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Priori Generali: Guglielmo da Cremona

Guglielmo da Cremona in un affresco bresciano

Guglielmo da Cremona

 

 

GUGLIELMO DA CREMONA

(1326-1343)

 

 

 

 

E' certo invece che De Villana si chiamasse Guglielmo da Cremona, eletto dal capitolo di Firenze nel 1326 e confermato dai cinque capitoli successivi: di Parigi 1329, di Venezia 1332, di Grasse in Provenza 1335, di Siena 1338 di Tolosa 1341. Il 17 luglio del 1342 fu promosso da Clemente VI alla sede episcopale di Novara, dove morì il 29 gennaio del 1356, dopo 30 anni di governo esemplare e ben documentato tanto nell'Ordine che nella sua diocesi. Il primo è dimostrato dagli atti dei suoi sei capitoli e da tre circolari, nelle quali si mostra di volta in volta energico e paterno, dato che i suoi sedici anni di generalato coincidono con il periodo delle gravi perturbazioni politico-religiose, causate in Italia dalla lotta tra l'imperatore Ludovico il Bavaro e i papi Giovanni XXII e Benedetto XII. Già nel capitolo del 1326, un anno prima che l'imperatore venisse in Italia - dove i ghibellini lo aspettavano per dargli aiuto - il Generale aveva ordinato "a tutti e singoli i nostri religiosi ... che si trovano nelle città e nei castelli ribelli alla santa madre Chiesa" che uscissero immediatamente da detti luoghi e si presentassero ai loro priori provinciali, lasciando nei conventi abbandonati solamente i religiosi laici c conversi sufficienti per la loro custodia. "E se alcuni, dimentichi della loro salvezza, non obbedissero a questo nostro mandato, ordiniamo ... ai superiori provinciali di procedere contro di loro secondo le nostre leggi come ribelli all'Ordine, chiudendoli con catene nel carcere perpetuo: perpetuo carceri ipsos in ferramentis et vinculis mancipantes" (AAug. IV, 3s). Nello stesso capitolo fu data pure la seguente disposizione: "Inoltre, per quanto il nostro priore generale deve dare esempio di umiltà a tutti i suoi sudditi perché non sia diffamato con la macchia di ambizione, ordiniamo con il presente decreto che all'inizio del capitolo generale, prima di procedere all'elezione, consegni il sigillo del suo ufficio ai definitori, quantunque non glielo chiedano, perché osservi pienamente quel che comandano a questo proposito le nostre Costituzioni ... Inoltre, per una maggiore trasparenza nella contabilità della amministrazione dell'Ordine e perché la sua povertà si mostri più evidente ai religiosi, definiamo che il nostro padre generale ai definitori del capitolo renda conto con chiarezza - Reddat lucide rationem - di tutte le entrate e le collette, che in qualsiasi modo siano pervenute alle sue mani da parte dei nostri conventi e delle nostre province, così come delle spese che abbia dovuto fare durante il suo triennio. E lo stesso faccia, da sè o per mezzo di altri, il procuratore dell'Ordine". Si può pensare che il Generale osservasse perfettamente queste disposizioni, se teniamo conto degli elogi che di lui fecero tre suoi contemporanei: Gregorio da Rimini lo ricordò in una delle sue lettere come "uomo di buona memoria"; frate Giordano dice che "governò lodevolmente l'Ordine" e il Friemar, che morì quindici anni prima di lui, del suo priore generale scrisse: "E' uomo provvido, pio, retto e per la cui bontà Dio ha benedetto con grandi grazie questa Religione, dopo il primo anno del suo generalato ottenne per essa il convento di Pavia e il corpo del beatissimo padre Agostino: cosa che a molti sembrava incredibile e del tutto impossibile; ma egli, confortato a perseverare per divina ispirazione, come ho udito dalla sua bocca" l'ottenne benevolmente dal santissimo padre in Cristo il papa Giovanni XXII". Senza dimenticare che questi si era mostrato favorevole agli Ordini mendicanti, in particolare a quelli che avevano difeso la memoria di Bonifacio VIII e avevano