Contenuto
Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Quattrocento: Francesco BotticiniPITTORI: Francesco Botticini
Estasi di Ostia
FRANCESCO BOTTICINI
1470
Basilica di Santo Spirito a Firenze, Cappella Bini
Estasi di Ostia: Monica vede il Redentore
La scena ricorda l'estasi di Ostia fra Agostino e la madre Monica. Mentre Agostino indossa gli abiti vescovili, con la veste nera monacale sotto il piviale, la madre Monica porta la nera cocolla delle monache agostiniano.
Entrambi sulla testa sono ornati dal nimbo della santità. Ritto in mezzo a loro sta il Cristo risorto dal suo sepolcro.
Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.
10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.
- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?
- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"
AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25
Francesco Botticini (1446-1498)
Botticini è pittore toscano quattrocentesco che ha lavorato spesso in Firenze, lasciandovi pregevoli opere. Francesco fondò un'importante bottega pittorica fiorentina nella quale lavorò anche il figlio Raffaello. Figlio di Giovanni di Domenico, pittore di "naibi" (carte da gioco), fu discepolo di Neri di Bicci, ma nella sua formazione intervennero anche Botticelli, Filippino Lippi, Verrocchio, il Pollaiolo e Andrea del Castagno. Secondo la critica i Botticini (sia Francesco che Raffaello) si limitarono ad imitare i grandi maestri dei quali si avverte l'influenza nelle loro opere. Di grande interesse iconografico agostiniano sono le sue opere tese a porre adeguatamente in luce santa Monica. Botticini ha anche rappresentato Agostino in un pannello della Pala Rucellai alla National Gallery di Londra.
Sempre in ambito di committenza agostiniana oltre a santa Monica in trono con le suore agostiniane, Botticini dipinse un sant'Agostino e una santa Monica, oggi conservati a Firenze, alla Galleria dell'Accademia. Sia la tavola con Sant'Agostino che quella con Santa Monica misurano cm 171 x 51. La provenienza ci è ancora ignota, ma l'iconografia ci suggerirebbe una committenza da parte di un convento agostiniano. La datazione più probabile sembra essere quell'arco di tempo compreso tra il 1470 e il 1475, poco prima del trasferimento a Empoli per la realizzazione di una cospicua serie di opere.