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Chiesa di S. Giacomo a Bologna
LA PRESENZA AGOSTINIANA A BOLOGNA NEL MEDIOEVO
di Eros Stivani
da Per corporalia ad incorporalia: spiritualità, agiografia, iconografia e architettura nel Medioevo agostiniano
CHIESA DI S. GIACOMO DI BOLOGNA
Questa chiesa è tuttora una delle più importanti sedi dell'Ordine agostiniano e la sua fondazione è del 1267.
Il 25 aprile 1267 fu posta la prima pietra di S. Giacomo Maggiore con la posa della prima pietra. Già fin dal 1247 una comunità di eremiti, fondati dal beato Giovanni Bono da Mantova sotto la regola di S. Agostino, detti Giamboniti, si era stabilita quasi a ridosso delle mura che cingevano allora Bologna (seconda cerchia, detta "del mille") lungo il corso del Savena, ora deviato, in un luogo più o meno corrispondente all'attuale Villa Torri, lungo il viale Filopanti. Qui fondarono il loro monastero e la chiesa dedicata a S. Giacomo. Nel 1256 Alessandro IV riunì in un solo Ordine tutti gli eremiti che professavano la regola di S. Agostino: anche gli eremiti di S. Giacomo di Savena aderirono al nuovo "Ordine Eremitano di S. Agostino", il cui primo generale fu Lanfranco Settala da Milano, giambonita, proveniente dalla comunità del Savena. Il bisogno di apostolato ed anche i disagi di un luogo rivelatosi malsano e di non felice scelta, indussero ben presto gli eremiti del Savena a ricercare un luogo più adatto dentro le mura di Bologna.
Lo spostamento incontrò gravi ostacoli specialmente da parte del clero e delle fazioni ghibelline. Solo nel 1267 i frati poterono entrare in città grazie all'appoggio del papa e con l'autorizzazione del vescovo ghibellino Ottaviano II degli Ubaldini, nipote de "il Cardinale" (Inf. X, 120) e fratello dell'Arcivescovo Ruggieri (Inf. XXXIII, 14). Cosi gli Eremitani cominciarono la loro fabbrica, ma i contrasti continuarono e i lavori andarono a rilento. Solo dopo il 1282, rafforzatasi la parte guelfa, di tendenza popolare e favorevole ai religiosi, i lavori presero un ritmo regolare anche per i vari e massicci finanziamenti che il Senato e la Massa del popolo destinarono alla fabbrica sia con elargizioni dirette sia con la riscossione delle gabelle alle porte di S. Donato e di S. Vitale. La prima di queste elargizioni fu deliberata il 27 aprile 1285, essendo capitano del popolo Corso Donati, anch'egli di memoria dantesca (Purg. XXIV, 82-90). La chiesa fu terminata nel 1315, ma la sua consacrazione avvenne soltanto nel 1344. L'annesso convento sin dalle sue origini assunse il ruolo di importante focolaio di cultura e fu lungo i secoli uno dei più insigni Studi Generali dell'Ordine. Già fin dal 1281 si decretava nel Capitolo generale degli Eremitani che i giovani di tutte le Province che volessero studiare fossero mandati a Parigi, a Bologna o a Padova; e nel 1306 fu celebrato in S. Giacomo il 46° Capitolo generale dell'Ordine.
Tra i nomi insigni che onorarono questo convento vanno ricordati: Ugolino Malebranche da Orvieto, Giacomo da Viterbo, il Cardinale Seripando (teologi), Cherubino Ghirardacci, Luigi Torelli (storici). Né vanno dimenticati coloro che lo illustrarono con la loro santità come Iacopo della Lana, Simone da Todi, Matteo da Rimini, Stefano Bellesini. Nella vita della città la chiesa e il convento ebbero notevole importanza e furono spesso al centro di importanti vicende storiche anche per il fatto che S. Giacomo era una delle quattro chiese di quartiere in cui, per la grande capienza, si radunava il popolo nelle grandi occasioni cittadine. Particolare spicco ebbe al tempo della Signoria, quando i Bentivoglio la presero sotto particolare protezione; spicco che, per i vari patronati acquisiti nelle cappelle fin dai primi del 1500, non diminuì dopo la caduta dei Bentivoglio.
