Contenuto
Percorso : HOME > Associazione > Settimana agostiniana > Settimana 1991 > Devozione agostiniana a Cassagoluigi beretta: ORIGINI DELLA DEVOZIONE AGOSTINIANA IN CASSAGO
Cassago è il moderno rus Cassiciacum secondo Federigo Borromeo
ORIGINI DELLA DEVOZIONE AGOSTINIANA IN CASSAGO
di Luigi Beretta
Le influenze letterarie e la tradizione milanese
L'origine autoctona o le influenze esterne di natura dotto-letteraria hanno costituito frequentemente nel passato le due estreme ratio esplicative sostenute e difese dagli autori che si sono occupati della devozione agostiniana in Cassago. Per parte nostra crediamo piuttosto che lo sviluppo di questo culto abbia conosciuto diverse fasi in cui le espressioni colte hanno avuto non solo un proprio ruolo di stimolo ma si sono variamente integrate con le speranze della fede popolare.
La festa del 1631 e quanto scrive don Balsamo a tal proposito sono in ultima analisi proprio il risultato dell'incontro del pensiero popolare con quello colto la devozione che istintivamente si diffonde tra la gente per la fine del contagio é complementare all'invocazione a S. Agostino la cui scelta discende con molta probabilità dalle tradizionali conoscenze dotte riferite al rus Cassiciacum delle Confessioni.
La stessa petra ceriza o la fontana di S. Agostino che rappresentano il desiderio contadino di una reliquia non avrebbe senso senza il supporto di reminiscenze letterarie o il persistere di credenze pseudo leggendarie presso il popolo.
Il vero quesito della questione sta nel definire come e da chi fu effettuata questa mediazione quanto va addebitato a don Balsamo e ai parroci locali quanto alle fonti letterarie e quanto alle tradizioni orali agostiniane che pure si conservarono nel milanese e localmente tra la gente per tutto il medioevo.
Certamente un ruolo di primo piano dovette essere svolto dal curato don Filippo Balsamo non solo per l'accurata annotazione più volte citata ma più in generale per l'opera di diffusione di tale venerazione che si abbinava perfettamente al nuovo senso religioso post-tridentino così tenacemente e coraggiosamente propugnato dai due Borromei.
Senz'altro il clero locale nutrì qualche interesse a propagare questo tipo di pietà popolare tuttavia sono poco chiari i motivi per cui tutto ciò accadde proprio nel 1631. Varie forme devozionali fra cui soprattutto il culto della petra ceriza rimandano in effetti ad epoche anteriori a quel tardo '500 che pure conobbe nel 1576 una analoga e drammatica pestilenza.
Per questo motivo vari autori retrodatarono erroneamente lo scritto di don Balsamo attribuendolo piuttosto al curato di Cassago don Antonio Brambilla nativo del luogo e per di più figlio dell'ultracentenario Simone il più anziano vecchio dell'intero paese e depositario affidabile delle memorie e delle vicende storiche locali [1].
Tra l'altro questo parroco disponeva di una biblioteca personale ben rifornita per l'epoca dove comparivano opere di Cicerone di Virgilio di Petrarca. Ed é proprio a quest'ultimo autore che sembra riferirsi in chiave agostiniana uno scritto di don Brambilla che certifica alla curia milanese la situazione economica della sua cura. La carta non é firmata né datata anche se é sicuramente ascrivibile al 1572-1574.
Testualmente riporta l'inciso advertatur quod dictus Cassaghus idest Caseatus habet inquam loca fertilia [2] che richiama le Confessioni di S. Agostino e quasi ripete la petrarchesca definizione di Cassiciaco che si scopre nel De Vita Solitaria quando leggiamo Caseatum ipse vocat et id manet hactenus ruris nomen [3].
La reminiscenza letteraria di don Brambilla e soprattutto il suo accostamento a Cassago offrono una nuova chiave di lettura delle vicende devozionali agostiniane autoctone evidenziando l'esistenza sullo scorcio finale del '500 di elementi collegati a Cassiciaco quale luogo di soggiorno del retore africano che rappresenterà il motivo di fondo delle annotazioni di don Balsamo. Purtroppo l'attuale unicità del contenuto di questo documento non permette raffronti in ambito cinquecentesco e ci consegna il sospetto che manchi o sia andato perso qualche anello nella catena che lega i primi episodi devozionali agostiniani celebrati o voluti dai curati di Cassago le cui conoscenze letterarie in materia non sembrano vadano oltre la citazione sopra riportata.
