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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Seicento > Giuseppe GuaspariniCICLo AGOSTINIANo DI GUASPARINI DI UMBERTIDE A Cortona
Miracolo nella città di Valenza dei ceri che non si consumano mai
GUASPARINI GIUSEPPE
1669
Chiostro del convento di S. Agostino a Cortona
Miracolo dei ceri che non si consumano mai
La pittura porta come spiegazione la scritta CERA CHE NON SI CONSUMA. Amche in questo caso Guasparini ha ripreso puntualmente la analoga stampa di Schelte, nella cui leggenda viene spiegato il miracolo attribuito ad Agostino: Annuum miraculum Valentiolae prope Almagrum in Hispania quo cerei plures D. Augustini festo die accensi, ponderis diminuti iacturam non sentiunt, ut indeficiens doctrinae lumen intelligas.
Nella struttura della composizione si può osservare la statua del vescovo Agostino uscire da una chiesa in processione per le vie della città. Il Gonfalone è in prima fila seguito da numerosi fedeli e frati che circondano la statua. In primo piano a sinistra viene raffigurata la scena vera e propria del miracolo: due laici stanno armeggiando nella bottega di un artigiano che pesa i ceri che non si sono consumati. Deposti in una grande cesta i ceri conservano lo stesso peso pur avendo arso e prodotto la fiamma durante la processione.
Il fatto viene descritto nel Regestum Reverendissimi Petrochini, 17 gennaio 1589 edito da Andrès Llorden, Los Agustinos en la Universida de Sevilla, 1951. Si tratta di una leggenda spagnola secondo cui durante una processione a Valenza presso Almagro, i ceri usati nella festività di Agostino non si consumarono né variò il loro valore. Il miracolo fu interpretato come esempio della forza imperitura della sua dottrina come luce delle genti.
ANDRES LLORDEN, Regestum Reverendissimi Petrochini
Questa scena leggendaria venne rappresentata anche da Fanzago Cosimo (1591-1678) a Napoli, Museo Certosa di S. Martino, per gli Stalli dalla chiesa di S. Agostino, da Ulivelli Cosimo (1625-1705) a Firenze nel Chiostro dei Morti del Convento di S. Spirito, da Begni Giulio Cesare (1640) a Fano, nel Chiostro del monastero agostiniano e da Miguel de Santiago (1656) a Quito, nel monastero agostiniano cittadino.