La decadenza invece cominciò nel 1700 e fu il crollo nel 1798 quando, con l'avvento napoleonico, gli Ordini religiosi furono soppressi. Gli Agostiniani furono allontanati, pur continuando ad officiare la chiesa come rettori e cappellani. Rientrarono, ma stremati dalla tempesta, nel 1824. Parte del loro convento tuttavia non fu più riconsegnato, essendo divenuto, fin dal 1804, sede del Liceo Filarmonico, che poi diventerà Conservatorio Musicale e che sarà onorato dalla attività di musicisti quali il P. Martini, il P. Mattei, Rossini, Donizetti, Respighi. Gli Agostiniani furono poi definitivamente cacciati da S. Giacomo e i loro beni incamerati con l'avvento del Regno d'Italia, dopo il 1860 e le così dette leggi eversive.
Furono però lasciati come custodi della chiesa e come tali restano tuttora. Dell'antico convento rimangono parti notevoli, come i resti di un chiostro quattrocentesco (entrando al n. 42 di via S. Vitale), e soprattutto nel Conservatorio Musicale "G. B. Martini", dove si possono ancora ammirare il chiostro settecentesco (già chiostro dei morti), lo scalone del Torreggiani, i grandi corridoi, il refettorio (ora palestra) e la biblioteca (ora Sala Bossi).
VICENDE COSTRUTTIVE
Quando nel 1267 cominciarono la loro fabbrica, gli Eremitani non avevano ancora acquistato l'area fabbricabile su cui più tardi estesero progressivamente la pianta di S. Giacomo giungendo fin quasi a ridosso della preesistente chiesa parrocchiale di S. Cecilia. Cominciarono perciò dalla facciata, a cui tuttavia diedero uno sviluppo tale da tradire subito l'ambizione del loro disegno. Solo lentamente riuscirono ad acquistare tutta l'area e a portare avanti l'edificio. Esso si sviluppò con un'unica navata a pianta quadrangolare terminante con una cappella di testata ad abside poligonale, fiancheggiata da due cappelle quadrate, tutte e tre coperte a volta. La navata invece era coperta a tetto spiovente con capriate a vista. L'impostazione era romanica, ispirata alla semplicità e alla povertà degli Ordini mendicanti, ma con una concezione dello spazio interno più vasta e soprattutto con una spinta decisamente ascensionale. D'altronde sul disegno romanico furono quasi subito accolte modifiche di ispirazione gotica, quali le finestre ogivali e le arche funerarie, eseguite nell'ultimo decennio del 1200.
Cappella Bentivoglio con affreschi di Lorenzo Costa
Questo primo impianto della chiesa aveva molte analogie con quella degli Eremitani di Padova, cominciata solo tre anni prima e "non è azzardato ritenere che, sia nella concezione architettonica, sia nello svolgimento dei lavori, gli Eremitani di Bologna si valessero dell'esperienza e del consiglio dei loro confratelli padovani; nè si può escludere che una stessa mente ed una stessa direttiva abbia presieduto, agli inizi, alla costruzione delle due chiese" (Fanti). Si dà ormai per dimostrato che la costruzione del complesso absidale vada posta tra il 1331 e poco dopo il 1343. Si cominciò con l'ampliamento e l'innalzamento della cappella maggiore che prese l'aspetto di una tribuna di pianta poligonale, con pilastri pure poligonali e un grazioso coronamento a cuspidi e pinnacoli, oggi penosamente soffocati da una brutta tettoia. Vennero rialzate anche le due cappelle laterali e sopra quella di destra si cominciò a costruire la prima parte del campanile (1336). Poco appresso, attorno alla tribuna, sullo sviluppo delle due cappelle laterali, venne costruito un deambulatorio e, affacciate su di esso, la serie delle cappelle disposte a raggiera. Nella seconda metà del Quattrocento la foga innovatrice della Signoria e l'affermarsi della cultura figurativa rinascimentale determinò in S. Giacomo un susseguirsi di interventi che, specie nell'interno, le fecero cambiare completamente fisionomia. Nel decennio 1460-1470 i Bentivoglio costruirono la loro cappella gentilizia che, comportando l'innalzamento e l'ampliamento di una delle cappelle della raggiera absidale, ne sconvolse la planimetria, richiese un raccordo nelle strutture di sostegno e delle volte del deambulatorio ed eliminò la già scarsa luce tra l'abside di S. Giacomo e la chiesa di S. Cecilia.
