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AFRICA ROMANA: Volubilis

Mappa della città romana di Volubilis

Mappa della città romana

 

 

VOLUBILIS

 

 

 

La data di fondazione di Volubilis è incerta, anche se è ormai provata la presenza di un insediamento berbero preesistente all'occupazione romana grazie al ritrovamento, sul fronte nord-orientale della cinta muraria, di uno strato di epoca anteriore. Ai piedi del massiccio dello Zerhoun, Volubilis fu abitata in epoca neolitica ed occupata anche dai Cartaginesi. Sembra ugualmente accertato che sia stata una delle capitali di Giuba II (25 a. C.-23 o 24 d. C.), re della Mauretania, con il nome di Oulili, deformazione di Oaulili, che significa "oleandri rosa".

A seguito della conquista romana (40-45 d.C.) divenne una delle principali città della provincia mauretana tingitana, residenza dei procuratori che governavano la regione rispondendone direttamente all'imperatore. Volubilis visse il suo apogeo nel II e III secolo d. C. grazie al commercio dell'olio (una casa su quattro era dotata di un frantoio), del grano e degli animali selvaggi (leoni, pantere, elefanti).

Con gli Antonini e i Severi fu, infatti, munita di un giro di mura successivamente ampliato; sotto Commodo venne abbellita di monumenti; con Macrino vide la costruzione del Campidoglio e sotto Caracalla quella di un Arco di Trionfo. Il declino, iniziato sul finire del III secolo, per la pressione delle tribù berbere, non comportò l'abbandono della città che fu abitata fino al tardo VIII secolo da Berberi cristiani, forse discendenti dei Baquati.

A quell'epoca, una cinta muraria divideva la città in una parte occidentale, dove viveva ancora la popolazione, e in una zona orientale adibita a necropoli e a cava. Nel 799 Moulay Idriss vi fu accolto e proclamato imam. La città, che intanto aveva mutato il nome in Oulili o Oualila, venne abbandonata solo dopo la fondazione di Fès.

L'inglese J. Windus fu il primo a darne qualche descrizione nel 1721, poco tempo prima che gli edifici rimasti in piedi fossero ulteriormente danneggiati dal terremoto del 1755; solo più tardi, nel 1874, il sito venne identificato dal diplomatico e archeologo francese Charles-Joseph Tissot.

I primi scavi furono eseguiti nel 1887-92; riprese le campagne nel 1915-41 sono continuate fino ai giorni nostri. Buona parte del materiale è stato trasferito al Museo archeologico di Rabat. Passato il ponte sull'uadi Fertassa si sale per un sentiero dal quale si ha una bella vista su Moulay Idriss e il massiccio dello Zerhoun; sulla sinistra, sussistono le rovine di un oleificio. In prossimità dell'oleificio ha inizio a destra una strada lastricata, lungo la quale si trova, sul lato sinistro, la casa di Orfeo, che prende il nome dal motivo del mosaico pavimentale principale, come la maggior parte delle case di Volubilis.

 

  APPROFONDIMENTO

Le mura

Le mura, risalenti agli anni 168-169, sono state in gran parte riportate alla luce; avevano uno spessore di 1,60 m, una lunghezza di 2350 m e vi si aprivano otto porte. Il fronte est, ricostruito, delimita la zona archeologica. All'ingresso degli scavi è stato allestito un lapidarium; sul muro del padiglione di entrata si vedono due mosaici che raffigurano una testa di Medusa e un'allegoria del vento.

 

La casa di Orfeo

In prossimità dell'oleificio ha inizio a destra una strada lastricata, lungo la quale si trova, sul lato sinistro, la casa di Orfeo, che prende il nome dal motivo del mosaico pavimentale principale, come la maggior parte delle case di Volubilis. È l'edificio più raffinato del quartiere meridionale, il quale è preesistente all'età romana e relativamente modesto rispetto a quello più aristocratico del settore nord-orientale. La casa è il risultato di successivi ampliamenti, come testimoniano la presenza di tre differenti livelli di occupazione, gli spessi muri interni, la vicinanza delle porte d'ingresso. Appartenne forse a una famiglia berbera romanizzata arricchitasi con il commercio dell'olio, che ristrutturò l'abitazione adattando le antiche ed eterogenee strutture al tipico impianto romano. Da una porta si accede agli appartamenti privati, nel vano a sinistra dell'ingresso è rimasto un mosaico raffigurante nove delfini che guizzano tra le onde; a destra si trovano le terme, con la consueta successione di stanze riscaldate su ipocausto. Una seconda porta introduce ai locali di rappresentanza: nel peristilio si noti il mosaico con pesci, crostacei e un cavalluccio marino; a sud si apre il tablinio, al centro del quale spicca il mosaico pavimentale raffigurante il mito di Orfeo. Nella parte occidentale vi è un oleificio con due frantoi a forma di doccia circolare.

