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MEMORIE ISTORICHE DELLA CONGREGATIONE OSSERVANTE DI LOMBARDIA

Padre Donato Calvi

Donato Calvi

 

 

BEATO GIOVANNI ROCCO DI PAVIA

Primo Fondatore della Congregatione et origine della medesima

 

 

 

[Pag. 1] Nella Regia città di Pavia, dalla nobile famiglia Porcii, che dall'antica Porcia de' Romani era tradotta, trasse Giovanni Rocco primo Fondatore di quell'Agostiniana osservanza, ch'or vien detta di Lombardia, i degni natali. Martino fu il Padre,

[Pag. 2] Eleonora la Madre, che dando questo figlio l'anno 1389 alla luce, ben si può dire dassero al Mondo un Sole, che dovea co'raggi de santi costumi, et splendore de meriti, il Cielo tutto della Religione Agostiniana illustrare. Con sentimenti totalmente contrarij a quelli de gli altri fanciulli, et giovanetti passò Giovanni Rocco gl'anni più teneri della puerile età, in lui raffigurandosi certi barlumi, et riflessi di Santità spiccare, che a giudiciosi servivano di certissimi presagi, per pronosticare la futura eminenza de suoi meriti. Invaghito della religione vestì l'Habito Agostiniano nella sua Patria l'anno del Signore 1408 di sua età deciotto, ove di giorno in giorno il passo non meno nella via della perfetione, che nel profitto de studij avanzando, divenne in breve per l'uno, et per l'altro così segnalato, che se da sapienti era qual arca di sapere, et scrigno d'intelligenza ammirato, anco da timorati, et Servi di Dio qual specchio di santità, et osservanza riverito veniva.

Cercava egli deprimer il fasto, che seco porta il sapere, con humiltà de suoi religiosi pensieri; mentre per l'opposto l'humiltà de suoi religiosi pensieri era quella, che alla sublimità del sapere lo sollevava. Non era in lui qualità, fosse del corpo, o dell'anima, esterna, o interna, che non conspirasse alla formatione d'un misto, che fosse in sommo grado perfetto, et se lo conobbe la civil conservatione, non tano bellissimo d'aspetto, ma ne tratti manieroso, ne discorsi affabile, nella famigliarità giocondo, nelle compagnie allegro, d'animo libero, ingenuo, sincero, delle fintioni, et bugie capital nemico; pur la Santità nel libro de continenti, mansueti, charitativi, obbedienti, et mortificati lo descrisse; indi da compagni in risguardo delle primiere doti addimandato la Perla, la Margharita; et per ordine alle seconde, scherzando sul vero, intitolato un S. Bernardo. Saccheggiò delle scienze si fattamente i gabinetti, che ne fabricò a se medesimo dovitiosissimo tesoro. Nell'humane lettere, rettorica, oratoria, et poetica di tal grido; et eccellenza divenuto che chi orare, o predicare l'udiva, in lui tracopiate confessava tutte l'arti del ben dire, tutti i modi del ben portare. Nelle filosofiche, et astronomiche facoltadi a tal sublimità, et altezza sollevato, che gl'occulti arcani delle cause erano alla sua pervestigatione palesi;

[Pag. 3] et sembrava stassero sopra lui aperti i Cieli, tanto chiaramente ogni lor più occulta qualità manifestava. Nelle divine, et sovrahumane dottrine con volo angelico sorpassar pareva i confini della natura, creduto perciò uno dei più dotti Scritturisti, eminenti Teologici, et egregi Predicatori fiorissero a suoi tempi nel giardino della Chiesa. Fin con l'arti mecaniche andava strali fabricando per l'otio saettare, onde quell'hore che da studij maggiori, et suoi spirituali essercitij gl'avanzavano, in tagliare, et cucir panni di lana, et lino, rader membrane, et pergamene, rigarle, notarle, segnarle, trasciver libri, tracopiar canti fermi, adropar lime, maltelli, e tenaglie consumava, onde con tali forme da se tenendo l'Accidia lontana, sempre e più la sicurezza dell'anima negotiava. Godeva interamente, et giubilava il buon Giovanni Rocco in vedersi da quell'habito sagro e circondato, che già fu da P. S. Agostino, S. Nicola di Tolentino, S. Guilelmo, S. Giovanni Bono, et altri Eroi del Paradiso santificato, ma però tacitamente s'accorava, in mirare tanti e tanti de suoi fratelli, non corrispondevano i costumi alla Santità dell'habito, scaduto l'ordine da quell'antica osservanza, che reso già l'haveva a tutto l'universo segnalato.

Quindi meditava di continuo la mutatione della Religione, o ne desiderava la riforma; ma opponendosi al primo quel sagro detto: Nemo mittens manum suam ad aratrum , et respiciens retro aptus est Regno Dei, tutto nel secondo pensiero s'ingolfava, bramando veder a suoi giorni la redentione d'Israele, col rinovarsi nell'ordine qell'osservanza, che é il cuore, et l'anima di tutte le Religioni. Fu intanto l'anno 1419 dal P. Generale Agostino di Roma con carica, et titolo di Lettore a Padova inviato, ove se con le lettere, et scienze chiamò a se gl'encomij di quella celebre Università, con la bontà, et santità della vita, obligò ogni cuore a stimarlo, et riverirlo. Qui alla sua notitia pervenne, ch'un suo Zio già favorito Corteggiano di Galeazzo primo Duca di Milano, del mondo ritiratosi, ne confini del Trevigiano eremitica, et solitaria vita guidava. Come pur al buon vecchio fu riferito, esser il Nipote suo frate Agostiniano in Padova, che con l'eccellenza de suoi sublimi talenti spettacolo era divenuto della maraviglia. Ambi perciò desideravano vedersi,

[Pag. 4] ma come il più giovine s'aspettasse portarsi alla visita dell'altro, così Giovanni Rocco d'età più verde, et robusta nel Trevigiano alla traccia dell'amato Zio si condusse. Ne a lui riuscì difficile il ritrovarlo, quando che la bontà del divoto solitario d'ogn'intorno diffondendosi, servì questa di scorta al nostro viaggiante, che lo guidò alla ritirata cella del buon Eremita, ove l'un l'altro riconoscendosi il Zio il Nipote, et il Nipote il Zio, pria della lingua corsero alle congratulationi le lagrime, et gl'amplessi, finchè cessati quei primi bollori dell'intenerito cuore, s'udirno dalle bocche loro i più cari, ma religiosi complimenti uscire, che formar sapessero due lingue nelle scuole non meno della carità, che del sangue addottrinate. Postisi indi a sedere, d'altro non furno i discorsi loro, che della vanità del Mondo, del disprezzo della terra, della bellezza del Cielo, e della Gloria di Dio.