Nel 1471 il campanile che, addossato com'era alla tribuna, risultava basso e tozzo, "fu innalzato dalle seconde finestre andando in su" (Ghirardacci). Tra il 1477 e il 1481 fu costruito il portico che, pur nel suo esagerato sviluppo in lunghezza rispetto alla larghezza e all'altezza, risolve i problemi delle proporzioni e della luce in modo tale da costituire una delle massime opere del rinascimento bolognese. Il suo livello costante su una via che degrada, oltre alla copertura della parte inferiore delle arche e del portale di S. Cecilia, determinò un dislivello col pavimento di questa chiesetta, sicché, tra il 1481 e il 1483, questo fu rialzato e, in tale occasione, tolta la copertura a capanna, ne fu rifatta una a volta ad opera di Gaspare Nadi.
Ma i cambiamenti più radicali si ebbero nell'interno di S. Giacomo tra il 1483 e il 1498. A parte l'eliminazione di un pontile, di cui non si hanno notizie più precise, fu tolta la copertura a capriate e "la lunga navata fu divisa trasversalmente in quattro spazi quadrati, di cui i primi tre furono inquadrati da otto robusti pilastri addossati alle pareti e collegati da archi trasversali e longitudinali su cui si impostarono tre volte a vela; il quarto, ridotto alla stessa larghezza degli altri da due archi longitudinali impostati tra i due ultimi pilastri e la fronte del coro, venne coperto da una cupola... La struttura ad archi e pilastri rispondeva perfettamente all'esigenza tutta rinascimentale di misurare, scandire l'unico grande spazio della navata primitiva... e il presbiterio (fu) quasi un ideale transetto per l'improvviso allargarsi in esso della luce proveniente dalla cupola, certo in origine più alta e luminosa di quella attuale" (Aprato). Gli spazi tra i pilastri vennero a loro volta spartiti in raggruppamenti di tre cappelle divise da lesene e sormontate da archivolti coronati da una trabeazione a balaustra. "Le raggruppate cappelle appaiono chiaramente subordinate ai grandi pilastri che, assumendosi da soli il compito di sostenere la copertura, le superano di slancio con la loro altezza che è quella di un maestoso ordine gigante. Il sistema che ne deriva, talvolta definito intersezione degli ordini, si diffonderà poi largamente a partire dai primi del Cinquecento" (Aprato). Assai meno felici sono da considerarsi gli interventi del periodo barocco. Nel 1562, colpita da un fulmine, crollò la cupola maggiore.
Monumento di Iacopo della Quercia.
Fu ricostruita da Antonio Morandi all'insegna della fretta e dell'economia. Nel 1665 la chiesa venne intonacata e imbiancata secondo i nuovi gusti. Nel 1686 nel coro furono costruite due finte volte a vela e una gran conchiglia di stucco che incorporò e nascose le originali nervature gotiche e le monofore ogivali. Nella prima metà del secolo XVIII la balaustra che corona le cappelle fu decorata da una serie di vasi e di statue di stucco "con effetto di pretta intenzione scenografica" (Matteucci). Furono chiuse le monofore ogivali e furono aperti i grandi finestroni rettangolari che, con la loro luce violenta e discontinua, squilibrarono completamente l'illuminazione uniforme e serena che era pur restata dopo le modifiche rinascimentali.
LE OPERE D'ARTE
In essa si registra la presenza di un altare dedicato a S. Nicola da Tolentino sin dal 1328 (Cfr. Regesto, a cura di D. Lenzi, in Il tempio di S. Giacomo Maggiore, all'anno 1328). In S. Giacomo si conserva una delle più importanti opere pittoriche medievali: il polittico di Paolo Veneziano. Anticamente erano qui presenti due polittici di altrettanti maestri veneziani del '300. Uno di essi, firmato da Lorenzo da Venezia, rimarrà dal 1368 al 1491 sull'altare maggiore ed ora, però non è più presente in questa chiesa (Alcune tavole del polittico di Lorenzo da Venezia sono ora conservate alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Per questa opera vedi in C. Volpe, Il Polittico di Lorenzo Veneziano in Il tempio di S. Giacomo Maggiore, p. 92).
