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Percorso : HOME > Scriptorium > De SecretoFrancesco Petrarca: De secreto conflictu curarum mearum
Francesco Petrarca
De secreto conflictu curarum mearum
di Francesco Petrarca
INCIPIT LIBER PRIMUS
DIALOGO PRIMO
Agostino
Che te ne stai facendo, omiciattolo? che sogni, che speri? forse che non ricordi d'esser nato mortale?
Francesco
Ben me ne ricordo; e questo pensiero non mi passa per l'animo senza che io ne abbrividisca.
Agostino
Oh fosse pure così! che ed avresti proveduto al tuo meglio e a me cessate assai brighe; dappoichè certissima cosa è che a fare la debita stima dei fuggevoli beni della vita e a tranquillar l'animo dalle procelle che lo conturbano nulla v'abbia di maggior efficacia che la memoria della propria miseria e l'assidua meditazione della morte, quando però essa non iscorra solo a fior di pelle, ma sì addentrisi nelle ossa e nelle midolle. Se non che io temo forte che tu, come avviene ai più in tale argomento, ami di trarre in inganno te stesso.
Francesco
E in che modo? di grazia, perché non mi è chiaro quello che dici.
Agostino
O mortali, fra tutte le condizioni vostre quella che più altamente mi meraviglia ed inorridisce è il vedervi intenti a blandire le proprie miserie, a dissimulare i pericoli che vi sovrastano, ad affrettarvi anzi a scacciare l'imagine della morte, non appena vi si presenti alla mente.
Francesco
E come?
Agostino
Stimi tu che v'abbia malato di così poco senno che, travagliato da dubbiosa infermità, non ne sospiri caldamente la guarigione?
Francesco
Per me non credo vi sia uomo sì pazzo.
Agostino
Or bene: e crederesti che si dia taluno pigro ed incurante così che per verun modo s'adopri a raggiunger quello a cui sospira senza fine?
Francesco
E ciò molto meno può essere.
Agostino
Bada che, se tu mi concedi queste due cose, sarà mestieri che me ne consenta altresì una terza.
Francesco
E qual sarebbe?
Agostino
Che somma deve reputarsi la stoltezza di colui il quale, dopo lungo e profondo meditare, conosciuta la propria miseria, non ne desideri il fine; e come l'abbia desiderato una volta, non vi si travagli dietro con ogni ingegno a conseguirlo compiutamente. Perché è manifesto che siccome questa terza cosa non può venir meno se non dal difetto della seconda, così la seconda pel difetto della prima. Ond'è necessario che quella prima sussista, qual germoglio della umana salute. Ma voi dissennati, e tu tanto ingegnoso a volere il tuo peggio, con ogni maniera di terreni allettamenti, del che più sopra dissi maravigliarmi e inorridire, vi sforzate a dibarbare dall'animo una tanto salutare radice. Pertanto ragion vuole che risentiate il danno che vi deriva dallo svellere sì questa come le altre che le rampollano attorno.
Francesco
Se non erro, questa querela vuol essere alquanto lunga, ed a finirla bisogneranno molte parole. Perciò, se ti piace, vorrei che si differisse ad altro tempo; ed acciocchè io meglio intenda quanto mi verrai appresso sponendo, sarà bene indugiarsi alcun poco su ciò che or ora accennasti.
Agostino
Farò a tua posta, giacchè hai la mente sì grossa. Or su dunque piglia le mosse di là donde più t'aggrada.
Francesco
Ti confesserò innanzi tutto che non iscorgo netta cotesta tua conseguenza.
Agostino
E qual nebbia sopravenne ad oscurarti l'intelletto? qual dubbiezza ora l'inforsa?
Francesco
Innumerabili cose e con tutto l'ardore della volontà brama l'uomo, e mai non resta d'adoperarsi a possederle; pure, per quanta fatica e studio vi spenda attorno, non riuscì egli ancora, e forse non riuscirà mai, all'effetto desiderato.
Agostino
Ciò è vero in altri propositi, ma in quello di cui s' è detto avviene il contrario.
Francesco
E perché?
Agostino
Perché l'uomo che intenda a deporre la propria miseria, purchè veracemente e con ogni sua arte v'aspiri, non può non venirne a capo.
Francesco
Davvero il tuo discorso mi sa di strano! Pochi sono che non patiscano difetto d'alcuna cosa: del che ognuno potrà testimoniare che ne abbia fatto in sè infelice esperienza. Onde è da inferirne che siccome il cumulo di tutti i beni rende felici così il sottrarne alcuna parte scema, finchè ne duri il difetto, lo stato di beatitudine. E che tutti anelino a deporre il fardello di sciagure di che sono gravati, quantunque pochi lo possano, è verità di per sè stessa chiarissima. Perché quanti non vi ha tenuti in perpetua angoscia dalle malattie, dalla morte degli amici, dal carcere, dall'esilio e da altre somiglianti disgrazie! Le quali se troppo lungo sarebbe l'annoverare, tanto più tornano malagevoli e moleste ad essere tollerate. Gravi dolori arrecano: e nulladimeno l'uomo, come sai, non può liberarsene. Per tanto io conchiudo che molti a malincuore e senza volerlo sono infelici.
Agostino
Tu vai colle parole assai lungi dal vero e, come si costuma dai più, argomentando fuor di proposito e troppo vagamente, non ben deduci dai principii le conseguenze. E davvero mi credeva che tu fossi fornito di maggiore intendimento e che non ti bisognasse d'essere ammaestrato a guisa di fanciullo. Perché, ove avessi fatto cosa tua le vere e salutari sentenze dei filosofi cui sovente con me rileggesti; ove, e consenti che tel' dica, ti fossi adoperato a tuo e non ad altrui pro; ove dallo studiare in tanti libri avessi ritratto buone regole di vita, senza curare la superbia e i vani applausi del volgo; non udirei adesso da te tanto scipiti e goffi discorsi.
Francesco
A che miri non so; ma pure sento infocarmisi le guance, come ragazzo sgridato dal pedagogo. Dappoichè, al modo che esso, prima che gli si nomini la colpa commessa, ricordevole d'averne addosso parecchie, alla prima voce di rimprovero si confonde tutto; ed io altresì, non ignaro della mia ignoranza e de' miei molti errori, sebbene non ancora comprenda a che accenni il tuo discorso, puro perché non mi sento affatto la coscienza pura, n'arrossisco. Or dunque dichiarami, ti prego, qual sia il peccato che mi rimbrotti con tanta acerbezza.
