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CICLo AGOSTINIANo di Rieti

Battesimo di Agostino

Battesimo di Agostino

 

 

MANENTI ASCANIO E VINCENZO

1630-1640

Rieti, chiesa di sant'Agostino, abside

 

Battesimo di Agostino

 

 

 

L'affresco qui riprodotto esprime una scena di un breve ciclo dedicato a sant'Agostino che si trova in un'abside laterale con relativo altare dedicato alla Vergine nella chiesa omonima a Rieti. La scritta sottostante riporta il testo latino frammentario ... UNQ ENIM IN CHRISTO ... CHRISTUM INDU ... che ricorda l'episodio del battesimo di Agostino a Milano nella notte di Pasqua del 387 d. C. Il santo è inginocchiato seminudo con le braccia riposte sul petto ai piedi di Ambrogio. Davanti a lui c'è una bacinella con l'acqua: Ambrogio rivolge lo sguardo estatico verso il cielo implorando la benedizione sul catecumeno. intorno si affollano diversi personaggi, fra cui si riconosce Monica inginocchiata a destra e tre frati. Uno regge un libro, un altro gli oli santi e un terzo la mitra e il pastorale del vescovo Ambrogio. I frati indossano la tunica dei monaci eremitani agostiniani. tre nimbi cerchiano la testa di Ambrogio, di Monica e di un frate, che molto probabilmente va riconosciuto in san Simpliciano.

La decorazione pittorica delle due absidiole della chiesa reatina con le storie di sant'Agostino e dei Santi dell'Ordine, è probabilmente riconducibili alla maniera dei Manenti: Ascanio (1570 ca-1660) e il figlio Vincenzo (1600-1674).

 

Milano fu la tappa decisiva della conversione di Agostino. Qui ebbe l'opportunità di ascoltare i sermoni di Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato Ambrogio all'episcopato, a dargli l'ispirazione giusta; il quale con fine intuito lo indirizzò a leggere i neoplatonici, perché i loro scritti suggerivano "in tutti i modi l'idea di Dio e del suo Verbo". Un successivo incontro con sant'Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; fu convinto da Monica a seguire il consiglio dell'apostolo Paolo, sulla castità perfetta, che lo convinse pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato (ci riesce difficile ai nostri tempi comprendere questi atteggiamenti, così usuali per allora).

A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di sant'Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di san Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva "Tolle, lege, tolle, lege" (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di san Paolo e lesse un brano: "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rom. 13, 13-14).

Dopo qualche settimana ancora d'insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, l'attuale Cassago Brianza, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti.

Era venuta intanto la primavera; al principio della quaresima, Agostino ritornò dunque a Milano, con Alipio e Adeodato, per ottenere l'iscrizione tra i competentes, i catecumeni cioè ritenuti maturi che avrebbero ottenuto il battesimo per la Pasqua successiva. A Milano partecipò con il vescovo Ambrogio a una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino seguì con il figlio Adeodato e l'amico Alipio. E nella notte sul 25 aprile 387, giorno di Pasqua, egli otteneva il lavacro rigeneratore, per mezzo di Ambrogio. Agostino ricevette il battesimo insieme all'amico Alipio che era stato convertito dalle prediche di S. Ambrogio, e ad Adeodato, figlio dello stesso Agostino, natogli mentre era ancora filosofo pagano. Allora S. Ambrogio secondo quello che lui stesso dice, gridò: Te Deum laudamus. S. Agostino seguitò: Te Dominum confitemur.

Si tratta di una leggenda tardiva che attribuisce ai due santi, uniti in questa circostanza solenne, la composizione del Te Deum, di cui ciascuno avrebbe cantato, improvvisandola, una strofa.

Non è che una leggenda dell'alto Medioevo, ma molto bella, e piena di significato.

 

Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna e facemmo ritorno a Milano. Alipio volle rinascere anch'egli in te con me. Era già rivestito dell'umiltà conveniente ai tuoi sacramenti e dominava così saldamente il proprio corpo, da calpestare il suolo italico ghiacciato a piedi nudi, il che richiede un coraggio non comune. Prendemmo con noi anche il giovane Adeodato, nato dalla mia carne e frutto del mio peccato. Tu l'avevi ben fatto. Era appena quindicenne e superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi.

AGOSTINO, Confessioni 9, 6, 14

 

 

Manenti Ascanio

Ascanio nacque a Capradosso nel 1573. In seguito al matrimonio con una certa Lucia si stabilì ad Orvinio, dove aprì una bottega artistica. Partecipò alla vita politica del paese divenendo Consigliere o priore dal 1611 al 1660, anno della sua morte. Ascanio era a diretto contatto con l’Accademia dei Crescenzi, nata intorno al 1590, che costituiva uno dei più importanti centri artistici romani, che aveva in Cristoforo Roncalli il suo maggior esponente. Lo stretto legame con questo ambiente culturale tardo-manierista plasmò la sua formazione di artista. Tra i suoi dipinti ancora visibili a Rieti, si rammentano il S. Giovanni Battista tra la Maddalena e sant'Eligio in vescovado, un sant'Alessandro papa tra due donatori e la Madonna del Rosario nella chiesa di S. Francesco, le Storie di san Bernardino, affresco nell'oratorio omonimo e un quadro con sant'Andrea apostolo, conservato nel Museo civico. Opere di Ascanio Manenti si trovano anche nella chiesa di Pietro Martire in Rieti e nella chiesa di San Biagio a Tivoli. Ascanio oltre che padre fu il maestro di Vincenzo, che entrò fin da giovanissimo nella bottega artistica di famiglia.

 

Manenti Vincenzo

Nacque a Orvinio, nel Reatino, nel 1600 da Lucia e da Ascanio. Iniziò a lavorare nella bottega del padre, i cui insegnamenti gli servirono per comprendere i tratti del a cultura figurativa del tardo manierismo romano. Conosciamo poco i suoi primi lavori, anche perchè sono andati perduti. Accusato di aver aggredito una fanciulla, dovette allontanarsi da Orvinio trovando riparo in Abruzzo presso i nobili Ricci, presso cui lavorò tra il 1629 e il 1630 dipingendo scene mitologiche nel loro palazzo.

Dopo il ritorno in Sabina, presumibilmente a Rieti, si sposò con Beatrice De Amicis nel 1631. In città affrescò le lunette dei portali della cattedrale il che gli valse una successiva commissione per dipingere due cappelle interne. Nel chiostro nuovo del convento di S. Domenico realizzò nel 1634 alcune lunette con Storie di santa Colomba. In quel periodo Vincenzo si impegnò nella ricerca di un linguaggio pittorico svincolato dal tardo manierismo. Sembra che si sia recato a Roma, come testimonia una lettera del 10 maggio 1635 di suo padre Ascanio al governatore di Rieti.

Il secondo matrimonio nel 1638 con Margherita Oddi da Moricone prelude ad un'intensa campagna decorativa nei luoghi di culto di Subiaco. Ulteriori testimonianze dei suoi lavori si possono rintracciare a Montopoli Sabina (1645), a Subiaco (1646), a Rieti (1647) e a Farfa, dove si stabilì nel 1648 per decorare il refettorio dell'abbazia benedettina. Verso il 1655 il pittore sostò per la terza volta a Subiaco e successivamente tornò nella cittadina d'origine. Morì a Orvinio nel 1674.