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Priori Generali: Egidio da Viterbo

Egidio da Viterbo in un affresco del XVIII secolo nella sala cenacolo del convento della SS. Trinità a Viterbo

Egidio da Viterbo in un affresco del XVIII secolo nella sala cenacolo

del convento della SS. Trinità a Viterbo

 

 

EGIDIO DA VITERBO

(1507 - 1518)

 

 

 

 

Egidio da Viterbo nacque nella città di Viterbo nel 1469 e morì nel 1532 probabilmente a Roma. Fu filosofo e teologo agostiniano, patriarca di Costantinopoli, cardinale arcivescovo di Zara. Ebbe una grande preparazione umanistica e partecipò agli eventi della Riforma protestante. Il suo vero nome era Egidio Antonini: da giovane studiò a Viterbo presso l'Ordine degli Agostiniani, nel quale entrò a diciotto anni. Compì gli studi filosofici a Padova, poi fece numerosi viaggi, il che fu un'occasione preziosa per stringere rapporti di grande scambio culturale con letterati e filosofi del suo tempo, come l'amicizia con Ficino a Firenze, o con gli intellettuali dell'Accademia Pontaniana a Napoli. Divenne amico di Pontano, che gli dedicò il dialogo Aegidius. All'interno dell'Ordine agostiniano svolse una funzione prevalentemente di diplomatico. La grande esperienza accumulata gli permise di diventare Generale dell'Ordine nel 1507.

Nel 1517 fu nominato cardinale e nel 1523 divenne vescovo di Viterbo. Fu un dichiarato sostenitore di riforme all'interno della Chiesa proprio nel periodo che vide svolgersi l'opera di Lutero. Alla sua preparazione teologica seppe unire un'erudizione vastissima poichè conosceva molte lingue antiche, come greco, ebraico, turco e persiano. Interessanti sono i suoi studi approfonditi della Kabbalah ebraica, tanto da scrivere su questo soggetto i due trattati Schechina e Libellus de litteris hebraicis. Riuscì inoltre a tradurre in latino testi fondamentali della Cabala estratti dallo Zohar, dal Commentario di Recanati, dal Libro della creazione, dall'Hortus Nucis, dal Raziel, dal Sefer Ha Temunah, dal Ginnat Egoz, dal Sefer Ha-Bahir, dal Ma'areceth haelohut. L'attività di Egidio da Viterbo, ("tra i più grandi cabalisti cristiani del Rinascimento" secondo l'opinione di F. Secret), è un esempio di quella nostalgia delle origini tipica della svolta tra Quattro e Cinquecento. Egidio esprime il desiderio di esplorare lo strato di verità comune a tutte le religioni e filosofie, espresso nell'antica sapienza dell'ebraismo e della letteratura ermetica e neoplatonica. Allievo di Elia Levita, Egidio fu anche in stretti rapporti con ebraisti come Michael ben Sabthai, Baruch da Benevento, Nicolaus Camerarius, Felice da Prato, Johannes Reuchlin, il francescano Petrus Galatinus e il domenicano Agostino Giustiniani. Seguendo la via già tracciata da Pico della Mirandola, Egidio interpretava l'antica sapienza ebraica da platonico e da cristiano, in uno spirito di completa fedeltà alla Chiesa.

