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luigi beretta: ORIGINI DELLA DEVOZIONE AGOSTINIANA IN CASSAGO

 Giovani agostiniani in pellegrinaggio nel 2006 nell'area dell'attuale parco storico-archeologico S. Agostino

In pellegrinaggio nell'area del parco sant'Agostino a Cassago

 

 

 

 

 

ORIGINI DELLA DEVOZIONE AGOSTINIANA IN CASSAGO

di Luigi Beretta

 

 

 

Ulteriori espressioni di devozione popolare

Le testimonianze scritte di don Balsamo trovano significativi elementi di raffronto e di integrazione in altri episodi devozionali seicenteschi o tardo cinquecenteschi, che sono sopravvissuti nella tradizione orale locale.

Senza di essi sarebbe difficile spiegare e giustificare storicamente

gli eventi stessi del 1630. In questa analisi è in ogni caso necessario poter distinguere i fondamenti storici dagli addentellati favolistici o dalle grossolane esagerazioni suscitate dalla fantasia popolare.

A quest'ultimo genere appartengono sicuramente almeno tre leggende piuttosto tardive che riguardano S. Agostino e Cassago.

Ancora in questo secolo ad esempio gli anziani del paese amavano raccontare nelle loro storie o panzane che sotto il ponte del Gambajone esisteva la grotta dove il santo si ritirava a pregare o ancora spiegavano perchè Cassago a differenza di Cremella non era stato colpito dalla peste del 1630.

Secondo questa leggenda S. Agostino si sarebbe recato sul confine fra i due paesi con due pani gialli e li avrebbe buttati verso il cielo. Dove fossero caduti lì non sarebbe scoppiata la peste. Caddero sul territorio di Cassago e per questo il paese ne uscì indenne. La leggenda popolare ponendo nella mani di Agostino due pani gialli rielabora comunque fatti realmente accaduti: il colore ricorda il pane contadino seicentesco povero di farina di grano e ricco di segale ed avena così come la pagnotta in sè indica la fame e le difficoltà di reperire quell'alimento durante gli anni della peste quando la paura del contagio limitava il lavoro e i contatti fra le persone [1].

Infine i contadini mostravano fino a non molti anni fa la stanza dei sotterranei del palazzo Pirovano-Visconti di Modrone dove avrebbero soggiornato e dormito il santo e la madre Monica. L'aspetto fantasioso di quest'ultima diceria, già attestata nell'800 da Biraghi [2], è stato tuttavia fruttuosamente riavvicinato alla realtà dalle scoperte archeologiche compiute durante e dopo la demolizione del palazzo Pirovano-Visconti avvenuta nel 1963. Dai muri perimetrali delle fondamenta furono estratte sette tombe di epoca romano-barbarica, di cui due vennero tratte in salvo e oggi sono esposte nel parco archeologico "S. Agostino" a Cassago.

Fra le pietre si rinvennero inoltre vari frammenti di iscrizioni e lapidi latine di varia epoca [3], capitelli, basamenti di colonne

e nel 1986 una probabile stele funeraria con una croce iscritta in un cerchio. Tali rinvenimenti non dimostrano certo la veridicità del pensiero popolare verso Agostino, tuttavia supportano sicuramente il suo nascere e il suo persistere.

Pienamente definita nella sua origine è invece la consuetudine tutta locale di far derivare l'etimo di Oriano, un paese indipendente nel medioevo e unito a Cassago nel 1927, dal nome Aureliano con un chiaro richiamo alla presenza del retore africano. Chi la introdusse fu il Biraghi che con argomentazioni sin troppo ardite ipotizzava in questa località un possedimento di un figlio di Verecondo, Aureliano appunto, in onore di Agostino, da cui avrebbe tratto denominazione il paese [4].