Protestava il buon Vecchio haver nelle solitudini quelle fortune, et felicità ritrovato, ch'in vano nella Crote del Duca di Milano per tanti, e tanti anni con detrimento dell'anima haveva ricercato. Indi il giovine Nipote di si beata vita invaghito, di già abbandonar il comercio delle Cittadi, per farsi fra quei boschi Cittadino del Cielo, haveva disposto, quando il Zio del santo pensiero ritirar lo volle, annontiandoli con profetico spirito, che Dio a cose maggiori lo riserbava, et che la Religione Agostiniana stata sarebbe col suo mezzo oltremodo illustrata in essa quell'osservanza introducendo, a cui con ale d'Aquila il suo pensiero volava. Dopo questi, et simili discorsi congedadosi dall'amato Zio il Nipote, lo volle il buon Anacoreta per qualche tratto di via, al suo bastoncello appoggiato accompagnare, sugellando l'ultima partenza con queste parole: Vade fili, Vade, securus ad regiones tuas, nam tibi praedico, quod Augustiniensis Religio sub moribus regularibus in Provincia tua, et sub observantium regula, et disciplina per te reformabitur; et de Congregatione, quam statues, crescente filiorum tuorum numero uberrimos fructus reportabis. Così fra replicati baci, et fonti di lagrime questi due servi di Dio si disgionsero, tornato Giovanni Rocco in Padova, et il solitario alla Capanna sua, ove fra puochi giorni rese l'anima al Dio che la creò. Non dimorò longo tempo Giovanni Rocco dopo questo in Padova,

[Pag. 5] che fatto Maestro alla regenza, et indi alla Prioranza della Patria si vidde richiamato; ove con si egregi, et santi diportamenti rese quegl'officij venerabili, che meritò ne maggiori impieghi della Religione esser frequentemente adoprato. Così lo troveremo Presidente più volte de Capitoli Provinciali, gl'anni cioè 1423, 1424, et 1426. Lo vedremo con altri di religiosa vita alla riforma del suo Monastero di Pavia deputato (benche poscia l'osservanza introdotta per la soverchia rilassatione d'alcuni durar non potesse). L'iscorgeremo dal P. Gerardo di Rimini all'hora Vice Generale gl'anni del Signore 1432 et 1433 con plenaria auttorità alla moderatione del Convento di Padova con titolo di Governatore, poscia di Vicario Generale incaminato, per tacere d'altri in tal genere religiosi essercitij, che tutti con singolar prudenza, zelo, et santità maneggiò; vallevole al tutto, quando di bene si trattava, ad ogni cosa insufficiente, quando di male si ragionava. Non ostanti però tali, et tanti honori della Religione riportati, giva di continuo la tanta sospirata osservanza meditando, benissimo sapendo, che mentre gl'osservanti havuto havessero con gl'inosservanti nel medesimo Monastero commune l'habitatione, chiusa restava ad ogni riforma de costumi la via, che ricerca per la sua conservatione una particolar uniformità d'operationi virtuose, qual ne Conventi misti, non é possibile ritrovarsi. Asceso all'assoluto Generalato Gerardo di Rimini l'anno 1434 scielse Giovanni Rocco in suo Compagno, et Assistente per la visita de Monasteri; con la qual occasione hebbe l'agio d'ammirare, et invidiar insieme nel Convento di S. Giovanni di Carbonara di Napoli, felicemente puochi anni prima introdotta, et conservata la regolar osservanza per si rare conditioni di santità, et essemplarità conspicua, che l'acceso cuore di Giovanni Rocco cominciò nel desiderio d'unirsi a quel santo instituto a bollire di modo, che pareva gl'uscisse dal seno. No tacque perciò le brame sue al Beato Christiano di Villafranca Piemontese, detto communemente Christiano Franco Priore del Monastero, et di quell'osservanza se non institutore almeno propagatore, ma lo trovò a suoi ardenti desiri totalmente contrario, qual hor prevedendo

[Pag. 6] quel gran servo di Dio la novella riforma, doveva Giovanni Rocco nella Lombardia piantare, con profetiche forme, nella guisa a punto fatto haveva il Zio solitario, gl'aprì del Cielo i segreti, notificandoli la fondatione dela futura sua Congregatione di Lombardia, et ribattendo con queste parole le sue ferventi instanze. NON, NON, MI Pater nequaquam apud nos Deus te manerevult, sed a Provincia tua vocaris, quam institutis regularibus reformaturus es. Somigliante predittione fece Giovanni Rocco una divota femina, di cui fama era fosse di spirito Divino ripiena nella Città di Rimini; ma come queste voci altro fondamento certo non havessero, che quella della Divina volontà, così a questa il buon servo di Dio in tutto, et per tutto procurava conformarsi, sicuro non sarebbe venuto meno ciò che a caratteri eterni era scritto ne gl'infrangibili diamanti dell'empireo. Finita la visita di novo al suo Monastero di Pavia Giovani Rocco si ridusse, benignamente da quei Padri acolto, che seco havendo questo servo di Dio dir ben potevano haver con essi un Angelo tutelare alla custodia loro destinato. Qual fosse la sua vita in questo tempo sia più facile al pensiero il meditarlo, che alla penna il descriverlo.

La sua humiltà era senza pari, la sua obbedienza senza oppositione, la sua prudenza di Cherubino, la sua charità di Serafino. Con orationi, digiuni, vigilie, et cilicij il corpo macerava. Sopra la paglia, da semplice schiavina coperto, dormiva; alle discipline, et flagelli dava licenza di cacciarli dalle vene il sangue; due giorni almeno per settimana, et molte volte tre non ostanti l'incessanti fatiche sue de governi, lettioni, et predicationi, in pane, et acqua digiunava. L'udirno da pergami le prime Città della Lombardia, quindi il nome riportandone d'apostolico non meno, che eminentissimo Predicatore, a segno che le genti dal suono rapite delle celesti sue armonie, correvano in si gran numero per renndersi nell'udirlo felici, che incapaci di tanti fedeli le chiese, era il buon Padre astretto nelle publiche piazze predicare; et disoccupato da prenominati essercitij, veduto l'havresti trascriver libri per venderli, et darne a poverelli il prezzo; senza però mai, per qualsivoglia accidente la corda lentare

[Pag. 7] di quel desiderio, che prefiggeva in sua meta la tanto sospirata osservanza. Ma vediamo come Dio lo favorisse. Pervenne all'udito di Giovanni Rocco, che l'Abbate di Cereto procurava ad ogni suo potere certi beni occupare, che già fin dall'anno 1422, 15 Ottobre, dal nobil giovine Giovanni Tomaso Vimercati di Crema erano stati all'ordine Eremitano di S. Agostino legati, con questa conditione, che nel Castello di Crema fosse un Monastero edificato della medesima Religione. E vero, che da principio procurò l'ordine con il mezzo di Maestro Martino di Caravaggio, che de predetti beni hebbe l'amministratione, detto Convento in Crema fabricare, ma le oppositioni fatteli da PP. Domenicani, (come che il luogo, ove l'edificio si dissegnava non fosse quaranta canne dal Monastero loro discosto) trascuraggine, et negligenza tale in Maestro Martino cagionò, che quell'heredità, qual fiera da più cani assalita, era in cento parti dissipata e distratta, ne vera pur apparenza, che più all'essecutione del Legato Vimercati si pensasse, fabricando in Crema il destinato Monastero. Quindi l'Abbate predetto, vedendo molti anni, da che fu fatto il legato esser trascorsi, senza che la Religione cosa veruna oprasse, con l'occasione, che si trovò al Concilio di Basilea, porse a quel sagro Senato una supplica, acciò l'heredità per la fabrica del Convento di S. Agostino dal Vimercati legata, fosse in suffragio, et soccorso de poveri studenti dell'Università di Pavia convertita, et ne conseguì a misura della petitione favorevole del rescritto. Ma mentre la speditione delle Bolle per quest'affare s'attendeva, dalla divina providenza forsi per maggior gloria dell'eterna maestà differita, eccone a Giovanni Rocco portato l'aviso.

