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renato corti: lettera pastorale 2003-2004 "un giovane diventa cristiano"

 Agostino viene accolto dalla chiesa milanese in un affresco a San Gimignano

Ambrogio e la Chiesa di Milano accolgono Agostino

 

 

 

IL VOLTO DI UNA CHIESA

"Lieti beviamo la sobria ebbrezza dello Spirito"

 

 

 

Questo capitolo è dedicato alla Chiesa. Ma di questa realtà ho già parlato fin qui, a cominciare dalle prime pagine di questo racconto. Agostino ha fatto due esperienze. Anzitutto ha "visto" la Chiesa e ha conosciuto i tratti fondamentali del suo volto. A visibilizzarla sono stati, in modo singolare, tutti i personaggi che ho evocato nei capitoli precedenti di questa Lettera. [1] Ma lo è stata anche la comunità cristiana stessa di Milano. [2] È poi "entrato" nella Chiesa. Ciò è avvenuto con la professione di fede e la celebrazione del sacramento del battesimo.

 

 

1. LA CHIESA CHE AGOSTINO HA INCONTRATO

 

Un popolo

Anzitutto, nella comunità cristiana di Milano, per merito soprattutto di Ambrogio, ha potuto incontrare un popolo cristiano: [3] «Vedevo la Chiesa popolata di fedeli, ma chi ci andava in un modo, chi in un altro». [4] Non si trattava né di un club, né di una élite. Tanto meno di una setta. Ne facevano parte persone di ogni ceto sociale, dai semplici ai dotti, dalla gente umile a coloro che portavano responsabilità professionali, amministrative e politiche.

 

Gesù Cristo al centro

È stato agevole per Agostino capire che cosa stava al centro di quella comunità. Quel popolo si ritrovava, insieme con il vescovo, attorno al Signore Gesù Cristo. Ambrogio diceva: «Tutto abbiamo in Cristo e tutto è Cristo per noi. Se vuoi curare una ferita, egli è medico; se sei riarso dalla febbre, è fontana; se sei oppresso dall'iniquità, è giustizia; se hai bisogno di aiuto, è forza; se temi la morte, è vita; se desideri il cielo, è via; se fuggi le tenebre, è luce; se cerchi il cibo, è alimento». [5]

Non gli è stato difficile nemmeno capire che cosa costituiva l'ispirazione del cammino di quella comunità. Bastava star vicino ad Ambrogio per capirlo. Egli meditava le Sacre Scritture e le predicava in maniera costante e abbondante: «È necessario triturare e rendere farinose le parole delle Scritture celesti, impegnandoci con tutto l'animo e con tutto il cuore, affinché la linfa del cibo spirituale si diffonda in tutte le vene dell'anima». [6] «Proprio la predicazione domenicale, di settimana in settimana, a poco a poco creava nei fedeli quella conoscenza e cultura biblica e cristiana che rendeva familiari e comprensibili le allusioni e le connessioni che innervavano il discorso». [7]

 

L'ebbrezza dello Spirito

Ma verso dove camminava questo popolo? Camminava verso la sobria ebbrezza dello Spirito. Ambrogio stesso così lo incoraggiava: «Cristo sia nostro cibo / nostra bevanda sia la fede / lieti beviamo la sobria / ebbrezza dello Spirito». [8] Agostino ascoltava commosso questo popolo che cantava. [9] Lo ammirava soprattutto perché lo faceva anche nei giorni difficili, vegliando per esempio di notte per difendere le proprie chiese: «Giustina, madre del giovane imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo servo Ambrogio, spinta dall'eresia in cui l'avevano trascinata gli ariani. Il tuo popolo devoto passava le notti in chiesa a vegliare, pronti a morire con il suo vescovo, tuo servo». [10] Il canto, soprattutto in quelle ore, alimentava nel popolo la consapevolezza della propria dignità e della sua spirituale ricchezza. [11] L'ebbrezza dello Spirito diventava clima di gioia e di coraggio nella comunità. Diventava anche, come ho già scritto, esperienza di uomini e donne che si consacravano totalmente a Dio. Fu questo clima a fare della comunità cristiana di Milano un giardino affascinante per coloro che erano ancora incerti sulla fede. Ambrogio stesso ne doveva essere colpito e incoraggiato. Riferendosi alle celebrazioni liturgiche, scriveva: «Il popolo entra in folla: dapprima ne riversa le ondate da tutti gli ingressi, poi, mentre i fedeli pregano in coro, scroscia come per il rifluire dei flutti, allorché il canto di uomini, di donne, di fanciulli, a guisa di risonante fragore di onda, fa eco nei responsori dei salmi». [12]

