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Ugo Mariani: VITA E OPERE DI GIACOMO DA VITERBO

Giacomo da Viterbo, immagine dalla Libreria del convento di S. Barnaba a Brescia

Giacomo da Viterbo

Libreria del convento

di S. Barnaba a Brescia

 

 

VITA E OPERE DI GIACOMO DA VITERBO

di Ugo Mariani O.S.A.

 

 

 

Di questo insigne filosofo e scrittore politico gli storiografi contemporanei tramandarono poche notizie. Delle sue opere, soltanto la maggiore, il "De Regimine Christiano", è stata pubblicata agli inizi del '900 (Una prima volta da G. L. Perugi, "Il de Regimine Christiano" di Giacomo Capocci viterbese, Roma Tip. Universo 1914, in un'edizione basata su un solo codice della fine del secolo XV, conservato nella Biblioteca Angelica (ms. 130), e poco più tardi con un apparato critico ben diverso da H. X. Arquillière, Le plus ancien traité de l'Eglise Jaques de Viterbe, de Regimine Christiano. Paris, G. Beauchesne 1926), le altre, e alcune veramente pregevoli, come le questioni disputate in Parigi, "De praedicamentis in Divinis", sono ancora ai nostri giorni inedite e neglette. Eppure questa interessante figura di dotto e di santo, che scrisse libri catalogati fra le opere classiche nella lista ufficiale pubblicata dall'Università di Parigi il 25 Febbraio 1304 (Denifle, II, p. 109), che occupò un degno posto fra gli scrittori politici del suo tempo, avrebbe meritato una sorte diversa. Ma alla sua fama nocque forse la gloria di Egidio Romano, suo maestro, nocque soprattutto l'esser vissuto in uno dei grandi secoli del pensiero umano, nel quale numerosissime furono le personalità e soltanto i sommi s'imposero all'attenzione dei contemporanei e alle ricerche amorose dei posteri. Ignoriamo la famiglia cui egli appartenne, l'anno di nascita e l'anno del suo ingresso nell'Ordine degli Eremitani di S. Agostino. Jacobus de Viterbio, dal nome della città dove ebbe i natali, viene detto dagli scrittori che fino al secolo XVI parlarono di lui. Il primo degli storiografi agostiniani a farlo discendere dalla famiglia dei Capocci, fu Maurizio Terzo da Parma († 1581), cui la morte impedì di pubblicare le opere di Giacomo da Viterbo da lui diligentemente raccolte. Ma del filosofo agostiniano, che aveva onorato la cattedra teologica dell'Università di Parigi, egli stese una breve biografia che il Mazzocchi pubblicò nel 1753 (ALESSIO SIM. MAZZOCCHI, De Sanctorum Neapolitanae ecclesiae Episcoporum cultu, T. I, Appendix, Monumentum V, pag. 412sg).

"Fuit, dice Maurizio Terzo, ex-nobili familia de Cappociis, quae multorum virorum illustrium fecunda mater fuit". Ma proprio in quegli anni (1561) Giuseppe Panfilo (JOSEPH PAMPHILUS, Chronica Ordinis Fratrum Eremitanum S. Augustini, Romae 1581, pp. 35-36), e in seguito nel 1644 Tommaso Herrera (T. HERRERA, Alphabetum Augustinianum, Madrid 1644. Vol. I. p. 369) e nel 1678 Luigi Torelli, non fanno menzione alcuna, scrivendo di Giacomo da Viterbo, della famiglia da cui sarebbe derivato. Anzi Luigi Torelli, esplicitamente asserisce che, "quantunque sappiamo di certo che questo buon servo di Dio nacque nella famosa e nobile città di Viterbo, degna metropoli del Patrimonio di S. Pietro, tutta volta non sappiamo poi, per la poca diligenza dei nostri antichi Padri, né quali fossero li di lui genitori, nè l'anno preciso in cui egli nacque né altra cosa della stia puerizia" (L. TORELLI, Secoli Agostiniani, Bologna 1678, T. V, p. 276. Degli storici non agostiniani il MAZZOCCHI, op. cit., T. I, p. 187, lo deriva dalla famiglia Capocci attingendo alla biografia di Maurizio Terzo. Ma BARTOLOMEO CHIOCCARELLI, per limitarmi ai maggiori, nell'opera Antistitum Neapolit. Ecclesiae Catalogus, MDCXLIII, pag. 190; F. UGHELLI nell'Italia Sacra, in Episcopis Beneventanis et Neapolitanis, T. VI, col. 119-120 e T. VIII, col. 143, tacciono affatto il casato del nostro filosofo; e GIUSEPPE SIGNORELLI nel suo studio su Viterbo nella storia della Chiesa, Vol. I, lib. III, p. 119, nega senz'altro ch'egli appartenesse alla famiglia Capocci). Soltanto dal Secolo XVIII in poi gli storici concordano nel farlo discendere dalla nobile stirpe dei Capocci, ma per quante ricerche siano state fatte nell'Archivio Comunale di Viterbo, non sono mai state trovate menzioni del nostro agostiniano fra i personaggi della nobile famiglia. La stessa oscurità avvolge l'anno della sua nascita. Sappiamo che nel 1281 era egli studente nell'Università di Parigi. Ce ne fa fede una definizione del Capitolo celebrato in detto anno in Campiano dagli Eremiti di S. Agostino della Provincia Romana, con la quale fu stabilito che tanto a lui quanto ad altri dei suoi confratelli si dessero dieci fiorini d'oro per comperare libri e sostenere le spese di ritorno da Parigi (Analecta Augustiniana, Vol. II, p. 246, Capitula antiqua Provinciae Romanae O. N.: "Item in eodem Capitulo provinciali imposita fuit et ordinata Maxima Collecta pro tribus studentibus, sive lectoribus novis, videlicet, pro fratre Bernardino, frate Jacobo de Columpna, Romano, et frate Iacobo de Viterbio, pro quolibet preditorum provisio integra librorum, sicut preordinatum fuit in Capitulo Generali Paduano; et pro quolibet expense redditus eorum de Parisiis, scilicet, X floreni auri pro quolibet").

