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La statua di sant'Agostino ad Abbasanta
LA PROVINCIA AGOSTINIANA DI SARDEGNA DAGLI INIZI A TUTTO IL XVI SECOLO
di Lino Neccia
da Analecta Augustiniana, LXII (1999), pp. 359-389
LA SARDEGNA "PROVINCIA DI OSSERVANZA"
La provincia di Sardegna nasce con lo specifico carattere di "provincia di osservanza". Cosa questo significhi per l'Ordine Agostiniano e per gli altri ordini religiosi, tra i secc. XIV-XVI, è ben noto: qui è necessario capire, nella fattispecie, l'importanza che ciò ha comportato per questa provincia, e anche le sue conseguenze. Innanzitutto, è chiaro che nell'isola non c'erano conventi agostiniani da riformare, per il semplice fatto che non esistevano.
Mentre altrove il richiamo all'osservanza della regola, delle norme della vita religiosa e, più estensivamente, l'appello a rinnovare e a rianimare lo spirito e l'essenza della sequela Christi, rispondeva al bisogno di contrastare il diffuso rilassamento della disciplina, in Sardegna si iniziava proprio con il voler evitare errori e problemi che già si erano verificati in seno alla maggior parte degli ordini religiosi.
Il Cinquecento è stato, nel complesso, un secolo che ha visto irrompere all'interno della Chiesa, nella base soprattutto, una decisa volontà di riforma e di rinnovamento; sappiamo bene a quali estremi ha portato tale pur legittima ed opportuna aspirazione, un vero e proprio bisogno della Cristianità tutta, che da troppo tempo chiedeva soddisfazione. Molto più modestamente, i religiosi che diedero inizio a questa nuova circoscrizione dell'Ordine, si mossero all'interno di un'esperienza di vita che già conoscevano, praticavano ed amavano con convinzione: lo abbiamo visto a proposito dei tre religiosi che possiamo considerare i fondatori della provincia.
Si trattò, per loro, di proseguire e diffondere uno stile di vita, un approccio particolare dell'essere religioso agostiniano, che già avevano avuto modo di conoscere ed apprezzare nel convento napoletano di S. Giovanni a Carbonara. Come ricorda il P. David Gutiérrez, i promotori dell'osservanza miravano alla riforma della vita religiosa in tutti i suoi aspetti: nella celebrazione del culto divino, nell'osservanza della clausura, nel maggior impegno ascetico, nella pratica della povertà comune: il "vivere senza cosa propria" della formula della professione non doveva restare una pura cerimonia, ma diventare norma di vita" [1]. La provincia, come abbiamo visto, si era venuta costituendo attraverso l'incorporazione di conventi già esistenti, in Spagna e nelle Baleari, e con altri di nuova fondazione, in Spagna e in Sardegna. Soprattutto in relazione al primo tipo di case, il superiore generale non cessa di intervenire di continuo, con pressanti esortazioni e vibranti appelli, affinché non si abbiano tentennamenti, ripensamenti o tentativi di annacquare lo spirito di riforma. Questo fin dagli inizi, considerate le necessità interne dell'Ordine, ma anche le attese proprie della Chiesa del tempo: "Dantur litterae reformationis ad universam provinciam Sardiniae preceptorie... ut tota provincia ad unguem reformetur, eo presertim tempore cum totus episcoporum cetus contra nos clamat" [2].
Egidio da Viterbo chiede quindi un'opera di riforma radicale e, come lui, i suoi successori, specialmente il P. Girolamo Seripando, quando, nei mesi di aprile e maggio del 1541, visitò personalmente la provincia [3]. Questa del Seripando fu l'unica visita di un superiore generale alla provincia di Sardegna, effettuata peraltro quando questa era in massima parte costituita dai conventi spagnoli e limitata, per di più, a questi soli. Per chiarezza, occorre aggiungere che i conventi dell'isola non ebbero mai in tutta la loro storia la visita di un superiore maggiore dell'Ordine. Questo fatto, se da una parte testimonia una certa mancanza di considerazione da parte del governo centrale dell'Ordine, dall'altra non si rivelava certamente utile ai fini di quella riforma che pure i superiori reclamavano. I religiosi agostiniani sardi conosceranno, si può dire, solo le visite dei commissari apostolici dei regolari e dei commissari dell'Ordine inviati in visita alla provincia, talvolta con la duplice veste di visitatori generali dell'Ordine e della S. Sede al tempo stesso. Si trattava, in sostanza, di ispettori con ampi mandati, che applicavano le direttive ricevute con severità inflessibile e, direi, con una certa compiacenza nel ritenere i religiosi dell'isola come soggetti non pienamente all'altezza, quando non proprio inadeguati.