Di diversa natura invece si presentano le indicazioni storiche relative a una pala lignea del santo e a due luoghi ove si espresse abitualmente la pietà e la devozione popolare, vale a dire la cosiddetta fontana di S. Agostino e la petra ceriza o altare di S. Agostino. In tutte e tre i casi è possibile stabilire interessanti correlazioni che permettono d'avanzare qualche ipotesi e qualche datazione al di là di reali problemi aperti circa la loro origine, che, come nel caso della pala, non consentono neppure di intuire l'effettivo nesso con le manifestazioni devozionali seicentesche.

La pala è una scultura lignea a rilievo, oggi conservata in casa parrocchiale a Cassago, e proviene dalla vecchia Canonica, che nel '700 sostituì quella medioevale. Fu forse in origine antina d'un mobile o sportello d'altare tant'è vero che sono ancora ben visibili i cardini di ferro e la sagoma di una serratura. Di dimensioni contenute -misura 80 cm x 45 cm- ci presenta alla vista l'immagine maestosa di un Agostino vestito da vescovo, con la barba fluente, la mitra in testa, mentre con la mano destra regge un libro e con la sinistra impugna il pastorale.

L'elegante panneggio, la delicatezza dei tratti del viso, la sobrietà e l'armonia della composizione denunciano una raffinata esecuzione artistica dai caratteri vagamente tardo rinascimentali. La concezione dell'opera esalta il primo piano del santo che emerge da una nicchietta in cui sembra incastonato. Due angeli dal dolce viso di bambino osservano la scena in alto, ai lati estremi della pala e insistono su un motivo decorativo a semicircolo di estremo interesse, poichè ripete le stesse forme che erano presenti sul frontone delle entrate al palazzo Pirovano-Visconti, di cui oggi restano solo alcuni frammenti conservati nel parco archeologico S. Agostino e nel giardino della Canonica.

Questa coincidenza può essere fortuita, ma può nello stesso tempo indicare una provenienza signorile del manufatto, tanto più che una certa devozione agostiniana si mantenne viva in questa famiglia dai nobili natali, il cui ultimo discendente mons. Filippo Maria Pirovano, morendo a Roma nel 1673, lasciò per testamento 100 scudi alla Chiesa di S. Agostino di quella città da convertirsi in messe [5]. Altri particolari in ogni caso permettono di intravedere se non l'origine, quanto meno una sua possibile datazione. V'è innanzittutto la struttura a conchiglia tipo pecten della nicchia, che appare rovesciata rispetto ai canoni classici dell'arte rinascimentale, un motivo questo già sicuramente presente nelle opere del XVI sec. [6].

Ma sono soprattutto l'abito e gli attributi del santo a garantirci informazioni di ordine culturale capaci di individuare l'ambiente

e l'epoca in cui l'opera potè essere concepita. Il santo vi appare, come del resto in tutta la sua iconografia cassaghese, nelle vesti di vescovo, secondo uno schema che ricalca i modelli pittorici prevalenti dal XIV a tutto il XVI sec. piuttosto che quelli diffusisi nel Seicento allorchè la rappresentazione preferita diventa quella di Agostino religioso, che indossa a secondo dei casi la tunica nera degli Eremitani o il talare dei Canonici.

Quest'ultima moda diventa così marcata in quel secolo che sovente la veste monastica resta ben visibile anche sotto il piviale vescovile. La consuetudine di vestire Agostino da monaco è di remota origine e data ad Henri de Friemar (1245-1340), ma è solo nel XVII sec. che le controversie fra Eremitani e Canonici Lateranensi diventano così vivaci e puntigliose nella rivendicazione di Agostino quale proprio esclusivo fondatore [7], da indurre entrambi gli ordini a commissionare un'iconografia che presenta il santo come uno di loro [8].

Il santo vi appare come del resto in tutta la sua iconografia cassaghese nelle vesti di vescovo secondo uno schema che ricalca i modelli pittorici prevalenti dal XII a tutto il XVI sec. piuttosto che quelli diffusisi nel Seicento allorché la rappresentazione preferita diventa quella di Agostino religioso che indossa a secondo dei casi la tunica nera degli Eremitani o il talare dei Canonici.