I Padri Capitolari lo appellano lector novus. I lectores novi erano gli studenti che tornati, o in procinto di tornare da Parigi, dopo aver compiuto gli studi di teologia, che duravano cinque anni, erano insigniti del grado accademico di lettore (Analecta Augustiniana, Vol. II, p. 229, Nota 1). Se dunque Giacomo da Viterbo, terminato il quinquennnio (Secondo gli statuti dell'Università di Parigi, gli studenti di teologia dovevano frequentare sette anni, se secolari, sei anni se regolari, le lezioni della facoltà teologica. Cfr. DENIFLE, Chart., T. II, p. 692. Il sessennio fu poi, per gli Agostiniani, ridotto di un anno, come risulta dagli atti dei vari Capitoli della Provincia Romana fin dal 1273) nella facoltà teologica dell'Università di Parigi, si accingeva nel 1281a fare ritorno in Italia, non più tardi del 1275-1276 doveva essersi recato nella Metropoli francese. Fin dal 1260 affluivano a Parigi i migliori giovani dell'Ordine Agostiniano. Gli alunni erano inviati in via generale giovanissimi in Francia: soltanto in casi speciali, quando l'Ordine non era pressato da bisogno urgente di avvalersene, i lettori potevano anche dopo i 35 anni di età lasciare le case di studio italiane e recarsi a Parigi (Constit. Ord. Eremit. S. Aug., Ratisbonenses nuncupatae, Ed. Venetiis 1508, f. 32: "Statuimus etiam et precipimus inviolabiter observari ut nullus, qui tricesimum quintum annum aetatis attigerit, vadat Parisius ad studendum nisi sit tam sufficientis scientie et subtilis ingenii inventus, quod pro communitate et commoditate Ordinis generale Capitulum vel Prior generalis decreverit aliter obeservandum. Nolumus tamen ad lectores, qui interdum mittuntur Parisius ut ad Magisterium perveniant theologice facultatis, presentem costitutionem extendi"). Computando che Giacomo da Viterbo avesse vent'anni quando lasciò il convento Agostiniano di Viterbo, eretto nel 1258, dove aveva compito i primi studi detti delle Arti, e divisi in Logica, Filosofia e Metafisica, l'anno della sua nascita è da riportarsi al 1255-1256, e il suo ingresso nell'Ordine verso il 1270. Tornato in Italia, i suoi confratelli ebbero si subito l'opportunità di servirsi dell'opera sua. Nel Capitolo della Provincia Romana tenutosi a Cori nel 1283, nel mese di Maggio, i Padri Capitolari, avendo fatto un compromesso fra loro, rimisero l'elezione di tutti gli ufficiali della Provincia alla prudenza ed all'arbitrio del Padre Egidio Romano, allora baccelliere dell'università di Parigi. "Auctoritate dicti compromisi", Giacomo da Viterbo fu eletto definitore della Provincia (Analecta, Vol. II, Capitula Antiqua Provinciae Romanae O.N., p. 247). Un anno dopo, celebrandosi un nuovo Capitolo a Genazzano, eletto già il Provinciale, i Padri Capitolari, per l'elezione degli altri officiali, convennero di rimettersi per la seconda volta alle decisioni del "Venerabile Padre frate Egidio Romano". Giacomo da Viterbo fu designato visitatore della Provincia Romana (Ibidem, p. 248). Un terzo compromesso ebbe luogo nell'anno 1285 nel Capitolo celebrato a Tuscania, nel mese di Maggio, e il P. Egidio Romano elesse il nostro Giacomo definitore della Provincia (Analecta, p. 248). Ma dovette tornare quasi subito a Parigi. Infatti nel Capitolo Provinciale adunatosi in S. Nicola di Stretto nel Maggio 1288, egli è nominato come assente e insignito del titolo di baccelliere parigino (Ibid., p. 272). Fra il maggio dunque 1285 (Capitolo di Tuscania) e il maggio 1288 (Capitolo di Stretto) dovette egli fare ritorno in Francia. Fu probabilmente nell'inizio dell'anno scolastico 1287-1288, cioè nell'ottobre del 1287, che ottenne il baccellierato (Ibid., Vol. IV, p. 403), la prima tappa nei corsi di Parigi, per arrivare alla licenza e quindi al magistero. Nel maggio 1290 Giacomo da Viterbo era ancora baccelliere: "baccellarius parisiensis" viene egli appellato in una definizione del Capitolo Generale celebrato dal suo ordine in Ratisbona (Analecta, Vol. II, p. 292: "Item diffinimus quod si vendatur locus de monte Raccanensi, frater Jacobus de Viterbio, baccellarius parisiensis, habeat XXV florenos aureos"). Lo era ancora due anni dopo quando nel Capitolo provinciale di Viterbo, gli furono assegnati otto fiorini d'oro "pro ordinata provisione sua" (Ibidem, p. 341: "Pro fratre Jacobo viterbiensi, baccellario Parisiensi, pro ordinata provisione sua VIII flor."). Nel maggio invece del 1293 una definizione del Capitolo provinciale di Orvieto lo nomina col titolo di dottore in S. Teologia (Ibid., p. 346: "Pro fratre Jacobo de Viterbio, Magistro nostro novo, pro provisione sua annuali, VIII flor. auri"). Era stato dunque incorporato nel gruppo dei maestri: lo avevano proclamato dottore con tutta probabilità sulla fine dell'ottobre o nel principio del novembre 1292, mentre si iniziava il nuovo anno scolastico. Egli rimase lungo tempo ancora a Parigi: era uno dei maestri actu regentes, di quelli cioè che non contenti di un titolo onorifico continuavano il professorato effettivo, e riprese le sue lezioni pubbliche. Le spese per la nomina dei dottori non erano indifferenti. Gli furono assegnati venticinque fiorini d'oro pro gratia promotionis Magisteri sui. Nel capitolo provinciale di Veroli, cfr. Analecta, loco cit., p. 365. Facendosi menzione a pag. 366, nella colletta di questo capitolo, di spese sostenute da Giacomo da Roma, lettore, per recarsi a Perugia presso la Curia Romana che allora risiedeva in questa città, nell'interregno seguito nel governo della Chiesa alla morte di Niccolò IV, cum fratre Jacobo de Viterbio, per una missione che ignoriamo, alcuni credettero che il nostro Giacomo tornasse subito, dopo la laurea dottorale, in Italia. Ma evidentemente trattasi di un altro Giacomo da Viterbo, perché non gli si attribuisce il titolo di Maestro, e lo si nomina dopo Giacomo da Roma, semplice lettore.

Egli era ormai considerato dai confratelli come uno dei soggetti brillanti dell'Ordine; nel 1295 il Capitolo Generale di Siena ebbe occasione di occuparsi di Giacomo da Viterbo in un modo lusinghiero per lui, incaricandolo di "scribere et facere opera in Sacra pagina" e sovvenendolo, a tale uopo, largamente di danaro (Analecta, vol. II, p. 371: "Cum sit nostrae intentionis et velimus omnino quod frater Jacobus de Viterbio, Magister in Sacra theologia, debeat scribere et facere opera in Sacra pagina, diffinimus quod singulis annis debeat habere ab Ordine pro qualibet provincia unum florenum de auro pro scriptoribus et cartis, et aliis necessitatibus opportunis. Diffinimus et concedimus fratri Jacobo de Viterbio, magistro nostro, centum florenos de denariis comunitatis Ordinis, quos mutuavit sibi frater Rogerius de Florentia, Magister, quos florenos non teneatur sibi reddere nec Ordini nostro"). E per non distrarlo dall'opera intrapresa, non affidarono a lui altri incarichi e non lo menzionarono più nei capitoli della provincia fino all'anno 1299, se non incidentalmente, per ricordare la solita assegnazione annuale di otto fiorini d'oro (Ibid., p. 388, Capitolo provinciale di Montefiascone, p. 390, Capitolo provinciale di Viterbo, p. 397, Congregazione di Viterbo). Nel Settembre del 1299, fu designato dalla Congregazione tenuta a Viterbo a definitore per il Capitolo Generale che doveva tenersi l'anno seguente a Napoli (Analecta, Vol. II, p. 486: "Et officiales Capituli Generalis futuri cassaverunt, alios novos eligendo, videlicet, fratrem Jacobum de Viterbio, Migistrum, elegerunt in diffinitorem Capituli Generalis etc"). Venne egli infatti in questa città, insieme agli altri Padri Capitolari, e dovette rimanervi perché il Capitolo Generale gli affidava la direzione dell'insegnamento nello "Studio Generale" che gli Agostiniani in quella città possedevano (Analecta, Vol. III, p. 19: "Item in Studio Generali Neapolitano legat ibi frater Jacobus de Viterbio, Magister noster").