Agostino
Tra le molte sciocchezze che sin qui t'uscirono di bocca, una ve n'ha che principalmente mi move a sdegno, ed è l'affermare che alcuno possa essere o divenire infelice contro sua voglia.
Francesco
Respiro: poichè non v'ha cosa più vera di questa, nè persona tanto nuova o si disgregata dall'umano consorzio la quale non sappia siccome la povertà, il dolore, l'infamia, le infermità in fine e la morte, con quant'altro può darsi di peggio, ne incolgano a nostro malincuore, senza che la volontà nostra c'entri per nulla. Donde ne deriva che sia ben facile il conoscere e l'odiare la propria miseria, ma non così il cacciarla lontano. Perciò è a dire che le due prime cose sieno in nostra mano, la terza dipenda dalla fortuna.
Agostino
Chi vergogna d'un fallo merita scusa, ma la sfacciataggine assai più mi sdegna. Or come ti sono cadute dal pensiero tutte le sapientissime sentenze dei filosofi onde poco fa mi provasti niuno, per le cagioni testè menzionate, poter diventare infelice? Perché, se da Marco Tullio e dalle invitte ragioni di molti si dimostra non avervi che la sola virtù la quale renda l'uomo beato, apertissimamente ne conseguita che nulla allontani dalla felicità quanto l'opposito della virtù; il quale in che proprio consista, tu devi senz'altro ricordartene; se pure la tua mente non è affatto ottenebrata.
Francesco
Io sì che me ne ricordo; e con questo mi richiami alle dottrine degli stoici, che sono contrarie alle opinioni volgari e più vicine alle verità speculative che non acconce alla pratica.
Agostino
Oh il più sgraziato degli uomini, se t'avvii a scoprire la verità per la via de' volgari deliramenti e, scorto da ciechi condottieri, t'affidi di giungere a ravvisare la luce. Chi intende a più nobil fine converrà che muova per sentieri fuor di mano e, sospirando a sublimi cose, s'indirizzi colà ove poche e rade si scorgano le orme; e allora gli sonerà gradita la lode del poeta:
Di novella virtude, o giovanetto,
L'alma rinfranca; è questo il faticoso
Cammin che adduce alle celesti sedi.
Francesco
Deh che innanzi morte mi tocchi questa buona ventura! Ma va oltre, te'n prego, che io non ho affatto smarrita la vergogna; perciò ti confermo che le dottrine stoiche deggionsi preferire agli errori del volgo. Ora sto a vedere qual persuasione tu mi voglia indurre nell'animo.
Agostino
Rammentati di ciò che si è fermato tra noi; niuno, cioè, essere o divenir misero, se non per propria colpa. Ora di che altre parole è uopo a mostrarlo?
Francesco
Pure mi furono conosciuti parecchi, e ben posso testificarlo col mio esempio, i quali di nulla più s'affannavano che del non potersi scuotere dal collo il giogo del vizio, sebbene a tale effetto si travagliassero senza posa e d'ogni loro potere. Per lo che, restando intera la sentenza degli stoici, si può dire che grande sia il numero degli infelici, benchè repugnanti e desiderosi del contrario.
Agostino
Siamo alquanto usciti dalla battuta. Ritorniamovi passo passo, se pure tu rammenti donde movemmo dapprima.
Francesco
Me ne dimenticava quasi, ma ora me ne ricordo.
Agostino
Io m'era proposto di farti toccare con mano siccome, a cansare le distrette della vita mortale e a sollevarsi alto di terra, non v'abbia mezzo migliore che il meditare la morte e l'umana miseria. Conseguita la qual cosa, si richiede che l'uomo s'ecciti in sè un potente desiderio ed una viva premura di sorgere dal basso stato in che dimora. Allora solo ti prometteva agevole la salita a ciò cui sospira il cuor nostro; purchè a te, anche dopo quanto t'ho detto, non sembri l'opposto.
Francesco
Ciò ben posso pensare, ma non oserei affermarlo; che dalla mia giovinezza stimai sempre andarsene errato colui che senta altro da te.
Agostino
Lascia le lusingatrici parole: ma poichè m'avvedo che tu, condotto da reverenza piuttosto che dal proprio senno, assenti a' miei detti, ti concedo di significarmi liberamente tutto che meglio ti piace.
Francesco
Avvegnachè con pauroso animo, pure voglio usare la tua licenza. E, a tacere le testimonianze degli altri, io me ne appello a costei, presente sempre a tutte le mie azioni, e a te ancora, se io m'angosciassi al pensiero della morte e della mia miseria, e quante lagrime versassi a cancellar le mie colpe: e vedi se anche adesso non mi scorra il pianto dagli occhi. Però, in tanto io repugno ad ammettere siccome certa la tua proposizione in quanto che non istimo esser vero che « niuno, se non liberamente, sia precipitato nella miseria »; e che « non diasi persona, se non di volontà propria, infelice. » Del contrario ebbi in me stesso prova assai dolorosa.
Agostino
Antico ed interminabile mi suona questo tuo lamento; e benchè io mi sia finora affaticato invano a mostrarti che non è infelice se non chi lo vuole, pure non cesserò, ove a tanto riesca, di rendertene persuaso. Avvi dunque, come ti dicea dalle prime, negli uomini questa mala ed esiziale libidine di trarre in inganno sè stessi; la quale non si può dire abbastanza quanto nella vita torni dannosa. Dappoichè, se a ragione state in guardia contro le male arti di coloro che se'n vivono a' vostri servigii, perché e l'esempio altrui v'ammaestrò ad esser cauti, e la voce di chi vi sta presso blanda vi risuona sempre all'orecchio (del che non si corre pericolo cogli estranei); quanto più non avrete a temere le proprie frodi, mentre grande è l'amore che recate a voi stessi, grande l'autorità e la domestichezza! Oltre a ciò, non v'ha alcuno che non estimi sè medesimo oltre il dovere e più si ami che non convenga. E allora, come dispaiare l'ingannato dall'ingannatore?
Francesco
Oggi ricadi sovente nelle stesse parole: ma io, se ben me ne ricorda, non mai ho ingannato me stesso. Così gli altri non avessero ingannato me!