Queste ambizioni di grandezza degli Agostiniani del '400 furono tacciate addirittura di follia tanto si distaccavano dalla realtà storica e dalle indicazioni artistiche post-tridentine. Tutto ciò però manca nella pala cassaghese così come manca del resto l'altro notissimo attributo di S. Agostino e cioé il cuore fiammante trafitto da una freccia simbolo del suo amore smisurato per Dio un tema questo assai caro all'arte barocca e allo spirito mistico-contemplativo del Seicento in genere [9].

La sua assenza é in questa occasione particolarmente significativa poiché si contrappone a tutta l'iconografia agostiniana del '700 e dell'800 che invece ne fa largo uso. Questo elemento di discontinuità é motivato dall'alterna fortuna conosciuta dalla devozione agostiniana nel paese dove dopo i fasti seicenteschi é solo verso la fine del XVIII sec. che le fonti storiche ci ripropongono il fenomeno in un nuovo stadio di fecondo sviluppo che ci ha lasciato una ricca espressione proprio nel tema del cuore fiammante un motivo particolarmente caro all'arte dell'epoca che ricalcava canoni stereotipi e modelli di vecchia data [10] diffusi con enorme successo principalmente dalle incisioni di Bolswert apparse a Parigi nel 1624 [11].

La struttura artistica di questa pala che non fu certamente un modello per l'iconografia locale posteriore e il complesso delle

sue caratteristiche storico-compositive inducono a datare l'opera al XVI sec. in un'epoca e in un ambiente che costituirono uno dei sostrati storici della devozione popolare ad Agostino nel '600. A quello stesso periodo tardo cinquecentesco richiama del resto anche la petra ceriza oggetto di annose controversie su cui "avrebbe celebrato" Agostino e che si trova citata la prima volta negli scritti di don Balsamo.

L'importanza di questa pietra rispetto alla devozione popolare é messa in particolare rilievo dalla cura con cui il parroco la

ricorda nonché la minuzie di particolari e di precisazioni che concernono la sua origine e la sua storia. In un ambiente essenzialmente analfabeta essa indubbiamente assunse il ruolo di reliquia verso cui rivolgere l'attenzione e la passione della

pietà popolare. La sua origine é attualmente del tutto sconosciuta e le scarne indicazioni del Chronicon purtroppo sono inutilizzabili poiché sia l'oratorio vetere dove originariamente era conservata sia la casa parrocchiale medioevale cui si fa cenne sono stati distrutti e tutta l'area ove sorgevano fino al 1759 é stata modificata dalla costruzione della nuova chiesa che ha comportato oltre al riassetto urbanistico un ingente sconvolgimento del piano di calpestio.

Non é nota neppure la dedicazione di tale oratorio né quando fu costruito. Potrebbe forse trattarsi della vecchia chiesa di

S. Maria citata dal Bussero sullo scorcio finale del XIII sec. [12].

Certamente va distinto dalla cappella dedicata a S. Rocco dopo la peste del 1524 che sorgeva nel cimitero annesso alla chiesa medioevale di S. Brigida e che fu poi annessa e trasformata in sacrestia [13]. Il punto e i segni di cui parla don Balsamo ben visibili nel '600 ma oggi ormai illeggibili non sono altro che lo stemma del nome di Gesù nella forma trigrammatica IHS diffuso nel milanese da S. Bernardino da Siena (1380-1444) venerato taumaturgo degli appestati [14].

Il santo toscano predicò in Milano dall'autunno del 1417 fino al 1419 vi ritornò nel 1438 e poi ancora nel 1442 introducendo con successo la devozione al santo nome di Gesù. L'adesione popolare alla sua iniziativa scatenò la reazione del dotto umanista Andrea Biglia frate agostiniano [15].