Non fu tardo il beato Padre a staccarsi dalla Patria, ma precipitati gl'indugi, corse a Milano, ove Maestro Martino, soggiornava. Gl'espose l'imminente periglio di perder l'heredità Vimercati, la vergogna dell'habito in lasciarsi per pura infingardagine tal legato rapire; l'obligo della coscienza di conservar alla Religione ciò era alla Religione dovuto; il proprio vituperio, che di tanti anni mai saputo havesse la pia mente di Giovanni Tomaso adempire; lo scapito, et discredito di tutto l'ordine, a cui si sarebbe ogn'altro guardato di legar un minimo suffragio,

[Pag. 8] mentre de pingui legati si puoco conto faceva; disse tanto in somma, parlò tanto, essagerò tanto, pianse tanto, che vinto Martino stabilì portarsi con Giovanni Rocco immediatamente a Crema, et quivi all'erettione del Monastero metter la mano, et la Religione dell'heredità Vimercati rassicurare. Così il santo proponimento fermato andorno, et comperate alcune picciole case, ne formorono oratorio con altare per la celebratione delle Messe, indi alcuni Frati da vicini Conventi radunati, un ombra vi stabilirono di Monastero l'anno 1436, caduto in tal guisa dall'ottenuto Ius l'Abbate di Cereto che solo con la conditione, mentre non havesse la Religione il monastero principiato, haveva conseguita la gratia. Lasciata Crema, et tornati Martino, et Giovanni Rocco, quegli a Milano, et questi a Pavia, predicò il nostro Beato Padre l'anno susseguente 1437 nella Città di Mantova, ove alla veduta di quel sagratissimo sangue di Christo, chin detta Città s'adora tocco da ardentissimo desiderio di vedere, visitare, et venerare i Santi luoghi di Gierusalemme, ne scrisse subito per la licenza al P. Generale, et ottenutala, si pose senza dimora in quel longo, et difficile camino, per agevolarsi la via al camino del Paradiso. Andò Giovanni Rocco con ogni felicità, ma al termine sospirato pervenuto, più furno le lagrime da suoi occhi cadenti, che i passi da suoi piedi formati, mentre il piede incontrando ad ogni passo oggetti di dolore, dava alle pupille licenza di liquefarsi in pianto, per render la pariglia in qualche parte a quel Dio, che s'era in onda di sangue liquefatto. Scorreva da Sion al Calvario, da Betelemme ad Emmaus per riverir i luoghi della sua redentione, et trovateli non vedeva mezzi per redimersi da quell'obligatione, che lo teneva al suo Signore indissolubilmente avvinto. Così per qualche tempo fermatosi alla consideratione de divini beneficij, finalmente con prospero vento ribattè della Patria il camino, ricevuto da suoi qual Angelo di pace, venuto per apportar al nativo albergo le smarrite consolationi. L'anno vegnente 1438 predicò in Milano, con la qual congiontura hebbe d'esporre a Maestro Martino gl'incendij del suo cuore opportuno commodo, scoprendoli quella divampante fiamma, che nel desiderio dell'osservanza di continuo lo consummava.

[Pag. 9] A queste voci quasi sooridendo Martino il luogo gl'essibì, et Convento cominciato di Crema; ma stimando Giovanni Rocco fossero queste essibitioni scherzi d'animo amico, più tosto che espressioni di veridico cuore, n'andava schermendo i colpi; ma questi da Martino reiterati, col manifestare a Giovanni Rocco la sincerità dell'offerta, et ferma protesta di farli del luogo con il consenso del P. Generale libera, et assoluta cessione, non seppe più Giovanni Rocco rifiutar quello che avidamente bramava, onde lieto e contento pria con l'assenso al ricevimento della gratia, indi con le braccia a stringersi al seno l'amico Martino concorso, andar si vidde a nuoto in un mare di giubilo, rendendone per tal favore gratie alla D. M. infinite, che compiaciuta si fosse le sue preghiere udire, onde potesse la sospirata osservanza abbracciare.

Con rogito d'Agostino Suganappi l'anno seguente 1439, 10 Febbraio, ne fu l'Instromento formato, et conseguitane dal Duca di Milano la confermatione, et successivamente dal P. Generale Gerardo l'assoluta, et piena facoltà con che constituiva Giovanni Rocco Vicario suo Generale nell'osservanza di Lombardia, questi senza dimora a Crema trasferitosi, al gettar le fondamenta della Congregatione sua pose la mano, che poi in arbore eminentissimo cresciuta et dilatata, hor nella vigna di S. Chiesa, fra l'altre mistiche piante, gloriosamente pompeggia. Da principio, che l'heredità Vimercati alla Religione Agostiniana pervenne sorsero fierissimi contrasti, pretendendo da una parte i parenti, et congionti del defonto, non fosse l'ordine Eremitano di questi beni capace, et in consequenza, quasi Giovanni Tomaso fosse morto ab intestato, ad essi l'heredità Vimercati aspettarsi, et ne mossero rabbiosa lite. Dall'altra il Duca di Milano Filippo Maria inteso, ch'il Padre di Giovanni Tomaso stato fosse al Ducal dominio rubelle, dichiarò suoi beni tutti al Fisco devoluti, et a Oldrado Lampugnano uno de suoi più cari , et favoriti corteggiani ne fece libero dono. Scossa da tante pressure la Religione, per rimediar a questo secondo nel Capitolo Provinciale di Lodi l'anno 1432 10 Maggio celebrato