 

L'esempio trascinante dei martiri

Non solo il canto contribuiva a dare fascino e bellezza alla Chiesa di Ambrogio. Erano ancor più i martiri. Ad essi il vescovo tributava il massimo onore e voleva che tutto il popolo leggesse la propria esperienza di fede mettendosi in paragone con coloro che, per amore di Cristo, avevano addirittura sacrificato la vita. Egli «intendeva proporre ai credenti modelli di una sequela di Cristo impavida e generosa; e non mancava di mettere in guardia i cristiani contro i pericoli dei tempi di pace quando ai persecutori violenti si sostituiscono quelli più subdoli che, "senza ricorrere alla minaccia della spada, stritolano spesso lo spirito dell'uomo, quelli che espugnano l'animo dei credenti più con le lusinghe che con le minacce"». [13]

 

Nel mondo da cristiani

Agostino vedeva la Chiesa di Milano attenta anche al confronto con la società e la cultura del tempo. Quella Chiesa si trovava dentro un mondo che aveva alle spalle una grande tradizione culturale. I ceti più ricchi e i dirigenti rimanevano molto attaccati alle tradizioni pagane, anche perché dovevano avvertire nell'intimo che la causa era ormai perduta di fronte all'avanzare del cristianesimo. Ma la Chiesa doveva fare i conti non soltanto con il paganesimo; a quei tempi erano vivi e pericolosi anche i culti misterici venuti a Roma da Oriente. Secondo Ambrogio, «la fedeltà a Roma, alla sua tradizione e alle sue consuetudini, non comportava una necessaria accettazione della sua religione. Anzi, questa non era autentica tradizione romana, tanto che i romani l'avevano condivisa con altri popoli, estranei a quella tradizione e a quei valori». [14]

Ambrogio stesso sosteneva un lavoro culturale. Era un uomo «dotto che leggeva, forte della sua formazione letteraria, i Padri greci, i filosofi neoplatonici, gli antichi scrittori pagani, mostrando nei suoi discorsi e negli scritti che tra fede e filosofia, fede e cultura non c'era contrasto, ma collaborazione». [15] E poi la Chiesa di Milano era ricca di personalità singolarmente dotate per svolgere un compito culturale. Tra queste sicuramente Simpliciano. Con lui vi era a Milano un circolo di studiosi cristiani rispettati e stimati: Manlio Teodoro, Zenobio, Ermogeniano. La sensibilità culturale, insieme con la santità della Chiesa di Milano, ha dato un frutto estremamente prezioso per tutta la storia della Chiesa proprio in Agostino.

Oltre al tema della cultura, Ambrogio coltivava nella Chiesa di Milano la sensibilità nei confronti del cammino della società, e soprattutto in favore della giustizia sociale: una questione molto grave in un tempo di decadenza e disfacimento dell'impero. Il vescovo scriverà in quegli anni «diverse opere su questa tematica, per esempio Elia e il digiuno, e altri due trattatelli intitolati Naboth e Tobia. In quelle pagine emerge l'intento di mettere a nudo il degrado della società, con le ingiustizie e sperequazioni che la contraddistinguono, e insieme l'impegno a proporre un forte insegnamento morale a quanti volevano reagire a tale situazione». [16]

 

Verso il battesimo

Quanto detto fin qui non è tutto. A proposito della Chiesa la questione centrale è che, un bel giorno, Agostino matura la decisione di entrarvi. Lo fa con l'atto di fede, dopo lunghissimo travaglio interiore, e lo fa chiedendo il battesimo, vero punto di sintesi di tutto il tempo precedente e inizio di una vita nuova.

