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Teologi agostiniani: AGOSTINO TRIONFO

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Agostino Trionfo

 

 

 

LA "SUMMA DE POTESTATE ECCLESIASTICA" di AGOSTINO TRIONFO

di Ugo Mariani O.S.A

 

 

 

Nell'agosto del 1313, dopo aver tentato di rialzare le sorti del sacro romano impero cadute con la dinastia degli Hohenstaufen, Arrigo VII di Lussemburgo moriva a Buonconvento sulla via di Roma, portando nel sepolcro un sogno di pace universale. Spezzata ancora una volta la concordia tra il pontefice di Roma e l'imperatore, da cui nel pensiero di Dante doveva scaturire la felicità del genere umano, si riapriva, per avviarsi all'epilogo, la lotta fra le due grandi istituzioni politiche del Medio Evo. Ludovico IV, detto il Bavaro, e Giovanni XXII, secondarie figure di politici, furono i maggiori protagonisti di quest'ultima fase del grandioso contrasto. Nel 1324 Marsilio da Padova, entrato in lizza in favore delle antiche pretese di superiorità politica del potere civile su quello religioso, pubblicava il Defensor Pacis. Ma subito, o poco dopo, il partito curialista gli opponeva un trattato non meno famoso, la Summa de potestate ecclesiastica di Agostino Trionfo. Nell'edizione di Roma del 1582 sotto il nome dello scrittore e il titolo del lavoro, si legge che l'opera fu scritta nell'anno 1320. E dopo alcune pagine, in un compendium vitae auctoris che segue la Vita premessa al trattato, sono citati alcuni storiografi che assegnano allo stesso anno la redazione del libro del Trionfo (Ex supplemento JACOBI PHILIPPI BERGOMATIS: Floruit (Augustinus) anno MCCCXXI. Ex magnis Chronicis de historiis aetatum mundi, ac descriptione urbium collectis a doctore Armanno Schedel: Floruit sub Ludovico Imperatore IV, anno Domini MCCCXX. GIOVANNI TRITEMIO nella sua opera De scriptoribus ecclesiasticis, dice che il Trionfo: Claruit sub Ludovico Bavaro Imperatore quarto, et Iohanne papa XXII. Anno Domini MCCCXX. La stessa affermazione abbiamo nel quarto libro della Bibliotheca Sancta di Sisto Senese).

Ma nessuno di questi storici é vicino all'epoca del monaco agostiniano, nè è detto su quali basi è fondata l'asserzione. Nondimeno noi crediamo che la data debba essere soltanto di qualche anno spostata. Abbiamo assegnato le operette di Agostino a quel periodo della sua vita che egli trascorse dopo il 1300 a Parigi, insegnando nella facoltà teologica. La summa de potestate ecclesiastica ci rivela la maturità del suo ingegno, e d'altra parte essa fu scritta con uno scopo particolare, difendere il primato politico dei papi in un momento di minaccia da parte dell'autorità secolare. Ma soltanto dopo la sconfitta a Mühldorf di Federico duca d'Austria nel 1322, e la consolidazione del potere di Ludovico il Bavaro, Giovanni XXII aprì le ostilità contro l'imperatore. Nel fervore della lotta, in occasione della pubblicazione del "Defensor Pacis", dovette il Trionfo comporre il suo trattato. Nel prologo infatti, alludendo evidentemente alla divulgazione di opere di scrittori avversari, egli si lamenta dell'ignoranza e, peggio ancora, dell'ostilità che molti dimostrano contro la potestà spirituale, e l'attribuisce alla superbia e ad una curiosa scientia avida di novità, che spinge questi nemici del sacerdozio a combattere sistematicamente i principi su cui poggia, per divina istituzione, l'ordinamento della società. Nel principio del 1326 la Summa di Agostino era stata compiuta e doveva probabilmente circolare nel mondo cattolico con grande soddisfazione della corte pontificia.

Perchè proprio nel gennaio di quell'anno Giovanni XXII ordinava al suo tesoriere di provvedere generosamente il Trionfo di moneta perchè potesse attendere con tutta tranquillità ai suoi studi. Noi vediamo nel gesto del papa l'intenzione di ricompensare il nostro autore della splendida difesa che dell'idea teocratica aveva scritto e diffuso. Due anni dopo il monaco eremitano scendeva glorioso nella tomba. Il trattato di Agostino Trionfo si avvicina nella forma alle grandi Somme teologiche del Medio Evo e soprattutto a quella di Tommaso di Acquino. Nelle prime due parti dell'opera, delle quali soltanto ci occuperemo, l'autore tratta della natura e dell'origine dell'autorità pontificia (Summa de Potestate eccl., ediz. cit. pag. 1-204), dei limiti della sua giurisdizione e delle sue relazioni colla potestà laica (Summa de Potestate eccl., pag. 205-390).