[Pag. 10] elesse due Padri Maestro Martino di Caravaggio, et Maestro Giacomo da Pomario, con titolo di Sindici, et Procuratori, perché con suppliche a piedi di Filippo Maria condottisi procurassero la Ducal mente mutare, onde con l'essuberanza della sua benignità, la già fatta donatione al Lampugnani revocar si compiacesse, et rilasciar a Dio, ciò che a Dio era stato consagrato. Condescese il pio Prencipe, che tutto era alla Religione inchinato, all'humiltà di si riverente instanze, et per Instromento da Donato Herba l'anno 1424, ultimo Marzo rogato, con generosa et prodiga mano, revocata la Lampugnana donatione, in altre forme poi compensata, ripose l'ordine nostro nel possesso primiero, et all'attual consecutione de legati beni lo fece restituire. Restava la molestia de parenti, che non contenti per viam iuris procedere, con ingiurie, calunnie, et affronti la religione infestavano, onde fu la controversia a piedi del Sommo Pontefice Martino Quinto portata, che finalmente dichiarò l'ordine di S. Agostino della detta heredità Vimercati capace, et al Vescovo di Piacenza Alessio da Siregno la promulgatione ne commise, che poi seguì sotto li 10 Maggio 1426. Così mortificati, ma non sodisfatti i parenti dell'estinto Giovanni Tomaso nascosta nodrivano nel seno la piaga del livore, et mentre addormentata la Religione, niuna cosa in essecutione del Legato Vimercati tentava, pur essi al depredar ciò, che potevano di quei beni senza scoprir altra premura attendevano, ma quando l'anno 1436 applicato viddero l'Ordine all'erettione del nuovo Oratorio, et casa; et molto più all'arrivo di Giovanni Rocco, che l'anno 1439 gettò non solo del Monastero, ma dell'osservanza sua le fondamenta, cominciò di modo la celata piaga a putrire, essalando d'ingiurie, villipendij et strapazzi aliti stomacosi, che per quanti lenitivi fabricar procurasse il buon servo di Dio, mai fatto li venne poter l'infistolita ferita curare, che sempre più verminosa solo puzze, et fetori tramandava. Era chiamata la Congregatione sua da quei puoco amorevoli, non unione di Religiosi, ma sinagoga di seduttori, non raccolta di servi di Dio,

[Pag. 11] ma setta di fattionarij, onde con risi, et cachinni ogni lor operatione deridevano, et in spetie del Beato nostro Padre, detto il capo de masnadieri, il collonello de ladri, l'auttore delle liti chinando egli qual mansueto agnellino a simili ingiurie il capo, et con portentosa toleranza ogni strapazzo, et vilipendio per amor del suo Creatore, et Congregatione di buona voglia sopportando.

 

[Anni di Christo 1439 - Anni della Congregatione 1]

Fra tante molestie, et inquietudini, mai dall'incominciata impresa ritirò Giovanni Rocco la mano, et havendo quei puochi Frati licentiato, che non vollero al giogo dell'osservanza il collo sottoporre, col dar l'habito a diversi, che alla perfettione aspiravano, eresse glorioso nell'anno medesimo 1439 e la Chiesa con il Monastero della Santissima Aannontiatione di Crema, hor detta di S. Agostino, e la Congregatione nostra chiamata di Lombardia, che poi dall'opra aiutata delli due invitti Campioni Giovanni di Novara, et Giorgio di Cremona, de quali a basso diremo, fra mille persecutioni qual rosa appresso all'herbe fetide, più odorosa, et vigorosa risorse. Et ben vedevasi che la destra di Dio in machinar maraviglie quì s'impiegava, qual hor (levati gl'interessati, et appassionati) di santo giubilo, et consolatione ripieno accorreva ogn'uno di quegli habitanti, spettatore non solo, ma cooperatore alla grand'opera, et al moltiplicarsi de spontanei fabriceri, et operarij, anzi delle donne medesime et fanciulli, che lieti, et fastosi alla volontaria, et gratiosa fatica si soggettavano, s'udivano al Cielo moltiplicare le voci de ringratimenti a Dio, che si santi servi di S. D. M. havesse ne proprij confini condotto. Habitava in tanto Giovanni Rocco coi cari figli in certe picciole case, da lui insieme con il fondo, ove si fabricava la Chiesa comprate, et havendo della cucina l'oratorio formato, in cui le Messe, et divini officij si celebrassero, conciliava veneratione verso quei buoni Padri il vedere, che del camino per campanile si servivano, d'onde la corda cadendo si dava alla sovraposta campanella il moto, et non ostante il tutto povertà, et humiltà spirasse, pur con giocondo cuore, lieto viso, et pronto spirito, giorno, e notte a Dio servivano,

[Pag. 12] non men disposti a divini ministeri, che alle diurne corporali occupationi. Sempre però la mente di Giovanni Rocco il desiderio agitava di veder gl'avversarij pretendenti reconciliati, et procurando renderli delle proprie ragioni capaci, maggiormente l'avida lor natura inaspriva, che dalla cupidigia amaliata, altro essorcismo, che quello dell'oro non la poteva curare. Tolto seco il Beato Padre un giorno in compagno Fra Bartolomeo Cazzuli alla casa d'uno di questi, con alcune scritture s'incaminò. Lo vidde il puoco timorato di Dio alla lontana, e col dar ordine alla serva che con un vaso d'aqua lorda, sporca, et immonda l'accogliesse, manifestò la perfidia d'un animo altretanto incivile, quanto irreligioso. Non gionse a pena l'huomo di Dio alla porta, che la sfacciata serva nell'alto della casa salita, roversciò da una finestra sopra il Sacerdotal capo di Giovanni Rocco un vaso d'immonditie che coltolo a pieno, tutto di putridi liquori l'nfettò. All'indegna attione la contrada commossa concorse, et essagerando l'insolenza, ne gridava contro l'auttore, risentimento, et vendetta; ma il buon Padre chinato a terra il capo, formato con la bocca un riso, senz'aprir labra, o atto mostrare d'una minima indignatione, come se nulla accaduto li fosse, humile, et mansueto, essempio lasciando d'un invitta, et eroica patienza, nulla pensando all'ingiuria, et meno al castigo, fece alla casa ritorno. Non perciò s'astenne il servo di Dio di procurare coi suoi contrarij la bramata pace, e conoscendo esser per conseguirla l'unico mezzo il rilasciar loro alcuna portione dell'heredità Vimercati, toltone da Padri il consenso, et dal Duca il beneplacito (mercè l'haverla questi alla Religione concessa, con conditione che nulla d'essa alienar si potesse) con essi a compositione venne; et postili di parte de beni al possesso, cominciò a godere, cessate almeno le molestie, quella bramata pace, che di tanto tempo desiderava.

 

[Anni di Christo 1440 - Anni della Congregatione 2]

L'anno 1440 predicò Giovanni Rocco in Crema sempre più nel crescere de figli, crescendo della sua Congregatione il credito; et spirata la Quaresima, eccoti che nate varie dissensioni,

[Pag. 13] et discrepanze fra Padri della Religione convocati nel Capitolo d'Alessandria, unica forma per sedarle esser conobbero il crear Giovanni Rocco Provinciale; et non ostante questi con moltiplicate repulse ne sfugisse la carica, pur amante del publico bene, astretto si vidde ad abbracciarla; così rimasto nel tempo medesimo da doppio peso aggravato, cioè Provinciale della Provincia di S. Agostino , et Vicario Generale della sua amata Congregatione. Nella visita della Provincia guadagnò all'osservanza quel gran servo di Dio Giovanni di Novara, ch'era Priore di S. Marco di Milano, et che poi tanto s'affaticò per gl'avanzamenti della Congregatione, che potè il titolo riportarne di secondo institutore, perciò subito da Giovanni Rocco instituito in Priore di Crema conoscendo non poter meglio appoggiarsi la nascente osservanza se non a quegli, ch'haveva di molti anni l'osservanza radicata nel cuore.

