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Compendio settecentesco della Vita di Gabriele Sforza
COMPENDIO DELLA VITA DEL BEATO GABRIELE SFORZA ARCIVESCOVO DI MILANO
(1423 - Milano 1457)
COMPENDIO DELLA VITA DEL B. GABRIELE SFORZA DELL'ORDINE EREMITANO DI S. AGOSTINO ARCIVESCOVO DI MILANO
AGGUNTEVI LE MEMORIE DELLA VITA DEL CARDINAL
GIULIANO CESARINI
DEDICATE A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR D. FILIPPO DUCA SFORZA CESARINI DA GIOVAN BATTISTA ALEGIANI
Dottore nell'una, e l'altra Legge, ed in Filosofia, e Teologia, Protonotario Apostolico, ed Avvocato delle Cause de' Santi.
IN ROMA MDCCLXIII.
PER BENEDETTO FRANZESI, E GAETANO PAPERI CON LICENZA DE SUPERIORI APPROVAZIONI
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Dopo avere l'ECCELLENZA VOSTRA condotta al sospirato felice termine la Causa di Beatificazione della B. SERAFINA SFORZA mediante la mia debolissima opera, tutta intenta alla Pietà, alla Religione, alla Riverenza,
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e culto de' Santi, propose di promuovere eziando la Causa del B. GABRIELE SFORZA, Sacerdote Professo dell'inclito Ordine Eremitano di Sant'Agostino, poscia Arcivescovo di Milano, anch'egli Vostro gloriosissimo Antenato. Datomi pertanto ancora di questa l'onorevole incarico, mi posi tosto di proposito a fare le più esquisite ricerche presso gli Scrittori, tanto della Religione Agostiniana, quanto della Storia di Milano, per rintracciare
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le notizie, e raccogliere i monumenti atti a compruovare il culto, e venerazione da tempo immemorabile esibita a questo Beato, che come ognun sa, è il più spedito, più sicuro, o per meglio dire, l'unico sentiero, per cui possono incaminarsi le Cause di somiglianti antichi Servi del Signore. Ma o sia per la qualità di quel secolo dato più all'esercizio dell'armi, che alla coltura delle lettere, o sia per trascuraggine, e non curanza
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di quei, che avrebbero agevolmente potuto, o forse ancor dovuto, se non propagare un tal culto, almeno lasciarne a Posteri luminose memorie, trovai queste così scarse, e mancanti, che sebene considerate nel suo prospetto, sovrabondino a porre in un merigio di luce l'esimie gesta, e merito eccelso di questo santo Pastore; tuttavia non mi parvero bastanti a ripromettermi sicuramente di un buon successo nella pruova del detto
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culto immemorabile, particolarmente a fronte dell'estrema circospezione, maturità, e rigore, con cui la Congregazione de' Sacri Riti suol procedere in queste delicatissime materie. Tralascio pertanto il pensiero di questa impresa quanto dispendiosa, altrettanto dubia, ed incerta, rimasero per più anni neglette, e quasi in abandono le raccolte notizie; finché stimolato da vari amici, dopo mature riflessioni, mi
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sono indotto a non lasciarle perire sotto le tenebre dell'oblivione; ma publicarle alla luce in questo pochi fogli. E giacche si da il felice incontro, che l'E.V. tra le altre cospicue Famiglie unisce in se anche la nobilissima Casa Cesarini, ho giudicato opportuno esporre in questa stessa occasione al giudizio del Publico ancor le memorie della Vita del celeberrimo Cardinale Giuliano Cesarini Seniore, contemporaneo del
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detto Beato, le di cui virtù, e gloriose imprese vengono ad una voce celebrate dai più accreditati Scrittori di quei tempi, e dedicare questa Operetta all'E.V. A niuno, credo io, sembrerà strano, che questi Ragguagli, quali essi siano, compariscano freggiati dal Vostro Nome, mentre in qualunque aspetto si rimirino, per ogni titolo vi appartengono. Son Vostri quelli del B. GABRIELE, perché l'E.V. con tanto affetto,
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impegno, e calore si era interessata nella di lui Causa: Son Vostri, perché le cose in essi descritte, furono raccolte di Vostro preciso comando: Son Vostri finalmente sì gli uni, che gli altri, perché in sostanza non altro contengono, che compendiose relazioni de Vostri Antenati più cospicui per l'eminenza delle virtù, che per le dignità, di cui andarono adorni. Dovrei qui secondo il costume diffondermi in sublimi
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elogi della nobilissima Prosapia dell'E.V., con tessere un lungo catalogo de' gloriosi Progenitori, che le hanno dato maggior lustro, ma tralasciando tuttociò alle penne di tanti eruditi Scrittori, che si sono stancati in descriverli, quello da che non debbo, né posso in conto alcuno dispensarmi sì è unicamente l'accennare le Vostre adorabili prerogative personali, l'illibatezza de' costumi, la benignità, l'accortezza, la rettitudine, alla
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maturità, la prudenza, la ritiratezza, e tante altre illustre doti, che vi rendono amabile in un tempo stesso, e rispettabile. Né pavento punto incorrere con ciò la traccia di adulatore, mentre concorre a giustificarmi la testimonianza non pure di questa Città, ma ben'anche di ogni luogo, ove avete dimorato, e particolarmente della Città di Napoli, in cui essendovi dovuto portare per accudire a Vostri interessi, le ha ammirate
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ed ammira tuttora anch'essa. Ma sopratutto mi rende anche affatto esente da ogni sospetto, ed ombra di adulazione la Maestà dell'Augustissimo Re Cattolico degno di eterna memoria, il quale regnando in quella Corte, per l'alta stima, che ne aveva concepita, non solo vi dichiarò Cavaliere del Real Ordine di S. Gennaro, non solo volle onorarvi della carica di suo intimo Gentiluomo di Camera, ma ciò che più rileva, avendo lasciata la Corona,
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delle due Sicilie al Pargoletto suo Figlio D. Ferdinando IV., che il Cielo perpetuamente feliciti, per passarsene egli a quella della Spagna, tutto sollecito dalla buona educazione di esso, Voi pure, benché costituito nel fiore della gioventù, prescelse tra quei pochi Gentiluomini di Camera, a quali potesse sicuramente affidare il Reale Fanciullo, ben certo, che dal Vostro intimo, e familiare tratto, egli non solo non avrebbe potuto apprendere,
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cosa, che potesse benché da lungi offuscare il bel candore della sua innocenza, ma inoltre non altro avreste saputo istillargli, che sentimenti di pietà, di religione, di giustizia, di clemenza, di generosità, ad altre massime degne di un Monarca Cristiano, colle quali si rendesse simile ad un tanto Genitore. Ma per non abusarmi più lungamente della Vostra modestiaa, lascio ogn'altro encomio, e mi ristringo soltanto a supplicarvi di
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non isdegnare questo tenuissimo tributo delle mie immense obligazioni, riflettendo, che se questo piccolo parto del mio cortissimo ingegno non è degno di Voi, ne è degna almen la materia, degno n'è l'argomento; ed intanto implorandomi la grazia d'un benigno gradimento, con profondissimo rispetto mi glorio confermarmi perpetuamente.