Nella biblioteca di don Brambilla in effetti non compaiono opere di S. Agostino e la cultura sull'argomento di don Balsamo sembra limitarsi alle sole letture del breviario. Eppure in quegli anni varie opere di Agostino o di agostiniani erano state date alle stampe non solo a Venezia o a Milano dove poteva essere difficile l'approvvigionamento ma anche localmente a Lecco per opera di Christoforo e Jacobum de Pensis o Pentium in particolare nel primo '500 di Agostino furono stampate le Meditationes e i Soliloquia di Egidio Romano il Tractatus de formatione humani corporis in utero matris e infine la Vita miracoli et revelationi della beata Chiara da Montefalco de l'ordine di sancto Augustino examinate da XII cardinali [4].
La modestia delle letture agostiniane che si intravede nella cultura personale dei curati di Cassago presagisce che il loro incontro con Cassiciaco e le consuetudini devozionali agostiniane sia avvenuto preferibilmente attraverso le tradizioni orali che persistettero per tutto il medioevo e che vennero codificate tardivamente in ambito letterario. Le stesse conclusioni possono essere tratte per la popolazione quasi totalmente analfabeta e impossibilitata dunque ad ogni approccio letterario.
Nel milanese comunque furono pochi gli autori a noi noti che si interessarono a questo argomento o accennando al rus Cassiciacum oppure tentandone l'identificazione. in ogni caso i testi talora concisi altre volte più particolareggiati fanno riferimento o rimandano non tanto a fatti storicamente accertati quanto piuttosto alla vitalità delle tradizioni orali. In qualche caso tuttavia la citazione rivela un certo valore come succede per l'operetta del card. Federigo Borromeo dal titolo De Christianae mentis jucunditate stampata in due edizioni una in volgare nel 1625 e l'altra in latino nel 1632.
L'autore infatti aveva più volte soggiornato a Cassago durante le sue visite pastorali nel 1608 1613 e 1624 traendone alcune personali convinzioni che così espresse "... io dico che la leggiadria di questi colli vicini poterono tanto ricreare l'afflitta mente del Beato Agostino che per la memoria di essi passato etiandio tanto tempo allegrandosi disse» Reddes Verecundò pro rure illo eius Cassiciaco ubi ab aestu seculi requievimus in te amoenitatem sempiternae virentis paradisi tui quoniam dimisisti ei peccata super terram in Monte incaseato monte tuo monte uberi. Ed é verisimil cosa che la Villa e la foresta da lui cotanto honorata sia per ragione della lontananza e del sito e del nome e dell'antichità degli edifici quella che hora chiamasi comunalmente Cassago" [5] (Ed ancora id porro Casissiacum quem locum inclyti Doctoris verba celebrant non credidimus esse Cassagum coniecturamque nostram et natura loci et ratio nominis et veterum aedificiorum reliquiae plurimaque vestigia antiquitatis adiuverunt) [6]. A parte uno stranissimo Casissiacum il testo é alquanto esplicito nel riconoscere Cassago quale località moderna del rus Cassiciacum ed anzi enumera varie argomentazioni a suo favore.
Inoltre il Borromeo dimostra di essere a conoscenza di quanto scrisse sull'argomento già il Petrarca nel suo De Vita Solitaria specialmente per ciò che riguarda la leggenda di un tradizionale ritiro nelle foreste prossime a Milano non solo di Agostino ma anche di Ambrogio. Delle due edizioni a stampa don Balsamo potrebbe avere letto prima del 1631 quella in volgare del 1625 a titolo personale prima di divenire curato di Cassago il che tuttavia é poco plausibile poiché questo prete così accurato nelle sue annotazioni difficilmente avrebbe potuto dimenticarsi di citare il suo vescovo di cui più volte nei registri parrocchiali dimostra di avere stima e di conoscerne l'attività.
Né del resto devono aver letto l'opera i suoi predecessori Cristoforo Galbiato (1622-1628) Gabriele Scotto (1624-1625) Josepho Galbiato (1628) Gio. Battista Beretta (1628-1630) e Angelo Grilli (1630-1631) poiché in alcuno loro scritto a noi noto mai si accenno ad Agostino e al rus Cassiciacum [7].