Agostino
Ora sì che con questo falso tuo vanto ti rassodi più che mai nell'errore. Io però non ho così basso concetto della tua mente che non la creda atta ad intendere di per sè, ove più attentamente riguardi, siccome non possa avervi alcuno che, se non volontariamente, precipiti nella miseria; nel che si fonda ogni nostro ragionamento. E dimmi in fede tua, ma bada prima di rispondere che non ti guidi la passione, ma sì l'amore del vero, se v'abbia uomo che dalla necessità sia stato condotto a peccare. Certo non ignori essere sentenza dei sapienti che il peccato sia un'azione volontaria e che cessi d'esser tale ove manchi la volontà. E già prima m'hai conceduto che l'uomo puro di colpa non vuolsi chiamare infelice.
Francesco
Or m' accorgo come poco fa gradatamente mi sia allontanato dal tema proposto. Perciò son costretto a confessare che ogni mia sciagura mosse dapprima dal mio arbitrio. E da quanto esperimentai in me stesso fo ragione degli altri. Però tu pure devi convenir meco d'una verità.
Agostino
E quale?
Francesco
Se vero è che niuno cada se non per proprio volere, deve esser vero del pari che, tra l'infinito numero di quelli che caddero spontaneamente, ve n'ha pure taluno che suo malgrado rimane a terra senza potersene rialzare. Ed io mi son uno di questi; il quale, siccome pena del mio fallire, non sento adesso la forza a rilevarmi, perché non volli starmene in piedi quando poteva.
Agostino
Benchè questa tua proposizione non sia del tutto fuor di ragione, nondimeno, dappoichè mi concedesti d'aver errato nella prima cosa, sarà forza che altrettanto mi confessi della seconda.
Francesco
E che? è forse tutt'uno il cadere ed il rimanersene a terra?
Agostino
Grande diversità corre tra il non volere e il volere; ma se queste due azioni differiscono tra loro in quanto al tempo pur voglionsi riguardare come una sola nell'animo di chi non vuole.
Francesco
Tu m'inviluppi ognor più nelle tue reti. Però io ti dico che il vincere coll'arte procaccia lode di astuto, ma non già di valoroso lottatore.
Agostino
Noi parliamo alla presenza della Verità, che è amica di ogni schiettezza e nemica alla frode. E perché ne resti ognor più persuaso, discorriamo pure quindinnanzi quanto più semplice vuoi.
Francesco
Non potevi farmi più cara proferta. Or tu dunque mi dimostra in qual modo avvenga che, essendo io misero, nè il posso negare, me ne resti tale di mia volontà. E sento pure che questa mi è acerbissima cosa e in tatto contraria al voler mio, ma non posso altrimenti.
Agostino
Purchè mi attenga i patti, io ti farò vedere che devi usare altre parole da queste.
Francesco
A che patti accenni? di che parole deggio valermi?
Agostino
I patti fermati sono, che noi, rigettata ogni arte ingannevole, con tutta ingenuità moviamo alla ricerca del vero. In quanto poi alle parole da adoperarsi, io ti feci scorto a non dire che non possa, ma sì che tu non voglia.
Francesco
Così ce n'andremo all'infinito; perché io non m'indurrò mai a tal confessione. Me 'l so ben io, e tu lo vedesti, se, anche volendo, potei, se le lagrime che sparsi mi giovarono punto.
Agostino
Questo è ben vero, ma non è già vero che efficacemente volessi.
Francesco
Gran Dio! e non v' ha uomo che conosca il patir mio, che sappia quanta forza facessi a rialzarmi, se mi fosse stato concesso?
Agostino
Taci: il cielo e la terra n'andranno sossopra, e cadranno e stelle dal firmamento, e gli elementi concordi verranno a pugna tra loro, prima che sia mendace il giudizio cui sarà per proferire la Verità.
Francesco
Che ne dici adunque?
Agostino
Io dico che la coscienza ti espresse lagrime dagli occhi, ma non mai t'indusse a cangiar di proposito.
Francesco
Ma e quante volte devo ripeterti che no 'l potei?
Agostino
Ed altrettante io ti rispondo, e più veracemente, che non volesti. Nè mi maraviglio che tu restassi avvolto entro tali lacci la cui tenacità purtroppo anch'io sperimentai allorchè rivolsi l'animo ad imprendere un nuovo cammino. Mi strappava i capelli, mi percotea la fronte, mi torcea le dita e, incrocicchiate le mani, mi stringea le ginocchia, di amarissimi sospiri riempiva l'aria ed il cielo, e gemendo bagnava di largo pianto il terreno. Pure non mi mutai dall'uomo di prima, finchè un più profondo pensiero non mi rappresentò al vivo tutta quanta la mia miseria: Solo quando volli pienamente, e tosto anche potei; e con mirabile ed avventurata celerità mi trasformai in un altro Agostino. E questa storia, se mal non m'appongo, la leggesti nelle mie Confessioni.
Francesco
Ben me ne ricordo; e quel salutar fico al cui rezzo accadde un tanto miracolo non può uscirmi di mente.
Agostino
Ben dicesti; e quel fico più debbe esserti caro che qualsivoglia mirto, edera o lauro diletto a Febo e, come dicono, al coro de' poeti; a te poi principalmente, il quale solo in questa età meritamente ne cingesti corona. Perché in te, che dopo molte procelle rientri nel porto, la memoria di quell'albero deve risvegliar nell'animo la speranza dell'emenda e del perdono.
Francesco
Io non aggiungo motto; va innanzi.
Agostino
A quel modo che ho principiato proseguo; e dico che avvenne a te ciò che a molti, cui si affà il detto di Virgilio:
Quando immota è la mente, invan la guancia
D'amarissime lagrime si bagna.
E benchè in tale argomento più altre cose potessi metterti sott'occhio, pure rimasi contento a proporti il mio esempio.
Francesco
Egregiamente! perché nè ci voleva meno al bisogno mio, nè cosa maggiormente di questa potea toccarmi sul vivo. E quantunque fra te e me corra quella stessa distanza che v'ha tra chi ricovera securo nel porto e il naufrago presso ad affogare, e tra l'uomo felice ed il misero; pure la tua incertezza d'allora rassomiglia alle procelle da cui mi sento agitato: ond'è che quando tra la speranza e il timore, sparsi gli occhi di pianto, io mi reco in mano i libri delle tue Confessioni, m'è avviso di leggere non l'altrui storia, ma quella de' miei traviamenti. Ma or via procedi come meglio ti aggrada; che io già, deposta ogni voglia di contesa, ho fermo di non contrariarti.
