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San Nicola da Tolentino
I BRETTINESI
di Kasper Kelm
Le origini e la prima diffusione
I Brettinesi derivano il loro nome da una regione o da un collina chiamata Brettino, a circa 15 Km. nord-ovest di Fano, nella valle del torrente Arzilla (Alcuni studi di certo valore sono A. C. BILLI, Brettino e Simone Cantarini. Cenni storico - artistici, Fano 1866; E. ELIA, Memorie agostiniane in Ascoli Piceno, BSA 7 (1930), pp. 104-106: A. PELLEGRINI, Gli agostiniani a Fano 1163-1925. Spunti antichi e recenti di storia agostiniana, Fano 1926, pp. 39-71; La Provincia Agostiniana Picena, Tolentino 1933; P. M. AMIANI, Storia della città di Fano, 2 vol., Fano 1750; L. ZACCONI, Cronica dell'Ordine, Pesaro 1626, ed in alcuni manoscritti di questi due autori agostiniani conservati rispettivamente nelle Biblioteche Comunali di Fano e di Pesaro.
Il più profondo studio è stato scritto dal padre F. Roth: Cardinal Richard Annibaldi, first protector of the Augustinian Order, Aug. 2 (1952), pp. 132-137; 3 (1953), pp. 308-313, con un'ampia bibliografia. Tutte queste pubblicazioni si fondano per la maggioranza su dati e fatti raccolti da L. TORELLI, Secoli Agostiniani, ovvero historia generale del sagro Ordine Eremitano del Gran Dottore di S. Chiesa S. Aurelio Agostino, vescovo d'Hippona, vol. IV, Bologna 1675 e L. ORSACCHI da Empoli, Bullarium Ordinis Eremitarum S. Angustini, Roma 1628). I documenti ora a disposizione non danno con certezza il nome del fondatore né la data precisa di formazione. Sembra che l'inizio sia stato un'iniziativa laicale, che si determinò fra il 1200 e il 1215.
Fra i primi membri vengono nominati certi Domenico ed Andrea, ambedue da Fano (Secondo le note marginali nel "ristretto di diverse bolle" nel primo volume della raccolta di G. L. BERTI per preparare un nuovo Bullarium OESA nel secolo XVIII, conservato nell'Archivio Generale dell'Ordine di S. Agostino, Roma, via S. Uffizio 25, sotto l'anno 1231, [cfr. Aug. 8 (1958), 418, nota 12, in cui questa raccolta è stata attribuita al padre Diego Salinas, che però fu soltanto uno dei collaboratori del padre Gianlorenzo Berti: per questo si veda il nostro articolo: Gianlorenzo Berti, agostiniano (1696-1766), in "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 14 (1960), pp. 403-404].). Quest'ultimo fu il priore generale della congregazione nel 1240 e c'è un'indicazione che sucesse al nominato Domenico. Vivevano in un eremo al quale fu annessa una chiesola dedicata a S. Biagio; e l'eremitaggio, ossia romitorio, venne chiamato S. Biagio in Selva. La regione è una zona agricola; e se i primi frati furono veramente laici, come le fonti suggeriscono, è possibile che si siano applicati all'agricoltura per provvedere al loro mantenimento (Cfr. L. GOUGAUD, Eremites et reclus. Etudes sur d'anciennes formes de vie religieuse, Ligugé 1928, pp. 3-11).
Con certezza stavano sotto la direzione spirituale del prete che offriva la chiesetta. Questi si unì presto con loro e il gruppetto venne rafforzato con altre persone, provenienti da Fano. Un'altra tradizione indica che alcuni abitanti di Fano si unirono con il prete eremita di S. Biagio in Selva come conversi, per motivi religiosi e a causa della santità del prete. Intorno a lui si formò una confraternita, che divenne la base di una congregazione ossia dell'ordine detto degli "Eremiti di Brettino". I Brettinesi portavano il vestito eremitico, cioè la tunica grigia con scapolare e cappuccio di lana naturale, non tinta, calzatura semplice, un bastone con scodella e una cintura con coltello non acuto (Da nessun documento risulta che i Brettinesi si lasciassero crescere la barba come gli eremiti antichi; non vogliamo però escluderlo. Quanto essi siano in relazione con il movimento contemporaneo dei Penitenti, non abbiamo potuto verificarlo. Questa relazione però esiste come illustrano le regole e gli statuti dei Penitenti: G. C. MEERSSEMAN, Dossier de l'Ordre de la Pénitence, au XXIIIe siècle, Fribourg 1961, pp. 88-159, 290-307).