Era presente al Capitolo di Napoli Re Carlo II d'Angiò (Ibid., p. 14: "Hec sunt Diffinitiones facte in Generali Capitulo in conventum Neapolitano celebrato ... tempore domini Bonifatii pape, Pontificatus eiusdem anno sexto. Et in presentia domini Regis Karoli secundi". Due testimoni oculari, Giordano di Sassonia in "Vitas fratrum", lib. II, cap. 4, ediz. Roma 1587, p. 68, ed Enrico di Urimaria, nel suo trattatello "De origine et progressu Ordinis fratrum Eremitarum S. Augustini", pubblicato dal Rev. mo P. E. Esteban nel vol. IV degli Analecta Aug. 1911-1912, pp. 279 ss., 298 ss., 321ss. ci tramandarono un esempio insigne di umiltà dato da Giacomo da Viterbo in questo Capitolo. Riferiamo le parole di Enrico de Urimaria: "Octavus fuit (accenna ai priori Generali che governarono gli Eremitani di S. Agostino nei primi decenni dopo la riunione e costituzione dell'Ordine avvenuta sotto Alessandro IV nel 1256) frater Augustinus de Stanno, vir magne sanctitatis et miri rigoris pro iustitia, et maximi zeli pro honore ordinis quod in mei presentia et capitulo Neapolitano probatum fuit evidentissimo documento. Nam cum venerabilis pater magister Jacobus de Viterbio, sacrae theologiae professor dignissimus, qui propter vite et scientie sue merita proximo anno sequenti capitulum certatim et concorditer electus fuit pro archiepiscopo in duobus ecclesiis metropolitanis, videlicet Neapolitana et Beneventana, me presente requisitus esset, ut venerabilem patrem fratrem Augustinum, priorem generalem, informare vellet de quondam casu tangentem quandam personam provincie mee, nobilis conditionis, et singularis vite et scientie, cuius puritatem ego optime novi, que tamen persona, me existente in provincia Francie, ab aliis personis eiusdem provincie minus juste et vere eidem patri nostro generali diffamata fuerat, ipse frater Augustinus tunc generalis, ex zelo ordinis et detestatione criminis in quo predicta persona fuerat minus juste diffamata, convocato toto capitulo generali, non considerata reverentia tante persone, ex zelo ordinis, licet forte minus juste masticato, dixit ista verba: 'Fratres Karissimi, dolenter vobis denuncio quod fratres quidam, per ordinem enutriti et in statu honoris positi, sic sue rependunt matri Religioni, quod fratres defectuosos et vitiosos nituntur excusare et defensare'. Ad que verba predictus venerabilis Magister Jacobus, considerans quod predicta obiurgatio, licet minus cauta et provida, non procederet nisi ex corde puro et zelo fervido tanti patris, surrexit coram omnibus fratribus et humiliter respondit ista verba: 'Pater, protestor coram Deo et vobis si quid in ista materia locutus sum, hoc feci ex sincero animo et puro corde pro bono ordinis: tamen si vobis videtur quod in hoc offenderim, dico meam culpam Deo et vobis et paratus sum emendare'. Ad quod responsum tante humilitatis et reverentie omnes fratres stupefacti et medulitus emendati, animus predicti patris fratris Augustini totaliter conquievit. (Analecta, Vol. IV, p. 326)).