Agostino
Non è questo ch''io ti richiedo; perché siccome, al dir d'un filosofo, il troppo altercare è cagione che si smarrisca la verità, così una modesta discussione mena diritto a trovarla. Adunque nè conviensi assentir ciecamente ad ogni cosa detta, il che è indizio di tardo e pigro ingegno; nè, a modo dei litiganti, opporsi al vero con ostinate cavillazoni.
Francesco
M'è chiara la tua mente, e non ho che a lodartene. E mi varrò del tuo consiglio, purchè tu prosegua.
Agostino
E non vorrai piegarti alla forza del vero? non confessare che, procedendo per gradi, la perfetta cognizione della propria miseria partorisce il compiuto desiderio di rilevarsene? sempre però che il desiderio assecondi la potenza.
Francesco
Già mi sono acconcio a credere tutto ciò che dici.
Agostino
M'accorgo però che hai a significarmi qualche altra cosa: orsù parlami liberamente.
Francesco
Io di null'altro forte mi maraviglio che di aver voluto sin qui quello che sempre mi credeva di non aver voluto.
Agostino
Ma tu stai ancora intra due: se non che, per finirla una volta, non ti negherò che talora tu pure abbi voluto.
Francesco
Che dicesti?
Agostino
Non ti ricordi il verso d'Ovidio?
Poco all'opra è il voler, che sol perfetto
Allor sarà, se il fin bramato aggiunga.
Francesco
Mai sì; ed io mi stimava anche di aver desiderato.
Agostino
T'ingannavi.
Francesco
Lo credo.
Agostino
Ma, a rendertene viemaggiormente persuaso, interroga la tua coscienza. Essa, egregia interprete della virtù, infallibile non meno che verace e retta estimatrice delle opere e dei pensieri, ti dirà siccome non l'adoperassi mai col debito zelo a conseguir la salute, ma con troppo più di torpore e lentezza che non richiedevano le pericolose condizioni in cui ti trovavi.
Francesco
Ho, come ingiungi, disaminata la mia coscienza.
Agostino
E che ti risponde?
Francesco
Vere esser le cose che dici.
Agostino
Ove tu cominci a ridestarti, profitteremo non poco. Non v'ha nulla che possa fruttarti quanto il conoscere lo stato in cui un tempo vivesti.
Francesco
Se la conoscenza bastasse, io mi confido non che di riavermi bene per l'avvenire, ma egregiamente. Perché non mai mi fu palese, come ora, il poco d'ardore che spesi a riacquistare la libertà e metter fine alle mie miserie. Ma dimmi se per l'avvenire il solo desiderio mi sarà sufficiente.
Agostino
A che mira questa tua inchiesta?
Francesco
A rendermi certo se d'ora in poi mi resti altro a fare.
Agostino
Impossibili cose favelli: quasi che l'uomo possa ad un tempo e desiderar vivamente e lasciarsi andare all'inerzia.
Francesco
E a che dunque mi giova il desiderare?
Agostino
Ti schiuderà il cammino di mezzo ai più malagevoli sentieri; poi il desiderio della virtù è anch' esso buona parte di virtù.
Francesco
Tu mi sollevi a grande speranza.
Agostino
Perciò appunto ti favello, affinchè tu apprenda a sperare insieme e a temere.
Francesco
E di che debbo temere?
Agostino
Perché non domandi piuttosto di che abbi a sperare?
Francesco
Non mediocre studio io posi finora a non divenir pessimo; adesso tu m'insegni il modo ond'io possa rendermi ottimo.
Agostino
Ma forse tu non pensi quanto ardua impresa sia questa.
Francesco
Or vorrai crescere in me lo sconforto?
Agostino
Questo desiderare che dici è si una parola, ma tale che racchiude in sè innumerevoli cose.
Francesco
Tu m'agghiacci di spavento.
Agostino
Per tacere d'ogni altra condizione che si richiede a raggiungere il fine di cotesto desiderio, molte ve n' ha pure dal cui sovvertimento esso è generato.
Francesco
Non intendo il significato di queste tue parole.
Agostino
Un desiderio cosiffatto non può sorgere se non nell'animo di chi abbia spenti tutti gli altri. E tu ben sai a quante e quanto varie cose l'uomo aneli nella vita, le quali gli sarà forza mettere sotto i piedi per salire alla cima della suprema felicità. E poco tenero si dimostra di possederla chi ami altro all'infuori di lei.
Francesco
Or comprendo ciò che dici.
Agostino
Ma e quanti sono che giungano a dar morte all'infinito novero delle umane cupidigie? che governino l'animo col freno della ragione? Chi oserà affermare: Io non ho nulla di comune col corpo, fastidisco ciò che agli altri torna piacente, sospiro solo alle gioie del cielo?
Francesco
Oh! tra gli uomini di cotali ve n'ha assai pochi: ed ora mi è chiara la difficoltà a cui minacciando accennavi.
Agostino
Quel desiderio pertanto non sarà nè libero nè perfetto, ove prima non quietino gli altri. Perché quanto l'animo, per la nativa grandezza, si sente rapito al cielo, ed altrettanto è trascinato a terra dal corporeo peso e dai mondani allettamenti. E voi, mentre che volete ascender lassù tenendo gli occhi fitti alla terra, d'una in altra parte, sospinti, non adempite nè a questa cosa nè a quella.
Francesco
E che dovrò io dunque fere acciocchè l'animo volonteroso, spezzati i legami terreni, si sollevi alle cose superne?
Agostino
A tanta perfezione null'altro meglio conduce che richiamarsi del continuo a ciò di cui ti feci menzione dapprima; ed è il pensiero della morte.
Francesco
Se non m'inganno anche adesso, non ebbe uomo che più di me frequentemente la meditasse.
Agostino
Altro campo, altra fatica.
Francesco
E che? dico adunque bugia una seconda volta?
Agostino
Vorrei che parlassi con maggior cortesia.
Francesco
Però questo tuo favellare...
Agostino
Ed è pur vero!
Francesco
Adunque io non medito la morte?
Agostino
Assai di rado e con tanta spensieratezza che note giungi mai a toccar fondo a tutta la tua miseria.
Francesco
Ed io mi credeva ben altro.
Agostino
Or bada, non già a ciò che credevi, ma a quello che t'era mestieri di credere.
Francesco
Non vorrò mai più prestar fede a me stesso, se mi dimostri quanto io, anche in tale proposito, sia caduto in inganno.