Dell'E.V. U.mo, Osseq.mo, Obed.mo, Oblig.mo Servitore Giovan Battista Alegiani.
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Ho letto e riveduto, per ordine del Reverendissimo Padre Maestro del Sac. Pal. Apostol. Tomaso Agostino Ricchini, Il Compendio della Vita del Beato Gabriele Sforza etc. E poiché non mi è avvenuto di ritrovarvi cosa veruna, che si opponga né alle regole della nostra santa Religione Cattolica, né alle leggi del buon costume, giudico, per quanto a me spetta, che possa darsi alla luce.
In S. Agostino, il dì 19. Marzo 1763.
FR. AGOSTINO ANT. GIORGI Agostiniano Per commissione del Reverendissimo Padre Fr. Tomaso Agostino Ricchini Maestro del Sac. Palazzo con ogni attenzione ho io lette il Libro intitolato Compendio della Vita del Beato Gabriele Sforza etc.
E non ho trovato in esso alcuna cosa, che sia o contro i buoni costumi, o contro la nostra Cattolica Religione; anzi ho ammirato le singolari gesta e di un gran Cardinale della Santa Romana Chiesa, e di un insigne Arcivescovo di Milano: Che però lo stimo degno delle publiche Stampe. Dal Concento della Minerva di Roma 26. Marzo 1763. FR. TOMMASO MARIA DE LUCA de' Predicatori, Maestro in Sac. Teologia, Esprov. e Consultore della Sac. Congr. de Riti.
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IMPRIMATUR Si videbitur R.mo P. Magistro Sacri Palatii Apostolici. Dom. Jordanus Arcihep. Nicomed. Vicesgerens.
IMPRIMATUR Fr. Thomas Augustinus Ricchinus Ord. Praedic. P.M. Sac. Pal. Ap.
PROTESTA L'Autore inerendo ai Decreti del Pontefice Urbano VIII. e della Santa Romana Inquisizione, emanati negli anni 1625, 1631, e 1634. si protesta, che tutto quello si dice nel decorso di questa Operetta circa la santità, e doni sopranaturali del B. Gabriele, come anche del Cardinal Giuliano Cesarini, e circa il Martirio di questo, non merita altra fede, se non quella fondata su l'autorità meramente umana; sottoponendosi in tutto al giudizio della Santa Romana Chiesa, alla quale sola appartiene il decidere sovranamente di tali materie, e di cui si gloria di essere ubidiente figliuolo, e suddito.
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L'AUTORE AL PIO LETTORE
Molti sono gli Scrittori della Vita del B. GABRIELE Sforza, sì Agostiniani, che esteri. Tra i primi annoverano Ambrogio Landucci nella sua Selva Lecetana, il P. Benigno da Genova scrittore contemporaneo nel lib. 2. de primordiis Congregationis Lombardiae, il Gandolfo nella Dissertazione Storica del 200. Scrittori Agostiniani, il P. Donato Calvi della Congregazione di Lombardia nel Compendio della Vita di lui, fatta l'anno 1660., che
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prevenuto dalla morte, non gli fu permesso di dare alle Stampe; poiché essendo divisa l'Opera in tre Tomi, ebbe campo di stampare solamente il primo, restando inediti gli altri due, ne' quali si contiene detto Compendio. L'originale di quest'Opera si conserva nel Convento de' PP. Agostiniani di Bergamo. Seguono il P. Luigi Torelli ne' Secoli Agostiniani al tomo 6., e nel Ristretto degli Uomini illustri in Santità dell'Ordine Agostiniano, il Pomati, l'Errera, e finalmente per tralasciare gli altri, il P. Fulgenzio Alchisio nel Cronico M.S. della Congregazione Agostiniana dell'Osservanza di Lombardia, raccolto l'anno 1665. che vien custodito nella Procura Generale di S. Maria del Popolo di questa Città. Tra gli esteri si contano Pio II. di samem: ne' suoi Commentarii, Leodrisio Cribello, e Pietro Candido di Vigevano amendue contemporanei, riportati dal chiarissimo
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Ludovico Antonio Muratori nella sua vasta oepra De Scriptoribus Rerum Italicarum, il primo al tom. 1.9. il secondo al tom. 20., Orlando Malavolti nella Storia di Siena, Donato Bossio, il Giovio, Giuseppe Ripamonti nella Storia di Milano, data alle Stampe l'anno 1641. Decad. 3. lib. 5., Gio: Pietro de Crescenzi nel Presidio Romano stampato l'an. 1648. lib. 3. narraz. I. n.I. e 6. ove parla de' Padri Agostiniani Scalzi, l'eruditissimo P. Abate Ferdinando Ughello nell'Italia Sacra al tom. 4. tra gli Arcivescovi della Chiesa Metropolitana di Milano, Giuseppe Antonio Sassi nell'Opera Postuma, intitolata Serie Istorico-Cronologica degli Arcivescovi di Milano, divisa in tre Tomi, e stampata nella medesima Città l'anno 1755. al tom. 3. pag. 921. e seqq., ed altri. Confesso il vero, che nell'accingermi a stendere questo breve Ragguaglio mi son