Forse fin d'allora l'umile monaco dovette ispirare simpatia al potente sovrano. Certamente all'attività del nostro Giacomo si aprì a Napoli un più vasto campo. Quando Giacomo da Viterbo fu chiamato a reggere lo "Studio Generale" che gli Agostiniani avevano fondato a Napoli, si era vicini al trattato di Caltabellotta (29 Agosto 1302), che doveva ridare la pace al mezzogiorno d'Italia e permettere a Carlo II di volgere la mente a riordinare il proprio regno e a consolidare il proprio dominio. Il discepolo di Egidio da Roma dovette ben presto salire in fama nella capitale del mezzogiorno. Vi era giunto con l'aureola dell'insegnamento di Parigi, aveva forse con sè recato un'eco delle grandi lotte fra le varie tendenze filosofiche della prima Università di Europa, si doveva guardare a lui come ad uno dei grandi luminari che in quell'epoca rappresentavano una scuola filosofica e teologica illustrata con dotte opere, sostenuta con forte ardore di fede e di polemica. A Napoli egli scrisse, come vedremo, il suo libro migliore, il "De Regimine Christiano". Dovette subito attirarsi le simpatie e la protezione di di re Carlo. L'occasione per attestare al brillante professore la benevolenza regale non doveva farsi attendere: con bolla del 3 settembre 1302 Bonifacio VIII lo nominava arcivescovo di Benevento. Proprio allora il fiero Pontefice aveva forse letto la dedica a lui rivolta nel "De Regimine Christiano", un libro che rispecchiava così bene le sue idee politiche sul papato, e si mostrò grato all'autore lodandolo come adorno di molte virtù, "eminenti litterarum scientia preditum, virum quoque vite preclare, conversationis humillime, morum honestate decorum... in spiritualibus providum et in temporalibus circumspectum" [ Arch. Vat. Reg. an. VIII, f. 210v. Dilecto filio fratri Jacobo electo Beneventano. Recte tunc ecclesiarum utilitatibus prospicitur et indemnitatibus precavetur, cum viris discretis et providis earum cura committitur et viduatarum regimini pastores ydonei preponuntur. Unde nos, cui ex apostolatus officio imminent de universis ecclesiis sollicite cogitare, maxime circa ipsas attendimus et ad id propensius vigilamus, ut per bonos et dignos gubernentur rectores, per sufficientes et eruditos ministros spiritualium floreant et per dispensatores prudentes temporalium proficiant incrementis. Nuper siquidem Beneventana ecclesia per liberam resignationem dilecti filii Adenulphi, quondam archiepiscopi Beneventani, in manibus dilecti filii nostri Petri Sancte Marie nove diaconi cardinalis sponte factam, et ab eo de mandato nostro receptam, solatio destituta pastoris, nos provisionem faciendam dicte ecclesie de prelato dispositioni sedis apostolice specialiter reservantes decrevimus ex tunc irritum et inane si secus super his contigerit attemptari, et deinde de ipsius ecclesie ordinatione celeri, ne vacationis exposita remaneret incomodis attentius cogitantes, per vigilem qnam ad preficiendum ibidem approbatam et fide dignam personam apponimus diligentiam, ad te, ordinis fratrum Heremitarum professorem in sacerdotio constitutum, quem eminenti litterarum scientia predictum, virum quoque vite preclare, conversationis humillime, morum honestate decorum, discretionis et consili maturitate conspicuum, in spiritualibus providum et in temporalibus circumspectum ac aliis virtutum donis divinitus tibi traditis multipliciter insignitum novimus, direximus oculos mentis nostre: proinde igitur tam gregi dominico, quam dicte eeclesie intendentes salubriter providere, e de fratrum nostrorum consilio et apostolice plenitudine potestatis eidem ecclesie in archiepiscopum prefecimus et pastorum, et subsequenter tibi fecimus per venerabilem fratrem nostrum Th[eodoricum] episcopum Civitatis papalis, munus consecrationis impendi, in illo qui dat gratias et largitur premia confidentes quod ecclesia supradicta per tue industriam providentie a noxiis preservabitur et adversis, optate quoque prosperitatis spiritualiter et temporaliter proficiet incrementis. Quocirca dilectioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus impositum tibi onus a domino devote supportans, curam et administrationem eiusdem ecclesie sic diligenter geras, et sollicite prosequaris, quod ipsa gubernatori circumspecto et fructuoso administratori gaudeat se commissam et bone fame tue odor ex laudabilibus tuis actibus latius diffundatur, ac preter benedictionis eterne premium benevolentiae nostre gratiam exinde plenius consequaris. Datum Anagnie tertio nonas Septembris anno octavo.] Ma il novello arcivescovo era destinato ad onori maggiori. Preso appena possesso della sede a lui affidata, un'altra bolla del Pontefice, nello stesso anno, a dì 12 dicembre, lo trasferiva a quella di Napoli (Arch. Vat., Reg. an. VIII, f. 235. Venerabili fratri Jacobo archiepiscopo Neapolitano. Summi providentis principis, cuius ineffabilis potentie magnitudo celestia pariter et terrena disponit, sublimi culminis aspostolici solio, licet immeriti presidentes, ad universas orbis ecclesias, presertim cathedralibus titulis insignitas, aciem considerationis extendimus, et de ipsarum statu propensioribus studiis cogitamus, opem et operam intendendo sollicitam, et apostolici favoris auxilium adhibendo ut cum illas contingit pastorum gubernatione destitui, et carere praesidio defensorum, eis ne prolixe vacationis experiantur incomoda (et) dispendiis pregraventur, per nostram curiosam solertiam, pulsis procul obstaculis et impedimentis quibuslibet eminus profugatis, celeris provisionis et utilis votiva celebritas illucescat. Pridem siquidem Neapolitana ecclesia per obitum bone memorie Phi[lippi] archiepiscopi Neapolitani, in illis partibus decedentis, pastoris solatio destituta, nos vacatione hujusmodi, ejusdem ecclesie fide dignis relationibus intellecta, gerentes erga prefatam ecclesiam, utpote fidelem, et devotam sedis apostolice filiam, spiritualis devotionis effectum, ipsamque favore precipuo confoventes, et propterea intendentes sollicite ei de persona, que iuxta suorum exigentiam meritorum, tanto congrueret honori et oneri, providere, provisionem eiusdem ecclesie, a die qua ecclesia ipsa vacavisse dinoscitur, dispositioni apostolice sedis et nostre ea vice auctoritate apostolica duximus reservandam. Decernentes ex tunc irritum et inane si quid contra huiusmodi reservationis nostre tenorem, scienter vel ignoranter a quoquam contigerit attemptari. Et demum, levantes in circuitu oculos nostre mentis, et ad personam tuam, quam propter grandia probitatis merita, et aliarum virtutum insignia, nobis utique non ignota, quibus te bonorum dator altissimus decoravit, quamque ad ipsius ecclesie Neapolitane regimen credimus et speramus fore per utilem et multipliciter fructuosam, considerationis aciem extendentes, ac intendentes patris more solliciti ecclesie prelibate profectibus eiusque statui utiliter providere, te, dudum Beneventanum archiepiscopum, a vinculo, quo ecclesie Beneventane tenebaris affectus, absolvimus, teque ad eandem Neapolitanam ecclesiam transferentes ipsi Neapolitane ecclesie de fratrum nostrorum consilio et apostolice plenitudine potestatis, te in Archiepiscopum preficimus et pastorem, curam et administrationem ipsius tibi in spiritualibus et temporalibus committendo, utique subsequenter palleum, plenitudinem vidilicet pontificalis officii, de corpore beati Petri susceptum, et a te, cum ea qua decuit instantia postulatum, ad nomen et usum eiusdem Neapolitane ecclesie per dilectos filios nostros M. Sancte Marie in Porticu, et L. Sancti Angeli, ac B. Sancti Eustachii diaconos cardinales fecimus exhiberi, plenam tibi et liberam tribuendo licentiam ad prefatam Neapolitanam ecclesiam transeundi, firma concepta fiducia, speque nobis indubia suggerente, quod eidem Neapolitane ecclesie per tue occulate circumspectionis industriam, tuumque ministerium studiosum divina favente clementia, votive prosperitatis incrementa provenient et honoris multiplicis cumulus producetur. Quocirca fraternitati tue per apostolica scripta mandamus quatenus acceptans humiliter translationem huiusmodi de te factam et reverenter supportans impositum a domino tibi onus, ad predictam Neapolitanam ecclesiam cum gratia nostre benedictionis accedas, gerens sollicite curam eius, gregem dominicum in illa tue vigilantie concreditum doctrina verbis et operis informando, ita quod ecclesia ipsa per tue diligentie studium laudabilibus in spiritualibus et temporalibus auctore domino proficiat et consurgat augmentis. Datum Laterani, jj idus Decembris, anno octavo.

Con la stessa data papa Bonifacio inviava a Re Carlo la seguente lettera che si ha nello stesso foglio degli stessi Regesti: "Carissimo in Christo filio Carolo regi Sicilia Illustri. Inter cetera que te reddunt, fili carissime, Deo gratum, et fidelium populis exhibent gratiosum, illud potissimum et speciale fore dinoscitur, ut tui regni prelatos, et eorum ecclesias ac bona et iura ipsorum favoris Regii ope confoveas et tuitionis optate presidio prosequaris, ut sub tui dominii tempore in pacis pulcritudine sedeant et quiescant in requie opulenta. Pridem siquidem etc. ... usque producetur. Quocirca Serenitatem Regiam rogamus et hortamur attente quatenus eundem archiepiscopum, quem ob suorum exigentiam meritorum benevolentia (sic) prosequimur speciali, et commissam ei ecclesiam habens, pro nostra et apostolice Sedis reverentia propensius commendatos, sic te prefato Archiepiscopo benignum exhibeas, sic favorabilem largiaris, ipsum et eandem ecclesiam Regali benevolentia prosequendo, quod idem Archiepiscopus tuis presidiis circumfultus, commisum sibi regimen facilius et efficatius cooperante Domino exequatur. Nosque proinde magnitudinem Regiam dignis in Domino laudibus attollamus. Datum ut supra).