Agostino
Questa è agevole impresa; e purchè rechi a ciò un animo ben preparato, io mi rivolgerò anche adesso ad un testimonio non guari lontano.
Francesco
E quale, di grazia?
Agostino
La tua coscienza.
Francesco
Essa mi dice il contrario.
Agostino
Quando la s'interroghi alla confusa, non potrà essa mai porgere una distinta risposta.
Francesco
Che fa questo a noi?
Agostino
Anzi moltissimo; e tu, a fartene capace, attentamente m'ascolta. Non v'è alcuno di sì poco senno, a non dir pazzo, cui non soccorra talvolta alla mente la fralezza della propria natura, e che, interrogato, non risponda d'esser mortale e d'abitare entro un corpo di deboli tempre; perché di ciò lo fanno accorto e i dolori delle membra e gli accessi delle febbri, da cui qual v'è persona, per quanto cara al cielo, che non sia talora assalita? Aggiungi che le morti degli amici, onde sovente sono contristati i nostri occhi, non possono non altamente atterrirci; dappoichè, mentre si accompagna al sepolcro uno de' nostri coetanei, è forza che, riflettendo al suo ultimo fine che ci è posto innanzi, cominciamo a darci affannoso pensiero di quanto è riservato a noi pure. Così ove s'appicchi la fiamma alle case del vicino, non puoi vivertene a sicurezza nella tua, come dice Flacco:
Perché chiaro t'appar ch'entro brev'ora
Un egual rischio correrai tu stesso.
E tanto più queste repentine morti apriranno breccia nell'animo, quanto sarà giovane, robusto e leggiadro chi ne cade vittima. Ond'è che, guardandoci attorno, dovremo dire a noi medesimi: Ecco costui, che si credeva aver qui ferma stanza, pure ne fu cacciato fuori, senza che l'età, la bellezza, la forza valesse a scamparlo. Or dunque, e qual nume o negromante, potrà mai metter pegno per la mia vita. Ahi non v' è dubbio che io non sia uomo mortale! Che se tanto avvenga altresì ai re e imperadori della terra, se ad egregi e potenti personaggi, viemaggiormente ne saranno scossi i presenti, perché coloro che avevano veduto soccombere gli altri, d'improviso ed in breve soggiacciono a morte; tanto è vero che ogni condizione di gente procede da una fonte comune. E non ti rammenti l'alto stupore onde sono commossi i popoli nella morte degli uomini sommi, come, per richiamarti alcun poco alla storia, avvenne nella uccisione di Giulio Cesare? Egli è questo un tale spettacolo che stringe di tema i cuori e gli occhi mortali, e nel metterci davanti le altrui sventure ci rimena a meditare sopra noi stessi. Poni oltre a ciò il furor delle belve e degli uomini, e la rabbia delle guerre; gli scuotimenti de' grandi edifizii, che, come a ragione si disse, un tempo valeano a riparo e adesso minacciano rovina; e il sinistro girare dei cieli, i venti pestilenziali e tanti pericoli di terra e di mare da cui siamo attorniati: in una parola, non v'ha cosa a cui volgi gli occhi che non ti presenti tosto l'imagine della tua mortalità.
Francesco
Perdona, di grazia, se t'interrompo; che non so più contenermi. Io non credo che si possano arrecare più acconce ragioni di queste a confermarmi nel mio proposito. Però, nell'atto di porgerti orecchio, io non sapea comprendere a qual segno mirassero le tue parole o quando avrebbero fine.
Agostino
Perché spezzare a mezzo il filo della mia conchiusione? La quale non è altro che questa: che quantunque voi siate circondati da cose tanto fugaci, che pur dovrebbero ricondurvi a meditazioni profonde, assai di rado vi date maturamente a riflettere alla inevitabile necessità della morte, a ciò contrastando le lunghe abitudini che vi rendono sordi ad ogni salutare ammonizione.
Francesco
Pochi adunque conoscono la definizione dell'uomo. E sì che, insegnata tanto spesso nelle scuole, non pure le orecchie degli uditori, ma si anche la ripetono le stesse colonne degli edifizii. Ma non tacerà per questo la ciarliera indole dei dialettici, che, mentre si stempera in un profluvio di definizioni, non altro fa che fornire materia ad immortali litigi, dai quali non si riesce mai a raccapezzare quel vero che ignorano anch'essi. Pertanto se tu richiedi ad una pecora di cotal gregge non dico la definizione dell'uomo, ma di qualsivoglia altra cosa, non istarà in forse di darti una pronta risposta. Però se più t'innoltri, ammutisce; ed ove l'insistere nelle domande le ponga in bocca audaci parole, certo i costumi di lui che ti favella ti chiariranno com'egli non conosca veramente ciò che definisce. Onde contro codesta strana genia di ventosa e caparbia gente, sta bene prorompere così: A che fruttano codeste vostre fatiche, o sciagurati? perché tra tanti lacci accalappiate l'ingegno? e, dimentichi delle cose, invecchiate tra le parole? Già vi biancheggiano le chiome e vi si corruga la fronte, prima che cessiate da tante puerili ciance. Ed oh una tale insania danneggiasse almeno voi soli! ma troppo spesso le nobilissime menti della gioventù ne sona travolte.
Agostino
Sì, egli è vero; non v'ha parole, per quanto tremende, che bastino a sfolgorare codesti mostri degli studii. Ma tu frattanto, trascinato dall'impeto del discorso, dimenticasti la definizione dell'uomo, a cui avevi dato principio.
Francesco
Mi pareva d'averne detto oltre il dovere, ma ne parlerò più di proposito. Or dunque l'uomo è un animale, anzi il principe tra tutti gli animali. Nè v' ha sì rozzo bifolco o fanciullo che interrogato non risponda l'uomo esser insieme animal razionale e mortale; ond' è che questa definizione sia a tutti palese.
Agostino
Io ti dico anzi che a pochi.
Francesco
Parli tu di buon senno?
Agostino
Se mai avvenga di scontrarti in alcuno fornito di ragione per modo che secondo i dettati di lei ordini la vita, e a lei sola sommettendo ogni sua voglia e le passioni infrenando dimostri siccome non per altro che per attenersi alle sue norme si distingua dagli insensati bruti, e il nome d'uomo da ciò appunto venirgli che operi secondo ragione; se inoltre egli così del suo essere mortale si chiarisca consapevole che ne tenga sempre viva nel pensiero l'imagine e, disprezzatore delle presenti cose, sospiri a quella vita in cui vestito di luce novella lascerà le spoglie terrene; io dirò che costui soltanto utilmente e veracemente conosce che si voglia dir uomo. E perché intorno a cosiffatti cadeva il discorso, per questo affermai più sopra scarso l'essere il novero di chi conosca o rifletta all'umana mortalità.