Agostino non ne parla a lungo. Anzi verrebbe da dire che ne parla troppo poco. In effetti ne tratta con molta sobrietà. Quando ne scrive sono passati già diversi anni da quel giorno e il racconto si semplifica e si interiorizza, lasciando comunque in evidenza «la portata incommensurabile del gesto che si è compiuto attraverso l'atto di riconciliazione e generazione di quel battesimo». [17]

Ecco come ne parla: «Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna per far ritorno a Milano. Anche Alipio decise di rinascere in te con me […]. Prendemmo con noi anche il giovane Adeodato […]. Poi fummo battezzati e da noi scomparve ogni ansia della vita passata. Non mi saziavo mai in quei giorni dell'infinita dolcezza con cui il pensiero guardava alla profondità del tuo disegno sulla salvezza del genere umano. Quanto ho pianto nell'ascoltare gli inni e i canti, profondamente commosso dalle voci soavi della tua Chiesa! Quelle voci scorrevano nelle mie orecchie, mentre la verità si scioglieva nel cuore; ero acceso da sentimenti di pietà, mentre le lacrime mi scendevano abbondanti e più che mai salutari». [18]

 

Catecumeno

A quel momento centrale della sua vita Agostino è arrivato dedicando il tempo di quaresima dell'anno 387 a una lunga e seria preparazione. Come ogni catecumeno adulto, anch'egli doveva "iscriversi" al battesimo, dando il proprio nome. Era un modo per affermare la decisione di prendersi la responsabilità nei confronti del dono di grazia che avrebbe ricevuto.

Il vescovo Ambrogio guidava personalmente quel periodo di catecumenato. Ci teneva molto. Era per lui un momento fondamentale di tutto l'anno liturgico. Proponeva istruzioni catechetiche, chiedeva una pratica religiosa, invitava ad esercitare le virtù cristiane. Attingeva ispirazione per le sue omelie soprattutto dalle grandi figure dell'Antico Testamento, le cui virtù erano per questi futuri cristiani degli esempi preziosi. Si compivano, in quelle settimane, dei riti di propiziazione. Veniva insistentemente chiesta la preghiera personale e comunitaria. Si esigeva un comportamento morale caratterizzato da sobrietà e continenza.

Momento particolarmente significativo della quaresima era la traditio symboli. Il vescovo consegnava il "simbolo degli Apostoli" e ne offriva una breve spiegazione. I catecumeni dovevano impararlo a memoria. Era fatto divieto di scriverlo e di rivelarlo ai non iniziati. [19]

 

Cristiano

Nella veglia pasquale del sabato santo si compiva poi il rito sacramentale, ricco di gesti simbolici dal principio alla fine. Un primo gesto era quello con il quale «il vescovo toccava al battezzando le orecchie e le narici, pronunciando la parola effatà, cioè apriti (Mc 7,34): a significare che l'incontro con Gesù nel battesimo operava nell'uomo il prodigio di renderlo capace di udire i misteri e di sentire il profumo di Cristo». [20]

Un secondo gesto era quello dell'unzione del catecumeno. «Stava a ricordare le dure lotte che avrebbe dovuto affrontare per vivere secondo la fede cristiana. In questa linea andavano anche poi le rinunce a Satana e alle sue opere, al mondo e alle sue seduzioni, con il battezzando rivolto prima ad Occidente, sede del demonio, poi ad Oriente, sede di Cristo». [21]

Un terzo gesto era quello che vedeva il catecumeno immergersi nel fonte battesimale [22]. Mentre era lì dentro, faceva la professione di fede, rispondendo Credo alle tre domande del vescovo ("Credi in Dio Padre Onnipotente? Credi nel Signore nostro Gesù Cristo e alla sua croce? Credi allo Spirito Santo?"), e veniva immerso nella vasca per tre volte. [23]