combattuto i "fraticelli", è molto verosimile che la concessione del convento di Pavia e del sepolcro di S. Agostino - da tempo immemorabile in possesso dei canonici regolari - debba in parte attribuirsi al trattato "Reprobatio errorum" che Gug1ielmo De Villana compose verso il 1326 contro Marsi1io da Padova e altri 1aicisti. dietro richiesta o dietro ordine dello stesso Giovanni XXII. In questo modo il Pontefice mostrò la sua gratitudine all'Ordine nella persona del suo generale, come lo fece con altri due agostiniani, che allora combatterono contro i difensori dell'imperatore Ludovico il Bavaro: con l'episcopato di Amalfi ad Alessandro da S. Elpidio e con una larga ricompensa a frate Agostino da Ancona. Pochi giorni dopo il capitolo del 1326 il generale inviò una lettera circolare a tutte le province "per riformare il nostro venerabile Ordine, che tra tutti è notoriamente la terza colonna della casa di Dio; ma, dalla relazione di uomini retti e da quanto noi stessi abbiamo constatato, l'Ordine è in uno stato di decadenza ed è trascurata l'osservanza delle nostre leggi e delle paterne tradizioni, principalmente per colpa dei superiori, tanto che non risplende più in esso, come dovrebbe, l'immagine della santità cristiana, ma il mostro di una vita secolarizzata sotto il nome e l'abito di religione. Per questo noi, nelle cui mani per i nostri demeriti è posta tale rovina (v. Is. 3,6) faremo quanto ci sarà possibile con la divina grazia per porvi rimedio e per riformare l'Ordine con l'aiuto dei confratelli ben timorati di Dio. A questo scopo, per dare inizio a questa opera di riforma, ordiniamo con questa lettera alcune cose, che tu, priore provinciale, devi osservare e rendere pubbliche perché le osservino gli altri". I destinatari dovevano porre un freno all'ambizione di quelli che aspiravano ad avere cariche senza possedere le doti necessarie; vigilare perché tutte le promozioni agli ordini sacri e a posti di insegnamento o di governo "fossero fatte secondo Dio e come ordinano le nostre Costituzioni"; aver cura che si recitasse l'Ufficio divino "in chiesa, devotamente e con sollecitudine di giorno e di notte"; obbligare i priori e i procuratori dei propri conventi a "mantenere una vita comune, sopportabile dagli uni e dagli altri, tam fortes quam debites"; curare bene la formazione dei novizi e dei giovani, giacché la negligenza nella formazione "è stata una delle cause dell'ignominia del nostro Ordine ... e perché sarebbe meglio non riceverli, che ricevutili non educarli con diligenza"; nei conventi maggiori designare un religioso idoneo a predicare a tali giovani e ai confratelli "tutte le domeniche e nelle maggiori solennità, affinché gli ascoltatori traggano profitto davanti a Dio e il predicatore si eserciti nel suo ufficio"; i priori conventuali dovevano "leggere o far leggere con frequenza le Costituzioni ai suoi religiosi, conservare le proprie lodevoli osservanze e ammonire con rigore gli inosservanti, dopo essersi accertati della loro colpa. Quindi noi - continuava il Generale - porremo tutto il nostro sforzo, assistiti dall'aiuto divino, nell'ammonire i prevaricatori, nel favorire i superiori che facciano come noi e nel privare dell'ufficio e delle grazie dell'Ordine coloro che non lo fanno". Li esortava anche ad aver cura con col1ecitudine degli inferi e infine ordinava loro di registrare nel proprio libro la sua lettera con gli atti del capitolo generale, che tutti i priori locali ne portassero una copia ai loro conventi e che la leggessero, in coro o a refettorio, ai priori religiosi almeno una volta la settimana: "Certi che faremo su questo una particolare investigazione o noi stessi o per mezzo di delegati speciali" (AAug. IV, 29-32). Poiché questo energico superiore fu promosso al governo della diocesi di Novara nel luglio del 1342.

 

 

Referenze:  CRUSENIO, Monasticon