Era la via aperta ai più alti onori che la Chiesa potesse dare ad un figlio illustre e devoto. L'attività dell'antico maestro di teologia innalzato ai supremi fastigi delle dignità ecclesiastiche, dovette essere notevole, importanti le opere che egli dovette compiere nel governo pur troppo breve della Chiesa di Napoli. Ma a noi non rimangono che pochi documenti di questa attività, non altro che alcune lettere e decreti di Carlo II e Roberto d'Angiò, conservate nei loro regesti, comprovanti, per le frasi deferenti e affettuose rivolte a Giacomo da Viterbo, lo zelo di lui nell'assolvere il compito affidatogli. Spigolando nei regesti Angioini degli anni 1302-1307 (Biagio Cantera ha raccolto diligentemente dai regesti Angioini e pubblicato i documenti riguardanti il B. Giacomo da Viterbo, Napoli 1888, Tipografia dell'Accademia Reale delle Scienze) non poche volte troviamo menzionato l'arcivescovo di Napoli e non pochi elogi tributati ai suoi meriti singolari (CANTERA, pp. 9-11: in una lettera a Carlo di Lagonessa cui commette la cura dei beni che la Chiesa di Benevento aveva in Montesarchio ed in altre terre, Carlo II, in data 2 Ottobre 1302, diceva di Gacomo da Viterbo: "Ad omnes ecclesiarum prelatos pro ecclesiasticae reverentia dignitatis sincere habemus in domino caritatis affectum, set dum specialium dona virtutum et splendorem scientie specialem venerabili in Christo patris fratris Jacobi de Viterbio sacre theologie magistri, archiepiscopi Beneventani, Apostolica noviter assumptione provisi diligenter attendimus dum conversationem eius amabilem nobis experientia diuturna pensamus prosecutionem eius et in eo ipsius beneventane ecclesie speciali affectu et propitatione precipua duximus assumendum etc..."). Lo si chiama spesso consigliere e famigliare del Re (CANTERA, p. 13. Re Carlo ordina al giustiziere di Terra di Lavoro ed al capitano di Napoli di mantenere nel pacifico possesso dei beni della Chiesa Napolitana Fr. Giacomo Arcivescovo, "pro reverentia venerabilis patris Jacobi Dei gratia Neapolitani archiepiscopi nuper assumpti pastoris illius dilecti consiliarii et familiaris nostri". Espressioni consimili si trovano in quasi tutti i documenti pubblicati dal Cantera): basta la sua testimonianza a rendere valido un testamento contro il quale si era intentato giudizio di nullità per mancanza di forme legali (CANTERA, p. 20 ss); a sua istanza si grazia un omicida condannato a morte e gli si commuta in altre più leggere, la pena capitale (Ibid., p. 44 ss.). Una delle sue maggiori preoccupazioni e benemerenze fu il novello impulso che diede ai lavori in corso per l'erezione della nuova Cattedrale.

Distrutta la Stefania, una delle più belle e ricche chiese del Medio Evo, Carlo I d'Angiò fece gettare le fondamenta dell'odierno Duomo, ma per la sua morte, avvenuta in Foggia nel Gennaio del 1285, si dovettero sospendere i lavori appena incominciati, che furono ripresi nel 1294 per l'interessamento di Carlo II e dell'Arcivescovo Filippo Minutolo, e terminati nel 1314 sotto Roberto di Angiò (GALANTE, Guida Sacra della città di Napoli, Napoli 1873, p. 2). La costruzione di questa grandiosa basilica dette modo a Giacomo da Viterbo di spiegare tutta la sua mirabile attività. A sua istanza probabilmente il re di Napoli ordinò, con lettera in data 27 settembre 1303, all'Università di Napoli di sborsare il danaro promesso per l'erezione della cattedrale (CANTERA, op. cit., p. 19), e con lettera del 4 Giugno 1305 impose il pagamento delle decime destinate a questo scopo (Ibidem, p. 23 ss). Abbisognando gran quantità di legname che doveva trasportarsi dalla Calabria per la copertura dell'edificio, lo stesso re concedeva la franchigia da qualunque gabella per il trasporto del materiale, purché si presentassero "testimoniales litteras Venerabilis Patris Domini Jacobi Neapolitani Archipiscopi dilecti consiliarii familiaris et fidelis nostri" (Ibidem, p. 27 ss). Con decreto emanato l'8 Marzo, Roberto duca di Calabria accordava il permesso delle armi a coloro che lavoravano per la costruzione della Cattedrale purché fossero muniti dell'attestato dell'Arcivescovo (Ibid., pp. 53-54). Anche a Bonifacio VIII chiede Giacomo da Viterbo aiuti e sussidi per la Diocesi. Si ha nota nei regesti di papa Gaetani di un prestito concesso all'arcivescovo di Napoli da alcuni banchieri toscani con il consenso del Pontefice (Arch. Vatic. Reg. Vatic. 50, f. 235v. ep. 321. Bonifatius episcopus servus servorum Dei ven. fr. J(acobo), archiepiscopo Neapolitano etc. Cum sicut in nostra proposuisti presentia constitutus, tam pro tuis necessariis quam pro ecclesie Neapolitane negotiis apud Sedem Apostolicam expediendis utiliter, te subire oporteat magna onera expensarum, nobis humiliter supplicasti, ut usque ad summam sex milium et quingentorum florenorum auri mutuum contrahendi, sub modis et formis infrascriptis sine quibus creditores te putas invenire non posse, largiri tibi licentiam dignaremur. Nos ergo, de tua tam in hiis quam in aliis circa tua et ipsius ecclesie negotia utiliter promovenda et expedienda circunspectione ac diligentia confidentes et nolentes quod propter ipsarum expensarum defectum indigentiam patiaris, vel quod eadem negotia inexpedita remanere contingant, tuis supplicationibus inclinati, fraternitati tue contrahendi mutuum propter hoc usque ad summam sex milium et quingentorum flor. auri, nomine tuo et ipsius ecclesie etc. ut in forma usque in fine licentiam elargimur. Dat. Lateran. XVII Kal. Januarii, An. octavo. Nei Regesti questi modi e queste forme non vengono poi specificate. Ibidem f. 253: Bonifatius etc: dilectis filiis... decano Meldensi et... archidiacono Tiburtino ac magistro Odoni de Sermineto, Camere nostre clerico, canonico Xanctonensi. Exponente nobis pridem ven. fratre nostro (Jacobo), archiepiscopo Neapolitano quod tam pro suis necessariis quam pro ecclesie Neapolitane negotiis apud Sedem Apostolicam expediendis utiliter, ipsum subire oportebat magna onera expensarum, ac supplicante ut usque ad summam sex millium quingentorum flor. auri mutuum contrahendi etc. etc... (ut in forma usque in exceptionibus eiusdem) a dilectis filiis Balducio Fioravanti et Iohanne Puccii de Pistorio de Clarentum et a Facio Miczoli et Nicolao Galligari de Florentia mercatoribus, de Scalarum Societatibus, mutuantibus pro se ipsis et pro ceteris eorum sociis mercatoribus et societatibus supradictis, pro necessariis et negociis eisdem, mutuo recepit predictam summam pecunie sex millium et quingentorum flor. auri, videlicet a predictis Balducio et Iohanne trium millium et quingentorum et a prelibatis Facio et Nicolao trium millium flor. auri, certis eisdem Mercatoribus locis et terminis persolvenda, prout in Instrumentis publicis etc. ut in forma usque in fine. Dat. Lateran. III Id. Januari, an. octavo).