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trovato quasi fin dal bel principio arrenato, vedendo quanto siano scarse le notizie della vita di questo Beato dagli accennati Autori a noi tramandate, e quanto siano varii e difformi in quel poco stesso, che scrivono. Primieramente non si ricava da essi in qual'anno, ed in qual luogo nascesse; il che peraltro non deve recar punto maraviglia, mentre trovandosi il di lui Padre involto continuamente nell'esercizio dell'armi, chiamato ora in una parte, ed ora nell'altra della nostra Italia, e particolarmente nel Regno di Napoli, ove fu mandato dal Sommo Pontefice Martino V. in aiuto di Lodovico d'Angiò contro Alfonso Rè d'Aragona, e di Sicilia, collegato colla Regina Giovanna, era cosa facile il confondere un luogo coll'altro. Quindi può credersi, che detti Scrittori intenti soltanto a descrivere le imprese e successi della guerra, a bella posta tralasciassero di far menzione di questa circostanza.
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Di più è da notarsi, che qualcuno non conviene rispetto al Padre medesimo di GABRIELE. Il citato Ughello asserisce, ch'egli fu figlio di Bosio Conte di Santa Fiora: all'incontro passa per incontrastabile fra gli altri Storici, che il suo Genotore fu il rinomatissimo Giacomo Muzio Attendoli da Cotignola, chiamato poscia col sopranome di Sforza, come si dirà a suo luogo. Tra questi sopravanzerà l'accennare i detti Leodrisio Cribelo, e Pietro Candido di Vigevano Autori coetanei. E' ben vero, che questi nominano in altro preposito anche un certo Bosio, ma scrivono, che egli era parente dello Sforza; anzi il secondo afferma, che fu fratello del celeberrimo Francesco Sforza Duca di Milano, e per conseguenza figlio di Giacomo Muzio, e fratello eziando del nostro Beato. Vieppù controverso è tra medesimo Autori, qual fosse propriamente la di lui Madre, mentre alcuni lo fanno figlio di Maria
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Marziana, nata dal Duca di Sessa, la quale perché fu prima destinata per isposa al menzionato Lodovico d'Angiò, adottato già dalla detta Regina Giovanna, ebbe anch'essa il titolo di Regina, siccome ebbe quello di Re Lodovico suo sposo. Morto questi, secondo alcuni, prima si effettuasse il Matrimonio, passo alle seconde nozze col Conte di Celano; e terminata ancor di questo in breve la vita, passò alla terze col sudetto Sforza, cui diede alla luce Carlo, che fu poscia il nostro GABRIELE. Di questo parere è il Giovio nella Vita di Giacomo Muzio Attendoli al cap. 62., l'Errea, il Torelli, ed altri Scrittori Agostiniani. Altri all'opposto tengono per fermo, che la di lui Madre fosse Antonia figlia di Cocco, cioè Nicolò Salinbeni nobilissimo Cittadino di Siena. Così scrive il Landucci, il quale cita in suo favore anche Pio II. sopra montuonato, ed il Malavolti nella Storia di Siena, così anche
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che l'Ughello con altri. Ma né tampoco questa varietà deve recar meraviglia; poiché avendo avute l'Attendoli varie Moglie, era agevole il confondere l'una coll'altra, e framischiare i figli di una con quelli dell'altra. A tutto ciò si aggiungono due manifesti equivoci, presi dal prelodato Ughello: Il primo si è, che vacata per morte di Nicolò Amidano la Sede Arcivescovile di Milano, Francesco Sforza, unicamente con GABRIELE suo fratello proponesse a Nicolò V. di sanmem: un certo Bartolomeo Cozia Veronese Canonico Regolare Lateranense, quando è certo, che propose il celeberrimo P. Timoteo Maffei, il quale non volle in conto alcuno accettare tal dignità, come diremo a suo luogo: L'altro, che la Chiesa di S. Maria dell'Incoronata di Milano consacrata dallo stesso GABRIELE, ed in cui poi fu sepolto, fosse stata edificata da Bianca Maria Moglie del detto Francesco Sforza;
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mentre è indubitato, che questa sua fabricata dallo stesso Duca Francesco, e che detta piissima di lui Moglie fabricò soltanto un altra Chiesa dedicata a S. Nicola di Tolentino, congiunta a quella. Sopra amendue questi abbagli può vedersi il citato Sassi nell'accuratissima Storia degli Arcivescovi di Milano, il quale tra le altre, prima di stendere la Vita de nostro Beato, fa anche quella del prelodato Maffei, e riporta la Rinuncia formale da esso fatta in forma di Memoriale. Comunque però sia, queste contrarietà di pareri non portano alcun detrimento al mio assunto, come quegli, che non ho altra mira, se non fe di proporre in questo Opuscolo per comune esempio, ed edificazione le virtuose azzioni di questo santo Prelato. Piaccia al Signore, che io conseguisca un tale intento unito al vostro benigno gradimento, e vivete felice.