Un quarto gesto: i neofiti «ricevevano l'unzione crismale, come segno di partecipazione al corpo di Cristo per la vita eterna; veniva poi loro consegnata una veste bianca, simbolo della remissione dei peccati, della riconquistata innocenza da portare senza macchia nella vita di ogni giorno. Veniva amministrato anche il Sacramento della cresima, dopo di che i neofiti rientravano dal battistero nella Chiesa dirigendosi verso l'altare, ove per la prima volta potevano partecipare alla celebrazione della Messa e accostarsi alla mensa eucaristica». [24]

 

 

2. QUALE VOLTO MOSTRA LA NOSTRA CHIESA?

 

Cristo nella Chiesa del IV secolo e in quella del XXI secolo

Che cosa vedrebbe Agostino se dovesse esprimersi sull'andamento della nostra Chiesa gaudenziana, oggi? La Chiesa che egli ha potuto osservare a Milano, decidendo alla fine di diventarne membro con il battesimo, non era sicuramente senza problemi. Anzi, ne doveva affrontare di molto grandi. È opportuno dirlo perché non sembri che le pagine precedenti vogliano semplicemente essere un facile elogio.

Sembrerebbe del tutto ovvio, per esempio, che la Chiesa di Ambrogio mettesse al centro della sua vita il Signore Gesù Cristo. Ma non era così. In quella stagione ecclesiale, come ho già ricordato, circolava un'eresia molto influente. Si chiamava arianesimo. In sostanza non si riconosceva in Gesù il Verbo di Dio fatto uomo. Poiché all'arianesimo aveva aderito lo stesso predecessore di Ambrogio, è facile immaginare quale fosse la confusione nel clero e nel popolo, e quanto delicata fosse l'opera educativa del nuovo vescovo.

Il dramma spirituale affrontato da Ambrogio nel IV secolo per difendere verità fondamentali, cadute le quali non rimarrebbe sostanzialmente più nulla del mistero cristiano, è in scena anche nel XXI secolo, sia perché Ario è sempre di attualità, sia per la condizione storico-culturale che ci vede sempre più immersi in un mondo multi-religioso. Perciò, mentre di fronte ad Agostino e Ambrogio sento chiamata in causa tutta la nostra Chiesa gaudenziana, vorrei dare spazio in queste pagine a un solo e fondamentale punto del volto della nostra Chiesa: la sua fede nel Signore Gesù Cristo. [25]

 

La domanda che attraversa tutto il Vangelo

Lo potrei esprimere con alcune domande: nelle nostre comunità cristiane ci si interroga veramente su Gesù Cristo? Quando lo si fa? Chi sollecita a farlo e chi accompagna nell'approfondimento della risposta? Teniamo viva la domanda su Gesù, su chi egli sia, sulla "pretesa" che egli ha espresso e che Dio ha confermato con segni e prodigi, fino al grande segno della risurrezione? Quanto le nostre omilie privilegiano la dimensione cristologica delle pagine evangeliche (e addirittura di tutta la Bibbia)? Quanto la catechesi è svelamento della persona di Gesù e del suo mistero? Quanto la lectio divina, attraverso ogni singola pagina e andando oltre ogni singola pagina, è contemplazione del volto di Cristo? Quanto i vari momenti della vita ecclesiale manifestano la premura di mettere in contatto con il Signore Gesù Cristo? Quanto, in particolare, il lavoro educativo svolto in favore dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, trova nella proposta di un incontro con Cristo il suo punto focale e la questione che, in vari modi, viene costantemente affrontata? Non rischia talvolta di rimanere troppo sullo sfondo (se non addirittura emarginata) privilegiando altri temi, pur giusti e utili, ma non decisivi in rapporto alla domanda di senso della vita umana e del destino dell'uomo?

