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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Novecento > VilascoCICLo AGOSTINIANo di Fiorentino Vilasco a Cassago
Agostino scrive i Soliloquia
FIORENTINO VILASCO
1954
Cappella di S. Agostino nella Chiesa parrocchiale di Cassago Brianza
Contemplazione di Agostino mentre scrive i Soliloquia
Sul lato sinistro, nel sottarco di accesso alla sacrestia, Vilasco ha raffigurato il santo nella sua tipica espressione di contemplatore, di mistico, di colui che usa la realtà terrena per salire a Dio. E' l'Agostino che prega con le semplici parole. Dai Soliloquia è tratto il cartiglio sottostante: "Signore liberami dall'errore nel cercarti."
La scena è particolarmente interessante poiché si svolge nello studio del santo ma lascia un ampio squarcio aperto sul panorama circostante, dove si vede un edificio, forse le terme della villa, e un giardino. La disposizione di Agostino e il suo viso ricordano classici esempi nella iconografia che riportano alla visione di san Gerolamo.
Nel Soliloquia, un operetta composta nel 387, Sant'Agostino immagina un dialogo ideale tra lui e la ragione: Agostino desidera conoscere Dio e l'anima, la ragione dovrà dargli una risposta. La ragione chiarisce da subito che per conoscere Dio occorre che sia presente in Agostino (qui nelle vesti di ambasciatore dell'umanità) l'idea stessa di Dio, occorre cioè che l'uomo sappia qual è la forma che deve assumere Dio per renderlo riconoscibile. Agostino ammette senz'altro che non ha idea del modo in cui Dio dovrebbe rendersi riconoscibile, in quanto è proprio ciò che gli preme indagare. "Quale cosa ho mai appreso che sia simile a Dio, in modo da poter dire: voglio intendere Dio così come intendo la tal cosa?". (Sant'Agostino, Soliloquia).
Nonostante ciò, la ragione promette di fornire una definizione di Dio per cui Egli stesso verrà mostrato e riconosciuto così come si mostra e si rende evidente qualcosa sotto la luce del sole, la ragione promette cioè di fornire una definizione di Dio per cui l'uomo non potrà che convenirne.
Con la fede l'uomo crede di poter arrivare a concepire Dio, con la speranza egli trova la forza per accoglierlo entro di sé e con l'amore desidera che le condizioni precedenti possano essere esaudite. Ma come dimostrare, una volta mondata l'anima dagli ostacoli che le impediscono di raggiungere la Verità, l'esistenza di Dio? La ragione può finalmente mettersi all'opera: occorre ragionare sui termini "verità" e "vero". Ogni cosa che è vera ha in sé la Verità. Ma le cose vere scompaiono: gli uomini, gli oggetti, le cose del mondo, le quali sono vere perché si mostrano indubbiamente, scompaiono perché periscono o si distruggono.
Pur scomparendo le cose che sono vere, la Verità comunque non scompare, continua a vivere "come la castità sopravvive alla morte di colui che è casto". Ma se una cosa esiste e continua ad esistere, occorre che tale cosa esista da qualche parte. La ragione dimostra ad Agostino come la Verità che sopravvive alle cose terrene non sia da cercare nel mondo terreno, la Verità è qualcosa che si trova al di là della materia, non muore con le cose che muoiono, la Verità è immortale. Ma visto che ogni cosa che è vera non può che avere in sé anche la Verità, ogni cosa che si mostra agli uomini (ogni cosa vera) partecipa alla Verità immortale e ultraterrena, ovvero, partecipa a Dio, il quale, indubbiamente, esiste. Risulta chiara in questa dimostrazione l'influenza del pensiero platonico.