Del resto gli stessi atti delle visite pastorali del Borromeo non alludono mai alla questione in esame che non fu sfiorata dall'ufficiale di curia che stese le relazioni dello stato della parrocchia. Le affermazioni del Borromeo sembrano piuttosto riprendere e ampliare i temi introdotti pochi anni prima dallo storico e dottore dell'Ambrosiana Giuseppe Ripamonti nella sua Historia Ecclesiae Mediolanensis edita nel 1617.
I rapporti fra il cardinal Federigo Borromeo appassionato del pensiero agostiniano e il Ripamonti di cui fu grande estimatore e provvido difensore in alcuni momenti di difficoltà sono del resto noti e si svilupparono anche in ambito letterario [8].
Orbene Ripamonti che era nativo di Tegnone villaggio sul colle di Nava poco discosto da Cassago e crebbe in gioventù in casa di un suo zio a Barzanò scrisse che "... Cassiciacum Briantaeos in colles abijt inde postea suo tempore ad lustrale Sacramentum rediturus ingenti regionis illius gloria hodieque decus iactant ... Cassiciacum occasio digredendi est ad montani fere tractus radices in Massaliae regione collis inclitus armoruí et litterarum gloria ... non in amoenum agrum et urbanaí in eo villam habebat ..." [9].
Oltre alla identificazione fisica precisa e minuziosa di Cassiciaco il Ripamonti in questa occasione sottolinea l'importanza e la gloria che furono attribuite all'intera regione a motivo del soggiorno di Agostino. Questo dato nel 1617 sembra essere un fatto ormai acquisito e abitualmente ricorrente nella letteratura storica milanese. Anche per Ripamonti tuttavia l'identificazione di Cassago col rus Cassiciacuí si appoggia a motivi tradizionali che paiono derivare da un sostrato più antico rispetto all'epoca in cui il libro fu scritto.
Nasce anzi il sospetto che Ripamonti attinga ad un patrimonio culturale comune quello stesso patrimonio cui Tristano Calchi di cui conosceva l'opera storica [10] si riferì sul finire del '400 quando ebbe ad affermare che Agostino "per quod tempus in suburbano Cassiaco frequenter secedens tres libros Academicos et unum gramaticum absolvit coeterarum verum disciplinarum singulos inchoavit qui extant ..." [11].
Il termine Cassiaco usato da Calchi apparentemente generico in realtà va tradotto Cassago qual era appunto il nome di questo paese nel '400 [12].
Ancora una volta sia l'opera del Calchi [13] che conobbe un'edizione a stampa proprio in quegli anni nel 1627 [14] sia soprattutto la contemporanea opera del Ripamonti potrebbero aver costituito per il contenuto che esse esprimevano la prima indicazione o la prima traccia per le annotazioni di don Balsamo.
Allo stato attuale delle ricerche tuttavia non é possibile stabilire se e come questa lettura sia avvenuta così come invece all'opposto é più semplice ipotizzare che cinquant'anni prima don Brambilla abbia conosciuto l'opera del Petrarca un autore questo che attinge fondamentalmente a quella stessa tradizione orale o comunque riconosciuta nel milanese che rappresentò il sottofondo comune per tutte le posteriori opere storiche del Calchi del Ripamonti e del Borromeo.
Il De Vita Solitaria del Petrarca ha in ogni caso il pregio di riportarci molto indietro nel tempo addirittura al 1353-1354 quando soggiornando a Milano l'autore apprese di persona le storie e le tradizioni milanesi che riguardavano la permanenza di Agostino in questa città. Le notizie fornite dal Petrarca rivestono un significato particolare sia per la loro vetustà che testimonia una lunga vitalità di tali tradizioni sia perché sono garantite da un autore che amava e conosceva profondamente l'opera di Agostino tanto da recare sempre con sé una copia delle Confessioni [15].
Il Petrarca da Avignone nel 1353 si era trasferito a Milano presso S. Ambrogio e subito ci ricorda che "c'é solo la Basilica
di S.Ambrogio a frapporsi tra la casa dove abito e la piccolissima cappella nella quale Agostino il segreto dissidio delle opposte passioni e ne uscì vincitore ..." [16].
Dimostra inoltre di conoscere la tradizione dell'origine del Te DEUM che veniva fatta risalire al battesimo di Agostino impartitogli da Ambrogio [17].