La sua testimonianza attesta il vigore con cui i milanesi avevano posto ovunque il trigramma tant'é che: "tum per urbem ad

omnibus id nomen coeptuu depingi in foribus in ostis in porticibus in columnis in cubiculis Yhesus inscriptum legebatur. " Il buon frate si scandalizzava pure dell'uso improprio del simbolo che una certa religiosità popolare poco attenta scriveva per diversoria per tabernas locaque alia foediora [16].

L'eco di quel furore religioso sopravvivve ancora oggi nelle numerose immagini del santo dipinte nel '400 un po' in tutta la

Brianza dove appare solitamente in piedi nell'atto di sollevare un suo tipico attributo e cioé l'ostia raggiata con il trigramma

Cristologico YHS [17].

La spiritualità bernardiniana associata ai suoi attributi più formali raggiunse certamente anche Cassago e le incisioni della petra ceriza ne sono una chiara conferma. Ciò ci permette di arguire che la pietra poteva essere già in loco nel Quattrocento forse già adibita ad altare di qualche cappella o oratorio annessi alla chiesa medioevale.

Attualmente é difficile stabilire i motivi che intrecciarono la sua storia con la devozione popolare che ne fece l'altare dove avrebbe celebrato S. Agostino. Don Balsamo tuttavia si limita a prendere nota di questa diceria poiché implicitamente ammette che gli sia preesistita laddove scrive dicitur cioé si dice, si tramanda. Lo stesso parroco tuttavia é scettico circa la bontà di quanto dice il popolo e ne dimostra la falsità con semplici argomentazioni che non vanno più in là dell'uso razionale delle poche e scarne notizie della vita di S. Agostino riportate sul suo breviario.

L'opera di dissuasione del parroco tuttavia non ebbe successo tant'é che ancora oggi il popolino dà credito ingenuamente su questo argomento al pensiero dei suoi antenati seicenteschi. V'é comunque una seconda possibile interpretazione dello scritto di don Balsamo che poggia su un significato da attribuire a celebrasse in grado di ridare dignità storica al pensiero popolare. Oltre a indicare il già proposto e accettato celebrare solennizzare festeggiare il verbo latino celebrare può essere tradotto nel significato di frequentare visitare fare uso frequente. La pietra costituirebbe quindi il luogo ove Agostino si sedeva o stava con una certa assiduità durante il suo soggiorno a Cassiciaco quando era stanco o voleva riposarsi.

Questo motivo del riposo o della sosta di un santo in viaggio é elemento noto nella religiosità lombarda a Civiasco si indica il sasso dove sedette S. Carlo durante il suo ultimo viaggio così come a Renate e Besana poco discosti da Cassago gli anziani ricordavano in tempi andati una pietra lungo la strada ove Agostino si sarebbe fermato per riposare.

Relativamente a quella stessa epoca conosciamo un vasto campionario di reliquie che hanno per oggetto proprio delle pietre. Nella chiesa prepositurale di S. Eufemia ad Oggiono erano venerate la pietra del sepolcro di S. Eufemia la pietra di S. Giovanni Battista il sasso percusso per Moise dal quale sono scaturiti 12 fiumi, il sasso della natività di Cristo, il sasso del sepolcro della B. Vergine Maria, il sasso dell'Assunzione della B. V. Maria [18], a Olginate nella chiesa di S. Margherita si pregava la pietra de la Porta Sancta, a Bosisio nella chiesa di S. Elisabetta i frammenti del sepolcro di Cristo e del Monte Sinai [19] ad Acquate sin dal 1407 si veneravano la Pietra da cui Nostro Signore ascese al Cielo un frammento della roccia del Calvario la pietra su cui S. Caterina rese la sua anima a Dio [20] a Bevera presso il Santuario costruito dopo il 1603 si aveva particolare devozione per degli avelli [21] mentre a Cagliano ancora nel 1657 si parlò di prodigio perché la Madonna avrebbe impresso l'impronta dei suoi piedi in un sasso apparendo a una vedova.

