Il sogno di Monica
MANENTI ASCANIO E VINCENZO
1630-1640
Rieti, chiesa di sant'Agostino, abside
Il sogno di Monica
La scena è piuttosto malconcia e mutila in parte. La scritta in pedice non è completa: QUIS TUAS R... NON CO...
Tuttavia è possibile riconoscere nella scena l'episodio del sogno di Monica che lo stesso Agostino ricorda nelle Confessioni.
Il fatto è posteriore al 373 quando Agostino aderisce al manicheismo. Al colmo della disperazione per le sorti del figlio, Monica fu un sogno dove, sospesa ad una asticella, incontra un bellissimo giovane che la invita a essere più tranquilla e a rasserenarsi indicandole il figlio poco dietro di lei. In tal modo l'angelo le stava profetizzando che Agostino si sarebbe convertito al cristianesimo.
11. 19. E tu stendesti la tua mano dall'alto e strappasti l'anima mia a questa nebulosa profondità. Intanto mia madre che credeva in te piangeva per amor mio più di quanto una madre piangerebbe la morte fisica di suo figlio. Vedeva la mia morte grazie alla fede e allo spirito ricevuto da te, e tu le porgesti ascolto, Signore. L'hai ascoltata e non hai disprezzato i fiumi di lacrime di cui rigava il terreno sotto i suoi occhi in ogni luogo di preghiera: l'hai ascoltata. Perché da dove le venne il sogno con cui l'hai confortata nella decisione di vivere con me e dividere la mensa nella stessa casa? Dopo che inizialmente aveva rifiutato di farlo, non potendo tollerare i miei blasfemi errori. Si vide in piedi sopra un metro di legno, e le veniva incontro un giovane luminoso e lieto e le sorrideva, a lei che era afflitta e anzi sopraffatta dall'afflizione. E questi le chiese le ragioni della sua tristezza e delle sue lacrime quotidiane: più per darle un consiglio che per sapere, come spesso accade: e lei rispose che piangeva sulla mia rovina. Al che l'altro per tranquillizzarla la esortò a guardar bene: non vedeva che dove era lei ero anch'io? Ella allora guardò bene e mi vide accanto a sé, in piedi sulla stessa asta. Qual era l'origine di questo sogno, se non che il tuo orecchio era sul suo cuore, o bene onnipotente che ti prendi cura di ciascuno di noi come se avessi solo lui da curare, e di tutti come di ciascuno.
11. 20. E come si spiega anche questo, che avendomi raccontato il sogno, e tentando io di dedurne che era lei piuttosto ad apprestarsi a divenire quale io ero, e non doveva disperarsene, subito senza un attimo di esitazione "No," replicò "perché non mi ha detto: dove è lui sei anche tu, ma dove sei tu è anche lui". Ti confesso, Signore, quello che mi riaffiora alla memoria, e non ne ho mai fatto mistero: ancora più del sogno mi colpì questo tuo responso che mia madre mi diede a mente desta, quando, senza lasciarsi per nulla turbare da un'interpretazione falsa ma plausibile come la mia, vide tanto prontamente quello che era da vedere - e che io certo non avevo visto prima che lei me lo dicesse. Un sogno che con tanto anticipo annunciava a quella religiosa donna, a consolarla dell'angoscia presente, la gioia che tanto più tardi doveva toccarle. Ben nove anni passarono infatti: e io continuavo a rivoltarmi nel fango di un abisso e nel buio dei pensieri falsi, e spesso tentai di rialzarmi per ricadere più pesantemente. Intanto lei, che era una di quelle vedove caste, devote e sobrie che tu ami, sempre pronta alle lacrime e ai sospiri anche se ora aveva un po' di sollievo dalla speranza, non tralasciava mai durante le sue preghiere di invocare il tuo aiuto per me, e le sue preghiere giungevano al tuo cospetto: eppure ancora mi lasciavi avvolgere e rivoltare nella nebbia.
AGOSTINO, Confessioni 3, 11, 19-20
La madre versava calde lacrime per lui, desiderosa di ricondurlo alla vera fede; una volta, come si legge nel terzo libro delle Confessioni, mentre essa era tanto afflitta, le apparve un giovane che le domandò la causa del suo dolore, ed essa, rispose:
- Piango la morte di mio figlio.