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COMPENDIO DELLA VITA DEL B. GABRIELE SFORZA ARCIVESCOVO DI MILANO
CAP. I. Nascita, e fanciullezza del Beato.
Il B. GABRIELE SFORZA, secondo il comune, e più fondato sentimento de' scrittori della vita di lui, fù figlio del celebre Capitano Giacomo Muzio Attendoli, il quale pe'l suo straordinario valore meritò il nome di Grande [1]. Da quale occasione provenisse in questi il cangiamento
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del cognome ATTENDOLI in quello di SFORZA ci vien divisato da vari Autori, e specialmente dal Giovio nella vita di lui, e da Leodrisio Cribello, di cui si è fatta menzione nella prefazione. Riferisce questi, che militando egli nell'Esercito del valoroso Conte Albrico, il quale per le sue prodezze fu dichiarato Gran-Contestabile del Regno di Sicilia, insorta differenza tra i soldati circa la divisione della preda, e portata la controversia al giudizio di detto lor Generale, avanti di esso insistè l'Attendoli con tanta animosità, e franchezza per avere la sua porzione; quasi volendo sforzare a condiscendere alle sua richieste; che il Conte ammirando si gran coraggio prese destro di chiamarlo SFORZA; il che udito dai circostanti, tralasciato il primo, lo chiamarono sempre con questo secondo cognome, e così diè fausto principio
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alla celeberrima famiglia SFORZA, la quale fù nel decorso di pochi anni dell'incredibile suo valore, e molto più del rinomatissimo Francesco Sforza suo figlio, sollevata a grado sì sublime di riputazione, e di stima, che fù generalmente considerata come famiglia Sovrana. La Madre poi giusta il parere più accertato de' medesimi Autori, come si notò nella prefazione, fù Antonia figlia di Nicolò detto Cocco Salimbeni non meno potente, che nobile Cittadino di Siena nel tempo, in cui fioriva quella Republica, il quale le diede in dote la Città di Chiusi, il Castello di Monte Giove, il Monte Nero, ed altre Terre. Fù al Bambino imposto nel santo Battesimo il nome di Carlo, e fù l'ultimo tra molti suoi fratelli, che il Padre ebbe da vari matrimoni [2]. Quanto
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I detti suoi erano portati all'esercizio delle armi, ed all'imprese Marziali, altrettanto era egli fin dalla sua fanciullezza fornito di animo pacifico, ed inclinato alla pietà non meno, che allo studio delle sacre lettere, disponendolo fin d'allora la Divina Providenza a quello stato perfetto di vita, cui dopo si applicò per riportare più gloriose vittorie contro i comuni nemici.
CAP. II. Ingresso di Carlo nella Religione Agostiniana, e solenne Professione in essa fatta.
Pervenuto Carlo agli anni della discrezione [3], e riflettendo seriamente alle vanità, e fallacia delle cose caduche, con generosa risoluzione si determinò di calpestare le mondane grandezze
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e dal tempestoso mare del secolo ritirarsi al porto sicuro di un sacro Chiostro; e siccome fioriva in quel tempo l'Istituto Eremitano di S. Agostino, particolarmente nell'esemplarissimo Monistero di S. Salvatore di Selva di Lago, vicino a Siena, capo, e principio dell'insigne Congregazione Lecetana, si portò nel dì 18. Gennaio dell'anno 1442. al detto Convento, accompagnato da molti Signori, ove poscia circa il fine di detto Mese ricevette l'abito Religioso dal B. Girolamo Buonsignori Priore dello steso Convento, e lasciato il nome di Carlo prese l'Angelico di GABRIELE. Pari alla mutazione dell'abito fu quello dei' suoi costumi; poiché si diede il buon Novizio a battere sì di proposito, e con tanto studio il sentiero della cristiana perfezione, che ben tosto si rese ammirabile a tutti i suoi Religiosi, i quali ravvisavano in esso un perfetto
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modello di tutte le virtù proprie del suo stato. Fece la solenne professione nel dì 24. Ottobre dell'anno 1443., dopo la quale proseguì la carriera de' suoi studi, in cui quanto riuscisse eccellente si può di leggieri dedurre dalla Opere, che lasciò di Gramatica, di Umanità, Rettorica, e Filosofia [4]. Fece inoltre dal greco in Latino una nuova Parafrasi d'Aristotele, compose epistole, orazioni, trattati morali, Commenti ai sacri Evangeli, ed ai quattro libri della scolastica Teologica, con volumi di Prediche, ed altre Opere. Ma ciò che più rileva si è, che ben guernito di tali studi si applicò a coltivare la vigna del Signore coll'Apostolico ministero di Predicatore non senza indicibile frutto delle anime, finché poi dopo breve tempo fu riputato degno di essere eletto Maestro
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de' Novizi nello stesso Convento, ove è fama, che correndo l'anno 1447 avesse sotto la sua direzione, e disciplina il B. Anselmo da Montefalco, che fu poi Generale di tutto l'Ordine. Essendosi in questo fratempo il valorosissimo Francesco Sforza fratello, come si disse, di GABRIELE, impadronito del Ducato di Milano, dopo la morte di Filippo Maria Visconti ultimo Duca, di cui era egli Capitano Generale, diede motivo al santo Religioso di portarsi in detta Città [5], ove invaghito della Riforma della Congregazione Agostiniana di Lombardia, che mirabilmente fioriva nel Convento della Coronata della stessa Città, passò dall'Osseervanza del Convento di Leceto a questa nell'anno del Signore 1449. con ferma risoluzione di continuare in quella
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fino agli ultimi periodi di sua vita. Fece qui dimora GABRIELE per lo spazio di anni cinque, diffondendo non pure frà suoi Religiosi, ma ancor frà i Secolari chiari esempi delle sue eroiche virtù, e santità. Per tutto il tempo che visse nella Congregazione fù di umiltà sì profonda, che quanto più si vedeva stimato, e riverito, altretanto compariva abietto, e dimesso, riputandosi il più vile tra i suoi Religiosi, e sottomettendosi a tutti.