Con appassionato sincretismo amalgamava reminiscenze bibliche, mitologia classica e allusioni cabalistiche per riformulare l'interpretazione della Scrittura. Un evidente influsso di questa impostazione metodologica si riscontra nel costante crescere e costituirsi del corpus iconologico di Valeriano che si lega all'interesse diffuso, negli ambienti culturali neoplatonici, per gli Hieroglyphica di Orapollo editi per la prima volta a Venezia nel 1505 da Aldo Manuzio. L'ideazione ed elaborazione dell'opera avvenne in gran parte nella Curia romana, dove l'autore visse gli anni decisivi delle sue scelte e dei suoi progetti letterari, tra il 1510 e il 1530. Sono presenti, infatti, diversi accenni alla cabala e al ruolo di iniziatore e maestro che svolse a Roma in questa disciplina il cardinale agostiniano Egidio da Viterbo. La stessa interpretazione simbolica delle favole antiche, custodi di una sapienza riposta, come il mito di Orfeo divenuto immagine di Cristo, viene elaborata da Pierio Valeriano sul fondamento dell'ermetismo di Egidio. A Egidio da Viterbo, non a caso, è indirizzato il libro XVII, relativo alla cicogna, simbolo di pietà e vigilanza. Lo studio della lingua con cui Dio parlò agli uomini era infatti secondo Egidio essenziale per una corretta lettura del testo sacro, come è spiegato nel Libellus de litteris hebraicis (1517) un alfabeto mistico di introduzione alla Scrittura. In un voluminoso trattato dedicato a Clemente VII e scritto tra il 1528 e il 1531, la Scechinah - termine ebraico per designare la presenza di Dio tra gli uomini - Egidio si sforzava di importare la cabala nel mondo dell'umanesimo cristiano. La creazione non era che il riflesso delle dieci Sefiroth, i differenti gradi di espansione dell'energia divina. Se le prime tre Sefiroth corrispondevano al mondo supremo delle persone della Trinità, le restanti sette costituivano un mondo intermedio il cui ruolo era quello di amministrare il mondo sensibile, quello dell'azione e degli elementi (Asiyyah), dove si esplicavano le funzioni dei mondi superiori. La Scechinah, la gloriosa presenza di Dio tra gli uomini, non era che la decima ed ultima delle Sefiroth. Il giardino dell'Eden era allora l'unione tra il cielo e la terra, il ponte tra i mondi superiori e quelli inferiori: in termini cabalistici il terzo mondo, quello della formazione (Yezirah), dove l'androgino creato nel mondo della creazione (Beri ah) fu separato negli esseri distinti di Adamo ed Eva. Esso è dunque parte del processo della creazione, dove l'indifferenziato prende forma, ciò che è creato come spirito assume qualità e caratteristiche. Da qui Adamo ed Eva furono espulsi nel mondo inferiore della materia, dove ricevettero i loro corpi terrestri.

L'uomo può così sperimentare tutti i livelli di esistenza, prima verso il basso e poi verso l'alto, nel suo anelito a riconquistare il paradiso perduto ed il cielo della creazione, e infine a ricongiungersi con Dio. Il giardino dell'Eden è dunque il luogo naturale per l'anima umana, fuori dal tempo e dallo spazio. Esso è anche una realtà interiore, visto che l'uomo possiede dentro di sé i quattro livelli del Divino, dello spirito, della psiche e del corpo. Ma secondo la visione storico-escatologica espressa da Egidio nella Historia XX saeculorum, quella inaugurata da Leone X era la decima e l'ultima delle dieci età della storia degli uomini, ed avrebbe portato ad un rinnovamento del mondo. Quello era il secolo di tribolazioni annunciato dagli evangelisti, il secolo delle grandi scoperte, ed il tempo in cui Dio affidava a Carlo V e Clemente VII il compito di dare agli uomini un nuovo giubileo di liberazione. Al centro di esso vi era Roma, la Città Santa per eccellenza, la sancta latina Ierusalem. La riscoperta della cabala e della lingua sacra, l'ebraico, da parte dei cristiani, era segno dell'imminente unità spirituale degli uomini. Essa poteva rivelare tutti i segreti del mondo divino ed eterno, così come i viaggi di scoperta stavano rivelando l'intera fisionomia geografica del mondo fisico. Stava per realizzarsi, con la fine della decima età del mondo, il ritorno collettivo nel giardino dell'Eden, la consumazione apocalittica della storia.

 

 

Referenze:  CRUSENIO, Monasticon