 

[Anni di Christo 1441 - Anni della Congregatione 3]

Si portò l'anno seguente a predicar a Genova in Santa Tecla, hor detta S. Agostino, ove gl'animi de Genovesi con la profondità della dottrina, soavità del parlare, essemplarità della vita, et santità de costumi rapendo, gl'obligò ad esssibirli luogo per la propagatione dell'osservanza sua, anzi al supplicarlo, et scongiurarlo volesse con una parte de suoi figli della Città consolare, che tanto viveva al suo nome devota. Non era mente di Giovanni Rocco accrescer di Monasteri l'introdotta sua osservanza, ma di meriti, sendosi in unico fine del suo santo instituito nel pensiero prefisso, star in un Convento solo con puochi, ma devoti religiosi unito, et quivi con le forme più proprie la salute dell'anima rassicurare; ma come anco fosse di facile, cortese, benigna, et affabil natura, così non seppe a replicati scongiuri di quei Signori contradire, onde non obligasse la parola sua d'accettar luogo in Genova, et con parte de suoi figli andarlo ad habitare. Molti ne vidde; vidde S. Maria del Monte, S. Maria di Belvedere, S. Maria Coronata, S. Leonardo, e S. Maria della Cella in S. Pietro d'Arena, padrone d'accettarne qualsivoglia d'essi a beneplacito suo. Ma fatta dell'ultimo la scielta, dopo riportata da Eugenio Papa IV l'Apostolica facoltà,

[Pag. 14] l'anno 1442 da Crema (dov'era ritornato) con cinque de suoi religiosi vi si portò, et l'osservanza v'introdusse. Quanto facesse, quanto oprasse per questo Monastero il buon Servo di Dio gl'eventi lo manifestorno. Hebbe da Girolamo Lercario, e Casa, e Vigna, e Horto, per l'ampliatione dell'edificio. Ma havend'egli molti abusi levati, che ne contorni della Chiesa, et tempi de divini officij da puoco timorati di Dio si pratticavano, non potè sfuggire coi religiosi suoi mille persecutioni, ingiurie, et strapazzi, cagione, che passasse in estreme miserie la Vernata, et venisse nel Monastero a tal termine di necessità, che a pena talhora tanto pane si raccogliesse, che per un misero pasto bastasse. In si penurioso stato vedendo Giovanni Rocco i suoi figli, pensò d'appandonar il luogo, et sotto più propitio Cielo i necessarij alimenti mendicare, quando un giorno avanti l'immagine della Vergine Santissima prostrato chiedendoli riverente licenza, per poter altrove condursi, udì alla porta del Monastero picchiare. Andò Giovanni Rocco, che vicino era, et aperto vidde un Giovine di bellissimo aspetto, alto di statura, di rosso vestito, che richiesto al Padre, se fosse il Priore, et rispostoli di sì. Diedeli una borsa con cento fiorini d'oro in mano, et senza più aprir bocca, rivolti gl'omeri, in un momento sparì. Qual restasse il servo di Dio a così inaspettato soccorso della divina providenza, quali ringratiamenti a Dio, et sua gloriosissima Madre inviasse, quante lagrime di gioia, et allegrezza spargesse, non ho penna per decriverlo, perche non ho cuore di tante consolationi capace. Stimò Giovanni Rocco quel santo Limosiniere un Angelo dal Cielo mandato, et vero conobbe il detto di Davidde: Non vidi iustum derelictum, nec semen eius quaerens panem. Onde poi nel libro dell'entrate del Monastero di proprio pugno lasciò scritto: Recepi a quodam homine ignoto florenos centum.

 

[Anni di Christo 1442/1443 - Anni della Congregatione 4/5]

Ne tempi in tanto dell'Avvento 1442 s'unì all'osservanza in Crema il Beato Padre Giorgio di Cremona, che fu il terzo ristoratore della Congregatione nostra, et nel seguente Gennaio 1443 alla medesima con il beneplacito del P. Vicario Generale

[Pag. 15] Giovanni Rocco s'incorporò il Convento di Bergamo, qui restato Priore il Beato Giovanni di Novara, et disposto per Crema il B. Gio. Giovanni Genova era la consueta habitatione di Giovanni Rocco, ove non meno all'orationi, et contemplationi, che alle fatiche, et esterne operationi intento, et di Maddalena, et di Marta le veci rappresentava. All'asprezza della vita i suoi figli essortava, rammentandoli, che per ben le pedate di Christo seguire era di mestieri, in labore, aesta, siti, fame, frigore, et nuditate, suoi discepoli manifestarsi, et essendosi dal Mondo per Dio servire ritirati, anco dovevano con generoso, et magnanimo cuore le mondane pompe, diletti, allettamenti, honori, ricchezze, et cupidigie conculcare. Dicevali parer aspra a chi dal mondo veniva la religiosa, et osservante vita, ma nel progresso impiacevolita dall'amor del Crocifisso, non solo s'appianava, ma tutta di rose, et fiori ricoperta innamorava al velocemente, et con allrgrezze condursi per lei alla religiosa perfettione, che ha per mèta le sempiterne consolationi. Ne con la lingua solo, ma con l'essempio questi santi documenti nel cuore de suoi eletti instillava, primo al choro di notte, et di giorno, primo a digiuni, discipline, et mortificationi, primo ad ogni più vile, et abietto essercitio della casa, il tutto con si lieto sembiante, aspetto giocondo, et contento cuore essequendo, che anco i più deboli, infermi, et neghittosi all'operatione eccitava, et nella terra de più aridi cuori il vero desiderio piantava di servire al Crocifisso. Sopra tutto la Charità inculcava, che est Vinculum perfectionis, questa ne suoi figli bramava, questa nella sua Congregatione voleva. Ne primi anni del Convento della Cella frequente più del solito era il Beato Padre alle facetie, hilarità, et giocosi trattenimenti, narrando favolette, varij idiomi Milanese, Venetiano, Bolognese, Toscano, Tedesco imitando, et a modesto riso i suoi cari in mille guise promuovendo. Ma che. Termine di sì fatte allegrezze era il correr tutti lieti, et contenti velocemente al choro per cantar lodi all'Altissimo; o tutti inginocchiarsi, et Dio ringratiare, che gl'havesse dal mondo separati, et in quel sagro drapello raccolti;

[Pag. 16] o darsi con pronto cuore a manuali impieghi, portando pietre, arena, legni, mattoni, et altri aderezzi, et materie per la fabrica del Monastero; ma quando fu l'opra a buon termine ridotta, moltiplicati i frati, et per l'osservanza aggiustate l'habitationi, con devoto, et inviolabil silentio le bocce legate, altro per quel Monastero non s'udiva, che echi di Salmi, et Hinni, sussurri di Religiosi oranti, et supplicanti, l'hore però compartite per dar al corpo sollievo, et allo spirito trattenimento, et pastura.