Nel caso di Cassago la religiosità popolare nel suo tentativo di dare corpo all'antico Casiciaco avrebbe dunque in questo caso esaltato un aspetto del soggiorno agostiniano e cioé il riposo la meditazione individuandoli concretamente in una pietra che assunse ben presto la dignità di reliquia e oggetto di venerazione.

Questa trasposizione sembra modellare anche il culto tradizionalmente connesso alla cosiddetta fontana di S. Agostino. Si tratta di un'ampia vasca rettangolare costantemente piena d'acqua e approvvigionata da un regolare afflusso di acqua sorgiva fresca e limpida ubicata a est dell'attuale chiesa parrocchiale. La naturale importanza attribuita nella civiltà contadina ad una fonte d'acqua la salubrità della sua collocazione nonché la vetustà dell'impianto hanno indotto il popolino a ritenere che qui si recasse Agostino o secondo una accezione più dotta ed elaborata che qui si trovassero i balnea della villa rustica di Verecondo.

Questa credenza popolare per quanto possa apparire fantasiosa in realtà é forse quella che ha maggiori radicamenti nella storia. Vari ritrovamenti e scavi occasionali lasciano intendere che questo luogo conobbe la presenza umana sin dall'epoca romana. I Signori Fiorenzo Moreschi e Peppino Giussani sul finire degli anni '60 scoprirono pochi metri a nord della vasca un muricciolo della lunghezza di un metro e frammiste al terriccio di scavo diverse tessere colorate di mosaico.

Nel 1984 fu rinvenuto il canale di immissione delle acque nella vasca già predisposto in antico a un metro di profondità dal precedente piano di calpestio. Contemporaneamente lavori si sbancamento condotti con lo scopo di restaurare la vasca misero in luce la presenza di altre strutture murarie strettamente connesse alla fontana che ne mettevano a nudo l'originaria struttura a mandorla. Sul lato sinistro la vasca proseguiva con un frammento murario in coccio pesto di origine romana.

Ulteriori scavi condotti nel 1986-87 nella stessa direzione riportarono alla luce nuovi muri e due vasche da cui furono estratti numerosi frammenti di ceramica tardo-rinascimentale unitamente a mattoni tegole e materiale fittile di varia natura presumibilmente seicentesco e settecentesco come sembravano indicare il marchio e gli stemmi gentilizi viscontei.

Lo strato superiore del terreno era costituito da un solido conglomerato di calcina residuo probabile della lavorazione della calce viva che venne operata riutilizzando le due vasche nella seconda metà del '700 quando si costruì ex-novo l'attuale chiesa parrocchiale. L'interramento di queste strutture che erano forse ancora visibili durante la visita pastorale del cardinale Federigo Borromeo ne fece perdere la memoria fino ai nostri giorni sopravvivendo esclusivamente con un alone leggendario nelle storie popolari legate alla fontana di S. Agostino. In una Distinta Relazione della Fabrica della Nova Chiesa Parochiale di Cassago conservata nell'archivio parrocchiale di Cassago risalente al 1765 si fa ancora accenno a questi o altri ruderi adiacenti. Nel dispositivo che definisce gli atti di permuta per l'acquisizione del terreno dove sarebbe poi sorta la Chiesa testualmente si scrisse "... in cambio della Chiesa vecchia ... le diede pert. 4. 1. 6 terra consistente Prato e Orto tutto cinto e attraversato d'alcuni muri dirocati e antichi ..." Questi stessi muri furono forse riscoperti nel 1930 durante gli ampliamenti della stessa chiesa che ne raddoppiarono la superficie.