Il loro tenore di vita si distingue per una stretta povertà e una ascesi abbastanza austera realizzata, secondo le usanze contemporanee, da incomodità corporali: per esempio ritirarsi in celle sotterranee, troppo basse per stare ritti, troppo strette per distendersi. I frati si sottomisero anche regolarmente alla "minutio" (flebotomia) in quel tempo applicata per diversi scopi. L'ideale degli eremiti brettinesi attirava sia laici sia preti e monaci i quali si unirono alla loro istituzione. I superiori chiesero l'approvazione ecclesiastica, prima quella diocesana, e poi ottennero il privilegio della protezione apostolica nel 1227 (Sacrosanta Romana Ecclesia del 26 novembre 1227, L. 11). Questo privilegio venne concesso con il consiglio di accettare una regola approvata secondo i decreti conciliari del 1215, perché il papa non volle approvare le loro consuetudini nella forma presentata. Si scelse poi la Regola di S. Agostino: Ante, omnia fratres carissimi. La curia papale approvò questa scelta nel 1228 e nello stesso breve assolse i membri della congregatione dall'osservanza delle consuetudini prima praticate (Cum olim sicut, dell'8 dicembre 1228, L. 13). Accanto a detta regola avevano anche particolari costituzioni, che ci sembrano derivate da quelle della Congregazione Portuense (di Porto, presso Ravenna) o dalla cosiddetta Regola di Gregorio VII (I punti salienti e la comparazione con le consuetudini brettinesi sono stati notati nell'appendice I: La Regula Clericorum petri de Honestis e le Consuetudini brettinesi, pp. 87-8. Nell'appendice II, pp.89-91, si trova la Regula Canonicorum dicta Gregorii VII Papae.).
I punti salienti e particolari vennero approvati nel breve pontificio Quae omnium Conditoris del 13 marzo 1235 (L.19. Riguardo alla "minutio", vedere L. GOUGAUD, La pratique de la phlébotomie dans les cloitres, in "Revue Mabillon" 1924, p.113). In modo speciale erano approvati il mangiare sempre in comune e l'osservanza d'una lunghissima quaresima, cioè dalla festa dell'Esaltazione della S. Croce (14 settembre) fino a Pasqua. Nel periodo da Pasqua al 14 settembre si osservava il digiuno, secondo i giorni stabiliti dalla chiesa, ogni mercoledì e venerdì della settimana.
La predilezione per la povertà, che si mostrava nella semplicità del vestito e nella negazione di ogni forma di latifondi, venne ugualmente corroborata, come anche il modo di governare l'Ordine. Ogni anno si celebrava un "capitolo generale", nel quale sotto la direzione del priore generale, nominato a vita, erano eletti per un anno il suo consiglio, consultivo e correttivo, cioè i definitori e i visitatori. In genere i Brettinesi accettavano la cura di chiese rurali, oppure canonici rurali si affiliavano al nuovo istituto. Le chiese acquisite si trovavano talvolta in una situazione deplorevole. Vicino ad Amelia, per esempio, sul Monte Suppiano i Bretinesi accettarono una villa con una chiesa dedicata a S. Benedetto, appartenente alla famiglia di Galgano Carli. La sua coscienza era inquieta perché egli ed i suoi compossessori, cioè i capi di otto-tredici famiglie che vivevano sul podere, non avevano prestato le dovute attenzioni a questa chiesuola, anzi se ne servivano al presente come stalla per il bestiame, che sporcava con sterco l'altare ancora eretto.
In penitenza per i suoi peccati e di quelli dei suoi genitori Galgano donò la chiesa e la villa in possesso di fra Pace e dei suoi soci di Gubbio (Il testo della donazione in AA. 7 (1917), pp. 236-240). Insieme con la chiesa e a titolo di mantenimento i frati ricevettero a simili condizioni altri legati di terreni in quanto necessari per il nutrimento. Il signor Giacomilli e un gonfaloniere di Gubbio diedero ai Brettinesi vigne con boschi, prati, case, granai e molini, in tutto una tenuta di 74 1/6 tabulae cioè di circa tre ettari, lungo il torrente Cavarelli. I frati accettarono la donazione, ma presero in possesso ciò che loro serviva ed il resto vendettero successivamente per 89 1/2 lire d'oro anconetane (L'atto notarile del legato in AA. 16 (1937), pp. 41-54. Ventiquattro tabulae sono una "pertica", ossia un ettaro. La libra anconetana aveva il peso di 280 grammi). Fino al 1240 la congregazione si diffuse negli immediati dintorni di Pesaro, accettando beni in Valmanente; e nel periodo 1238-1245 penetrò in Cignano, Gubbio, Narni e Amelia. Poi, dal 1245 al 1253, si nota una rapida espansione in tre direzioni: verso nord fino a Bologna e Venezia (I luoghi sono: Pesaro, Rimini, San Vito, Cesena, Faenza, Forlì, Imola, Valle di Pietra (Bologna) e probabilmente Venezia. Alcune notizie circa questi conventi derivano da F. ROTH, op. cit., nota 1), nelle parti meridionali oltre Ascoli in Piceno (cioè: Numana, Osimo, Jesi, Polverigi, Cingoli, Macerata, Fermo e le fondazioni in questa diocesi: Montolmo, Montemelone, Montegranaro, Montecosero, Monterubbiano, Sant'Elpidio, San Genesio, Sant'Angelo in Pontano, Civita Nova, Cisterna, Montecchio, Offida, Ascoli e Montesanto) e nell'Italia Centrale fino a Terni e Orvieto (cioè: Montalto, Fabriano, San Severino, Camerino, Bevagna, Orvieto, San Concordio-Spoleto e Terni.