 

[Anni di Christo 1444/1445 - Anni della Congregatione 6/7]

Nella Quaresima 1444 lo volle in Predicator suo la Città di Bergamo, al cui sagro rimbombo, non i soli cittadini, ma delle Ville, et alle montagne stesse gl'habitatori volando, voce ferma correva, non mai per secoli trascorsi havesse quella città sagro Predicatore per sapienza, virtù, et Santità udito, a Giovanni Rocco somigliante. Crebbe l'anno stesso la Congregatione con l'acquisto, et edificio del Convento di Milano, delegata da Giovanni Rocco sopra ciò la facoltà a Beati Padri Giovanni di Novara, et Giorgio di Cremona, onde anco al secondo deputò del nuovo Monastero la cura, eletto in vece sua Priore di Crema, Angelo di Crema. Dispensò in Milano l'anno seguente la divina parola Giovanni Rocco, divolgatosi così grande per quella vasta Città il grido della sua fama, ch'il Duca di Milano Filippo Maria, che nel castello di porta Giove senza mai uscire rinchiuso se ne dimorava, lo volle udire. Così avanti la Fortezza preparato il pergamo, et all'insolita fontione mezzo Milano concorso, stando il Prencipe delle gelosie sue il sagro Apostolo attendendo, salì Giovanni Rocco in pulpito. Con qual zelo, con qual spirito, con qual energia predicasse, basti il dire, ch'allo stesso Duca il discorso rivolto, parole di fuoco vibrando, qual altro Battista ad Herode, lo minacciasse d'improvisa, et subitanea caduta, da cui quei satrapi, e (come diceva) Cherubini, et Serafini non l'haverebbero potuto riparare; che la destra onnipotente con la spada tagliente dell'incorotta giustitia sua stava di già inalzata per piombare a sua rovina il colpo; ch'al Cielo contro lui

[Pag. 17] perpetua vendetta gridavano tanti oppressi, et angustiati, tanti homicidij, et latrocinij commessi, tanti nefandi peccati pratticati, tanti poverelli a quali la guadagnata mercede negata veniva, onde ben presto havesse il Divino Giudicio ad aspettare, che di tante iniquità, et ingiustitie severamente lo castigasse. L'udì il Duca con sofferenza non solo, ma con particolar sodisfattione, stimatolo un vero Apostolo di Dio, a lui per l'emendatione de suoi peccati mandato; onde fattolo con ogni riverenza ringratiare, pur con limosine da suoi pari la charità, et zelo di Giovanni Rocco riconobbe, et il Monastero suo con segnalate oblationi aiutò.

 

[Anni di Christo 1446/1447/1448 - Anni della Congregatione 8/9/10]

Tornato indi a Genova gli si moltiplicorno l'occasioni di far gl'atti di sue virtù manifesti. Ad un tal fra Donato, che dal Demonio sedotto, haveva accumulato dinari per far la compra d'un Breviario, profetizò il Beato, che trasgredendo l'obbedienza con detta compra, preda sarebbe rimasto de ladri. Finse humiliarsi il Frate, ma segretamente il Breviario comprato, et verso la Lombardia preso il camino, l'assalirno ne gl'Appenini i Ladroni, e dopo haverlo con moltiplicate percosse maltrattato, affatto nudo, conforme la preditione del Sant'huomo l'abbandonorno. Era in Savona Giovanni Rocco a predicare, quando ad una santa femina, che dal Demonio vessata, travagliata, et con molte interrogationi turbata, non più sapeva, che cosa fosse quiete o pace, diede questo conseglio dovesse l'interrogationi dell'inimico in questa forma ribattere Vanne empio che sei scommunicato, et da Dio maledetto, ne perciò degno d'alcuna risposta. Vanne nefandissimo, ne da me per l'avvenire altra parola riceverai. Obedì la buona donna a consegli del servo di Dio, et venuta l'occasione di quest'arma per trafigger Lucifero si prevalse; con tanta rabbia, e fremito del rubelle, che conosciuto venir da Giovanni Rocco il conseglio prese a gridare: Giovanni Rocco me la pagherai; Giovanni Rocco me la pagherai; et i tuoi Frati della Cella se n'accorgeranno. Ciò udito dal Santo Padre presto con lettera avisò a Genova i suoi figli, ch'armati con l'oratione s'allestissero alle guerre dell'empio.

[Pag. 18] Miracolo della divina protettione. Pria la lettera alla Cella pervenne, ch'il Demonio arrivato vi fosse, et gionto, visto alla battaglia ogn'uno disposto, altro non potè fare, che sfogare nelle cose insensibili il conceputo furore, onde in Sacristia entrato ogni cosa con disordinata cofusione sconvolse, et asportò a segno, che molte delle sagre suppellettili, a pena dopo quindeci giorni fur ritrovate. Notturni strepiti di ferri, et catene, finti combattimenti di spade, et alabarde, frettolosi corsi a cavallo ne chiostri, et dormitorij, continua agitatione delle catene del pozzo, quasi acqua estrasse, scosse dell'horologio necessitandolo a diuturni, et tediosi suoni, con altre all'inimico consuete forme, anco d'apparitioni, larve, et terribili voci, l'armi furono co' quali sturbò per molti giorni la santa quiete, et amato riposo di quei religiosi, finchè poi Giovanni Rocco tornato, diede all'inimico perpetua fuga, e ne gl'abissi lo concentrò. Mai per qualsivoglia insorta occupatione arrestò da digiuni, orationi, et spirituali essercitij il passo; onde per singolar maraviglia fu la vita notata, ch'in predicando un anno in S. Siro di Genova guidava. Detta la prima messa, dalla Cella a piedi con il Compagno alla Città si prestava. Terminata la predica, che sempre da gemiti, et sospiri di mille contriti, et compunti accompagnata veniva, in provigione, et conforme i bisogni del Monastero suo, qualche spatio d'hora nella Città trattenuto, orando, et salmeggiando veniva a casa. Essattissimo nell'osservanza del digiuno, coi frati nella publica, et comune mensa pransava, indi ritirato un hora consagrava d'oratione al Cielo, poscia allo scriver chorali libri, segnare, notare, et rader pergamene fin verso la sera erano le occupationi sue. Tornava all'oratione, et successivamente allo studio della predica del seguente giorno; finchè la notte a Dio lo richiamava, che con discipline, flagelli, et preghiere novellamente riveriva. Mai ne pur una volta sola da matutinali officij mancò, mai rallentò alle mortificationi la briglia; mai al suo corpo un brieve riposo fuor del consueto, concesse. Ruminava la notte