In breve, dalla lettura delle relazioni che detti commissari trasmettevano alla S. Sede o alla Curia generalizia agostiniana, si ricava sovente l'immagine di una regione trattata come una terra dove c'era solo da correggere, da reprimere o da castigare; raramente emerge qualche attestazione di stima o qualche riconoscimento degli sforzi e della leale fedeltà alla sequela dei consigli evangelici, che pure investiva e riguardava la maggior parte dei religiosi agostiniani. È vero, d'altronde, che c'era in quelle relazioni la tendenza ad evidenziare soprattutto gli aspetti negativi, ma proprio questa linea di comportamento, qui applicata fino in fondo, ci rende edotti di quello che era l'atteggiamento nei confronti dei conventi e dei religiosi sardi.
Non posso, per correttezza, non prendere in considerazione le difficoltà provenienti dalla precarietà degli spostamenti e dei viaggi, con tutti i disagi e i rischi che comportavano e che ben sappiamo, ma è ragionevole ritenere che dal 1500 al 1855, anno in cui la provincia cessa di esistere, non poteva mancare l'occasione di una visita, di un incontro diretto con la realtà della Sardegna da parte del superiore dell'Ordine.
Tuttavia, se i responsabili del governo centrale non furono in grado di attendere appieno ai loro doveri, lo stesso non avveniva da parte dei religiosi agostiniani sardi, che si muovevano invece con una relativa frequenza, partecipavano di solito ai capitoli generali, si rivolgevano per lettera, ma anche di persona al superiore di Roma. Anzi, nel confermare gli atti capitolari della provincia il 25 sett. 1543, il P. Generale, proprio per ovviare a tale inconveniente, si rivolge con questa raccomandazione al superiore provinciale: "nolumus ut fratribus via claudatur ad nos accedendi, si voluerint" [4]. I frati dell'isola si spostavano, come vedremo, per motivi di studio o altro, spesso affrontando spericolate avventure, con il rischio di non arrivare a destinazione o di non ritornare vivi al luogo di partenza. Talvolta, qualche frate dato per disperso era, più semplicemente, incappato nei pirati: "Vicario provinciali Sardiniae fratri Augustino Sarenti: Lator presentium, frater Augustinus de Meano, nobis rettulit quod cum in Italiam ad nos navigaret ex Sardinia, in piratas inciderit, a quibus spoliatus et captivus factus est. Deo volente, ex illorum non multo post catena liber evasit. Tu qui hominem nosti, ex tua enim provincia est, si ita rem habere putes, tamquam innocentem ad Ordinem suscipe et benigne tracta" [5].
L'opzione di fondo per l'osservanza consentì a questi religiosi, durante tutto l'arco del XVI sec., di condurre un'esistenza al riparo dalle bufere che si addensavano sull'Ordine Agostiniano e sulla Chiesa. A proposito delle tesi luterane, ad esempio, davvero non é dato trovarne traccia presso gli agostiniani sardi. Mi è capitato di imbattermi in qualche provvedimento disciplinare per apostasia, ma si tratta di episodi immediatamente rientrati e, a quanto sembra, di poca consistenza, peraltro non chiaramente riconducibili alla riforma protestante. Occorre ricordare che in questo secolo non esistevano in Sardegna centri universitari né studi di pari o simile livello, per cui la circolazione delle idee e la fruizione dei testi, già ostacolata da motivi geografici, era oltremodo limitata. Con difficoltà e in ritardo arrivavano qui le deliberazioni e i decreti del Concilio di Trento, figurarsi se potevano trovar modo di approdarvi idee ancor più lontane. Basti ricordare che, ancora l'11 maggio 1571, troviamo una nota del seguente tenore: "Sardis nostris praecipit Generalis, ut recitent officium juxta ritum breviarii a S. Concilio Tridentino reformati, et Pii V iussu editi" [6]. [pag. 382] Qualche volta l'isolamento poteva rivelarsi utile, ma ho motivo di ritenere che non fu solo per questo se gli agostiniani di Sardegna restarono immuni da tali problemi. Del resto, come abbiamo visto, viaggiavano tra l'Italia e la Spagna, nazioni che non conobbero in modo serio l'infiltrazione del luteranesimo, ma nulla toglie che dei contatti avrebbero potuto esserci. Una conferma del fatto che l'osservanza della vita religiosa era abbastanza radicata presso la maggior parte dei religiosi e dei conventi della provincia di Sardegna, ci viene proprio dal momento in cui i conventi spagnoli vennero incorporati alla provincia d'Aragona.