Nella terza parte è ampiamente discussa la missione del papato in rapporto alla santificazione degli uomini (Summa de Potestate eccl., pag. 391-563). Il Trionfo si ripromette, con una libera discussione intorno alla somma dei poteri affidati al sacerdozio, di rimuovere l'ignoranza, schiarire la verità, lumeggiare la dottrina di Cristo (Summa de Potestate eccl., Quaest. I, art. 10, pag. 15). Egli afferma, ripetendo quanto già scrisse nei trattati minori, che omnis potestas est a Deo (Summa de Potestate eccl., Quaest. I, art. 5, pag. 8 e Quaest. XXIII, art. 2.,137). Ma mentre quella del Papa ha un'origine immediatamente divina, i vescovi e i prelati sono investiti del loro potere religioso dal sommo pontefice, e i principi secolari soltanto come delegati ed esecutori dell'autorità ecclesiastica ricevono il dominio sulle cose temporali (Quaest. I, art. 1, pag. 2: Potestas jurisdictionis dividitur in temporalem et spiritualem: et tunc respondendum est quod loquendo de potestate jurisdictionis temporalis et spiritualis, dicere possumus, quod talis potestas est triplex, scilicet immediata, derivata, et in ministerium data. Primo modo potestas jurisdictionis, omnium spiritualium et temporalium est solum in Papa. Secundo modo est in omnibus episcopis et prelatis. Tertio modo potestas jurisdictionis temporalis est in omnibus Imperatoribus, Regibus et principibus saecularibus).

La potestà del papa è dunque spirituale e civile. Nè vale l'asserire che le due auctoritates avendo una diversa finalità ed essendo quindi fra loro indipendenti non possono risiedere in una stessa persona, perchè ambedue i poteri non furono da Cristo conferiti nello stesso modo al vescovo di Roma, ma la giurisdizione spirituale secundum immediatam institutionem et executionem, la temporale secundum institutionem et auctoritatem, non tamen secundum immediatam executionem (Quaest. I, art. 1, pag. 3). Quest'ultima, l'executio, cioè l'uso della spada secolare, come aveva detto S. Bernardo, fu concessa ai sovrani della terra. Agostino Trionfo trae dalle sue teorie numerosi corollari. Quando i sommi pontefici hanno ceduto domini temporali alla autorità laica, non ubbidivano ad esigenze di reintegrazione di un ordine di giustizia da loro turbato, ma cedevano al desiderio di mantenere fra i popoli la pace. Invece una restituzione del mal tolto, un gesto certamente nobile ma che non esorbitava dalla portata e dal carattere di una dovuta riparazione, furono le donazioni territoriali fatte dagli imperatori alla S. Sede (Summa de Potestate eccl.,: Et si inveniatur quandoque aliquos imperatores dedisse aliqua temporalia summis pontificibus, sicut Constantinus dedit Silvestro, hoc non est intelligendum eos dare quod suum est, sed restituere quod iniuste et tyrannice ablatum est. Eodem modo, si legatur quandoque aliquos summos pontifices dare bona temporalia Imperatoribus et Regibus, hoc non est intelligendum eos facere in dominii recognitionem, sed magis in pacis ecclesiasticae conservationem, quia servum Dei non oportet litigare, sed mansuetum esse ad omnes. Lo stesso concetto era stato espresso un secolo prima da Innocenzo IV. Cfr. Iean Rivière, op. cit. pag. 45).