 

Su questi interrogativi mi sono sentito sollecitato anche durante un recente pellegrinaggio in Terra Santa. Passando da Nazaret, a Cafarnao, al Tabor, al Giordano, a Gerusalemme e a Betlemme, riascoltando in loco le affermazioni che Gesù faceva a proposito di se stesso, svelando in tal modo la coscienza di sé, e trovandomi nei luoghi nei quali egli ha compiuto dei "segni" (come li chiama l'evangelista Giovanni) che costituivano per i discepoli una conferma delle sue parole, era proprio il mistero nascosto nella persona di Gesù quello che mi si manifestava. I quattro Vangeli sono diversi l'uno dall'altro. Ma c'è un denominatore comune: parlano di Gesù, e soltanto di lui. Di più: i luoghi sui quali Gesù ha vissuto, le parole dette in quei luoghi, i segni compiuti, gli incontri fatti con tante persone mostrano che la vicenda di Gesù è risultata sconvolgente fin dall'inizio. Al punto che da subito, mentre alcuni lo seguivano, altri (i più) duramente lo contestavano. Gesù non era uno scriba come tanti altri. Con lui irrompeva una novità inaudita. Faceva affermazioni esplosive. Ma poi compiva dei gesti che conducevano a dire che era veritiero e meritava ascolto.

Si comprende perciò come mai, prima dell'ascensione al cielo, Gesù abbia detto: "Avrete forza dallo Spirito Santo e sarete testimoni di me" (At 1,8). Non ha detto quel giorno (come peraltro risulta invece in qualche altro passo) di essere testimoni di questo o quest'altro aspetto particolare della sua vicenda. Ha centrato l'affermazione sulla sua persona. E quando gli Apostoli hanno cercato il sostituto di Giuda e lo trovarono in Mattia, il criterio fondamentale della scelta fu che egli avesse seguito la vicenda di Gesù dall'inizio alla fine, e cioè avesse scoperto chi egli veramente fosse (cfr. At 1,21-26). In caso diverso come avrebbe potuto dire di essere un "testimone" autorevole e credibile di fronte a coloro ai quali avrebbe in futuro parlato di Gesù?

 

A servizio della fede

Si intravede così qual è il servizio fondamentale a cui la Chiesa è chiamata. Essa deve farsi carico di sostenere la fede dei credenti, a cominciare dai più semplici e fragili; deve domandarsi come mettersi a servizio della fede per quelle persone nelle quali essa, purtroppo, si è affievolita; deve anche cercare di intravedere nuove strade per annunciare il grande dono della fede ai non credenti e ai non cristiani.

Agostino potrebbe dirci: sono arrivato alla fede e al battesimo perché, all'interno di concretissime relazioni interpersonali, ho incontrato dei cristiani che hanno reso visibile e udibile la loro fede in Gesù Cristo e, in vario modo, mi hanno comunicato questa loro scoperta fondamentale. Lo dico di una figura assolutamente "feriale", come quella di mia madre; lo dico anche a proposito di un semplice laico cristiano, come Ponticiano. Lo dico anche di Ambrogio e di Simpliciano. Mentre svolgevano un ruolo rilevante nella Chiesa, essi sono stati per me dei validi interpreti della fede cristiana. Lo dico pure della comunità cristiana che ho incontrato a Milano: non era affatto una semplice organizzazione religiosa; era piuttosto un popolo di credenti capaci di far emergere per me, in una città ancora largamente formata da pagani, il nome di Cristo e la bellezza di diventare suoi discepoli.

 

"Vogliamo vedere Gesù"

La scelta pastorale che va coraggiosamente compiuta o confermata nella nostra Chiesa, e in ciascuna delle nostre parrocchie, consiste precisamente in questo: che la comunicazione della fede costituisca con chiarezza l'impegno primario attorno al quale tutto il resto ruota e da cui tutto dipende.

