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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Settecento > Dutertre AndreaCICLo AGOSTINIANo di dutertre al museo del louvre a Parigi
Agostino predica davanti al vescovo Valerio
DUTERTRE ANDREA
1785
Parigi, Museo del Louvre, Fondo Disegni
Agostino predica davanti al vescovo Valerio
La tavola di Carl van Loo sembra si sia ispirata a un analogo quadro dipinto da Olivet, oggi perduto. A sinistra Agostino predica per una strada: a destra è il vescovo Valerio che gli presta molta attenzione in mezzo a una folla di chierici e di fedeli. Il profilo fermo di Agostino si staglia gagliardo nel cielo e riempie la scena.
Nel 395 il vescovo Valerio fece consacrare Agostino suo ausiliare, cosicché alla sua morte (396) Agostino ne occupò il posto.
Siccome Valerio vescovo, era poco istruito nelle lettere latine, gli permise di predicare in sua presenza, cosa inusitata nella chiesa orientale, e molti ne biasimavano il vescovo; ma egli non ne faceva caso, perché era contento che un altro facesse quello che lui non poteva fare.
JACOPO DA VARAGINE, Legenda Aurea
LETTERA 21 (Scritta prima della Pasqua del 391)
AGOSTINO PRETE SALUTA NEL SIGNORE IL BEATISSIMO E VENERABILE SIGNORE VESCOVO VALERIO, AL COSPETTO DEL SIGNORE PADRE SINCERAMENTE CARISSIMO
Difficoltà e pericoli del ministero sacerdotale.
1. Innanzitutto io prego la tua religiosa prudenza di considerare che in questa vita e soprattutto in questo tempo non v'è nulla di più facile, piacevole e gradito agli uomini della dignità di vescovo o di prete o di diacono, ma nulla di più miserabile, funesto e riprovevole davanti a Dio se lo si fa negligentemente e con vile adulazione. E che parimenti non v'è nulla in questa vita, e soprattutto in questo tempo, di più difficile, faticoso e pericoloso, ma nulla è più felice agli occhi di Dio, della dignità di vescovo o di prete o di diacono se si assolva a questa milizia nel modo prescritto dal nostro capitano. Quale sia questo modo io non lo appresi né da fanciullo né da adolescente; e, nel tempo in cui avevo cominciato ad apprenderlo mi fu fatta violenza a causa dei miei peccati (non so infatti a che altro debba pensare) per assegnare il secondo posto al timone a me, che non sapevo tenere il remo in mano.
Il pianto di Agostino durante l'ordinazione sacerdotale.
2. Ma io penso che il mio Signore abbia voluto in questo modo correggermi perché, prima di aver sperimentato quali siano i compiti di tale ufficio, osavo riprendere le colpe di molti nocchieri quasi fossi più dotto e migliore di loro. E così, dopo che fui lanciato in mezzo al mare, allora cominciai a comprendere l'avventatezza delle mie riprensioni, sebbene anche prima giudicassi molto pericoloso questo ministero. E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione; e non conoscendo le ragioni del mio dolore mi consolarono, pur con buone intenzioni, con i discorsi di cui furono capaci ma che non avevano nulla a che vedere con la mia ferita.
Ma vi ho fatto un'esperienza molto più pesante e più vasta di quello che pensavo; non perché abbia visto dei nuovi flutti o delle tempeste che prima non avessi conosciuto o di cui non avessi sentito parlare o non avessi letto o che non avessi immaginato; bensì perché non sapevo affatto di quali capacità e forze disponessi per evitarle o sopportarle, e perciò le tenevo in qualche conto. Ma il Signore mi ha irriso e ha voluto rivelarmi a me stesso con l'esperienza stessa delle cose.
Improrogabile necessità di studiare la sacra Scrittura.
3. E se ha fatto questo non per condanna ma per misericordia (lo spero infatti fermamente, almeno ora che ho conosciuto la mia infermità), debbo accuratamente ricercare tutti ì rimedi contenuti nelle sue Scritture, e pregando e leggendo fare in modo di ottenere per l'anima mia uno stato di salute adeguato a incombenze così pericolose: cosa che non ho fatto prima anche perché non ne ho avuto il tempo. Infatti fui ordinato proprio quando pensavo di impiegare il tempo libero per conoscere le divine Scritture e volevo regolare le cose mie in modo da avere libertà di attendere a questo lavoro. E in verità non sapevo ancora che cosa mi mancasse per un compito quale è quello che ora mi tormenta e mi consuma.
Che se io pertanto ho appreso che cosa sia indispensabile a un uomo che amministra al popolo i Sacramenti e la parola di Dio a contatto con la realtà stessa, cosicché non ho più la possibilità di conseguire ciò che mi sono accorto di non possedere, vuoi dunque ch'io muoia, o padre Valerio? Dov'è la tua carità? Mi ami davvero? Ami davvero la Chiesa stessa di cui hai voluto ch'io fossi ministro in tale stato? Eppure io sono certo che ami tanto me quanto Lei, ma mi giudichi idoneo, mentre io mi conosco meglio; e tuttavia nemmeno io mi conoscerei se non avessi imparato attraverso l'esperienza.
Chiede un po' di tempo per attendere alla preghiera e allo studio.
