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CICLo AGOSTINIANo di Chalma

Agostino frequenta i Manichei

Agostino frequenta i Manichei

 

 

PEDRO CALDERON

1729-1730

Chalma, Chiostro del convento di Nostro Signore Gesù Cristo e San Michele

 

Agostino frequenta i Manichei

 

 

 

Il quadro di Calderon introduce una scena originale nel ciclo rappresentando i rapporti che Agostino nutrì con l'eresia manichea. Il santo è al centro della scena in abiti contemporanei all'artista ed alza i palmi delle mani a significare il desiderio e la volontà di abbandonare la setta. Attorno a lui altri adepti lo guardano e con i loro atteggiamenti e il movimento di braccia e mani sembra che vogliano convincerlo a non abbandonarli.

Sul tavolo è deposto un libro aperto, ma è capovolto quasi a dire che la dottrina contenuta in quelle pagine non è più da leggere ma va nascosta e abbandonata.

Nell'ultimo periodo di appartenenza al manicheismo, Agostino ebbe modo di conoscere le debolezze filosofiche di quella religione, che aveva abbracciato proprio perché gli sembrava convincente dal punto di vista filosofico.

Nella sua polemica contro il manicheismo Agostino rinnega una parte non breve del proprio passato e agisce con forza nei confronti di un temibile pericolo per le comunità cristiane di cui è diventato pastore. Il manicheismo in effetti era piuttosto diffuso nel Nord Africa e verrà messo seriamente in difficoltà solo dopo l'invasione dei Vandali.

Agostino nelle sue discussioni utilizza la metafisica monistica di Plotino con la sua concezione del male come non essere. La polemica plotiniana contro lo gnosticismo aiutano Agostino nella disputa con i suoi ex-correligionari e nella costruzione di una dottrina cristiana consistente e degna di una religione ampiamente diffusa.

Nelle Confessioni Agostino i suoi trascorsi giovanili fra i manichei:

"Così finii tra uomini orgogliosi e farneticanti, carnali e ciarlieri all'eccesso. Nella loro bocca si mescolavano le sillabe del tuo nome con quelle del Signore Gesù Cristo e del Paraclito, lo Spirito Santo nostro consolatore. Questi nomi erano sempre sulle loro labbra, ma soltanto come suoni e strepito della lingua; per il resto il loro cuore era vuoto di verità. Ripetevano: verità, verità, e ne facevano un gran parlare con me, eppure mai la possedevano e dicevano il falso non soltanto su di te, ma anche su questi principi di questo mondo che da te sono creati. O Verità, Verità, come già allora e dalle intime fibre del mio cuore sospiravo verso di te, mentre quella gente mi stordiva spesso e in vario modo con il solo suono del tuo nome e la moltitudine dei suoi pesanti volumi. Nei vassoi che offrivano alla mia fame di te, invece di te mi presentavano il sole e la luna, creature tue, e belle, ma pur sempre creature, mentre io dite sola, Verità, avevo fame e sete" (Conf. III, 6.10).