche indi a due Anni la detta Rocca con lo sborso di 200 Fiorini d'oro; e così trattenendole in quel luogo con santa educatione, sotto alcune Maestre, della vita spirituale per lo spatio d'Anni 13 alla perfine essendo vescovo di Fiesole il glorioso S. Andrea Corsini illustrissimo Rampollo del Sagro Ordine Carmelitano, presero in quest'Anno del 1348 dalle di lui beate Mani l'Habito Santo, e la Regola d'Oro del nostro P. S. Agostino. Ben'è vero, che doppo haver preso il sudetto Habito, non si trattennero nell'accennata Rocca fuori che due soli Anni, cioè fino all'Anno 1350 nel quale si trasferirono con l'agiuto dello stesso Lapo, ad un altro luogo più vicino a Firenze, per le ragioni, che in quel tempo produrremo: tanto per appunto riferisce una Relatione inviatami da Firenze.