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Sant'Agostino accompagna il Cristo che porta la croce
DE DONATI BERNARDINO
1520-1524
Gravedona, Convento di S. Maria delle Grazie
Sant'Agostino accompagna il Cristo che porta la croce
L'affresco venne dipinto da Bernardino De Donati, con la probabile collaborazione di aiuti verso il 1520-1530 in occasione dei grandiosi lavori di affrescatura che realizzò per il convento e la chiesa agostiniani di santa Maria delle Grazie a Gravedona.
Di discrete dimensioni, 310 x 130 cm, l'affresco a forma rettangolare sovrasta un accesso da una porta e raffigura Agostino che segue il calvario di Cristo mentre trascina croce.
Agostino è ritto in piedi mentre osserva la dolorosa scena. Ha l'aspetto di un vegliardo con una lunga e folta barba, in testa porta la mitra e nella mano destra impugna il bastone pastorale. Indossa il piviale dei vescovi, ma si nota molto agevolmente la presenza anche della nera tonaca degli eremitani agostiniani. Questo elemento che ricorre frequentemente nelle pitture di Gravedona ha lo scopo di indicare ai fedeli lo stretto rapporto dei monaci del convento con Agostino, ritenuto il padre fondatore dell'Ordine agostiniano.
Il tema della crocifissione di Cristo ricorre nel pensiero agostiniano più volte.
Consapevole della centralità della croce nel disegno salvifico di Dio sull'umanità e della straordinaria molteplicità di rimandi ad essa nell'Antico e nel Nuovo Testamento, Agostino si impegna nella sua interpretazione e meditazione lungo tutto l'arco della vita come confermano i numerosi riferimenti alla croce di Cristo, disseminati in tutta l'ampia produzione dell'Ipponate. Ciò che Agostino intende evidenziare è che la scelta di Gesù di portare la croce sulla quale verrà messo a morte è una lucida indicazione su cosa debba significare la vita cristiana. I credenti sono esortati in tal modo a seguire l'esempio del Maestro.
«La croce tiene insieme lo scandalo e la salvezza, la fine e l'inizio, perché in essa si compie qualcosa di assolutamente e radicalmente nuovo: sul legno, Cristo ci istruisce sul significato della nostra vita presente e futura, perché è con la sua morte che Egli ha vinto per noi la morte».
Tu stesso ci avevi folgorati con le frecce del tuo amore, e portavamo conficcati nel ventre gli arpioni delle tue parole e gli esempi dei tuoi servi, che da oscuri avevi reso splendidi e da morti, viventi. Bruciavano ammassati nel fondo della mente divorando la sua pesantezza e il torpore, per impedirci di scendere in basso, ed era un tale incendio che tutto il fiato soffiatoci contro dalle subdole lingue l'avrebbe ravvivato, non estinto.
AGOSTINO, Confessioni, 9, 2, 3