Francesco
Ed io mi credeva d'essere uno dei pochi.
Agostino
Non voglio già negarti che l'esperienza della vita e la lettura di tanti libri, quella col ravvolgerti fra tante vicende, questa col porti sott'occhio tante sentenze, non t'abbiano di frequente richiamato al pensiero della morte; esso però non ti s'infisse tutto nell'animo, nè vi rimase troppo a lungo come dovea.
Francesco
E che vuoi dirmi con questo? parlami più aperto, acciocchè possa conoscere se il mio pensiero si conformi al tuo.
Agostino
Di buon grado. Corre una opinione nel volgo, la quale è altresì affermata dai più illustri del filosofico gregge, che la morte sia di tutte cose la più tremenda; a tal che, nel sentirne non altro che il nome, ogni cuore aggeli per lo spavento. Ma una passeggera menzione che se ne faccia o il tenerne discorso soltanto non basta; che anzi giova intrattenersene a lungo e con intentissima meditazione rappresentarsi un uomo in sul confine della vita. Guarda com'ei si tramuti nelle membra! gli si irrigidiscono le parti estreme e le mezzane s'infuocano; stilla dalla fronte un gelato sudore; gli palpitano i lombi; il battito del cuore, all'avvicinarsi dell'estremo punto, s'allenta. Gli occhi infossati ed erranti, lagrimosa la pupilla, raggrinzata e livida la fronte, cadenti le guance, chiavati i denti, rigide ed affilate le nari, spumante il labbro, torpida e coperta di squamme la lingua, riarso il palato, pesante il capo, affannoso il respiro. E già gli si aggrava il rantolo, più dolorosi si fanno i gemiti, esala dalla persona un intollerabile puzzo, e tutte se ne trasfigurano le sembianze. Delle quali cose, senza dubbio, serba memoria e agevolmente se le rappresenta al pensiero chi abbia assistito di sovente a scene si luttuose. Perché il vedere più vivamente che l'udire scolpisce gli oggetti nell'animo. Onde è che con savio accorgimento, in alcuna delle più severe religioni, anche all'età nostra tanto avversa agli usi buoni, dura il costume che i più perfetti assistano al lavacro dei cadaveri prossimi ad esser sepolti; e ciò all'effetto che un tanto tristo e miserando spettacolo ammonisca le menti e i cuori de' sopravissuti a non lasciarsi sedurre dalle vane speranze del mondo. — Ed è ciò che, come ti dicevo, tu devi profondamente scolpirti nell'animo, non abbastanza scosso dal quotidiano morire di tanti; perché nè il sentirsi tutto giorno ripetere che come incerta n'è l'ora così certissima è la morte, ned altri discorsi di simil fatta, hanno potenza da arrestare il volo al pensiero sì che altrove non trascorra.
Francesco
Savie parole dicesti; ed io tanto più le l'approvo che in gran parte s'accostano a quelle che costumo di meditare. Ma deh! te'n prego, impronta l'animo mio di tale suggello che io quindinnanzi non sia mai più tratto in inganno sì che blandisca a' miei errori; dappoichè il conoscere la meta e non darsi alcun pensiero a raggiungerla è ciò che travia gli uomini dal buon cammino.
Agostino
M'aggrada forte udir di tua bocca tali cose che dimostrano come non discorri a caso, ma sì pensatamente. Pertanto, a non ricader più, abbiti il segno che chiedi. Se qualora mediti la morte non ne resti commosso, vuol dire che fu vano, siccome in ogni altra cosa, il tuo pensiero. Ma se invece un sudor freddo ed un tremito ti assaliranno, se trascolorerai nel sembiante, e già ti parrà di travagliarti di mezzo alle mortali agonie, e ti si scriverà, come a dir, nel pensiero che l'anima non appena uscita del corpo dovrà presentarsi al giudice eterno per rendergli strettissimo conto d'ogni parola, d'ogni atto della vita trascorsa; se, finalmente, vorrai persuaderti che non è da riporre veruna fiducia nella bellezza della persona, nella gloria del mondo, nella potenza dell'ingegno, nella forza o nella ricchezza, perché quel giudice non può nè ingannarsi ned essere placato o corrotto; se penserai che la morte anch'essa non tanto dee riguardarsi qual fine delle fatiche, ma qual passaggio; e di mezzo a tutto questo ti si affiggeranno alla mente mille guise di supplizii e tormentatori infiniti, e lo stridore e i gemiti dell'inferno, e i fiumi di zolfo e le tenebre, e le furie vendicatrici e il tremendo aspetto di quell'orribil prigione ove sovrabbonderà ogni male senza termine alcuno, e la disperazione dell'incessante cruccio, e la collera d'un Dio che, inaccessibile al perdono, vivrà in eterno; ove un cosiffatto spettacolo vivamente ti si rappresenti, non già come di cosa imaginata, ma realissima, inevitabile e quasi anzi presente; nè sconfidato nell'animo, ma pieno di speranza crederai che Dio vorrà prontamente ritòrti a tanti mali, purchè il cuore sospiri alla sua guarigione e a null'altro intenda che a conseguirla e duri nel retto proposito; allora sta a buona speranza che non torneranno inutili le tue meditazioni.
Francesco
Forte m'atterrisci collo schierarmi dinanzi tante miserie. E così Iddio mi sia largo di perdono, come io di codesti pensieri mi pasco ogni dì e le notti principalmente. Quando, rifinito dalle diurne cure, raccolgo in me i pensieri ed atteggio la persona a modo di moriente, ecco che io m'affiguro in mente l'ora stessa di morte con quanto di più orribile l'accompagna. E stimandomi ornai giunto a quell'irrevocabil passo, veggo aperto l'inferno e tutte le altre orribili cose che menzionasti; onde tale uno sgomento m'assale che tutto esterrefatto e tremando balzo dal letto, con ispavento de' miei familiari, e grido: Che m'avvien mai? e che è questo ch'io soffro? e qual fine m'aspetta? O Gesù mio aiutami!
Oh da tanti mi togli orridi mali,
Signor pietoso, e la tua destra invitta
Guida mi sia per questo aspro diserto.
