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CICLo AGOSTINIANo di PAOLO DI MAESTRO NERI a Lecceto

A Milano presso la corte imperiale

A Milano presso la corte imperiale

 

 

PAOLO DI MAESTRO NERI

1439-1442

Chiostro de' Beati a Lecceto

 

A Milano presso la corte imperiale

 

 

 

Milano fa da sfondo a questo e ai tre riquadri successivi. Qui Agostino giunge alla corte imperiale. Appena dipinta, questa scena doveva essere assai suggestiva e anche oggi, nonostante lo stato pietoso si conservazione, lo sfondo con una chiesa a cupola e altri splendidi edifici della città, rivela un senso di grandezza e maestosità. Agostino si inginocchia davanti all'imperatore per rendergli omaggio prima di ricoprire l'incarico di professore di retorica a corte. Milano tuttavia per Agostino significa soprattutto Ambrogio e le scene seguenti sono un riconoscimento del ruolo del vescovo milanese nella conversione di Agostino.

 

Perciò, quando il prefetto di Roma ricevette da Milano la richiesta per quella città di un maestro di retorica, con l'offerta anche del viaggio sulle vetture di Stato, proprio io brigai e proprio per il tramite di quegli ubriachi di favole manichee, da cui la partenza mi avrebbe liberato a mia insaputa. Dopo avermi saggiato in una prova di dizione, il prefetto del tempo, Simmaco, m'inviò a Milano. Qui incontrai il vescovo Ambrogio.

AGOSTINO, Confessioni, V, 13, 23

 

Milano, in quei tempi, condivideva il ruolo di capitale con Treviri (fra Maastricht e Strasburgo), Sirmio (nei Balcani, alla confluenza tra Sava e Danubio, presso quella che oggi è Belgrado), Costantinopoli. Crocevia per la collocazione geografica (a ridosso dei passi alpini) e la cultura naturalmente di scambio, comunicazione e convivenza tra etnie, mentalità, tradizioni, Milano è il campo dove si fronteggiano le forze prorompenti che scuotono il passaggio dal tardo antico al Medioevo. Ha preso il posto di Roma, è divenuta centro di riferimento e insieme piattaforma di transito, vitale e brulicante, sede della corte e quindi del potere e della burocrazia; è abitata da imprenditori e mercanti, salariati e mendicanti, patrizi ricchi di latifondi e nuovi filosofi, maestri d'armi e poeti, ministri di culti consueti e adepti di nuove religioni giunte dall'Oriente vicino e da quello più lontano, raffinati artigiani dell'Africa proconsolare e della Siria. Nel rito e nella storia di fronte stanno due uomini, che rappresentano due età, due mondi, due culture.

Ambrogio nel 387 ha una cinquantina d'anni, è di famiglia patrizia originaria di Roma con ascendenze greche (l'«ambrosia», il cibo degli dei dell'Olimpo), nasce a Treviri dove il padre ricopriva un alto incarico al seguito dell'imperatore, si è formato a Roma nella casa avita fra il Monte Capitolino e l'Isola Tiberina prendendo confidenza con i classici latini e greci e il cristianesimo che fiorisce soprattutto grazie all'opera delle donne dell'aristocrazia; dopo cinque anni di esperienza nella magistratura a Sirmio, viene eletto consularis, governatore, responsabile dell'ordine pubblico per buona parte del Nord Italia con sede a Milano.

E qui, nell'autunno del 374, è sorprendentemente nominato vescovo a furor di popolo, certo per la sua pietas, ma anche per le doti morali di amministratore della giustizia, di «ponte» tra esigenze opposte, tra istituzioni e regole ereditate e novità che irrompono sulla scena e che esigono atti di governo. L'altro, Agostino, ha vent'anni meno, è di padre pagano e madre cristiana, passa per diverse esperienze filosofiche e religiose; consapevole dei suoi mezzi intellettuali lascia l'Africa portando con sé una compagna e il figlio avuto da lei, Adeodato; cerca affermazione a Roma, è brillante, capace, affermato, tanto che il praefectus urbis gli procura un posto di insegnante a Milano con l'intenzione di contrastare la fama acquisita da Ambrogio, in nome della cultura dell'antica Roma «tradita» dal vescovo, che su quel solido ceppo ha innestato la giovane, ancora fragile pianta del cristianesimo.

La conoscenza di Ambrogio da parte di Agostino ha un esito diverso dalle attese. Il secondo resta affascinato, ha un crisi intellettuale e personale che gli procura sofferenze e disturbi anche fisici, sino alla conversione e alla richiesta del battesimo.