Accanto a varie erudite preziosità quali citazioni dal De Beata Vita [18] il ricordo dell'italico glaciale suolo [19] o gli accenni a Ambrogio [20] Petrarca recupera altre storie popolari che riguardano Simpliciano [21] di cui legge una Vita [22] l'importanza della solitudine in Ambrogio [23] e Agostino [24] nonché l'identificazione di Cassiciaco [25] che abbiamo già citato a proposito del curato di Cassago don Antonio Brambilla.
L'Ambrosii nemus petrarchesco sopravviverà nei racconti popolari fino all'800 come ci é stato tramandato secondo la lezione di Vittorio Imbriani che ricorda come Ambrogio si sarebbe ritirato anziché nel Varesotto sul Monte di Brianza a meditare la dottrina cattolica quasi in parallelo al sostare di Agostino in quel Cassiciacum che pure in Brianza si é soliti individuare (Cfr. A. V., La Brianza nei libri, Monza 1988, 20 e AGOSTINO, Confessioni, 8, 6, 15 nonché la storia della chiesa di S. Ambrogio ad Nemus in Milano).
L'insieme di questi dati pone in particolare rilievo la figura di Simpliciano che in piena sintonia con il pensiero popolare e con le indicazioni del monachesimo agostiniano già dal Petrarca era considerato l'artefice della conversione di Agostino colui che lo aveva in grande familiarità [26] sia prima che dopo il battesimo.
Nelle tradizioni popolari e agostiniane tardo medioevali Simpliciano diventò di fatto il depositario del monachesimo di Agostino in terra lombarda colui che fondò il primo monastero dell'ordine in città [27].
Nel milanese una persistente credenza lo vuole nativo di Beverate [28] presso Brivio lungo una direttrice di sviluppo della devozione agostiniana che seguì il corso dell'Adda toccando Calco [29] Monte Marenzo e S. Pietro di Mandello quest'ultimo sorto forse quale cella di S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia [30].
Varie chiese o oratori gli furono dedicati nel milanese e in Brianza in particolare a Milano Carate e Beverate lungo una strada che da Milano conduceva a Bergamo. Nella metropoli lombarda Simpliciano era associato al ricordo di un antico monastero che si considerava come la culla dell'Ordine agostiniano perché secondo un'antica tradizione lì si sarebbe ritirato Agostino dopo il suo battesimo ed aveva dettato alcune norme di vita monastica ad un gruppo di eremiti ritiratisi in quel luogo allora isolato e lontano dalla città.
Però l'edificio pieno di sacre memorie era caduto in abbandono tanto che Giovanni da Novara visitandolo qualche anno prima del 1444 non vi aveva trovato "ombra di religione" ossia monaci e come custode aveva una donna che filava [31].
In realtà in quel primo monastero che probabilmente portava il titolo di S.Agostino e che fu quasi subito incorporato in quello di S. Marco non era da ricondurre a Simpliciano come erroneamente riteneva il popolo ma a una fondazione dei Poveri Cattolici di Pietro Valdo [32].
I Poveri Cattolici si insediarono in Milano come gruppo dalla struttura organizzata non solo distinta da quella ufficiale ma anche ben individuata all'interno dei numerosi gruppi religiosi cittadini. Gregorio IX impose loro la regola di S. Agostino e nel 1256 entrarono a far parte del nuovo Ordine Agostiniano.
Costui verso il 1195 aveva acquistato un terreno presso la Pusterla di Monforte una porta secondaria che si apriva fra porta orientale e porta Tosa dove verso il 1199 iniziò a costruire una schola preludio alla fondazione del monastero e della chiesa di S. Agostino di cui parla il Bussero [33].
Dopo la Grande Unione del 1256 che vide i Poveri Cattolici entrare nella nuova famiglia agostiniana il monastero di S. Agostino fu assorbito dal convento di S.Marco anch'esso di osservanza agostiniana ma di derivazione giambonita [34].