[Pag. 19] con l'oratione la predica, et spuntata la luce, genuflesso il suo Dio inchinava, et con le previe sante dispositioni la Messa celebrata, alla nuova conversione dell'anime, lieto, et giocondo si trasferiva. Visitato in tempo di contagio della divina mano il Convento della Cella, per via d'un hospite, che infetto di peste v'arrivò, subito il Beato Padre chiuder fece del Monastero le porte, et con scrittura di sua mano al di fuori affissa di questo tenore: Havendo alla commune salute di voi tutti risguardo, non apriremo le porte per haver noi in casa un hospite di contagio ferito, ammonir tutti pretese, d'haver alla propria salvezza riguardo, et col stare dal monastero lontani, sempre più farsi alla sicurezza vicini. Gratissimo riuscì a Genovesi l'aviso, onde in guiderdone, aprendo della charità le mani profundevano per il sostentamento de chiusi religiosi generose limosine, finchè poi per ordine del Magistrato furno quei religiosi tutti (levatone Giovanni Rocco, et Gregorio di Casale, ch'alla cura del Monastero rimasero) a luoghi diserti, et selvaggi di S. Maria di Cassinelli trasferiti, ove di notte tempo dopo alcuni giorni visitati, et consolati dal caro Padre, felicemente poscia la quarantena terminorno, et fecero al Monastero ritorno. Dieci continui anni haveva della Congregatione nostra con il titolo di Vicario Generale tenuta Giovanni Rocco la cura, nello stesso tempo il Monastero della Cella per sette anni con la carica di Priore reggendo; et non ostante la Congregatione di Carbonara havesse con la nostra procurata l'unione, et v'inchinassero li Beati Giovanni di Novara, et Giorgio di Cremona, pur costante, et contro il suo solito fermo il Beato Giovanni Rocco a tutto potere con galiardissime ragioni s'oppose, che poi portate, et ventilate nel Capitolo di Monte Specchio queg'effetti produssero, ch'al suo luogo diremo. Quando l'anno pervenuto 1449 voglioso il Generale dell'ordine Giuliano di Salem dar alle novelle osservanze d'Italia alcun registro, intimò il famoso rammentato Capitolo di Monte Specchio, in cui il nostro Beato Padre, (non ostante lo stesso Generale v'assistesse)

[Pag. 20] in Presidente, et Vicario Capitolare deputato, indi poi moltiplicate Congregationi risorsero, con particolari Vicarij Generali, eletto in capo supremo della nostra il Beato Giorgio di Cremona, come più diffusamente sarà quì sotto registrato. Così scosso il gravoso peso della Congregatione tutta Giovanni Rocco, mai potè dire fosse dalla Congregatione sua lasciato in riposo, a lui quasi ad oracolo gl'interessi più rilevanti riferendosi, et come a Padre commune a suoi piedi portandosi il desiderio de figli. Fu suo in questi tempi ordinario soggiorno Genova, et Crema, benchè poi, per istanze dell'Arcivescovo et Duchessa di Milano, obligato alla cura del Monastero Maggiore di Monache Benedettine di quella città, pur quivi sovente fermasse il piede, leggendosi fra le definitioni del Capitolo di Tortona l'anno 1455 celebrato, decreto di si fatto tenore: Venerandae etiam religiosae Santimoniales Monasterij Maioris Mediolani ordinis obs. S. Benedicti obnixe rogaverunt nos, ut earum curam sub nostra speciali gubernatione reciperemus, sicque pro eis ut id faceremus Illustrissima D. Duchissa Mediolani nostrum Vicarium Magistrum Ioannem Rochum (era all'hora il Beato Padre al governo rientrato della Congregatione) atque Reverendissimus D. Archiepiscopus Mediolani hoc idem a praefato Vicario nostro postulavit, praesenti definitione praedictas Sanctimoniales dicti Monasterij Maioris, sub nostra cura, et speciali gubernatione, suscipimus perpetuo. Ita quod Vicarius dictae nostrae societatis habeat eis de uno Patre Spirituali, qui earum confessiones audiat, et Sacramenta Ecclesiae ministret secundum indultum Sedis Apostolicae providere. Quandiu tamen M. Ioannes Rochus in Civitate Mediolani fecerit mansionem, volumus quod ipse illarum sit Spiritualis Pater, et curam habeat totis temporibus vitae suae; et si contigerit absentari, quod possit quemlibet ex nostris fratribus substituere, sic tamen quod quotiescumque redierit, ipsarum ut antea Spiritualis Pater habeatur, et earum curam gerat etc. Levati perciò quei tempi, ne quali il governo publico ad altri affari lo richiamano, impiegò ogni suo spirito

[Pag. 21] il servo di Ddio alla cura di queste sagre Vergini, sembrando a punto all'hora il Sole nel segno di Vergine con la spica in mano, divenuto quel nobil Monastero fruttifera campagna di virtù, dovitiosa di grani di merito per la formatione del pane della gloria; et ne continuò il governo fino all'anno 1461, in cui, pur reggendo della Congregatione la verga, conosciutosi alla morte vicino, ne rinontiò per nome publico, con gemiti, et pianti di quelle religiose Madri, l'incombenza, che poi per indulto apostolico di Pio Secondo sotto il Priore Benedettino di S. Pietro in Gessate se ne passorno. Nel corso di anni dodici, che dal Capitolo di Monte Specchio, fin all'ultimo de suoi fortunati giorni trascorsero, ancorchè la vecchiezza le proponesse il bisogno della quiete, pur coraggioso Giovanni Rocco, col braccio del rigore maneggiò sempre il destriere del corpo suo; tenendolo con la sferza delle mortificationi, et penitenze dritto nella carriera del serviggio di Dio. Mai satio di condur anime a Christo a tutte quelle occasioni accorreva, che le proponevano qualche spiritual acquisto, onde non seppe abbandonar i pergami, fin che lo spirito lui non abbandonò. Havendo la divina clemenza in più occorenze con prodigi, et miracoli la dottrina corroborato del Servo suo, scrivendo del nostro Beato il Donesmondi nell'Historia di Mantova, che: Verbum Dei pluries miraculis expressis confirmavit ut fecit Cremae, ubi proprium nomen reddidit immortale. Affaticò con la penna ad eruditione della posterità, onde si trovano di Giovanni Rocco sopra i Vangeli dell'Avvento, et della Quaresima diverse Homelie, che cominciano: omnes quidem currunt. Altri libri sopra l'Epistole di S. Paolo, oltre la spiegatione fondatissima de quattro libri delle sentenze, et altro tomo con il titolo: Recollectae super sententijs D. Aegidij, che tutti la profondità del suo sapere, et celeste dottrina manifestando, formano alla sua pietra sepolcrale l'elogio, fosse uno de più celebri, et insigni Dottori, havesse ne suoi tempi Chiesa Santa. Perpetui impieghi nella sua Congregatione lo tennero