Il papa può a suo arbitrio restringere od ampliare i poteri concessi ad ministerium, cioè in delegazione ai principi secolari, e imporre che secondo la sua volontà (ad imperium illius) si servano del gladium materiale a loro affidato. Anche le leggi emanate dalla potestà terrena hanno valore in quanto sono confermate dal delegante (Quaest. I, art. 3, pag. 5: Potestas papae est maior omni alia, maioritate auctoritatis. Quia nullius imperaratoris, regis vel alterius principis leges, seu statuta alicuius roboris, vel firmitatis esse censentur, nisi quatenus sunt per auctoritatem papae confirmatae et approbatae), cioè dal successore di Pietro che può anche correggerle, mutarle, abrogarle (Quest. XLIIII, art. 4-5, pag. 242-243). Investito di questa facoltà il vescovo di Roma ha diritto a ricevere dai sovrani il giuramento di vassallaggio (Quaest. I, art. 1, pag. 3: Illa potestas est in ministerium data alteri, cui iuramentum fidelitatis praestat, et ab eo cognoscit esse omne quod habet: sed omnis potestas saecularium Principum, Imperatorum et aliorum est talis), e può, per una giusta causa anche non religiosa, deporre i monarchi ed innalzare ai fastigi del trono anche imperiale, se lo crede opportuno, qualsiasi altra persona da lui stimata degna (Summa de Potestate eccl., art. 3, pag. 251: XXXV, art. 1, pag. 205-206).

Giudicando inoltre che missione del papato sia concedere ai fedeli un'imparziale giustizia e protezione, Agostino rende a tutti accessibile l'appello dall'autorità civile alla suprema religiosa (Quaest. XLV, art. 3, pag. 248), senza avvertire che il diritto di ricorso tanto caldeggiato da Gregorio VII ed Innocenzo III, più che in un beneficio ai deboli e agli oppressi si risolveva spesso in un appoggio ai potenti, i quali appellandosi alla S. Sede avevano il mezzo di sospendere gli effetti delle sentenze e spesso di sfuggire alle censure dei superiori ecclesiastici e civili. Al papa fu trasmessa, per il bene della Comunità cristiana, la stessa potestas di Cristo, di cui egli è il rappresentante in terra. A questa autorità sono annessi tre doveri ai quali nessun pontefice può sottrarsi: il debellamento dei tiranni, il governo regolare dei sudditi, l'ammonizione ed esortazione all'osservanza dei precetti divini (Quaest. I, art. 9, pag. 13: Nam potestas Christi, qua nunc regnat, mediante Papa, tanquam mediante suo Vicario, consistit principaliter in tribus. Primo in debellatione tyrannorum. Secundo in ordinatione subditorum. Tertio in admonitione et exhortatione divinorum mandatorum). Involontariamente il Trionfo in questa enumerazione delle finalità cui è diretta l'istituzione del potere spirituale, concede alle cose temporali il primo posto nella giurisdizione pontificia.

In seguito, ispirandosi al "De Renunciatione papae" di Egidio e al proprio trattato "De potestate Collegii mortuo papa", il nostro autore affronta nuovamente la questione della validità dell'abdicazione al soglio papale e dell'estensione dei poteri del Sacro Collegio durante le vacanze della S. Sede, senza però aggiungere nulla di nuovo a quanto era già stato detto. L'elezione del Sommo Pontefice è affidata ai cardinali, come rappresentanti dei chierici romani perchè oltre che giudici e principi di tutto il mondo, sono anche titolari delle Chiese esistenti nella Città eterna, e il papa sebbene sia Pastore di tutta la comunità dei fedeli, è in modo particolare insignito della dignità di vescovo di Roma (Quaest. III, art. 1, pag. 28). Vescovi e cardinali, hanno gli uni e gli altri il diritto di fregiarsi del titolo di successori degli apostoli, ma i primi non li rappresentano, come i secondi, nella loro qualità di assistenti praesentialiter a Cristo o al suo vicario in terra, e perciò non spetta a loro eleggere il Capo supremo della cristianità (Summa de Potestate eccl., pag 27: Quamvis enim Episcopi repraesentent personas apostolorum: non tamen repraesentant personas eorum ut Christo, vel ipsi Papae vicem eius gerenti, praesentialiter astiterunt, vel assistunt; sed magis ut ipsi diffusi in orbem terrarum, quilibet aliquam partem mundi in sorte praedicationis acceperunt. Cardinales vero personas apostolorum repraesentant, ut Christo et Papae vicem eius gerenti praesentialiter astiterunt, vel assistunt, et ideo convenientius electio summi Pontificis fit per eos, quam per Episcopos, vel alios Praelatos Ecclesiae).