La chiesa e il convento di S. Marco subirono nella seconda metà del XII sec. interventi così radicali da convincere la maggior parte dei contemporanei a collocare in quest'epoca la loro fondazione che in realtà é più antica (Cfr. G. FIAMMA, Historia Mediolanensis 1254 "Isto anno primus lapis in ecclesia sancti marci ponitur"). Tali ristrutturazioni furono necessarie per rispondere a impegni ed urgenze maggiori dato che nel 1256 S. Marco divenne la sede madre dell'ordine agostiniano milanese appena costituito cui era stata demandata la responsabilità di estirpare in Milano l'eresia che vi aveva grande diffusione.
Questa fusione tuttavia non fu indolore e sollevò strascichi polemici polemici intrisi di violenza che si risolsero solo nel 1272 con il ritorno in S. Marco di alcuni frati ribelli [35].
Le vicende successive sono chiarite in un interessante documento dell'ottobre 1272 redatto in occasione della composizione della lite che da tempo contrapponeva i frati di S. Marco a quelli di S. Agostino. In esso si riferisce che un gruppo di Poveri Cattolici dopo essere vissuti in S. Marco per un certo periodo condividendo con gli altri confratelli la regola agostiniana aveva preferito godere di una libertà dannosa all'anima piuttosto che sottostare ad una obbedienza salvifica ed era fuggito di notte da S. Marco per ritornare nella sede primitiva del convento di S. Agostino. Poiché questa sede in forza dell'unione era divenuta proprietà di S. Marco ed alcuni eremitani vi si erano trasferiti e lo custodivano "tamquam rem suam" il gruppo di Poveri Cattolici dovette occuparlo con la forza. Consapevoli della resistenza che avrebbero incontrato i fuggiaschi "si fecero aiutare da briganti armati". Alla fine dello scontro i Poveri Cattolici solo per mezzo della violenza riuscirono ad entrare nella loro vecchia sede e "comportandosi come ladri e predoni" cacciarono in malo modo i frati di S. Marco e vi si insediarono stabilmente facendo proseliti. Il documento del 1272 non riferisce quando questo fatto sia avvenuto né per quanto tempo il convento di S. Agostino sia rimasto nelle mani dei Poveri Cattolici.
Probabilmente prima del 1262 un gruppo di Poveri Cattolici aveva già lasciato il convento di S. Marco: in quell'anno infatti un certo frate Pietro priore del convento di S. Agostino acquistava da Goffredo Pittore per 34 terzole un appezzamento di terra sito accanto al convento. La situazione si risolse solo nell'ottobre 1272 quando i Poveri Cattolici ancora residenti in S. Agostino decisero di fare ritorno a S. Marco "per la salvezza definitiva delle loro anime". Il possesso del convento fu definitivamente attribuito al convento di S. Marco nel novembre 1272 dall'arcivescovo Ottone Visconti. Fra costoro troviamo Gasparo de Liernis Benedetto de Carate Gabriele da Cremona Benvenuto de Aliate Pietro de Mapello Lanfranco da Bergamo Amico da Monza Giacomo da Porta Romana Martino da Casirate oltre al priore frate Anselmo da Cardano.
La provenienza dei frati oltre a evidenziare le località ove esistevano altri conventi lombardi dei Poveri Cattolici indica che il convento milanese raccoglieva frati originari della Brianza. Un ulteriore aspetto della vivacità della presenza culturale e devozionale agostiniana é rappresentata dall'esistenza di varie comunità che decisero di adottare la Regola agostiniana [36] e dalla presenza nella antica diocesi milanese di varie chiese o luoghi di culto agostiniani quali appaiono nell'elenco redatto dal Bussero verso la fine del '200.
Alla colonna 36 C questo autore riporta Sanctus Augustinus Doctor habet ecclesias I et altaria duo et festum unum. Prima ecclesia mediolani apud Sanctum Ambrosium. Secunda est ad portam horientalem. Tertia in loco marenzo de bripio. Quarta in loco tenate de roxate. Quinta in loco cagolo dicte plebis. Altare in monasterio de clavate. Festum ad sanctum eustorgium mediolani. L'esiguità dell'elenco se da un lato evidenzia la modestia della devozione ad Agostino prima della nascita e della diffusione dell'Ordo Eremitarum S. Augustini dall'altro manifesta apertamente che i due centri ove si conservava e si irradiava nel medioevo tale culto furono Milano e Pavia.
Di particolare rilievo sembra la presenza di un altare a Civate una località con influenze longobarde storicamente dipendente da Pavia la cui abbazia aveva possedimenti a Zizzanorre una frazione di Cassago che gli vennero confermati dall'imperatore Federico Barbarossa in un diploma del 1162 dopo il vittorioso conflitto che l'oppose a Milano [37].