Tutti questi conventi sono elentcati nell'articolo del padre Roth, Aug. 3 (1953), pp. 308-313; li abbiamo verificati coll'aiuto della bolla pontificia Quoniam ut ait. Cfr. L. 61-67, 82 e 83, di cui esiste anche un elenco dei destinatari, del 1310, Tom. IV, pp. 406-409; X. SCHIER nel codice 1390 (della biblioteca Angelica a Roma), I. 14v; AA. 4 (1911), 421; 16 (1937), 42-58 e un testo del 1266, Biblioteca Federiciana a Fano, Fondo Amiani, cod. 7, fasc. 10. Il padre Roth segue l'opinione del p. Torelli che difese la precedenza delle fondazioni Brettinesi su quelle francescane ossia minori. Infatti cadono nello stesso tempo e spesso i conventi francescani hanno la priorità; cfr. P. 10856, 11888, 11905, 12043, 12056, 12196, 12468, 12472, 12533, 12557, 12576, 12577, 12581, 14426 e 14427, e l'Appendice V, p. 96. Non crediamo che i Brettinesi avessero una fondazione a Multignano (presso Teramo); questa località fu invece la residenza del prete-canonico Giovanni prima che diventasse Brettinese: nel documento si legge: Joannis olim de Mutignano. Neanche si può localizzare S. Maria in Sajano a Valmanente o Pontano; S. Maria fu una abbazia cistercense, mai unita con i Brettinesi). In trenta anni la fondazione si sviluppò in un Ordine di 43 eremi, dei quali la maggioranza, come quello di Montesanto, di cui abbiamo la più antica descrizione, giaceva nel centro di un vico o di un borgo, oppure presso una villa.
Il 20 settembre 1250 i frati Benigno e Rainaldo ricevettero dal vescovo eletto di Fermo, Gerardo, la berretta come segno di investitura della chiesa di S. Maria di Montesanto con tutti i possessi e i debiti annessi. Accettarono tutto nella condizione in cui sul momento si trovava, ed avevano il diritto di fare con il nuovo acquisto intus in ipso castro (Solet annuere del 20 settembre 1250, L. 81) quello che volevano secondo il proprio giudizio. Nella stessa maniera ricevettero anche altre chiese e cenobi. Normalmente non incontrarono difficoltà. L'affiliazione del monastero benedettino di S. Maria Maddalena in Valle di Pietra, vicino a Bologna, costituì un'eccezione per le contrarietà che ne derivarono. Il vescovo diocesano si oppose sotto il pretesto che i benedettini non avrebbero potuto accettare una regola meno severa della loro. Dopo un processo ecclesiastico che durò dal 1247 al 1253 la curia papale decise in favore dei Brettinesi, e di conseguenza il vescovo non si oppose più all'unione (Cfr. i brevi pontifici Insinuarunt Nobis del 17 giugno 1247, L.60; Dilecti filii prior del 7 dicembre 1249, L. 73 e Oblata Nobis, del 2 dicembre 1253, L. 108). Anche i frati minori, che contesero agli eremiti di Brettino il possesso della chiesa di S. Maria di Monte Gaufro, dovettero cessare l'opposizione nel 1252 (Secondo il breve in causa quae del 9 aprile 1252, L. 92. Cfr. Appendice V, VI, pp. 96, 97). Dopo il 1240 l'Ordine Brettinese certamente non aveva più un carattere laicale.
Si era sviluppato un ordine clericale, come indica il permesso concesso nel 1243, ai preti brettinesi di confessare e predicare con l'approvazione del rettore, ossia del parroco locale (Vota devotorum del 24 settembre 1242, L. 27. Per avere una visione dello sviluppo sia nell'organizzazione che nell'attività mista dell'ordine brettinese, si veda l'Appendice III: per l'atteggiamento papale e curiale a riguardo degli eremiti della Toscana, di Brettino e di Giambono, cfr. pp. 92-93). La rapida diffusione e il cambiamento di carattere si debbono al fatto della "sublimatio", che si realizzava nei circoli canonicali, ed all'accentuazione dell'impegno della cura delle anime in tutta la Chiesa. Un cambiamento e una riforma che toccavano anche le più remote canoniche rurali e facevano appello alla coscienza religiosa dei fedeli.