Secondo una testimonianza raccolta dal sig. Ambrogio Cattaneo che partecipò come volontario ai lavori sotto il portico della chiesa settecentesca si rinvenne un muro che attraversava tutta la chiesa proseguendo d'ambo i lati. Sul piazzale antistante si scoprirono numerosissime ossa e una tomba al cui interno si rinvenne anche una moneta che fu poi ritirata dal parroco don Enrico Colnaghi. In questa tomba furono poi gettati materiali di scarto e la lapide latina con dedica MARILLA.

Le testimonianze della devozione popolare ad Agostino precedenti o contemporanee alla peste del 1630 offrono dunque un quadro piuttosto complesso dove gli elementi che costituirono la causa del diffondersi della venerazione si sovrapposero agli effetti che ne derivarono.

Diverse volte questo intreccio si dipana parallelamente ad evidenze storico-archeologiche le cui origini forse non erano però coscientemente note né alla gente né ai parroci di allora. E' tuttavia indubitabile che gli anni dal 1600 al 1630 costituirono anche a Cassago un punto di svolta ove il manifestarsi progressivo e irrefrenabile del tracollo economico delle guerre delle carestie e infine della peste in quella che sarà definita la "crisi del Seicento" si riflesse sul concreto atteggiarsi delle persone di fronte al divino e al soprannaturale. Ciò indusse il nascere di un carattere nuovo per molte fra le più tipiche devozioni barocche le cui radici come a Cassago per S. Agostino in massima parte affondavano nel secolo precedente nei fermenti di rinnovamento che il '500 elaborò e fece propri. Lo svilupparsi della devozione alla petra ceriza o alla fontana di S. Agostino finisce per inserirsi organicamente in quel laborioso fenomeno di rivalutazione e diffusione del culto delle reliquie voluto e inaugurato dalla Controriforma Tridentina quale momento privilegiato di aggregazione religiosa.

Non era indispensabile che si trattasse di una parte del corpo del santo o di un oggetto a lui appartenuto, l'elemento fondamentale era la richiesta di un bene sacro visibile di un frammento concreto e tangibile o di un'occasione particolare quale divenne la peste del 1630.

Questo nuovo indirizzo culturale che da Milano si propagò per tutta diocesi conobbe l'episodio più rilevante e maestoso nel 1609 quando per la chiusura del VII Concilio Provinciale Federigo Borromeo organizzò una impressionante parata di reliquie e corpi santi per le vie della città di Milano dopo averle esposte in Duomo per 40 ore al culto dei fedeli [22].

Ancora una volta tuttavia tra gli elementi peculiari del caso cassaghese scopriamo non tanto lo svilupparsi di una devozione religiosa che rivela modalità e consuetudini tipiche dei drammi di quel secolo e della Controriforma quanto l'oggetto privilegiato di tale devozione e cioé S. Agostino [23].

L'esperianza dedicatoria di Cassago ha inoltre una propria intrinseca vitalità e un proprio specifico dove risulta del tutto assente quel clima miracolistico che fu proprio del Seicento e che ha prodotto anche in Brianza vari esempi di devozione soprattutto mariana. Di fatto a Cassago l'invocazione religiosa si fonda su un fatto storico lontano qual é il soggiorno di S. Agostino che viene rivisitato in chiave moderna senza però quegli addentellati favolistici che invece altrove in quegli stessi anni la spontaneità religiosa produsse e sviluppò da presunti episodi miracolosi dettati sovente da un pressante desiderio del sacro e del divino a scopo taumaturgico. Quest'ultimo processo che si contrappone alla semplicità del gesto popolare cassaghese proprio a cavallo del secolo si evidenziò anche in Brianza in tutta la sua ampiezza attraverso la costruzione di santuari sorti per perpetuare la memoria di tali fatti prodigiosi.

Così accadde a Inverigo nel 1570 con la costruzione voluta da S. Carlo Borromeo del Santuario di S. Maria della Noce a Bevera nel 1603 [24] a Imbersago nel 1617 dove sorse il Santuario della Madonna del Bosco [25] a Villa d'Adda nel 1619 [26] a Olate nel 1620 [27] e a Cagliano nel 1657 dove sorse il Santuario della Madonna del Sasso.