La presenza di tale abbazia nella vita di Cassago é attestata già nell'854 quando un suo chierico un certo Ropertus rogò un atto di compravendita di terreni a Lierna fra Gaiderisso de Cassiacï e Lupo de vico Auci [38].
La dispersione dei documenti della abbazia di Civate legata culturalmente a Pfaffers presso Coira non permette purtroppo di esplorare possibili ulteriori influenze agostiniane. per quanto riguarda ancora Milano ricordi topografici del soggiorno milanese di Agostino sopravvissero soprattutto presso la Basilica di S. Ambrogio dove in luogo della edicola petrarchesca ricordata anche dal Calchi [39] l'arch. Mangone nel '600 eresse una nuova cappella e dove ancora oggi si ricorda il cosiddetto "vicolo di S. Agostino". Sotto il portico nel nartece della Basilica furono dipinte alla fine del '400 le storie illustrate delle vite di Agostino ed Ambrogio purtroppo andate perse [40].
Tale ciclo di affreschi si inseriva in quegli ampi progetti culturali di varia committenza voluti per educare il popolo e che traevano ispirazione da fatti narrati nelle Vite del santo cui si riferivano. Nel caso di Agostino sono noti numerosi cicli [41] per la gran parte ideati tenendo conto delle diverse Vite che furono scritte e diffuse nel medioevo.
Non é improbabile che alcune di esse abbiano variamente influenzato anche Petrarca Calchi e il Ripamonti sia pure con scarsi effetti riguardo a Cassiciaco. E' raro infatti scoprire in queste Vite di S. Agostino annotazioni che vadano più in là di una formale descrizione degli episodi più significativi ricordati nelle Confessioni.
Note
(1) - L. BIRAGHI, op. cit. 35
(2) - Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.
(3) - F. PETRARCA, De Vita Solitaria, II, 3, 5.
(4) - A. BENINI, Per un catalogo degli stampatori lecchesi nei sec. XI e XVI, in Archivi di Lecco, XI, 4, 1988, 555-648.
(5) - F. BORROMEO, De' piaceri della mente christiana, Milano 1625, 104-105.
(6) - F. BORROMEO, De Christianae mentis jucunditate, libri tres, Mediolani 1632, 87.
(7) - Cristoforo Galbiato era nato a Villa Romanò nel 1594 e divenne poi parroco del suo paese natale (1628-1660) succedendo allo zio Josepho Galbiato che prima di trasferirsi a Cassago fu lì parroco dal 1586 al 1628. Di Cristoforo lo Status Cleri traccia questo profilo: "ha talento per cura di anime et habile a questa alla quale inclina et di buoni costumi et decano di tutta la pieve."
(8) - C. CASTIGLIONI, Dottori dell'Ambrosiana, in Memorie Storiche della Diocesi di Milano, II, Milano 195, 18-21.
(9) - G. RIPAMONTI, Historia Ecclesiae Mediolanensis, decas prima, 1617, 229 e 234.
(10) - G. RIPAMONTI, Historiarum Patriae in continuationem Tristani Chalchi usque ad mortem Federici Card. Borromei, l. XXIII, Milano 1641-1643.
(11) - T. CALCHI, op. cit. 38.
(12) - Relativamente a questo secolo troviamo in effetti Cassagho nel 1412 (A. S. M., Registri Viscontei, I, 31, c. 23), Cassago nel 1441 (A. S. M., Archivio Notarile, cart. 645) e nel 1442 (A. S. M., Archivio Notarile, cart. 646) Casago nel 1455 (A. S. M., Archivio Notarile, cart.647) Caxago nel 1456 (A. S. M., Compartizione dell'estimo del Monte di Brianza) Cassagho nel 1479 (A. S. M., Dicasteri, cart. 60, Lettere Ducali, 1479 c. 225) e Cassago nel 1489 (Arch. Fabbrica Duomo Milano, Possessi Foresi, cart. 342).