Se ci dedicheremo a questo compito, obbediremo al comando di Gesù: «Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Facendolo, diventeremo un aiuto per coloro che, come già avvenne per Agostino, hanno bisogno di incontrare una realtà umana e concreta che permetta di vedere, udire e incontrare Gesù. Proprio come avevano chiesto alcuni Greci che, saliti a Gerusalemme, si erano rivolti a Filippo dicendogli: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). Nella Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II commenta: «Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro vedere. E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?». [26]

 

 

 

[1] Cfr. F.G. BRAMBILLA, Le dimensioni fondamentali della trasmissione della fede, in Fare risplendere il volto di Cristo. Giovani e adulti. Giovani Chiesa e società, Novara 2002 (Diocesi di Novara - Cammino pastorale 2002-2004, fasc. 3), pp. 9-23.

[2] Cfr. R. CORTI, Come edificare la Chiesa di Cristo (il racconto e la lezione di sant'Ambrogio), in "Rivista Diocesana Novarese", 82 (1997), 4, pp. 259-272.

[3] Cfr. G. BIFFI, Conversione di Agostino e vita di una Chiesa, in Agostino e la conversione cristiana, Palermo 1987, pp. 23-34.

[4] Conf., VIII, 1.2.

[5] SANT'AMBROGIO, La verginità, 16.99; cfr. Id., Verginità e vedovanza /2, a cura di F. Gori, Milano-Roma 1989 (Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera, 14/2), pp. 78-81.

[6] SANT'AMBROGIO, Caino e Abele, II, 6,22; cfr. Id., Il paradiso terrestre. Caino e Abele. Noè, a cura di P. Siniscalco, Milano-Roma 1989 (Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera, 2/1), pp. 282-283.

[7] C. PASINI, Ambrogio di Milano. Azione e pensiero di un Vescovo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996 (Grandi biografie, 6), p. 192.

[8] SANT'AMBROGIO, Inno Splendor paternae gloriae; cfr. Id., Inni, Iscrizioni, Frammenti, a cura di G. Banterle, G. Biffi, I. Biffi, L. Migliavacca, Milano-Roma 1989 (Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera, 22), pp. 34-37.

[9] Cfr. Conf., IX, 7.15.

[10] Conf., IX, 7.15.

[11] G. BIFFI, Conversione di Agostino e vita di una Chiesa, p. 30.

[12] SANT'AMBROGIO, I sei giorni della creazione, III, 5, 23; cfr. ed. a cura di G. Banterle, Milano-Roma 1979 (Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera, 1), pp. 134-135.

[13] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Operosam diem (1 dicembre 1996, nel XVI centenario della morte di sant'Ambrogio), n. 10; cfr. SANT'AMBROGIO, Expositio ps. CXVIII, XX, 46.

[14] PASINI, Ambrogio di Milano, p. 199.

[15] Cfr. A. TRAPÈ, La Chiesa milanese e la conversione di sant'Agostino, in Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana, IV, Milano 1974 (Archivio ambrosiano, XXVII), pp. 5-24.

[16] PASINI, Ambrogio di Milano, pp. 162-163.

[17] VIGINI, Agostino di Ippona, p. 75.

[18] Conf., IX, 6.14.

[19] Cfr. VIGINI, Agostino di Ippona, p. 73.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] Il luogo in cui avvenne il battesimo di sant'Agostino è la basilica paleocristiana di S. Tecla (prima metà del sec. IV). A fianco dell'abside sant'Ambrogio aveva fatto edificare il Battistero di S. Giovanni alle Fonti, primo battistero ottagonale della cristianità, dal quale deriveranno, fino a tutto il medioevo, numerosi altri edifici analoghi per forma e destinazione (cfr. VIGINI, Agostino di Ippona, p. 74, nota 6).

[23] Ibidem.

[24] Ibidem.

[25] Cfr. S. PAGANI, L'esperienza progressiva di un giovane credente, in Trasmettere ragioni di vita e di speranza, Novara 2003 (Diocesi di Novara - Cammino pastorale 2002-2004, fasc. 4), pp. 9-25.

[26] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, n. 16.