L'altro è quello di Paolo Veneziano la cui datazione è da ritenersi anteriore al 1344, data nella quale venne consacrata la chiesa nel secondo giorno di maggio. Nel documento che ricorda tale evento vengono elencati gli altari consacrati ed in particolare, oltre al maggiore, dalla parte sinistra quello dei SS. Pietro e Paolo, di S. Giovanni battista e dei SS. Giacomo e Filippo, dalla parte destra quello della santa Croce e di S. Giovanni evangelista. Secondo quanto espresso dal Volpe (C. Volpe, op. cit., pp. 87-91), questo polittico avrebbe potuto trovarsi in occasione della consacrazione, collocato nell'altare dei SS. Pietro e Paolo o in quello della S. Croce. Questo per il motivo che nella parte centrale dell'opera è collocata una reliquia lignea della S. Croce e, per altro motivo, che nelle due posizioni centrali del registro intermedio sono rappresentati i SS. Pietro, da un lato della reliquia, e Paolo, dall'altro lato. Molte sono le manomissioni che quest'opera ha subito nel corso degli anni.
Tra queste si supponeva vi fosse l'asportazione dell'immagine della parte centrale. Dal recente restauro è emerso che la doratura della parte centrale è contemporanea alle altre parti, quindi la reliquia lignea della S. Croce non fu una aggiunta avvenuta posteriore. Ciò fa pensare che questa opera fosse la pala dell'altare della S. Croce consacrato il 2 maggio 1344. Tra le modifiche avvenute con certezza vi è la perdita delle cimase costituite da una immagine centrale raffigurante probabilmente una crocifissione e due cuspidi disposte lateralmente, che potrebbero essere identificate con quelle presenti presso il Wadswuorth Atheneum di Hartford, attribuite appunto a Paolo Veneziano e provenienti dalla antica collezione bolognese Gozzadini. Esse rappresentano l'Angelo annunziante e la Vergine annunziata. Una ulteriore manipolazione avvenne quando il registro superiore fu disposto alla base del polittico per poter sovrapporre a quest'opera il polittico di Jacopo di Paolo (datato 1420 c.) creando così un insieme privo di uniformità e stilisticamente sgrammaticato. Non si può escludere che sia stato in occasione di questa modifica che si siano eliminate le cimase.
E' questa l'opera più elevata di Paolo Veneziano nella quale è possibile riscontrare la purezza del classicismo bizantino ravvivato da rinascenti vene di temperamento gotico. All'interno di questo insieme, la raffigurazione di S. Giorgio è sicuramente il migliore brano di tutta l'opera di questo autore. Infine un'ultima considerazione sulla iconografia, che è qui fortemente agostiniana, non solamente per la presenza di S. Agostino posto nel registro intermedio a sinistra ed a corpo intero, ma in particolar modo per la presenza fondamentale di S. Nicola da Tolentino. Questo santo agostiniano domina il registro inferiore essendo presente in ben tre scene disposte centralmente. In esse sono ripresi tre miracoli descritti nel processo di canonizzazione avvenuto nel 1325 e rappresentano la liberazione di un prigioniero legato mentre viene derubato, la rianimazione di pernici arrostite con le quali i confratelli volevano nutrirlo durante la malattia ed in fine S. Nicola che celebra la Messa in suffragio delle anime del purgatorio e delle quali è intercessore particolare.
Altri sono le opere medievali in S. Giacomo Maggiore, come le Storie di S. Maria Egiziaca, la Battaglia di Clavijo e le pitture delle arche sepolcrali esterne, ora staccate e conservate all'interno nel peribolo (Per la chiesa di S. Giacomo Maggiore vedi in Il tempio di S. Giacomo Maggiore, op. cit., come anche in F. Cruciani, S. Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1971 e in M. Fanti, C. Degli Esposti, E. Stivani, La chiesa di S. Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1998).