(13) - La sua famiglia era originaria di Calco altro villaggio prossimo a Cassago. Sin dal X sec. i Calchi erano signori di Calco. Inscritta nella Matricola Viscontea questa famiglia produsse eminenti personaggi fra cui Bartolomeo primo segretario del duca Ludovico il Moro nel 1480 e Tristano celebre autore di una Historia di Milano rimasta purtroppo incompiuta. Ancora oggi a Calco esiste una chiesa dedicata a S. Agostino ricostruita su un precedente oratorio utilizzato dalla Confraternita della Madonna della Cintura che conserva vari affreschi del santo.
(14) - T. CALCHI, Mediolanensis historiae patriae, libri viginti, Mediolani 1627 apud her. Melchioris Malatestae Impressores.
(15) - P. De NOLHAC, Pétrarque et l'humanisme, Parigi 1907, t. II, 293-295 e P. SENILI, Epist. ad Lodovicum Marsilium, XI (XIV), Basilea 1554, 1038. Il Petrarca che dichiara di conoscere tutti i libri delle Confessioni in Sen. VIII, 6 ad Donatum Apennigenam, ne farà dono di una copia al fratello e ad un amico in Familiares, XVIII, 5, 1 a Gerardum monachum Cartusiensem, t. III, 282, 3.
(16) - F. PETRARCA, Familiares XVII all'Aghinolfi del 1.1.1354.
(17) - F. PETRARCA, Familiares XVII, 10, 14 ad Iohannem Aretinum: "... ed ecco che subito quel vecchio amico di Cristo e questo nuovo esultanti d'una grande santa letizia sciolsero entrambi a Dio quell'inno famoso di confessione e di lode che nato qui immediatamente si diffuse ovunque per tutte le chiese ...". Nel medioevo questa leggenda venne diffusa soprattutto da Jacopo da Varagine con la Legenda Aurea (Vita sancti Augustini, CXXIV, 119) che riprese l'analogo racconto da Honorius Augustodunensis riportato nel suo Speculum Ecclesiae, P. L. , t. CLXXII, 995 A. Confermarono la leggenda anche lo Pseudo-Datius,Historia Ecclesiae Mediolanensis e lo Pseudo-Ambrogio, Sermo XCII.
(18) - F. PETRARCA, Familiares IV, I, 12 ad Dyonisium de Burgo Sancti Sepulcri.
(19) - F. PETRARCA, Familiares XIX, 15 , 3 ad Franciscum Sanctorum Apostolorum.
(20) - F. PETRARCA, Familiares XV, 14, 32 ad Clerum Ecclesiae Paduane, III.
(21) - F. PETRARCA, Familiares XXI, 14, 2 ad Franciscum Sanctorum Apostolurum.
(22) - F. PETRARCA, Familiares XXI, 14, 5.
(23) - F. PETRARCA, De Vita Solitaria, II.3,2.
(24) - F. PETRARCA, Secretum e De Vita Solitaria.
(25) - F. PETRARCA, De Vita Solitaria, II, 3, 5.
(26) - AGOSTINO, De Civitate Dei, X, 29.
(27) - E. H. WILKINS, Petrarch's eight years in Milano (1353-1361), in Pubblications of the medioeval Academy of America, t. LXIX-LXX, Cambridge Mass, 1958-1959. Cfr. anche Ad fratres in heremo commorantes un apocrifo di origine belga di bassa qualità che cerca di derivare da S. Agostino l'ordine degli Eremitani fondato nel 1256 e HENRI De FRIEMAR, De origine et progressu ordinis fratrum eremitarum sancti Augustini et vero ac proprio titulo eiusdem,in Annalecta Augustiniana, t.IV, Roma 1912 quando afferma che Agostino a Milano avrebbe condotto vita eremitica "... sue conversionis habuit per beatum Simplicianum heremitam qui primo Rome exemplo Pauli primi heremite et beati Antonii a sua iuventute Deo devotissime serviebat et post modum veniens Mediolanum vitam solitariam et heremiticam cum multis sociis ferventissime duxit ...".
(28) - Il primo autore che vi fa cenno fu GOFFREDO Da BUSSERO, Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, col. 399 e 400 che scrive beatus Simplicianus erat capitaneorum de beverate apud aduam.In senso lato vi accenna anche il Sermone Ad Servos Dei attribuito a S. Agostino ove si dichiara: "Non fui io forse ammaestrato nella fede da Simpliciano liguriense?". Questa tradizione fu sostenuta con vigore dal Dottore dell'Ambrosiana G. DOZIO, Notizie di Brivio e sua Pieve, Milano 1858 e da I. CANTU' che copiando un'opera del Mambrizio ne esprime addirittura i genitori in Lodovica e Senegardo Cattanei capitani delle terre di Brivio e di Beverate. Il villaggio di Beverate nel medioevo fu a lungo possesso del monastero di Civate.