Una ragione inoltre di opportunità, il desiderio di evitare ritardi e confusioni, decise i legislatori della Chiesa ad affidare a poche persone un mandato così importante (Summa de Potestate eccl., pag. 28). Del resto come il capitolo riceve dal papa la potestà di nominare il vescovo (Quaest. I, art. 1, pag. 2 : Sed auctoritate Papae fit Praelatorum electio et eorum confirmatio), così il sacro Collegio dalla stessa sorgente del diritto, cioè dal Sommo Pontefice, deriva il suo potere elettivo (Quaest., III, art. 7, pag, 35). Come Egidio, Agostino Trionfo fonda sull'elemento umano, sul consenso dell'eletto e degli elettori, la causa efficiens dell'autorità spirituale. E Dio si serve degli uomini per non privare le creature delle loro operazioni, per non turbare l'ordine dell'universo, cum quaelibet res sit vana et frutra si privetur propria operatione (Quaest. II, art. 1, pag. 18). Non sempre però i disegni della Provvidenza sono assecondati dai cardinali che hanno l'onore di designare la persona che stimano adatta a salire sulla cattedra di Pietro. E non di rado avviene che i loro voti si riversino sul candidato meno degno, con grave scandalo e dolore dei fedeli (Quaest. I, art. V, pag. 8). Ma Dio permette questo male per trarne, secondo i suoi fini sapienti, il vantaggio delle creature e l'incremento della sua gloria. All'impero Agostino Trionfo dedica lunghe pagine. Gli elettori della più alta autorità laica non sono che delegati pontifici (Quaest. XXXV, art. 2, pag. 206). La storia è addotta in prova di questa asserzione.

Fu Gregorio V il vero fondatore del sacro romano impero, dell'organismo politico-religioso che ebbe tanta importanza nel medioevo. Convocati e interrogati i principi di Germania, il pontefice di Roma concesse a sette di essi, il re di Boemia, il duca di Sassonia, il conte Palatino, il marchese di Brandeburgo, gli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri, la potestà di eleggere l'imperatore (Summa de Potestate eccl.). L'assunzione di Ottone III, sovrano tedesco, all'antico trono dei Cesari, non fu perciò dovuta al caso, ma ad un disegno prestabilito dal papa. Il quale oltre che spinto dall'affetto verso quel monarca suo stretto congiunto, era animato da un sentimento di gratitudine verso il popolo germanico liberatore della Chiesa dall'oppressione dei Longobardi (Così asserisce l'autore confondendo i Franchi occidentali con i Germani), e fedelissimo in ogni tempo alle direttive della S. Sede. Ma queste ragioni, per così dire, estrinseche, non hanno un valore irrevocabile per il vicario di Cristo, che può, ove lo creda opportuno, mutare gli elettori, sceglierli da altre nazioni, cambiare il sistema di successione rendendolo ereditario

Anzi questa forma di trasmissione del potere, più adatta ad impedire lo scatenarsi delle ambizioni e le guerre sconvolgitrici delle nazioni, sarebbe da preferirsi (Summa de Potestate eccl., art. 7, pag. 210). Ma non sembra che il Trionfo abbia creduto alla necessità dell'istituzione della monarchia universale. Una sola volta, a proposito del versetto di Luca: "Omne regnum in se divisum desolabitur, et domus supra domum cadet" (Summa de Potestate eccl.), sostiene che vi debba essere l'imperatore per dirimere i conflitti internazionali (Quaest.: XXXV, art. 8, pag. 21). Ha invece un chiaro concetto della traslazione dell'impero. Egli afferma che il trapasso della suprema autorità temporale da un popolo all'altro, è un fatto antico e recente nella storia.

Nell'era cristiana fu effettuato dal papa, nell'età mosaica dai sacerdoti e profeti del vecchio Testamento. Samuele infatti dopo aver consacrato Saul, lo riprovò per le sue cattive azioni deponendolo dalla dignità regia che trasmise a David. Daniele espresse col famoso sogno della statua dal capo d'oro e dai piedi di argilla, l'autorizzazione da parte di Dio all'istituzione e allo svolgersi successivo dei quattro imperi che dovevano in varie epoche governare il mondo (Quaest. XXXVII, art. 1, pag. 219). Ma i due gloriosi personaggi del popolo ebraico non sono che pallide figure di Pietro e dei suoi successori (Summa de Potestate eccl. ). Seguendo S. Agostino (De Civit. Dei, Lib. V, c. 12), il Trionfo enumera le virtù che meritarono dal cielo ai Romani la gloria di creare il più forte organismo politico dell'antichità: la riverenza agli Dei, il valore e la clemenza verso i nemici, la fedeltà alla parola data e alla santità dei giuramenti, l'imparzialità nel rendere giustizia ai popoli soggetti (Quaest. XXXVII, art. 2, pag. 220). Il trasferimento della corte di Costantino da Roma a Bisanzio, segnò la fine dell'impero d'occidente. I sovrani greci col consenso del Sommo Pontefice ereditarono l'autorità degli antichi Cesari (Summa de Potestate eccl., art. 3, pag. 221).