CAP. III. Viene contro sua voglia aletto Arcivescovo di Milano, e suoi santi portamenti in questo nuovo stato di vita.
Passato all'altra vita Nicolò Amidano Arcivescovo di Milano, il sudetto Francesco Sforza Duca di quello stato raccomandò al Sommo Pontefice
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Nicolò V. [6] due soggetti ugualmente per dottrina, virtù, e fama rinomati, cioè GABRIELE suo fratello, ed il Padre Timoteo Maffeo Veronese Canonico Regolare Lateranense, quanto nobile di sangue, altrettanto insigne per virtù, ed esimio Predicatore di quel secolo. GABRIELE trovando tutte le sue delizie nel sacri Ritiro, e nella quiete Religiosa, null'altro più ardentemente bramava, che di essere posposto al Maffei; ma avendo questi con raro esempio di cristiana umiltà costantemente ricusata si eminente dignità, fu questa addossata contro sua voglia a GABRIELE, il quale fu dichiarato Arcivescovo nel mese di Giugno dell'anno 1454 [7]. Fin dal bel principio volle il Signore render palese, e manifesto a tutti il gran merito, e santità di questo suo fedelissimo
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Servo; poiché celebrando nella Chiesa Metropolitana di Milano la prima solenne Messa Pontificale, Pietro Tersago cieco nell'occhio destro, il quale era uno di quei vecchi, che secondo il Rito Ambrosiano assistono ai Pontificali, bagnatosi con sommissione, e fede l'occhio offeso con quel acqua, con cui il buon Prelato si aveva lavate le mani, ricuperò subito perfettamente la vista, e si trovò sano. Quelle virtù, che aveva fissate nell'animo di GABRIELE profonde radici, produssero nell'esercizio di questa gran dignità nobilissimo germogli. Sotto gli abiti Arcivescovili volle portare continuamente l'abito Religioso, e ciò che più rileva ritenne sempre mai il solito rigore, ed asprezza della sua vita privata, diportandosi in ogni operazione piuttosto come un semplice Religioso chiuso tra chiostri, che un Principe
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sacro sollevato al comando degli altri. Rare volte usciva dal Palazzo Arcivescovile, ed ogni giorno sceglieva un ora per ritirarsi nel secreto del suo spirito, e per attendere con particolar fervore, ed intima unione con Dio, alle sue orazioni, e contemplazioni. Volendo poi qualche volta dar breve tregua alle incessanti continue applicazioni, e sollevare il suo anima abbattuto, non altrove meglio trovava il suo ristoro, che nel Convento dell'Incoronata, ove frà quei Servi di Dio pareva rinvigorisse. In somma riflettendosi attentamente al suo contegno, si può con tutta ragione conchiudere, che egli nello stato sublime di Arcivescovo null'altro mutasse, che l'abito esteriore. Non pago di tutto ciò, volle tenere continuamente presso di se vari Religiosi della sudetta Congregazione di Lombardia, soggetti di segnalata probità, tra i quale era il Padre
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Girolamo da Crema da lui deputato alla sopraintendenza della Mensa Arcivescovile; e vivendo con essi alla stessa mensa, che era sempre condita colla lettura de' libri sacri, osservava esattamente i digiuni, e le astinenze della sua Regola. S'industriò a tutto potere di far sì, che i suoi famigliari s'uniformassero al costante tenore della sua illibata vita, privando degli uffici, e cariche, o scacciando dalla Corte tutti coloro, che si scorgessero viziosi; ne si quietò giammai, finché non ebbe la consolazione di vedere totalmente sbanditi dal suo Palazzo tutti que' vizi, che sotto l'asilo de' Grandi sogliono pur troppo a fronte scoperta francamente passeggiare nelle Corti; tal chè la sua abitazione aveva sembianze di un vero Religioso ritiro. Passando poi al governo, e regolamento de' suoi Sudditi, non è facile
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esprimere il suo indefesso zelo nel ben regolare la vasta Diocesi; e siccome era stato nella sua vita privata un vero ritratto della perfezione regolare, così fu nella dignità Arcivescovile un perfetto esemplare d'un Santo Pastore. Non trascurò alcun mezzo, che giovar egli potesse per ben dirigere le anime a lui commesse, sforzandosi con ogni possibil diligenza, ed industria, e con sani Decreti promovere la riforma del suo Clero, estirpare ogni abuso, propagare il culto divino, e far fiorire ogni virtù, il che faceva con tanta carità, ed amore, che sforzava ognuno all'ubidienza de' suoi ordini più colla piacevolezza, che col rigore, e più coll'esempio, e co' fatti, che colla voce, e coi comandi. Visitò la stesa Diocesi secondo il prescritto de' Sacri Canoni, lasciando in ogni luogo un soavissimo odore, e riprove della sua integrità, e
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ferventissimo zelo. Riformò, e ridusse alla pristina osservanza alcuni Monastero di Monache, e particolarmente l'insigne Monastero di Sant'Agnese di Milano dell'Ordine di Sant'Agostino, sottoponendolo all'accennata Congregazione di Lombardia. Tenne per suo primario Ministro il Reverendissimo P. Paolo di S. Genesio Vescovo Eleopolitano, ed allievo della predetta Congregazione di Lombardia, oltre avere eletti per suoi Vicari Ordinario, e delle Appellazioni Monsignore David Lenterio, e Romano de Lodi, sotto la scorta, e direzione de' quali passavano felicemente i maneggi, ed affari più importanti della Diocesi. In una parola non lasciò intentato alcun mezzo, pose in pratica ogni industria, e diligenza, non trascurò alcuna fatica, ed incommodo, perché la sua Chiesa divenisse una Congregazione
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de' Santi, sempre intento alle esortazioni, e predicazioni, sempre piacevole, e benigno co' buoni, giusto, e severo co' scelerati; non facendo alcun conto dell'avversione, e dell'odio, che per tal effetto questi gli portavano, e servendo a tutti norma colla sua santissima vita [8]. Cooperò anche con tutta l'efficacia per muovere i Cristiani alla Guerra contro il Turco, publicando in Milano la Crociata spedita da Calisto III nel Mese di Maggio del 1455, ed affinché col tratto del tempo non si raffreddassero in sì tanta impresa procurò nell'anno seguente infervorarli e con solenni Processioni, che fece fare da tutto il Clero ogni prima Domenica del Mese, e col suono delle Campane, che ordinò si sonassero ogni giorno. Finalmente non può a bastanza
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descriversi quanto fosse compassionevole, e profuso co' Poveri, consumando gran aparte delle sue rendite in sovvenimento de bisognosi.