Il danaro prestato ammontava a seimilacinquecento fiorini d'oro. Oltre la piena fiducia di Carlo I, Giacomo da Viterbo ottenne attestati di stima e prove di benevolenza da Roberto d'Angiò, allora duca di Calabria. Il Cantera riporta vari decreti del giovane principe che concede favori al proprio Arcivescovo con frasi affettuose e deferenti. Un altro documento inedito, per caso a lui sfuggito, ho potuto trovare nei regesti Angioini: una lettera in data 28 Maggio 1307, con la quale si concede il porto d'armi ai famigliari, procuratori, ufficiali, ai guardiani delle foreste e delle fattorie dell'Arcivescovo di Napoli, prestando consenso, dice il diploma, (e sono da notarsi le parole rispettose e cordiali): "supplicationibus Venerabilis Patris Domini Jacobi, Dei gratia Neapolitani Archiepiscopi, consiliarii et familiarii paterni, nostrique devoti" (Reg. Angioino 161, f. 141, recto. Ecco il testo del diploma: "Scriptum est: Magistro Iusticiario Regni Sicilie, Iusticiariis ceterisque officialibus per dictum Regnum Sicilie constitutis, ac Capitaneis Civitatis Neapolis, eiusque districtus, presentibus et futuris devotis suis etc. Supplicationibus venerabilis patris Domini Jacobi, Dei gratia Neapolitani archiepiscopi consilarii et familiarii paterni, nostrique devoti annuentes benignus singulis quos familiares suos in sua Comitiva morantes procuratores officiales et quoscumque alios per eundem archiepiscopum ad custodiam nemorum et forestarum aliarumque terrarum et possessionum, ac quelibet sua, et eiusdem Neapolitane Ecclesie deputatos, negocia per ipsius archiepiscopi constiterit licteras, dummodo sint bone conversacionis et fame, pro comitiva eius et pretactis exequendis negociis, licentiam arma prohibita ferendi, ad eorum defensionem, tantum et nullius offensam; usque ad Regium nostrumque beneplacitum, et donec eos continget predicta non abuti licentia de speciali gratia tenore presentium impartimur, volentes et iubentes expresse, ut nullius vestrum sit qui prefatum archiepiscopum dictosque familiares, procuratores, officiales, et huiuscemodi alios servientes suos, et dicte Neapolitane ecclesie occasione huiusmodi delationis armorum dummodo alios non offendant beneplacito ipso durante, et donec ut prefertur eos viderit predicta non abuti licentia propterea impediat vel molestet, aut permittat ab aliis molestari, presentibus post oportunam inspectionem earum remanentibus presentantibus dicto durante beneplacito et quamdiu dictam licentiam eos contingerit non abuti efficaciter volituris. Data Neapoli per Nicolaum Frectiam de Ravello etc. anno Domini Millesimo CCCVII, die XXVIII Maii, V Indictionis).

Alcuni storici e biografi (MAZZOCCHI, De Sanctorum Neapolit. ecclesiae episcop. cultu, p. 159; P. GIORGI, presso il MAZZOCCHI, op. cit., p. 422) hanno voluto attribuire, al filosofo viterbese un grande acume politico, paragonandolo a Pier delle Vigne o a Taddeo da Sessa; e affermano che a lui, in speciali congiunture, sarebbe stato affidato dal re di Napoli il governo dello Stato in qualità di supremo luogotenente.

Il Taglialatela (G. TAGLIALATELA, Il Beato Giacomo Capocci da Viterbo. Napoli, Stamp. già Fibreno, 1887, p. 27) asserisce senz'altro che "un accurato studio che potrà farsi sui Registri Angioini rivelerà certamente maggiori documenti su questa che abbiamo detto luogotenenza temporanea del Napolitano Arcivescovo". Ora l'esame diligente dei regesti di casa d'Angiò nulla ha rivelato che possa autorizzarci a trarre le conclusioni cui arrivano i sullodati storici, ma certamente il titolo di consigliere dato continuamente a Giacomo da Viterbo ci fa supporre che spesse volte al suo senno politico si rivolgessero i sovrani angioini in quell'epoca tanto travagliata. Governò la Chiesa di Napoli appena cinque anni. Nella fine del 1307 o nel principio dell'anno seguente (Dai regesti di Clemente V, an. III, ep. 285, risulta che nel 17 Marzo 1308 fu eletto Arcivescovo di Napoli Umberto da Montauro. Cfr. EUBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevii, p. 359), nella metropoli fervente di vita e di poesie, mollemente adagiata sull'azzurro del mare che rispecchia in un sorriso innumerabile, come canta il vecchio Eschilo, la gioia del sole, nel pieno vigore delle forze, egli, il dotto e pio pastore di popoli, si addormentò del sonno eterno. I contemporanei lo chiamarono venerabile per virtù e scienza; i posteri lo insignirono dell'aureola dei beati. La sua immagine fu dipinta nella cappella del palazzo di città di Viterbo, in un medaglione, fra i santi e i beati concittadini, con l'iscrizione "Beatus Jacobus Viterbiensis Archiep. Neapolitatanus". Infine la congregazione dei Riti, istituito regolare processo, con decreto approvato da Pio X, confermava il 4 Giugno 1914 il culto reso da tanti secoli all'insigne dottore agostiniano, il quale veniva posto ufficialmente dalla Chiesa nel numero dei Beati. Il filosofo scolastico, lo scrittore politico di curia, il Pastore di anime dallo zelo indefesso, occupa un seggio importante fra i pensatori del suo tempo. Non fu un creatore di sistemi filosofici e teologici, un indomito suscitatore di lotte e di energie, un precursore e divinatore di tempi, no, la sua gloria brilla di luce più modesta, egli appartiene al suo secolo senza sorpassarlo. Ma colui che appartiene al suo tempo, esercitando su di esso una notevole influenza, appartiene a tutti i tempi, perché ha parte nel preparare le grandi gesta e le grandi opere suscitatrici a loro volta di altre gesta e di altre opere, ha parte nello sviluppo morale e intellettuale dell'umanità che unisce un'epoca all'altra in una serie ininterrotta di lotte e di progressi, come un anello si ricollega all'altro nella catena. A lui, Giacomo da Viterbo, a distanza di secoli, un altro alunno dell'ordine Agostiniano, greco di nazione, a nome Niceforo Sebaste, poteva meritamente rivolgere questo epigramma (FERDINANDO UGHELLI, Italia Sacra, T. VI, col. 120): "Diceris Antistes, magnus speculator in Aulis: / Divina haec merito Nomina scripta docent. / Lucta erit hinc ingens, magnum certamen, an ista, ab / Infula, an a libris gloria tanta venit? / Sed componamus: dum libros Patria laudat, / Virtutes celebret Parthenope alma tuas". Ai cenni biografici di Giacomo da Viterbo aggiungo l'elenco delle sue opere. Gli scritti di questo filosofo sono ancora inediti, ad eccezione, come già si è detto, del "De Regimine Christiano". Una bibliografia completa richiede un lavoro lungo ed irto di materiali difficoltà che io, almeno per il momento, non ho potuto superare. Ho inteso dare una semplice base, un punto di partenza per un esame più accurato dei codici che nelle Biblioteche di Europa riportano gli scritti di Giacomo da Viterbo. Ed anche nel dare l'elenco delle sue opere io mi sono trovato imbarazzato, perché il numero di esse varia negli storici che ho consultato, e di poche soltanto, fortunatamente delle più importanti, si trovano i Codici. Questo autore fu disgraziato nella sua fama di scrittore: fin dai tempi remotissimi si usò defraudarlo dei suoi lavori; un contemporaneo che visse molto più lungamente di lui, Giordano di Sassonia, dice testualmente così: "Item (edidit) lecturam sententiarum cum multis aliis conceptibus suis qui post mortem suam non omnes ad lucem, venerunt, quia quidam furati sunt opera sua multa, facientes sibi de falso cornua" (In Vitas Fratrum, Romae 1587, p. 171). Per l'elenco delle opere riporto letteralmente il catalogo che Felice Ossinger ci ha dato degli scritti di Giacomo nella "Biblioteca Augustiniana" (Bibliotheca Augustiniana. Ingolstadt 1768, p. 203) un libro che illustra l'attività letteraria e filosofica degli scrittori agostiniani. Confrontato il suo catalogo con quello di Maurizio Terzo, che è il biografo più antico e che ha veduto e letto, come egli dice, le opere di Giacomo ("Porro Beatus Jacobus, quo tempore Parisiis et alibi docens permansit sequentia scripsit opera, quae originaliter in variis coenobiis Sancti Patris Augustini conservantur quae ego vidi, legi et sequentes adnotavi titulo" (MAZZOCCHI, op. cit., p. 416)), l'abbiamo trovato più accurato ed esatto. Ventiquattro sono le opere da lui enumerate.