Incredibilmente la devozione cassaghese é sopravvissuta all'usura dei secoli ed ha mantenuto la vitalità che si manifestò non solo nella festa del 1631 all'indomani dello scampato pericolo ma pure in quelle seguenti documentate nel 1664 1665 e 1670.

La sua fortuna presso il popolo é rivelata altresì dal diffondersi dell'onomastica legata al santo già a partire dal settembre 1631 mentre prima ne era del tutto assente. Ma é la celebrazione della festa divenuta di gran lunga la più importante o la venerazione delle "memorie" agostiniane che abbiamo descritto a manifestare il profondo senso religioso popolare le cui radici purtroppo restano ancora sfocate. Varie sono le ragioni o gli episodi legati all'origine seicentesca di cui abbiamo discusso ma nessuna di esse é sufficiente a risolvere la questione. Forse il popolo esplicitò nel 1631 consuetudini di più antica data o forse accolse trasformò e aderì con passione a tradizioni e memorie agostiniane più colte provenienti dall'esterno.

 

 

Note

 

(1) - Nell'agrigentino durante la festa di S. Calocero è abitudine gettare dalle finestre del pane per celebrare la questua che il santo faceva in tempo di peste. Temendo il contagio i contadini glielo tiravano dalle finestre consentendogli così di portare soccorso ai moribondi.

(2) - L. BIRAGHI, op. cit. , 36.

(3) - I testi spesso incompleti riportano: LIMES ; X.O.V.M.F. .VP ; P:EN ; ANN. CDXX. A.

(4) - L. BIRAGHI, op. cit. , 53.

(5) - Arch. Visconti Modrone, fald. M-119, Eredità diverse, Eredità Pirovano, sec. XVII. Questa disposizione testamentaria

fu soddisfatta nel 1687 dalla nipote contessa Donna Teresa Modrone. Cfr. Nota de pagamenti fatti nel 1687 dalla sig.ra Contessa Teresa Modrona Pirovana a Scarico de legati disposti da Monsignor Filippo Pirovano morto nel 1673 , ibidem, fald. I-157.

(6) - Cfr. La Madonna col Bambino e S. Giovannino di Bernardino Pinturicchio o anche la Madonna col Bambino di Giovan Battista Caporali alla Galleria Nazionale dell'Umbria di Perugia.

(7) - Scandalosa fu la polemica che sorse a questo proposito in Milano allorchè verso la fine del '400 la Fabbrica del Duomo decise di ornare il tempio con una statua di S. Agostino. Gli insulti che si scambiarono reciprocamente i Canonici Regolari Lateranensi di S. Maria della Passione e gli Agostiniani di S. Marco nel loro tentativo di accaparrarsi l'esclusiva dell'abito della statua, furono così gravi e violenti che papa Sisto IV fu costretto a emanare una bolla l'11 maggio 1484 in cui vietò sotto pena di scomunica di parlare e disputare circa l'abito di S. Agostino. Lo stesso dovette fare pure papa Alessandro VI nel 1495 per l'implacabile proseguire della querelle. Cfr. Incunabolo 1471 bis e IIII della Biblioteca Ambrosiana di Milano.

(8) - E. LOTTHE', Le paradis des peintres, Parigi 1961, 159.

(9) - E. MALE, L'art religieux de la fin di XVI au XVII siècle et au XVIII siècle, Parigi 1951.

(10) - Cfr. ROBERT CIBOULE, Livre de Méditation,della fine del XI sec., Biblioteca Municipale di Lille, 636, fol. rx. 

(11) - La fortuna iconografica del cuore fiammante fu deplorata in epoca di Controriforma soprattutto dall'autore fiammingo I. MOLANUS, De sanctis imaginibus et picturis,Lovanio 1568.