CAP. IV Della perfetta armonia, ed unione tra 'l Duca, e l'Arcivescovo Sforza nel reggere lo Stato di Milano.
L'Ecclesiastica, e secolare potestà cotanto tra se dispensare, disgiunte, e bene spesso ancor contrarie si esercitavano dai due fratelli con tanta pace, ed uniformità di voleri, che sembravano ridotte ad una sola [9]. Si studiava il Duca di aderire, e conformarsi per quanto poteva ai sentimenti dell'Arcivescovo; né punto ingerivasi negli affari Ecclesiastici. Vicendevolmente
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l'Arcivescovo, ove potesse sicuramente farlo, di buon grado rimetteva le liti, e controversie più intrigate, e di maggior rilievo al foro secolare, dal quale i Ricorrenti, o Collitiganti venivano in tal guisa trattati, che scorgevano ad evidenza in amendue le Corti lo stesso spirito, che con istessa lega, e concordia l'una, e l'altra regolava, il che era di gran freno agli spiriti torbidi, i quali ben comprendevano di non trovare scampo col ricorrere dall'una all'altra podestà, e niuno era sì temerario, che ardisse turbare si bella pace in Dominio, in cui andava sì unito l'Impero col Sacerdozio; cosiché non poteva bramarsi in Milano stato più felice. L'Arcivescovo poi fortificato da sì bella unione, ed armonia più agevolmente, e senza alcun contrasto riscuoteva da ognuno il debito rispetto, ed esatta osservanza
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delle leggi Ecclesiastiche. Anziché il gran concetto di segnalata probità, recata dal chiostro, accresceva tale autorità, e venerazione ai suoi detti, e fatti che si riputavano parti della sua moderazione, ed animo quieto eziando quelle azioni, le quali se fossero state fatte da qualche altro soggetto si sarebbero giudicate confinanti coll'insulto, ed attribuite ad uno spirito sedizioni, e ribelle.
CAP. V. Della fierissima peste insorta in Milano.
E proprio dalle umane felicità essere di corta durata [10], e soggiacere ad improvisi cambiamenti, e vicende. Così appunto in quella fiorilissima Metropoli, accadde, mentre inaspettatamente
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vi si scoprì un fierissimo mal contagioso, che pose in iscompiglio quel numeroso Popolo, sconcertando tutto il buon ordine di quel domino. [11] I più accorti Medici di quel tempo non in altro seppero rifondere l'origine di questo gran disastro, se non che nell'immenso concorso de' popoli d'ogni nazione, i quali in occasione del Giubileo dell'Anno Santo incaminandosi verso Roma, nel passare per la Lombardia, infettarono quelle Città, e particolarmente Milano. Fù s' spaventoso il male, che si viddero in quella occasione a pieno verificare tutte quelle funeste circostanze, che sogliono accompagnarlo. S'interruppe tosto il commercio, cominciarono a mancare i viveri, non si trovava chi servisse gli ammalati, ciascuno pensava al proprio
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scampo, lasciandosi i moribondi in abbandono, ancor da quei, che o per congiunzione di sangue, o per obligo di ufficio, o per altri divini, ed umani riguardi sogliono essere i più assidui in assisterli. Il Duca, e l'Arcivescovo, sebene seguendo l'avviso di Ezecchiele al cap. 7. Qui in Civitate, pestilentia, et fame devorabuntur, et salvabuntur qui fugerint ex eis, si ritirassero dall'abitato alla campagna, non tralasciarono però di porre in pratica alcuna diligenza, o mezzo, che si giudicasse espediente per soccorrere al comune urgentissimo bisogno. Furon fatte in campo aperto molte Capanne e Tuguri separati per impedire il tratto scambievole degli infetto co' sani, furono assegnati quei, che somministrassero i cibi, e rimedi, altri, che amministrassero i Sacramenti, altri, che disponessero i moribondi a ben morire, altri, che sepelissero
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i cadaveri. Furono comminate pene gravissime per reprimere la licenza de' malfattori. In una parola furono praticati tutti que' provvedimenti, che seppero dettare o l'accortezza del Duca, o la sviscerata carità dell'Arcivescovo, e che soglio adoperarsi ne' nostri più illuminati tempi, dopo che l'esperienza ha ammaestrati i Principi, e Prelati di tutti i più necessari, ed opportuni ripari in somiglianti accidenti. La descritte pestilenza, o perché placata l'ira del Cielo, o perché ben purgato la Città, o perché esausta la corruzione dell'aria, dopo pochi mesi affatto cessò, avendo peraltro assorbite, e private di vita fino a trenta mila persone tra nobili e plebei. Sopravvenne poco dopo l'altra gravissima disavventura, che suol essere ordinariamente o causa, o effetto, o compagna indivisibile della Peste, cioè la fame.