Or tu nella suprema ora mi dona
Quella pace che invan supplice imploro.
E a modo di farnetico, dovunque mi trascini la foga dell'animo impaurito, ripeto meco stesso tante altre parole. E ne piango talvolta cogli amici miei sì caldamente da spremerne loro dagli occhi le lagrime. Ma ahimè! che, acchetato quel tumulto d'affetti, mi sento l'uomo di prima. E perché adunque io non miglioro? qual v'ha segreta cagione onde questo pensiero null'altro m'apporti che angosciosi terrori? ed io rimanga sempre lo stesso, non punto diverso da coloro cui giammai nulla accade di somigliante? E la mia infelicità di tanto è maggiore perché essi, senza riflettere alla sorte che li aspetta, almeno si godono del piacere presente. Ma io, che vivo incerto del mio ultimo fine, non gusto piacere che non mi si asperga d'amarezza.
Agostino
Non volerti affliggere di ciò che ti dee consolare; dappoichè quanto più viva è la voluttuosa dilettazione che risente il peccatore delle sue colpe, e tanto più terribile e miseranda deve stimarsi la sua sventura.
Francesco
E forse ciò avviene perché non più ritorna sul sentiero della virtù colui che, immemore di sè, lasciasi travolgere dal torrente delle voluttà mondane. Ma l'uomo che tra le mollezze del vivere e gli allettamenti della fortuna è provato da qualche duro caso, allorchè sia abbandonato da' suoi precipitosi ed improvidi piaceri, si rammenta la naturalista condizione. E d'altra parte io non so se di due uomini chiamati ad un egual fine si deggia stimar più felice l'uno che, godendo adesso, sarà martoriato nell'avvenire, o non piuttosto l'altro che nè s'allegra dei beni presenti nè se ne ripromette di futuri. E ben sai che, in sul confine della vita, il riso è più amaro del pianto.
Agostino
Ma tu certo non rifletti che, ove taluno si sottragga al freno della ragione per modo che senza ritegno s'abbandoni tutto al godimento dei sensi, precipita più al profondo dell'altro che, pur caduto, qualche poco a lei resta soggetto. Ove pertanto ripensi a ciò che prima ti dissi, vedrai che della salute di questo secondo è a ripromettersi alcuna cosa, mentre io dispero affatto del primo.
Francesco
Sono del tuo medesimo avviso. Però dimenticasti di risolvere la quistione ch'io t'aveva promossa.
Agostino
E quale?
Francesco
Non ti chiesi io qual sia il laccio onde mi trovo costretto? Dimmi adunque come avvenga che riesca a me infruttuoso il pensiero della morte, utile a tanti?
Agostino
Primieramente perché tu riguardi la morte siccome assai lontana, quando ella, sì per lo brevissimo corso della vita come per la incertezza e la varietà de' casi ti è vicina. E tutti, al dir di Cicerone, c'inganniamo nel veder la morte di lontano: il qual testo alcuni, non so se correttori o corruttori, vollero alterare col premettere al verbo la negazione. Che se non avvi alcuno di sana mente il quale non s'aspetti la morte, quanti invece vi sono che la veggono vicina! I più s'illudono nel proporsi una tal meta alla vita cui se la natura dà la possibilità di toccare, assai pochi vi afferrano. Ed io non credo esservi quasi nessuno di quanti muoiono cui non si convengano quei versi:
Desia tarda vecchiezza, e nel pensiero
Gli sorride di lunghi anni la speme.
Ciò appunto ti sedusse, perché e l'età e la robustezza della persona e la temperanza nei cibi ti riprometteano lunga vita.
Francesco
Non sospettar di me tali cose. Tolga Iddio chè mi getti in braccio a tal mostro, secondo che diceva quel famoso pilota presso Virgilio. Ed io, trabalzato dalle onde torbide e procellose d'un vasto mare, sovra una fragile barchetta che ha i fianchi squarciati, quando più furiosi soffiano i venti, ben so di non potermi a lungo mantenere a galla sicchè non affondi. E già niuna speranza mi resta di salvezza, se il misericordioso ed onnipotente Signore, fattosi a sedere al governo della mia nave, prima che io perisca, non mi scorga nel porto, acciocchè dopo tanto assiduo agitarsi la mia vita si chiuda in pace. Questa credenza mi fu cagione che il fascino delle ricchezze e della potenza non mi allucinasse e non ne perdessi il senno, come avvenne a molti miei coetanei e di maggiore età che la mia, troppo bramosi di uscire dal battuto sentiero. Or qual furore è questo che mena gli uomini a trascorrere tutta la vita nelle fatiche e nella miseria, ad ammassare con indicibili affanni que' tesori cui dovranno tosto lasciare per morte? E del continuo mi tengo fitte in mente queste terribili verità; e m'avvezzo a riguardarle non già come lontane, ma sì presenti. Nè mi caddero giammai dalla memoria alcuni versi che, giovine ancora, io indirizzai ad un mio amico, e finiscono in queste parole:
E mentre io ti favello, ahi! che la morte,
Per infinite vie, forse s'affretta
A recider di tua vita lo stame.
Che se così io la discorreva allora, muterei linguaggio adesso che ebbi a maestra l'esperienza e l'età? E quanto veggo, odo, sento e penso, non mira ad altro fine che a questo. Ora se è vero ciò che ti dissi, resta a dichiararsi il perché io perseveri ancora in tal tenore di vita.
Agostino
Ringrazia umilmente Dio perché t'imbrigli d'un freno tanto salutare e ti punga con isproni sì acuti. Certo sembra appena possibile che corra incontro alla morte eterna chi tutto giorno s'affisa in tali pensieri. Ma giacchè conosci, e non senza ragione, che alcuna cosa ti manca, io mi adoprerò a chiarirti che sia. Forte allora del divino aiuto, rimosso ogni impedimento, potrai scuotere il giogo di servitù sotto cui gemi oppresso.
Francesco
Voglia il Signore che tu m'usi un tanto favore: ed oh che io non me ne renda affatto immeritevole!
Agostino
Non istà che a te il volerlo; ma due cose richiedonsi alle umane azioni, di cui se anche una sola manchi, lo sperato effetto dilegua. Sei dunque disposto a porre in atto tal forza di volontà che acquisti il nome di desiderio?
Francesco
Te ne do la mia fede.
Agostino
Sai tu che principalmente ti noccia?
Francesco
Questo è che dimando, questo che da tanto tempo ardo di sapere.