4. Ma forse la Santità tua obietta: "Vorrei sapere che cosa manca alla tua istruzione". Ma son tante queste cose, che io potrei enumerare quelle che posseggo più facilmente di quelle che desidero possedere. Infatti oserei affermare che so e ritengo con fede piena quello che importa per la nostra salvezza; ma proprio ciò come potrei dispensarlo per la salvezza degli altri, non ricercando quello che è utile a me, ma quello ch'è utile a molti perché si salvino? E vi sono forse, anzi non c'è dubbio che si trovino scritte nei Libri sacri delle norme, conoscendo e assimilando le quali un uomo di Dio può attendere più ordinatamente agli affari ecclesiastici o per lo meno vivere con più retta coscienza tra le schiere malvagie oppure morire per non perdere quella vita a cui sola sospirano i cuori cristiani umili e mansueti. E come può realizzarsi questo se non, come dice il Signore, chiedendo, cercando, bussando; cioè mediante la preghiera, la lettura e le lacrime? A questo scopo io ho voluto impetrare, per mezzo di alcuni fratelli, dalla tua sincerissima e venerabile Carità ed ora voglio impetrarlo con queste preghiere un breve periodo di tempo, ad esempio fino alla Pasqua.
Dio chiederà severo conto al sacerdote privo della scienza sacra.
5. Che potrò infatti rispondere al Signore, mio giudice? "Non potevo più chiedere questo essendo impedito dalle mansioni ecclesiastiche"? Egli però potrebbe dirmi: "Servo cattivo, se qualcuno tentasse d'impadronirsi con la frode del podere della chiesa, per la raccolta dei cui frutti si impiega grande alacrità, trascurando il campo che io ho irrigato col mio sangue, forse che tu, se potessi fare qualcosa per esso presso il giudice terreno, non ti affretteresti col consenso di tutti ed anche per ordine e costrizione di qualcuno, e, se venisse pronunziata una sentenza a te sfavorevole, non saresti pronto a recarti anche al di là del mare? E in tal caso nessuna lagnanza si leverebbe a far cessare la tua assenza anche se durasse un anno o ancor più, per ottenere che un altro non possedesse la terra necessaria non al nutrimento dell'anima ma del corpo dei poveri: eppure i miei alberi viventi, se venissero coltivati con diligenza, potrebbero saziare la loro fame in maniera molto più agevole e a me più accetta. Perché dunque adduci come pretesto la mancanza di tempo libero per imparare a coltivare il mio campo?. Dimmi, ti prego, che cosa potrei rispondere? Vuoi forse che io dica: "Il vecchio Valerio, essendo convinto ch'io fossi istruito in tutto, quanto più mi ha amato tanto meno mi ha permesso di imparare queste cose"?
Reiterata istanza.
6. Rivolgi la tua attenzione a tutto questo, venerando Valerio, ti supplico per la bontà e per la severità di Cristo, per la Sua misericordia e per la Sua giustizia, per Colui che t'ispirò tanta carità per me, che neppure per vantaggio dell'anima mia io oserei offenderti. Tu poi mi chiami Dio e Cristo come testimone della purezza d'intenzione, della carità e dell'affetto sincero che nutri nei miei confronti, come se io non potessi farne giuramento davanti a tutti. Perciò io supplico questa stessa tua carità ed affetto perché tu abbia misericordia di me e mi conceda, per lo scopo per cui l'ho richiesto, il periodo di tempo che ho richiesto; e mi soccorra inoltre con le tue preghiere in modo che il mio desiderio non sia vano e la mia assenza non sia infruttuosa per la Chiesa di Cristo e per l'utilità dei miei fratelli e conservi. So che il Signore non disdegna codesta carità se prega per me, soprattutto in una causa di tal genere, ed accettandola come un soave sacrificio mi renderà pronto coi saluberrimi ammaestramenti tratti dalle sue Scritture in un tempo forse più breve di quello che ho chiesto.
Andre Dutertre, nato nel 1753 a Parigi, è stato allievo di Vien e Collet. Fece parte della spedizione francese in Egitto guidata da Napoleone e fu nominato membro dell'Istituto d'Egitto per la sezione letteratura e arti. Quando a fine 1798 Bonaparte organizzò un viaggio a Suez, Dutertre ne fece parte come disegnatore assieme a Monge e Berthollet, il geometra Costaz e il chimico Descotils. Durante quella spedizione realizzò ben 184 ritratti di scienziati e funzionari della spedizione, che ne illustrano la storia scientifica e militare.
Di ritorno in Francia, partecipa ai Saloni nel 1804 e 1812, con i ritratti, tra cui quello di Desaix e Kleber . Il museo di Versailles possiede quasi trenta suoi ritratti. Morì a Parigi nel 1842.
La vita e l'opera di Dutertre sono ancora in gran parte ancora poco conosciute. Dutertre era soprattutto un artista, disegnatore e incisore. Tuttavia fu anche un insegnante che sperimentava nuovi metodi di insegnamento nel XIX secolo, oltre che un viaggiatore ed esploratore. Le due collezioni di disegni della Scuola Nazionale di Belle Arti forniscono importanti testimonianze delle sue capacità di disegnatore nel corso dei suoi viaggi in Italia e in Egitto. L'Italia fu soprattutto un viaggio di formazione, mentre in Egitto diede vita a uno straordinario viaggio di esplorazione. Tutti questi disegni formano due corpus iconografico di inestimabile valore: i disegni raffigurano l'Italia modo esemplare quale poteva essere il viaggio di formazione di un artista francese nel XVIII secolo, mentre quelli che riguardano l'Egitto sono una testimonianza di alta qualità grafica di un Egitto che non esiste più.