(12) - G. BUSSERO, op. cit. 257 A

(13) - L. BERETTA, op. cit., 148-152

(14) - S. Bernardino da Siena trattò del pensiero e delle opere agostiniane con una visione umanistica nel suo De glorioso

nomime Mariae, sermo II, art. 2, in Opera Omnia, Firenze 1950-1959, t. VI, 82, I.

(15) - Andrea Biglia fu professore d'Università a Siena dal 1429 al 1435 ed ebbe fra i suoi studenti il giovane Enea Silvio

Piccolomini. Durante la sua permanenza in Toscana frequentò il monastero di Lecceto e contribuì alla progettazione e alla

consulenza teologico-agiografica del ciclo pittorico della Vita di S. Agostino che il Maestro di Sant'Ansano realizzò fra il 1439

e il 1442 in 14 scene nella parete sud del Chiostro interno o de' Beati. Cfr. R. ARBESMANN, Andrea Biglia Augustinian friar and

humanist, in Annalecta Augustiniana, 28, 1965, 155-185.

(16) - A. BIGLIA, Liber de Institutis, discipulis et doctrina fratris Bernardini Ordinis Minorum, in BADOUIN De GAFFIER, Les Mémoires d'André Biglia sur la prédication de S. Bernardin de Sienne, in Annalecta Bollandiana, 1935, 308-358.

(17) - In tali pitture il santo tiene nella mano sinistra un libro con la consueta epigrafe vergata MANIFESTAVI NOMEN TUUM

HOMINIBUS (Giovanni, XVII, 6) mentre alle estremità laterali dei quadri sono visibili i tre bastoni pastorali e le mitrie a

indicare la famosa rinuncia di Bernardino per i tre vescovati di Siena, Ferrara e Urbino. Sue rappresentazioni in area brianzola

sono note a Valmadrera nella chiesa di S. Martino ad Arcellasco di Erba in S. Bernardino a Oggiono in S. Giovanni Battista a

Rossino in S. Lorenzo Vecchio e a Mandello Lario in S. Giorgio.

(18) - Arch. Curia Milano, Visite Pastorali, Pieve di Oggiono, vol. I.

(19) - Arch. Curia Milano, Visite Pastorali, Pieve di Incino, vol. 33.

(20) - A. MASTALLI, Parrocchie e chiese della Pieve di Lecco ai primordi del Seicento,in Memorie Storiche della Diocesi di

Milano, I, Milano 1955,81.

(21) - I. ALLEGRI, Il Santuario di Bevera, 1988.

(22) - GIROLAMO BENNARDINI DA ORVIETO, Il Sacro Tesoro delle Reliquie sante di Roma e di Colonia Agrippina concesse dalla

santità di papa Clemente VIII alla città di Milano et sua Diocese, 1617, Biblioteca Ambrosiana.

(23) - Un caso parallelo ma di diversa intensità si verificò a Cannobio nell'alto Verbano quando nel 1626 fu istituita nella

chiesa di S. Marta una cappellania dedicata a S. Agostino per volontà di Agostino di Marcinone ad altri. Cfr. Arch. Curia

Milano, Sez. Spedizioni diverse 4, 4. A Cannobio esisteva già da tempo una chiesetta dedicata a S. Agostino che Bernardino

Tarugi, Vicario di S. Carlo aveva ordinato di demolire durante la sua visita nel 1578 incontrando tuttavia l'opposizione degli

abitanti. Cfr. Bibliteca Ambrosiana, F 143 inf. n. 308.

(24) - I. ALLEGRI, op. cit., 1988.

(25) - G. DOZIO, Notizie di Brivio e sua Pieve, Milano 1958, 109-110.

(26) - N. PEREGO, Stregherie e malefici, Lecco 1990, 153-159.

(27) - N. PEREGO, op.cit. 148-153.