 

Mosaico con il dio Ercole

Mosaico con le imprese di Ercole

Le terme di Gallieno

Accanto alla casa di Orfeo si possono vedere le fondamenta delle terme di Gallieno così chiamate per una dedica a questo imperatore trovata nell'edificio, che si stendevano su circa 1000 mq; si riconoscono la sala delle caldaie, con due focolai un tempo sormontati da caldaie in bronzo, e i differenti ambienti destinati alle varie funzioni termali. Alle spalle si apre il foro, risistemato al tempo dei Severi (inizi del III secolo), che conserva resti della pavimentazione.

 

Il Foro

Alle spalle delle terme di Gallieno si apre il foro, risistemato al tempo dei Severi (inizi del III secolo), che conserva resti della pavimentazione. Gli scavi hanno portato alla luce due precedenti livelli di occupazione, il più recente dei quali risale ai primi anni della conquista romana. Si trattava di un foro porticato, al centro del quale sorgeva un edificio di notevoli dimensioni, probabilmente un tempio. Il complesso, parzialmente distrutto durante i disordini scoppiati alla fine del Il secolo, fu edificato sul luogo ove sorgevano due piccoli templi dell'età di Giuba II. La spianata era allora pavimentata con grossi ciottoli e parzialmente occupata da abitazioni protette da una cinta, che fungeva da sostegno a locali industriali. I quattro ambienti a ovest del foro appartenevano al «macellum» (piccolo mercato). Sul lato destro sorgevano il campidoglio e la basilica.

 

Il Campidoglio

Il Campidoglio, identificato grazie a una dedica dell'imperatore Macrino datata 217, fu edificato sul luogo occupato in precedenza da un foro. Il cortile lastricato era circondato da un portico le cui colonne sono state in parte rialzate; al centro si trovava un piccolo altare da cui uno scalone conduceva al tempio capitolino propriamente detto. Il tempio non è orientato a est, forse a causa della configurazione del terreno. Le vicine terme, di epoca anteriore, sono state più volte rimaneggiate. La basilica è a tre navate di cui quella centrale, più ampia, terminava alle due estremità con un'abside; l'edificio fungeva da sede di amministrazione della giustizia.

  APPROFONDIMENTO

 

La Basilica

Prossimo al Campidoglio, l'edificio della basilica è a tre navate di cui quella centrale, più ampia, terminava alle due estremità con un'abside; l'edificio fungeva da sede di amministrazione della giustizia. Edificio a quattro colonne fungeva anche da luogo da passeggio, Borsa del commercio oltre che luogo di giustizia.

 

La Casa di Desultor

Alle spalle del foro sorge, a sinistra, la casa del Desultor. Il mosaico pavimentale raffigura un «desultor» (atleta che nei giochi circensi saltava in corsa da un cavallo all'altro) che monta all'indietro un asino e sorregge un cantaro, premio per la vittoria, simbolizzata anche dalla fascia di stoffa con i due nastri. Superata la casa del Desultor, si riconoscono a sinistra le rovine della cosiddetta casa del Cane, dove è stata rinvenuta la famosa statua in bronzo (ora al Museo Archeologico di Rabat). Nella vicina piazza sussiste una fontana un tempo alimentata dall'acquedotto.

 

L'arco di Trionfo

L'arco di Trionfo, sul «decumanus maximus», fu eretto nel 217 in onore di Caracalla e di sua madre Iulia Domna. È stato rialzato nel 1933. Il decumanus maximus è l'asse che attraversa la città fra la cosiddetta porta di Tangeri, a nord-est, e la porta occidentale (il tratto messo in luce dagli scavi è compreso fra l'arco di trionfo e la porta di Tangeri). Lungo la strada si allineavano il palazzo del Procuratore (detto di Gordiano) e le più belle dimore della città.

 

La Basilica di Volubilis

La Basilica prossima al Campidoglio

La Casa dell'Efebo

Sul lato sinistro s'incontra per prima la casa dell'Efebo, che prende nome dalla statua dell'efebo coronato di edera, conservata al Museo Archeologico di Rabat, ivi ritrovata. Come la maggior parte delle abitazioni del quartiere, anche questa manifesta influenze dell'Oriente ellenistico: la precisa separazione degli appartamenti privati dagli ambienti di rappresentanza, l'ampliamento dell'atrio in un peristilio di vaste dimensioni con un lato soprelevato (in modo da ricevere più luce), l'impluvio più simile a una vasca orna mentale che a una cisterna per la raccolta delle acque.