Ma l'altro rispose: - Calmati, egli sarà dove sarai tu.
In quel mentre il figlio le viene vicino, ed essa gli raccontò quello che aveva visto, ma il figlio le disse:
- Ti inganni, mamma, quello che ti è stato detto non avverrà mai.
Ma essa rispose: - No, figlio; mi è stato detto che tu sarai dove sarò io.
JACOPO DA VARAGINE, Legenda Aurea
La chiesa di sant'Agostino risale alla metà del Duecento e fu eretta in stile romanico-gotico. La facciata, di forma rettangolare, si presenta in pietra e termina con un attico leggermente sporgente. Vi si accede da un unico portale, che presenta una strombatura con tre ordini di colonne. A chiusura della strombatura sono presenti cinque archi a tutto sesto completati da un timpano. L'interno si presenta a navata unica con un soffitto a capriate in legno. Il presbiterio è strutturato in tre absidi da dove si aprono una finestra trifora e due bifore. Con Decreto del 17 giugno 2010 questa chiesa ha ottenuto il titolo e la dignità di basilica minore dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Manenti Ascanio
Ascanio nacque a Capradosso nel 1573. In seguito al matrimonio con una certa Lucia si stabilì ad Orvinio, dove aprì una bottega artistica. Partecipò alla vita politica del paese divenendo Consigliere o priore dal 1611 al 1660, anno della sua morte. Ascanio era a diretto contatto con l’Accademia dei Crescenzi, nata intorno al 1590, che costituiva uno dei più importanti centri artistici romani, che aveva in Cristoforo Roncalli il suo maggior esponente. Lo stretto legame con questo ambiente culturale tardo-manierista plasmò la sua formazione di artista. Tra i suoi dipinti ancora visibili a Rieti, si rammentano il S. Giovanni Battista tra la Maddalena e sant'Eligio in vescovado, un sant'Alessandro papa tra due donatori e la Madonna del Rosario nella chiesa di S. Francesco, le Storie di san Bernardino, affresco nell'oratorio omonimo e un quadro con sant'Andrea apostolo, conservato nel Museo civico. Opere di Ascanio Manenti si trovano anche nella chiesa di Pietro Martire in Rieti e nella chiesa di San Biagio a Tivoli. Ascanio oltre che padre fu il maestro di Vincenzo, che entrò fin da giovanissimo nella bottega artistica di famiglia.
Manenti Vincenzo
Nacque a Orvinio, nel Reatino, nel 1600 da Lucia e da Ascanio. Iniziò a lavorare nella bottega del padre, i cui insegnamenti gli servirono per comprendere i tratti del a cultura figurativa del tardo manierismo romano. Conosciamo poco i suoi primi lavori, anche perchè sono andati perduti. Accusato di aver aggredito una fanciulla, dovette allontanarsi da Orvinio trovando riparo in Abruzzo presso i nobili Ricci, presso cui lavorò tra il 1629 e il 1630 dipingendo scene mitologiche nel loro palazzo.
Dopo il ritorno in Sabina, presumibilmente a Rieti, si sposò con Beatrice De Amicis nel 1631. In città affrescò le lunette dei portali della cattedrale il che gli valse una successiva commissione per dipingere due cappelle interne. Nel chiostro nuovo del convento di S. Domenico realizzò nel 1634 alcune lunette con Storie di santa Colomba. In quel periodo Vincenzo si impegnò nella ricerca di un linguaggio pittorico svincolato dal tardo manierismo. Sembra che si sia recato a Roma, come testimonia una lettera del 10 maggio 1635 di suo padre Ascanio al governatore di Rieti.
Il secondo matrimonio nel 1638 con Margherita Oddi da Moricone prelude ad un'intensa campagna decorativa nei luoghi di culto di Subiaco. Ulteriori testimonianze dei suoi lavori si possono rintracciare a Montopoli Sabina (1645), a Subiaco (1646), a Rieti (1647) e a Farfa, dove si stabilì nel 1648 per decorare il refettorio dell'abbazia benedettina. Verso il 1655 il pittore sostò per la terza volta a Subiaco e successivamente tornò nella cittadina d'origine. Morì a Orvinio nel 1674.