In quell'occasione venne messo in risalto come queste case fossero già riformate. Ce lo ricorda P. Carlos Alonso: "Todos los conventos de la provincia de Cerdeña se consideraban reformados ... Cuando Felipe II iniciò la obra de la reforma de la provincia agustiniana de la Corona de Aragòn miraba en primer lugar a reformar los conventos de las regiones de Cataluña, Aragon y Valençia que formaban parte de la provincia de la Corona de Aragon, quedando excluidos en los primeros momentos los otros pertenecientes a la provincia de Cerdeña. Pero, de hecho, veremos en seguida como también éstos terminarian por verse afectados en el proceso reformador, no tanto para reformarlos cuanto para anexionarlos a la gran provincia" [7]. Proprio per tale loro specifico carattere, i religiosi agostiniani di questa provincia, agli inizi della loro storia, dovettero affrontare le azioni di contrasto intraprese nei loro confronti dai confratelli dello stesso Ordine, detti "claustrali". Se la presenza dei conventi d'osservanza infastidiva i claustrali, è perché i primi potevano apparire come una sorta di rimprovero vivente per i secondi, è segno cioè che i riformati erano davvero tali e forse più bene accetti alla popolazione. A proposito della fondazione del convento del Soccorso di Valenza da parte del P. Exarch, così scrive il Jordàn: "con todo se les opusieron los Religiosos del Real Convento de N.P.S. Augustin de la misma Ciudad, que entonces eran Claustrales, y pretendieron arrojarles de la dicha Casa, pero el Rey D. Fernando les amparò, y defendiò, mandando à su Governador de Valencia por Carta Real suya, que les amparasse, y defendiesse, manuteniendoles en su possession" [8].
Le cose cambiarono però proprio dopo la separazione dei conventi dell'isola dalla Spagna. Gradualmente si venne affievolendo quel primo proposito, soprattutto a motivo dell'isolamento, della precarietà degli studi, della difficoltà di predisporre case di formazione adeguate, [pag. 383] delle distanze e delle fatiche che dovevano affrontare i superiori per visitare i conventi sparsi tra il nord e il sud dell'isola. Talvolta i passi dell'interno venivano chiusi per epidemie o per altri motivi di ordine pubblico e il provinciale e i religiosi non sapevano come comunicare tra loro, persino quindi all'interno dello stesso territorio sardo. A tutto ciò si aggiunga una situazione economica costantemente precaria per mala amministrazione, ma anche per motivi endemici, e il quadro è completo. A conclusione di questo argomento vorrei aggiungere come l'opzione iniziale di essere provincia di osservanza abbia condizionato, almeno in parte, la scelta dei luoghi dove erigere chiese e conventi.
Fatta eccezione per il convento di S. Leonardo di Cagliari e, in un secondo momento, per quello di Pozzomaggiore, tutti gli altri vennero edificati fuori degli abitati, erano quasi tutti conventi "extra moenia". Tra l'altro, occorre precisare che per S. Leonardo di Cagliari e per Pozzomaggiore si trattò di scelte obbligate da altri fattori, perché anche in quei casi i frati avevano scelto in un primo tempo luoghi distanti dai rispettivi centri. Questa preferenza si spiega proprio con la primitiva esigenza di voler porre di più l'accento sulla dimensione contemplativa ed ascetica, sulla preghiera, la predicazione etc., sui motivi cari, insomma, alle congregazioni di osservanza. Ho tuttavia l'impressione che questa scelta con il tempo si sia rivelata poco felice per diversi motivi, ma soprattutto perché, dalla seconda metà del XVIII sec. in poi, contribuì ad alimentare la convinzione della marginalità, quando non proprio dell'inutilità della presenza dei religiosi agostiniani presso l'opinione pubblica.
Note
(1) - D. GUTIÉRREZ, Storia dell'Ordine ..., vol. I/2, cit., p. 133.
(2) - Aegidii VITERBIENSIS, OSA, Registrum Generalatus II, cit., doc. 500 (18 lug. 1516).
(3) - V. Hieronymi SERIPANDO, OSA, Registrum Generaiatus II, cit., p. 134.
(4) - Hieronymi SERIPANDO, OSA, Registrum Generalatus III, cit., p. 221.
(5) - Hieronymi SERIPANDO, OSA, Registrum Generalatus VI, cit., p. 52.
(6) - Biblioteca Angelica Roma, ms. 148, cit., c. 55v.
(7) - C. ALONSO, La Reforma Tridentina..., cit. , p. 61.
(8) - J. JORDAN, cit., p. 3.