Intorno al peristilio si aprivano le sale di rappresentanza; gli ambienti a est (uno dei quali conserva un mosaico raffigurante Bacco su un carro trainato da pantere) dovevano servire per le feste. Su questo lato si apre una dispensa, ricavata in una struttura più antica, probabilmente un mausoleo preromano. Il triclinio, che si affaccia sul peristilio, ha conservato un mosaico raffigurante temi bacchici: il medaglione centrale rappresenta una Nereide a cavallo di un animale marino. La parte occidentale dell'abitazione era occupata dalle dipendenze e dalle officine, tra cui un oleificio.

 

La Casa di Bacco

La Casa dei mosaici di Bacco e delle Quattro Stagioni è ricca di splendide decorazioni. I mosaici delle terme e nelle case portati alla luce nei siti archeologici della Mauritania Tingitana testimoniano l'influenza esercitata da Roma sulle città africane. Le decorazioni figurative policrome venivano eseguite in Italia riproducendo dei modelli. Venivano poi trasportati su pannelli e sistemate in quadri le cui tessere formavano sfumature e giochi di luce.

 

Case e ville

La casa delle Colonne, della prima metà del III secolo, è segnalata da due colonne tortili con capitelli corinzi; presenta un impluvio di inusuali dimensioni a pianta circolare. La casa del Cavaliere racchiude in un ambiente in fondo al vestibolo un mosaico raffigurante Bacco e Arianna. La facciata della casa delle Fatiche d'Ercole, in una via laterale, è decorata con colonne scanalate e rudentate. Oltre il peristilio, con mosaico a motivi geometrici ben conservato, il triclinio racchiude un altro bel mosaico a medaglioni (due dei quali cancellati) raffiguranti le fatiche d'Ercole.

  APPROFONDIMENTO

     Mosaici romani

 

Gli ambienti a nord erano adibiti a terme, riscaldate su ipocausto. Altri mosaici sono visibili nelle abitazioni vicine: si segnalano quelli della Casa di Bacco e le Quattro Stagioni e della Casa del Bagno delle Ninfe. In questo tratto del «decumanus maximus» il portico è stato in parte rialzato; sulle arcate si notano due busti scultorei: quello a destra rappresenterebbe la Mauretania o 1'Africa, 1'altro la dea Roma. Nell'area si trova il palazzo di Gordiano, probabilmente residenza dei procuratori, fu ricostruito durante l'impero di Gordiano III (238-244), il cui nome compare in un'iscrizione. Sul lato opposto del «decumanus maximus» s'incontra la casa della Moneta d'Oro, una delle più vaste di Volubilis, di cui rimangono poche vestigia scarsamente leggibili, analogamente agli altri edifici di questo lato. La casa delle Nereidi trae nome dal mosaico che orna la vasca del peristilio.

 

Il Palazzo di Gordiano

Il palazzo di Gordiano, probabilmente residenza dei procuratori, fu ricostruito durante l'impero di Gordiano III (238-244), il cui nome compare in un'iscrizione. Vi si accede attraverso un vestibolo pavimentato oltre il quale si apre un ampio peristilio con dodici colonne, ornato al centro da una vasca a ferro di cavallo. Nel lato est rimangono frammenti del pavimento in marmo a disegno geometrico di un'ampia sala di ricevimento, in fondo alla quale una scala conduceva all'appartamento invernale, riscaldato su ipocausto.

 

Casa del Corteo di Venere

Sulla strada parallela al «decumanus maximus» all'altezza del Palazzo di Gordiano, sorge la casa del Corteo di Venere, la più ricca di Volubilis. Sono stati riportati alla luce i mosaici pavimentali che ricoprivano almeno otto sale e sette corridoi, e i busti in bronzo di Catone l'Uticense e di Giuba II (oggi al Museo Archeologico di Rabat). Nelle sale adiacenti al triclinio (un tempo decorato con il mosaico della Navigazione di Venere, conservato al Museo Archeologico di Tangeri), sono visibili i mosaici di Bacco e le Quattro Stagioni, di cui si riconoscono l'autunno (coronato di grappoli d'uva) e l'estate; quello di Ila rapito dalle Ninfe; infine quello di Diana al bagno sorpresa da Atteone, di cui si distingue solo una parte del corpo. Tutti i mosaici sono databili tra la fine del II e l'inizio del III secolo.

 

Il tempio di Saturno

Lungo la riva dell'uadi Fertassa si scorgono le rovine del Tempio B, detto di Saturno; in origine consacrato a una divinità preromana, sarebbe stato successivamente dedicato al culto latino. Vi sono state rinvenute oltre seicento stele e frammenti di sculture e pitture.