E decaddero, in seguito, divenuti ribelli al papa, dal loro posto privilegiato che fu occupato dai Franchi, accorsi solleciti in Italia per tutelare la libertà della S. Sede minacciata dai Longobardi (La teoria della traslazione dell'impero era già stata formulata chiaramente da Gregorio IX in una lettera diretta a Federico II, in data 23 ottobre 1236 in cui aveva asserito che la S. Sede trasferendo l'impero ai Germani aveva usato dei suoi diritti, senza che essi fossero da questo atto menomati. "Sedes Apostolica transferens in Germanos... nihil de substantia sue iurisdictionis imminuens, imperii tribunal supposuit et gladii potestatem in subsecuta coronatione concessit. Ex quo iuri Apostolice Sedis et non minus fidei ac honori tuo derogare convinceris, dum factorem proprium non agnoscis". (Huillard Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, t. IV, II, p. 922).

Il concetto che lo Stato sia, sorto non dal diritto di natura, ma da un disegno della Provvidenza che voleva servirsi di esso per la difesa della Chiesa, è il filo conduttore che schiarisce al Trionfo i grandi avvenimenti di cui è intessuta la storia umana. Da questa concezione storica il nostro autore traeva la conseguenza che l'imperatore non è che un semplice ministro del papa, un vassallo del potere spirituale cui deve il giuramento di fedeltà (Quaest. XXXVIII, art. 4, pag. 227).

E non può esercitare validamente alcun atto di governo sulle nazioni a lui soggette, se non dopo la ratifica della sua elezione, da parte del romano pontefice, e la consacrazione e l'incoronazione (Quaest. XXXIX, art. 1-2, pagg. 227, 228). Al vicario di Cristo compete anche il diritto di chiamarlo al suo tribunale, di deporlo, per gravi motivi, dal trono; di scomunicarlo e di sciogliere i sudditi dall'obbligo dell'ubbidienza (Quaest. XL, art. 1, 2, 3, 4, pagg. 230-232). Il Trionfo non rievoca mai la forza della tradizione di Roma. Scomparsa la dinastia Carolingia, la capitale dell'impero fu spostata in Germania e l'autorità passò alla Casa di Sassonia (Quaest. XXXVII, art. 4, pag. 222). Ma la monarchia universale è ammessa per non dire tollerata, soltanto in quanto già esiste e può essere utile alla vita della Chiesa. E se ancora il sovrano di Germania riceve l'appellativo onorifico d'Imperator Romanorum, questo titolo non significa che egli sia l'eletto del popolo dell'eterna Città, ma che il suo dominio ebbe una volta origine nella vecchia terra del Lazio: ratione derivationis propter dignitatem (Summa de Potestate eccl.,: Imperator dicitur Rex Romanorum, non ratione electionis, vel nationis, sed propter dignitatem, ratione derivationis: quia inde derivatum est imperium: et ratione confirmationis et coronationis: quia ibi debet confirmari et coronari). L'universalità dell'impero è poi soltanto teorica, perchè di fatto molti principi sono indipendenti, e nell'avvenire vi è da temere piuttosto una maggiore divisione che una reintegrazione di questo grande organismo politico (Quaest. XLIII, art, 2, pag. 236), cui nondimeno il nostro autore concede una durata che avrà fine soltanto con la distruzione del mondo (Summa de Potestate eccl.., art. 1, pag. 236).

A molti trattatisti dell'età di mezzo era balenato il concetto di una vaga sovranità popolare. Giovanni di Parigi, sia pure tra incertezze e contraddizioni, asseriva che il popolo crea il Re e l'esercito l' imperatore, che il monarca è un semplice amministratore dello Stato (SCADUTO, Stato e Chiesa negli scritti politici della fine della lotta per le investiture sino alla morte di Ludovico il Bavaro. Firenze, Le Monnier 1882, p. 92. Mi sono avvalso dell'analisi delle teorie politiche di Agostino Trionfo contenuta in quest'opera nelle pp. 106-111. Per l'esame dei trattati minori del filosofo agostiniano e per l'esposizione e critica del "De Potestate ecclesiastica" di Egidio, mi hanno giovato i lavori citati dello Scholz).