(29) - In questo paese gli abitanti eressero nel 1697 la Scuola sotto il titolo di S. Maria della Cintura ufficializzando una venerazione agostiniana di più antica data. L'onomastica agostiniana infatti é già rintracciabile nei registri parrocchiali nel tardo '500. Inoltre era presente una famiglia detta Santiagostino o santagustini che risiedeva in località la Grancia una fattoria di proprietà dei nobili Calchi prossima a Imbersago. La prima citazione é del 1568 e riguarda un certo Pietro francesco santiAgustini(Registro battesimi 1624-1717, Arch. Parr. Calco) che tra l'altro diventerà poi parroco del paese. E§ quanto mai probabile che il cognome Santagustini sia in realtà il soprannome originato da qualche peculiarità che aveva il cascinale della Grancia. Forse vi si conservavano pitture del santo o forse sorgeva una cappella o oratorio privato.
(30) - M. MAZZUCCOTELLI, Ospizi e monasteri lungo la valle dell'Adda, in S. Benedetto in Portesana collana di Studi su Trezzo e il suo territorio, 11, 1990.
(31) - C. MARCORA, Frate Gabriele Sforza arcivescovo di Milano, in Memorie Storiche della Diocesi di Milano, I, Milano 1954, 244.
(32) -
L'ordine dei Poveri Cattolici fu istituito da Innocenzo III nel 1208 con l'intento di ricongiungere parte del movimento valdese alla chiesa cattolica. Cfr. Ex tuarum fratrum di Innocenzo III datata 1209 ai Valdesi convertiti di Milano.
(33) - G. BUSSERO, op. cit., 36 C.
(34) - I Giamboniti aderirono alla Piccola Unione agostiniana con la Admonet nos di Innocenzo II del 14 aprile 1253.
(35) - Vari documenti attestano che alcuni frati tra i Poveri Cattolici che ormai da dieci anni avrebbero dovuto professare la
regola agostiniana non accettarono l'unione agostiniana.
(36) - Nel 1063 il Capitolo di Milano seguiva la Regola di S. Agostino (D. GUTIERREZ, Gli Agostiniani nel Medioevo, I (1256-1356), Roma 1986, 37) così come la Comunità di Canonici che verso il 1130 si costituì a S. Bartolomeo al Bosco presso Appiano (G. PICASSO, L'origine della Canonica di S. Bartolomeo al Bosco, in Ricerche Storiche della Chiesa Ambrosiana, VI, Milano 1976, 29-35) e l'Istituto delle Dame Bianche ordine fondato nel 1232 all'ospedale di S. Stefano in Brolo (F.SAVIO, Le Basiliche di Milano al tempo di S. Ambrogio, Torino 1924).
(37) - Diploma di Federico Barbarossa a favore del monastero di Civate del 27 aprile 1162 in BOGNETTI-MARCORA, L'abbazia
benedettina di Civate, 1957, 144.
(38) - C. MARCORA, Cassago Brianza, Oggiono 1982, 96.
(39) - T. CALCHI,op.cit.: non longe a Cenobio Ambrosiano distat aedicula rudis informisque qualis tunc fuisse creditur in qua baptismate lustratuí et sacris institutionibus eredituí ferunt.
(40) - BRIVIO-REGGIORI, Guida alla Basilica di S. Ambrogio, Milano 1978, 47.
(41) - Nel XIII sec. furono dipinti a Erfurt, Rabastens, Padova, Fabriano e Sées; nel XIV sec. a Carlisle, Cremona, Barcellona, Gerusalemme, Eperney, Edimburgo e Lecceto; nel XVI sec. a Louvain, Neustift, Anversa, Quito, Bruges e Diest. Cfr. P. COURCELLE, op. cit., 1965, 1969, 1972 e M. HERUBEL, La pittura gotica I, Losanna 1965, 117 e B. HACKETT-G. RADAN, Significato degli affreschi nel chiostro e nel portico di Lecceto, in Lecceto e gli eremi agostiniani in terra di Siena, Siena 1990, 107-109.