Eius memoriam, dice l'Ossinger, aeternam reddunt opera posteritati relicta quae sunt:

I. Libri duo de Regimine Christianitatis, quos Clementi V Pontifici Maximo dicavit. Asservantur in Biblioteca Vaticana et Parisiis sub num. 4046 et 4229. Maurizio Terzo afferma che il trattato fu dedicato prima a Bonifazio VIII e poi a Clemente V. I codici riportano la dedica a Bonifazio. Forse l'autore dopo la morte di papa Gaetani, rivolse in una nuova edizione, la sua opera a Clemente V assunto alla sede pontificale. Di questo trattato esistono vari codici:

1) A Parigi, Biblioteca Nazionale, Cod. Lat. 4046, membr. del secolo XIV olim Colbertinus.

2) Nella stessa Biblioteca il codice 4229, membran. del secolo XIV-XV olim Colbertinus.

3) A Roma, nella Biblioteca Angelica, il codice 130 (B. 4-7) del secolo XV, cartaceo, in 8° di cc. 224. Donato all'Angelica da Fr. Tommaso de Herrera, Agostiniano, della provincia di Castiglia, il 23 Novembre 1630 (Cfr. NARDUCCI, Catal. Cod. Bibl. Aug., p. 68), contiene anche il "De Potestate Ecclesiastica" di Egidio Romano.

4) Nella stessa Biblioteca, il cod. 367 (D. I. 13), cartaceo del secolo XVII, in 4° di cc. 518:

5) e il codice 347 (C. 8-15), cartaceo del secolo XVIII in 4°, di cc. 169.

6) Nella Biblioteca Casanatense il Cod. Lat. 3212, cartaceo del secolo XVII.

7) Nella Vaticana Lat. il ms. 5612 del secolo XIV.

II. Quaestiones Parisiis disputatae de predicamentis in Divinis. Extitit hic codex in Archivio Conventus nostri Viterbi ac in Bibliotheca Carbonaria ad S. Joannem, in membrana cum miniaturis in fol.

Il Perugi afferma che detto Codice si trova nella Nazionale di Napoli, ma non dice quale ne sia la segnatura (Op. cit., XLII, nota 2). Nell'Angelica di Roma si conservano due altri esemplari di quest'opera, i Codici cartacei n. 213 e n. 1357. Quest'ultimo era preparato per la stampa perché in fine vi si legge: "apud Joannem Simbeneum impresorem". Un altro Codice del secolo XIV, in pergamena, distinto col numero 167 riporta, nella Biblioteca di Bordeaux, tra le cc. I-91 le "Quaestiones de predicamentis in divinis cum quatuor collibetis magistri Jacobi de Viterbo (sic) sacre theol. professoris Arch. Neap. O. F. Her. S. Aug.".

III. Quodlibeta quatuor Parisiis exposita et disputata. Asservantur in nostra Biblioteca Mediolani ad S. Marcum. Giordano di Sassonia, nelle "Vitas Fratrum" parla di "tribus quodlibet B. Jacobi"; Maurizio Terzo dice: "Alii tres, alii duos tantum libros agnoscunt. Ego quatuor ab eo confectos puto, quamquam nonnisi hos tres (cioè quelli che egli aveva preparato per una stampa impedita poi dalla sua morte) reperire potuerimus" (MAZZOCCHI, op. cit., p. 417, nota 10). Numerosi sono gli esemplari che di quest'opera ci rimangono. Nella Nazionale di Napoli, con la segnatura VIII. E. 44, si conserva un codice membranaceo a due colonne che ha per titolo: Fratris Jacobi de Viterbio, ordinis Eremitarum S. Augustini, quaestiones de quodlibet libro secundo. Doveva appartenere al convento di S. Domenico Maggiore di Napoli, perché alla prima pagina reca scritto: "Ponatur in armario S. Dominici de Neapoli". A Bordeaux lo stesso codice 167, che riporta nelle cc. 1-91 le "Questiones de predicamentis in divinis", contiene nelle cc. 117-217 le "Questiones de quolibet". Nella Vatic. Ottob. il cod. 196 contiene i "Quodlibeta". Nella Vatic. Lat. tre codici pergam. segnati con i numeri 5745 (in 4°, con le parole "Dixisti Domine" nell'inizio), 772 (cc. 63-95) e 982 (cc. 1-21) recano "Quodlibeta". Nella Laurenziana Palatina di Firenze si trovano "Quodlibeta duo" nel Pluteus XVII, Cod. II membran. in 4° maggiore, a due colonne, del secolo XIII, con le lettere iniziali colorate. Il primo dei quodlibeta comincia: "In disputatione de quolibet prehabita, quesita sunt in universo vigintiduo", ed il secondo "quarumcumque una religio ab alia secundum perfectionem in infinitum non procedatur etc.". Nella Nazionale di Parigi il primo libro dei "Quodlibeta" è contenuto nel Codice 15,350 e il primo e il secondo si trovano nei mss. 14,569, 15,362 e 15,851 (Cfr. Histoire litteraire de la France, T. XXVII, p. 53). "Questiones determinate de quolibet a fr. Jacobo de Viterbio" sono riportate nei codici 3512 e 889 della Biblioteca Mazarino. Anche il codice 269 di Troyes ed il 373 membran. del secolo XIV dell'Antoniana di Padova contengono "Quodlibeta". Quest'ultimo manoscritto, dopo avere riportato le "questiones quodlibetales di Tommaso di Aquino e di altri dottori, ne inizia altre: "In disputatione de Quodlibetis prehabita", terminandole con le parole: "Expliciunt questiones de quodlibetis determinate a Fr. Jacobo de Viterbio Ord. Fratrum Heremitarum S. Augustini (Cfr. IOSA, Cat. Cod. Bibl. Antonianae, p. 29). Nella Biblioteca di Angeri il codice pergam. 223 cc. 119 contiene: "Questiones de quolibet determinate a fratre Jacobo de Viterbio Ordinis Fratrum Herem. Sancti Augustini. In disputatione de quolibet prehabita, quesita sunt in universo vigintiduo". Nella Comunale dell'Archiginnasio di Bologna il codice A 971, membranaceo (mm. 320 x 230), di due diverse mani del secolo XIV (1.a cc, 1-24, 46-79; 2.a cc. 25-45), di carte non num. 79 a due colonne di II. 56-57, legato in mezza pergamena, con glosse qua e là del secolo XIV-XV, riporta del nostro Giacomo: "Quodlibeta tria theoligica et Quaestiones septem de Verbo". Quodlibet I. inc.: "In disputacione de quolibet prehabita quesita sunt in universo viginto duo que ut enumerantur". Quodlibet II. (c. 25): "In disputacione secunda de quolibet prehabita quesita sunt in universo XXIII, quorum unum est pertinens". Quodlibet III (c. 46): "In tercia disputacione de quolibet prehabita quesita sunt in universo XXVI que ut prosequantur". Questio I de verbo, inc. (c. 62): "Utrum verbum sit ratio alicuius alterius productionis in trinitate. Dicendum quod ista questio supponit". Quaestio VII, desinit: "difficultatem a premissis, ideo brevi brevitatis gracia relinquuntur" (Cfr. ALBANO SORBELLI, Inventari dei Manoscritti delle Biblioteche d'Italia. Bologna, Biblioteca della Comunale dell'Archiginnasio, pp. 117-118. Alla descrizione del codice segue questa nota: "L'Ossinger fra le opere del Capocci (Biblioteca Augustiniana, Ingolstadii 1768, pp. 203-204) non ne cita alcuna con questo titolo preciso (Quaestiones septem de verbo): il fatto però che queste questioni sono poste, nel codice, immediatamente dopo i Quodlibeta del Capocci, cosicchè anche per l'identità della struttura, ne sembrano la naturale continuazione, induce a pensare che esse pure siano opere o parti di opera dello stesso autore, ipotesi che appare ancor più verosimile, quando si osservi che fra gli scrittori addotti a conforto delle diverse argomentazioni, il più spesso citato è S. Agostino). A tutti i precedenti va poi aggiunto un altro ms. della Biblioteca vaticana, fondo Borghese, n° 298, del sec. XIII (fine) o XIV (principio), perg. su due colonne, in fol., cc. 224. Da c. 157 a c. 201 contiene: "Quodlibeta abreviata fratris Jacobi (de Viterbio) heremite". A c. 157: "Hic incipit primum quodlibet abreviatum fratris Jocobi heremite". A c. 181v: "Explicit primum quodlibet abreviatum fratris Jacobi heremite. Hic incipit secundum quodlibet abreviatum eiusdem [fratris]". A c. 201: "Explicit primum et secundum quodlibet abreviatum fratris Jacobi beremite. Hic incipit tabula primi et secundi quodlibet abreviati fratris Jacobi". A c. 201v: "Explicit tabula secundi quodlibet abreviati, fratris Jacobi heremite. Scriptor huius libri vocatur Hugo de Loundres vel Londiniis. Amen, Amen, Amen".