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E quantunque non meno l'Arcivescovo, che il Duca per far argine a questa seconda calamità, usassero quelle più esquisite precauzioni, ed industrie, che avevano pratticate nella prima; pur nondimeno non ebbero la sorte di ottenere, che gli amatissimi Sudditi non ne restassero vittima in molto maggior quantità di quella fosse intervenuto nel mal contagioso. Ciò provenne dal non essersi potuti coltivare i campi, e fare le necessarie provisioni; quindi il misero Popolo era costretto dall'ultima necessità a divorare i più stomacosi, e nocevoli cibi. La moltitudine de' morti per la fame fù sì eccedente, che oltrepassò di gran lunga la strage cagionata dalla peste, essendosi contati fono a sessanta mila estinti per mancanza del necessario sostentamento.
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CAP. VI. Fondazione del magnifico Spedale di Milano.
Intenerito dal mirabile aspetto di sì gran desolazione, cagionata non solo dalla violenza del male, ma anche dalla mancanza della necessaria assistenza, ed umani sussidi [12], il pietosissimo animo del santo Arcivescovo, e bramoso di dare un opportuno, e stabile riparo in appresso a simile sciagura del suo dilettissimo Gregge, [13] indusse il Duca suo fratello a fabricare un grandioso, e magnifico Spedale, il quale, prescindendo da ogn'altra opera fatta dai due fratelli, da se solo basterebbe a rendere sempre mai gloriosa e venerabile in quella Città la
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loro memoria. Cessata per tanto la mortalità, e conchiusa eziando la pace co' Veneziani, i quali da queste disavventure avevano preso il destro di riportare qualche vantaggio coll'invadere, ed infestare colle loro armi quell'afflitto, ed esausto Stato, si diè fausto principio alla gran opera. Assegnato il sito vicino alla Chiesa di S. Nazzario nel luogo della vecchia Rocca, o Castello, fu posta la prima pietra nel dì 13. Aprile dell'anno 1453. Ridotta poscia a buon termine in brevissimo tempo, e con meravigliosa cerimonia, qual poteva ripromettersi dall'unione, e gara, che faceva in condurla a fine la spirituale, e secolare potestà, concorrendovi anche a tutto suo potere la Città stessa, che per la prima volta vedeva sorgere in se sì gran machina, la quale era per riuscirle di non minore ornamento, che
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sussidio, tutto il pensiero dei due Principi si rivolse a provvederla di fondi, ed entrate durevoli, per l'eccessive spese occorrenti. Si trovavano tanto dentro, che fuori della Città di Milano vari Spedali ben forniti di copiose rendite, fondati già da Bernabone Visconti, che oltre l'obligo di curare, provedere, ed alimentare gli Ammalati, vi aveva aggiunti i seguenti pesi, cioè: Prima di dover dotare un numero determinato di povere Zitelle, affinché potessero collocarsi onestamente in matrimonio; e così porre in salvo la loro pudicizia: Secondo di dovere in alcuni giorni stabiliti distribuire a poveri famelici certa quantità di pane: Terzo fare alcuni anniversari per suffragare le anime de' Defonti: Quarto finalmente soccorrere con cibarii i Poveri carcerati. Uno dei divisati Spedali aveva il titolo
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di S. Ambrogio, l'altro di Santa Caterina, e di S. Antonio, e li aveva resi immuni, ed esenti da qualunque dazio, o tributo; e tuttociò coll'approvazione della san. mem. di Euganio IV. Sommo Pontefice con suo special diploma, spedito nell'anno 1435. Dopo alcuni anni il Cardinale Enrico Scoto Arcivescovo di Milano aveva date, e prescritte le leggi, e statuti, co' quali dovevano regolarsi, approvati ancor questi, e confermati dalla san. mem. di Nicolò V., il quale inoltre stabilì, che l'amministrazione, direzione, e regolamento de' medesimi spettasse agli Arcivescovi di Milano pro tempore. Or giudicarono bene i due fratelli Sforza si riducessero i menzionati Spedali in uno, formando tutto un corpo, e si dasse un nuovo sistema adattato alla qualità de' tempi correnti, essendo stati ammaestrati
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dall'esperienza nella recente strage di tanto Popolo, essere troppo incomoda, ed anche inutile la forma fino allora tenuta di detti piccoli Spedali disparati, e dispersi, i quali non potevano ben regolarsi, quindi riputarono molto profittevole, che una sola casa servisse per ospizio, ricetto, ed albergo a tutte le sorti de' bisognosi. Terminata adunque felicemente la vasta mole, chiese il Duca Francesco al Sommo Pontefice la facoltà, che tutti i detti Spedali segregati, e disgiunti sì dentro, che fuori dalla Città si riducessero, ed unissero in un corpo sotto nome di Ospedale Grande. Chiese insieme, che questo si regolasse cogli stessi statuti, regole, e consuetudini, colle quali erano stati fondati, e si reggevano gli Spedali vecchi; con questo di più, che dovesse aver piena forza, e vigore tuttociò,
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che nel costituire, e stabilire questa nuova Opera pia, si riputasse opportuno aggiugnere, torre, o mutare secondo esiggesse la condizione, e stato delle cose, persone, e tempi presenti. E dacchè questo doveva essere l'unico ricovero di tanti bisognosi, d'un'intera, e si gran Città, pregò per fine Sua Beatitudine, che volesse degnarsi accordare, e concedere al medesimo luogo pio il diritto di aver la Chiesa, Cappella, Altari, in cui si celebrassero le Messe, le Sepolture, i Parochi, i Sacrestani, e somiglianti Ufficiali. Il tutto fù benignamente ammesso, ed accordato dal Santo Padre, colla sudetta condizione però, che dovesse essere sotto la piena giurisdizione, e potestà dell'Arcivescovo, il quale dovesse assegnare gli Amministratori e Prefetti nominati dai Cittadini. Stabilito in questa guisa il Grande Spedale
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crebbero a poco a poco i fondi, e l'entrate in quella quantità, che come vediamo al presente, può sovrabbondantemente bastare alla magnificenza, e liberalità, che si usa non pure verso i poveri della stessa Città, ma ben anche verso quelli, che vi concorrono da altre parti.