Egidio stesso nel De Renuntiatione papae fonde insieme, come vedemmo, due teorie: quella dell'origine immediata da Dio di ogni autorità e l'altra della derivazione della potestas dal diritto di natura e di comunità. Questo principio novatore della sovranità popolare è poi chiaramente formulato, insieme a quello dell'elettività del potere, da Marsilio da Padova negli anni stessi che segnano il periodo della maggiore attività letteraria del Trionfo. Ma nel monaco agostiniano cercheremmo invano un'eco delle teorie che dovevano tracciare un solco così profondo nella nostra storia moderna.

Anche quando è costretto a domandarsi come mai pochi personaggi delegati dal papa possano eleggere l'imperatore, persona pubblica rivestita di una così alta ed universale autorità, il nostro scrittore risponde con una inconcludente ragione di metafisica: "Est dicendum, quod sicut dicit Philosophus 1° Met.: Actiones sunt suppositorum particularium. Ideo ius eligendi Imperatorum aliquibus personis particularibus committi oportuit" (Quaest. XXXV, art. 2, p. 207). La Summa de Potestate ecclesiastica si chiude con una invocazione alla Divinità: "Cum voluntate ergo recta et iusta, faciat nos aeternus Iudex in suo conspectu praesentari, ut satiemur, cum apparuerit nobis gloria eius, qui est benedictus in saecula saeculorum. Amen.".

Noi non possiamo negare al pio e teocratico scrittore di Giovanni XXII la sincerità e la rettitudine, e ai suoi scritti, dai maggiori ai minori, la coerenza che manca qualche volta a quelli di Egidio. Anche una profonda competenza nel diritto romano e canonico ed una vasta cultura in tutto lo scibile del suo tempo dobbiamo tributargli, ed il merito di averla usata con parsimonia e discernimento.

Nei trattati che abbiamo esaminato Trionfo ha esposto sistematicamente la teoria dei diritti della potenza pontificia. Riguardo alla supremazia dell'autorità ecclesiastica su quella civile anche nel temporale, egli ha completamente subito l'influenza dell'organizzazione politico-religiosa della società del suo tempo, senza che un dubbio sulla verità e giustizia dei principi che difendeva turbasse la sua mente. I migliori scrittori, nota Jean Rivière, lo trattano oggi senza misericordia. Il Card. Billot scrive nel Tractatus de Ecclesia Christi (T. II, Prato 1910, p. 79-80): "Quod Ecclesia non accepit a Christo potestatem ullam temporalem sive politicam, et quod directam in saecularia iurisdictionem ipsa sibi nunquam vindicavit. In hac assertione facillime, nunc saltem, convenient omnes. Quod si qui olim, quos recenset Bellarminus (De Rom. Pont. I, 5. c. I) in partem oppositam declinaverunt, vix ac ne vix quidem sunt attendibiles. Nam vel fuerunt iurisconsulti in theologia parum versati, vel theologi sat obscuri nominis... Quorum rationes, si quid demonstrant, demonstrant protinus absolutam causae inanitatem". E. Dublanchy a lato "de l'erreur niant au pape tout pouvoir dans les choses temporelles" segnala parallelamente "l'erreur attribuant au pape, en ces matières, une jurisdiction universelle immediate" (Rivière, op. cit. p. 373-374).

Ma i lavori che compose sono modelli di trattazione teologica come la richiedevano i tempi, e la loro dottrina, nel campo dell'ecclesiologia, fu in gran parte accettata dagli scrittori posteriori. Le somme del secolo XIII non avevano lasciato in questo ramo della teologia che sparsi elementi. Egli li raccolse in sistema e fissò la più antica esposizione dei caratteri essenziali alla natura della Chiesa e dei diritti spirituali del papato. La società dei fedeli è un vero regno che gode di molti privilegi e poteri che gli furono concessi dal suo divino Fondatore, ma come tutti gli organismi sociali costituiti da uomini, questo regno è governato da un capo visibile, il romano pontefice, che rappresenta il figlio di Dio, capo invisibile. La posizione del papa in rapporto a Cristo e ai membri della gerarchia ecclesiastica, l'estensione dei suoi poteri dottrinali e legislativi furono bene determinati e coordinati dai nostri filosofi, e la teologia del papato non riposa, si può bene asserire, su altre basi.