IV. Abbreviatio sententarium Aegidi Columnii, in fol. Extat in nostra Biblioteca Carbonaria ad S. Joannem. Ms. incipit: Abbreviatio sententiarum Aegidi Romani, per R. P. mag. Jacobum Viterbiensem, Archiepiscopum Neapolitanum, omnium scientiarum gloria illustrem. Egidii volumen in compendium adducit, multa tamen addit ubique, ut potius Jacobi, quam Aegidii, dici debeat. In fine legitur: "Longas curro vias, vestigia nulla relinquo". Mag. Andreas de Alexandria scripsit. Questo codice cartaceo in 4° grande a due col. del sec. XIV si trova attualmente nella Nazionale di Napoli con la segnatura VII C. 52.

V. Lectura super quatuor libros sententiarum, in fol. parvo membran. est in nostra biblioteca Senis ad S. Augustinum. Hoc opus Blancus, et Chioccarelli Summam Summae appellant. Ora il Codice si trova nella Comunale di Siena, con la segnatura G. Y. 15.

VI. Quaestiones S. Theologie, in fol. membran. teste Jacobo Philippo Thomasino, reperiuntur in Biblioteca SS. Joannis et Paulo. Il Tomasino menziona questo codice nel suo catalogo dei manoscritti delle Biblioteche di Venezia, edito nel 1639, fra le quali era quella dei Domenicani di S. Giovanni e Paolo. Ora dovrebbe trovarsi alla Marciana, ma sembra smarrito.

VII. Quaestiones quinquaginta de Spiritu Sancto, habentur in nostra biblioteca Bononiae.

VIII. Recollectiones, seu catena Patrum super Epistolas D. Pauli. In eadem Bibliotheca ad S. Jacobum.

Il ms. non è stato rinvenuto nè all'Universitaria nè alla Comunale.

IX. Alia triginta Quodlibeta. Extant Romae in Biblioteca Minervae.

Il Gandolfi e il Mazzocchi asseriscono che a questa Biblioteca il codice fu donato dal Card. Torrecremata. Ora però il ms. per quante ricerche abbia fatte alla Casanatense, non mi è stato possibile rinvenirlo.

X. Comm. super quatuor libros sententiarum.

I primi tre libri sono riportati nel codice 62 del collegio Balliol di Oxford. Il ms. comincia con le parole: "Cum venisset una vidua... Laudanda creatoris humilis et pia benevolentia" (Cfr. Histoire litteraire de la France, T. XXVII, p. 60).

Della Nazionale di Napoli, il Cod. Membran. in f. a 2 col. del secolo XIV con la segnatura VII, C. 4 contiene, di Giacomo da Viterbo, le "Questiones in primum librum sententiarum". La prima pagina ha fregi miniati nel margine ed il ritratto del B. Giacomo nel mezzo della prima lettera Q: (Quaestio).

XI. Divisio super eosdem quatuor

XII. Quaestiones de Angelis, ac eorum compositione

XIII. Quaestio percelebris de coelorum animation

XIV. Explicatione super Epistolas D. Pauli

XV. Expositio in Evangelium D. Matthaei

XVI. Interpretatio in D. Lucam Evangelistam

XVII. Summa da articulis fidei

XVIII. De mundi aeternitate secundum fidem catholicam

XIX. Comment. in libros Phisicorum et Metaphisicorum

XX. Liber de naturae principiis

XXI. Notabilia in sententias

XXII. Concordantiae psalmorum, ad Carolum II Siciliae et Jerusalem regem

XXIII. D. Thomae Aquinatis utilis tabula

Haec, suppresso nomine nostri Cappociis, falso cui alteri fuit adscripta.

XXIV. Sermones diversi exstant Romae in Biblioteca Canonicorum S. Petri

Sono contenuti nel codice D. 213 dell'archivio della Basilica di San Pietro con il titolo: "Fratris Jacobi de Viterbio. Sermones". Oltre queste opere menzionate dall'Ossinger, Maurizio Terzo cita un altro scritto dal titolo: "Primi libri, qui est in Sententias, Aegidi Romani, brevior forma". Due codici, l'uno VII G. 101 della Nazionale di Napoli membranaceo, in ottavo, a due colonne in carattere semigotico, del secolo XIV; l'altro, cartaceo e membranaceo, dello stesso secolo, segnato col numero 743 pluteo lettera o, nella Biblioteca di Montecassino, riportano un'altra opera di Giacomo da Viterbo: la Summa de peccatorum distinctione. Nel primo foglio del ms. della Nazionale si legge: "Summa de peccatorum distinctione Fratris Jacobi de Viterbio Sacrae Theologiae Professoris, Fratrum Eremitarum Sancti Augustini, Archiepiscopi Neapolitani". Nella prima lettera "S" dipinta e dorata, è rappresentato Giacomo da Viterbo in atto di disputare con tre frati del suo Ordine. Nel codice di Montecassino sono contenuti due altri lavori: "De Confessione" e "De Episcopali Officio". Nella coperta del ms. di mano posteriore, si legge: "Summa de peccatorum distinctione Fratris Jacobi de Viterbio Ordinis S. Augustini et Neapolitani Archiepiscopi, qui obiit anno millesimo trecentesimo septimo, cuius forte sunt etiam priores recensiti tractatus".

Nella Vaticana Latina, un trattatello di otto capitoli, intitolato "De perfectione specierum", è attribuito a Giacomo da Viterbo. Comincia con le parole: "Cupientibus nobis". Il codice è in pergamena in 8°, con la segnatura 4545, contiene il breve scritto dalla carta 32.a alla 48.a.