Agostino
Odimi adunque. Tu hai sortito dal cielo un'anima di nobilissima tempra, ma il terreno ingombro entro cui essa fu circoscritta così la contaminò ch'ella molto è degenerata dalla primiera sua origine. Oltre a ciò impigrita, col lungo correre degli anni, pose in dimenticanza tutta la nativa grandezza e lo stesso suo divino fattore. Ed alle passioni che nascono dall'intima unione che avvince l'anima al corpo, non meno che all'abbandono della parte più nobile di nostra natura, sembra aver accennato Virgilio in quei versi:
Alto vigor s'acchiude in questi germi,
E celeste natura. Invan de' corpi
Loro s'oppon lo schermo; e le terrene
Fragili membra ed il sospir supremor
Non ne allentan l'oprar. Ora il desio
Li alletta, ora la tema e il duol li affanna,
Or la gioia li allegra. Ognor costretti
Di tenebroso carcere nel buio,
Non bevono le aperte aure del cielo.
E non ravvisi tu in questo concetto del poeta quel quadruplice mostro tanto avverso alla umana natura?
Francesco
Anzi nettamente. Ed esso, per rispetto al tempo presente e futuro, in due parti si divide; le quali in due altre suddivise, secondo la nozione del bene e del male, ancora si suddistinguono. Di cotal guisa fa naufragio la pace dell'animo, messa sossopra da questi quattro venti.
Agostino
Ben parli. Onde in noi s'avvera il detto dell'Apostolo: Il corpo che si corrompe aggrava l'anima, ed il terreno abitacolo volge in basso lo spirito che si svaga in troppi pensieri. Perché le visibili cose, sotto inumerevoli sembianze d'imagini, come sieno mediante l'organo de' sensi penetrate dentro di noi, s'addensano ed a torme irrompono nel più segreto dell'anima, e tutta ingombrano e combattono la sua spirituale sostanza, che mal può reggere a tanta guerra. Da ciò quella pestilenza di fantasmi che miseramente straziano la mente e chiudono il sentiero alle contemplazioni de' sublimi oggetti che soli ci possono essere di scala al cielo.
Francesco
Di tale contagio per assai bel modo ragioni spesso in parecchie tue opere, e principalmente nel libro Della vera religione, di quella religione alla quale niuna cosa più di questa s'oppone. È non ha molto che, lasciati da parte i filosofi ed i poeti, m'avvenni in questo tuo scritto; nè ti potrei dire con quanto piacere lo leggessi. Così chi per amore di stranieri paesi va pellegrinando dalla patria, tocca appena la soglia d'una rinomata città, sente ripieno il cuore di nuova dolcezza e ad ogni passo s'arresta ad ammirare quanto di bello gli cade sott'occhio.
Agostino
Però, sebbene altro suonino le parole, come s'addiceva ad un maestro di cattoliche verità, avrai di per te conosciuto che le dottrine di quel libro sentono in gran parte di filosofia, spezialmente socratica e platonica. E per dirti tutto, sappi che io mi posi a quell'opera indotto da una parola del tuo Cicerone. Dio poi m'aiutò nel condurla, affinchè di piccolo seme spuntasse copiosa messe. Ma torniamo a noi.
Francesco
Come t'aggrada, o buon padre; ma significami, te 'n prego, quella parola che porse argomento ad un tanto lavoro.
Agostino
Cicerone, sdegnato cogli errori di certi filosofi de' suoi tempi, disse, non so in qual luogo: «Costoro, perché non aveano potenza a guardare colla veduta dell'anima, tutto rapportavano al corpo; quando invece è indizio di ottima indole astrarre la mente dai sensi e il pensiero dalle volgari idee.» Così egli: io poi, posta questa sua sentenza come a fondamento, vi costrussi sopra quell'edilizio di cui, come dici, prendesti tanto diletto.
Francesco
Or mi ricordo che queste parole stanno scritte nelle Tusculane. E ben mi accorsi che tu, siccome ragion vuole, di quando in quando frapponi di buon grado ai tuoi, scritti le sentenze di quest'autore, degno d'andar annoverato fra coloro che all'amore del vero accoppiano grazia e maestà. Ma deh ripiglia, che n'è il tempo, l'interrotto argomento!
Agostino
Or dunque quella peste, siccome diceva, ti nocque; ed essa al presente ancora s'apparecchia ad esserti cagione di finale rovina. Dappoichè il debole animo, assediato da' suoi fantasmi, che molti e varii non gli danno pace un momento, non sa a che prima provedere, quali pensieri alimentare a quali dar morte e quali altri bandire; e tutto il vigore che in sè chiude e il tempo che rapido gii scorre a tanto non bastano. E a te avviene lo stesso che a coloro i quali, volendo in ristretto campo sparger copia di sementa oltre il dovere, alle sighe troppo fitte tolgono modo di venire a maturanza. Per simil guisa, quando l'anima sia soverchiamente oppressa da cure, non l'ha bene che mettendo radice meni abbondanza di frutti. E tu, sproveduto di buon consiglio, qua e colà fosti travolto dall'ondeggiare de' flutti, perché infermo di mente e venuto in altrui signorìa. Quindi ogniqualvolta rifletti di proposito alla morte e ti richiami a cosiffatte fruttuose meditazioni, e dalla bontà dell'ingegno sei , sollevato a pensamenti sublimi; ecco insorgere una torma di vanissime cure che, traendoti dal luogo in cui non avevi forza a sorreggerti, ti precipita nell'abisso. Onde accade che i buoni proponimenti, attesa la soverchia tua immobilità, riescano a nulla; e cagionando le interiori battaglie a cui accennammo, te ne deriva quell'ansietà d'un'anima che, mal paga di sè, abborre le macchie di che va brutta nè s'induce a detergerle; conosce il torto sentiero, nè ha forza di camminare pel retto; trema del sovrastante pericolo, senza che s'adopri a fuggirlo.
Francesco
Ahi meschino di me! adesso sì che tentasti a fondo la mia ferita, e tutto io ne risento il dolore, e il punto della morte mi fa spavento.
Agostino
Ora che la pigrezza s'è partita da te, stai molto meglio di prima. Ma poichè il nostro discorso s'è oggi protratto a lung'ora, parleremo dell'altre cose domani. Riposiamoci alquanto.
Francesco
Alla mia stanchezza non v' ha miglior rimedio che il silenzio e la quiete.
Explicit liber primus