CAP. VII.
Del suo viaggio alla Santa Casa di Loreto; e delle grazie, e miracoli in questa occasione operati. Avvicinandosi GABRIELE alla metà del suo corso mortale, e stimolato dalla tenera devozione, che aveva sempre professata verso la gran Madre di Dio, volle avere prima della sua morte la consolazione di visitare la Santa Casa di Loreto. Intrapreso pertanto il camino verso quel celeberrimo
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Santuario, non mancò il Signore di glorificare in questa occasione il suo Servo fedele con varie grazie, e miracoli, fra i quali segnalato fù quello che intervenne nella stessa Città di Loreto [14]. Era quivi morto un certo Antonio marito d'una gentil donna chiamata Francesca Dina, lasciandola oltremodo addolorata. Deplorava l'afflitta Donna non solo la morte del marito, ma anche la perdita delle sue gioie, ori, ed argenti, che essendo stati nascosi dal defonto a motivo delle guerre, senza avere avuto tempo di manifestare pria di morire ad essa il ripostino, ne restava miseramente priva. Trovandosi perciò questa Signora quasi sù l'orlo della disperazione fece ricorso al santo Prelato, chiedendogli soccorso in tale accidente. Egli mosso a pietà, si portò al feretro
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del defonto, e pieno di vivissima fiducia gli domandò tre volte da parte di Gesù Cristo ove fossero le ricchezze ascose, imponendogli di manifestarle. Alla voce, e comando di GABRIELE ubidì prontamente Antonio, ed alzando il capo disse, averle sepolte nel Cortile sotto una pianta di Fico; indi implorando suffragi di Messe, e limosine per l'anima sua, che penava nel Purgatorio, ed avuta dal nostro Beato la benedizione, di nuovo riposò nel Signore. In fatti essendo stato scavato nel luogo descritto, si trovò il tutto felicemente. Sortì questo portentoso avvenimento nel mese di Aprile dell'anno 1457., che fu l'ultimo della vita di GABRIELE.
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CAP. ULTIMO.
Dalla di lui preziosa, e santa morte. Passato all'altra vita dopo molte gloriose gesta nell'anno 1456. Francesco Sforza [15]; come altresì poco dopo Bianca Maria sua moglie, anche il nostro santo Arcivescovo pervenne al temine del suo breve pellegrinaggio [16]. Avendo adunque per lo spazio di tre anni due mesi, e giorni 22. governato santissimamente la Chiesa di Milano, avendo diffusi da pertutto luminosi raggi delle sue virtù, esempi, e zelo, avendo fatte, e condotte a fine molte opere di pietà, con rammarico universale de' suoi dilettissimi Sudditi rese nell'anno sudetto 1457. ancor esso il suo spirito al
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Signore [17]. Fù seppellito con immenso concorso de' popoli nella Chiesa della B. Vergine Incoronata, la quale essendo stata edificata dal Duca Francesco suo fratello, era stata da esso consacrata. Nel sepolcro fu scolpito il seguente Epitaffio:
MCCCCLVII. DIE 12. SETTEMBRIS.
OBIIT BEATUS PATER GABRIEL DE COTIGNOLA ARCHIEPISCOPUS MEDIOLANEN.
ORDINIS OBSERVANTIAE FRATRUM EREMITANUM S. AUGUSTINI,
AC FRATER GERMANUS ILL. D. D. FRANCISCI SFORTIAE DUCIS MEDIOLANI;
Ed ivi riposa anche di presente il suo sacro venerabile cadavere. A misura dell'universale concetto, e fama delle di lui insigni virtù, ne è rimasta sempre viva la memoria a tal segno,
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che gli Scrittori non con altro titolo comunemente lo chiamano con quello di Beato.
Note
(1) - Leodrisio Cribel., e Pietro Candido presso il Muratori
(2) - Giuseppe Ripamonti Histor. Mediolanen. decad. 3. lib. 5
(3) - Donato Calvi,Comp. etc.
(4) - Giovan Pietro de' Crescenzi nel suo Presidio Romano libr. 3. part. 2 nar. I. num. 6
(5) - P. Benigno da Genova contemporaneo lib. 2. de Primordiis Congregationis Lombardiae cap. 3.
(6) - Giuseppe Antonio Sassi sopra citato.
(7) - P. Donati Calvi. Relazioni del Pomati.
(8) - Il Sassi sopracitato.
(9) - Giuseppe Ripamonti Stor. di Milano deca. 3. lib. 5.
(10) - Ripamonti loc. cit.
(11) - Giovanni Simonetta Rerum gestarum Francisci Sforziae lib. 22. in princip.
(12) - Ripamonti loc. cit.
(13) - Ughello nell'Italia Sacra
(14) - P. Calvi Compendio etc.
(15) - Ughello nell'Italia Sacra.
(16) - Sassi sudetto.
(17) - P. Fulgenzio Alchisio nel Cronico M.S. in Santa Maria del Popolo della Città di Roma.