[Pag. 22] di continuo per il publico bene in essercitio, stato più volte Definitore, et Presidente, et quattro volte Vicario Generale, tre anni successivamente, cioè gl'anni 1454, 1455 et 1456; et poi la quarta volta 1461, nel cui officio spirò felicemente l'anima a Dio, sendo ben giusto ch'il Padre di questa sagra osservanza morisse con quello stesso titolo, con che la fondò, et se Vicario Generale la piantò fortunato in terra, ancor Vicario Generale se ne passasse ad esserli Protettore pietoso in Cielo. Era stato nel Capitolo di Milano l'anno predetto 1461 il Santo Padre al Vicariato Generale, come si disse, quantunque di settanta, et più anni assonto, quando udito, ch'il Padre Generale dell'ordine, Guilelmo Bechio dal nostro Beato in sommo grado riverito, era per venire dalla Toscana in Lombardia, et con l'occasione del passaggio la Congregatione visitare, subito staccato da Milano il piede, ove pur dimorava, verso Mantova per accoglierlo s'incaminò. Gionto a Crema, la cara, et santa conversatione del suo dilettissimo Agostino Cazzuli Priore del Convento, lo necessitò alla dimora di molti giorni, con la qual occasione aprì al diletto figlio del suo cuore gl'arcani, manifestandoli la vicina sua morte; et prefiggendoli quegl'ordini, che bramava fossero dopo il suo obito esseguiti; terminando con queste parole il discorso: Se mi ami Agostino, non soffrire in conto alcuno, dopo la mia morte, che l'immondissimo mio cadavere sij in luogo alto, o venerabile riposta, che voglio assolutamente, et te ne prego, te ne supplico, te ne scongiuro, anzi te lo commando sij cacciato in sotteranea fossa all'uso de gl'altri frati. Procurerai figlio d'avantaggio, che morendo in questo viaggio, prima del mio ritorno a Crema, qui sij il mio corpo transferito, che ove furno della mia Congregatione i principij, intendo ancor sijno delle mie membra a perpetui riposi. Queste, et altre parole al suo amato discepolo conferiva Giovanni Rocco, quando Agostino sentendosi per doglia schiantar dalle radici il cuore, con generoso sforzo torcendo in altri discorsi il ragionamento, impatiente di più colpi si dolorosi soffrire, fatto giocondo nel sembiante disse:

[Pag. 23] I morti Padre caro non mangiano, et noi il pranso aspetta. Andiamo a sodisfar ai vivi, poscia de morti prenderemo cura; et al pranso lo condusse. Convennero intanto i Priori de vicini Monasterij a visitarlo, coi quali ragionando di frequente del disprezzo della morte, ben diede a conoscere non v'esser cosa, che più di cuore bramasse, quanto per unirsi a Dio la separatione dal Mondo, et per esser in Cielo compagno de gl'Angeli, esser in terra coi cadaveri collocato. Da Crema passò il servo di Dio a Cremona, indi a Viadana, ove colto dalla febre, pur volle fin a Mantova l'incominciato camino proseguire. Qui gionto non si può dire con qual spirito di charità l'accogliesse fra Paolino di Milano, che v'era Priore. L'abbracciò, l'inchinò, lo venerò, et fattolo salir in letto non risparmiò alcuno humano rimedio, per vino conservare quel Padre, che era l'anima di tutta la Congregatione. Non rifiutò Giovanni Rocco i charitativi impieghi de Medici, ma come volasse col desiderio sopra le sfere, aggradiva i mendicamenti, come parto di cordiale affetto, più perché ne bramasse sollievo. Sua maggior gioia era con Paolino discorrer di Dio, della Gloria eterna, et felicità de Beati, sembrando a punto Elia con Eliseo, o Agostino con Monica dolcemente colloquenti; così l'hore passando del giorno non solo, ma della notte col corpo in terra, et con la mente in Cielo unica meta d'ogni sua interna, et esterna operatione. Ricevè per mano del medesimo i Sagramenti tutti di Santa Chiesa, et accortosi s'avvicinava la sospirata morte, qual Andrea alla Croce, con si pietosi affetti l'nvocava, chiamandola la sua cara, la diletta, la sorella, la sposa, fine delle sue miserie, principio delle fortune, fugello dell'infelicità, porta della Gloria, estintione de vitij, premio del merito, santificata dal sangue di Giesù Christo, che ben di macigno stato farebbe quel cuore, che a si devoti, et infuocati accenti non si fosse in onda di pianto liquefatto. Altro conforto nell'agonia sua non volle, che quello li ricordava esser il suo passaggio vicino per volarsene a Dio; onde all'ultimo pervenuto, spiccò dall'intime fibre del cuore le seguenti sante parole:

[Pag. 24] Miserere mei secundum magnam misericordiam tuam. Dimitte mihi Pater debita mea, et non intres oro mecum in iudicium, sed pone sanctam passionem tuam inter iudicium tuum, et meam hanc animulam. Eamque exoro Domine mi Iesu Christe tolle tibi tuam, quam creasti, quam praetioso tuo sanguine redemisti, egredientemque ipsa demum de corpore. In manus tuas ipsas pro me cruci confixas accipe commendatam. Così tali parole proferendo con le pupille al Crocifisso rivolte essalò l'anima benedetta alli 13 Luglio 1461 con tanto dolore, et pianto di Paolino, et cari figli, che se la sicurezza d'haverlo in Cielo acquistato perpetuo Protettore avanti il trono di Dio non gl'havesse raffrenati, inconsolabili sarebber state le loro lagrime, et sempiterno il cordoglio. Alla fama della santa morte tutta Mantova in S. Agnese concorse; et volendo il Priore, et frati aggiustare quel Beato corpo per trasferirlo conforme il desiderio suo a Crema, s'opposero alla pia diligenza il Marchese, et Marchesa di Mantova, che considerando non senza mistero haver Dio mandato quel suo servo in Mantova a suoi giorni terminare, non fu possibile volessero concorrere all'asporto del Venerando Cadavere, che poi in humil luogo (per non contravenir in ogni parte alle dispositioni del defonto Padre) nel mezzo del Capitolo, ove di presente e la capella del campanile fu decentemente riposto. Padre d'eminentissimi meriti, a cui deve la Congregatione tutta i più vivi ossequij d'obligata riverenza; sempre qual Beato in Cielo assonto dalla Religione riconosciuto, et venerato; onde Basilio di Ripa nell'oratione che fece nel Capitolo di Modana l'anno 1468, così proruppe: Quis non admiretur arcam illam sanctitatis, et scientiae pariter Magistri Ioanni Rochi, qui primus hanc observantiam divina inspiratione fundavit? Et in un altra pro renuntiatione Vicariatus, l'anno 1501 a Mosè con tali accenti lo paragona: Quis ambigat Sanctum illum Patrem primum videlicet Congregationis fundatorem Ioannem Rochum pro ea continuas effundere praeces, et velut alterum Moysen supplicibus

[Pag. 25] pro illa, atque ad Deum elevatis pugnare manibus, cui non immerito convenit, quod de Hieremia dixit Onias 5 quia hic est fratrum amator, et populi Israel. Hic est, qui multum orat pro populo, et universa Sancta Civitate. Onde poi anco il Beato Bartolomeo di Pallazzuolo nel Romano Martirologio da lui l'anno 1487 in luce mandato, sotto li 13 Luglio, ne fa memoria scrivendo: Mantua depositio R. M. Io. Rochi, qui divinitus in Lombardiae partibus Fratrum Erem. S. Augustini ordinem reformavit; nam Cremae primum condidit Monasterium, quo initio tredecim postea, tum fundata, tum reformata sunt. Demum post multos pro Deo labores, cum Mantuam venisset, plenus fide, gratia Dei, virtutumque dives, magno cum desiderio vitae futurae, corpore quasi carcere solutus est.