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Percorso : HOME > Scriptorium > Lettera pastorale 2003-2004renato corti: lettera pastorale 2003-2004 "un giovane diventa cristiano"
Pietro Vannucci, detto il Perugino: Agostino (XV sec.)
INTRODUZIONE
"Beato l'uomo che cammina nelle vie del Signore"
Miei cari, in questo decennio tutte le diocesi italiane sono chiamate a compiere «una paziente e coraggiosa revisione di tutto il tessuto pastorale delle nostre comunità dal punto di vista missionario. Ciò significa una vera "conversione pastorale"». [1] Non è detto che si riesca a ripensare punto per punto tutti i capitoli del nostro impegno educativo e pastorale. Qualche passo, però, andrà fatto. Solo così, infatti, corrisponderemo all'impulso che Giovanni Paolo II ci ha dato con la sua magnifica Lettera Apostolica Novo millennio ineunte e far nostro l'invito a «riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1 Cor 9,16)». [2]
La nostra riflessione comunitaria ci ha condotto a dare particolare evidenza, lungo questo decennio, a quattro capitoli. [3] Il primo si riferisce alla comunità fedele che si raccoglie in parrocchia nel giorno del Signore. Essa è chiamata a interpretarsi come un fondamentale anello per la comunicazione del Vangelo. Il secondo capitolo riguarda la comunicazione del Vangelo alle nuove generazioni. Un terzo capitolo consiste nel tenere conto del contesto socio-culturale nel quale ci troviamo e che richiede sempre più ai cristiani una robusta formazione, così che siano aiutati a vivere una fede adulta e pensata. Un ultimo capitolo riguarda la vasta area di battezzati che vivono una labile appartenenza ecclesiale e, forse, anche una debole esperienza di fede. La responsabilità di comunicare il Vangelo ci sospinge ad interessarci, anche in forme nuove, di tutti questi nostri fratelli in Cristo. [4]
Questa Lettera pastorale privilegia il secondo dei sentieri ora indicati. Si tratta di una grande sfida. Ma come potrebbe la Chiesa non affrontarla senza, in tal modo, tradire la missione ricevuta e i giovani stessi? Ma non è solo una sfida; è una scoperta da fare. I giovani, come si dice spesso, sono un problema. È vero. Ma chi non lo è? Non bisogna forse ammettere che gli adulti lo sono talvolta più dei giovani? Peraltro il Papa, con il suo consueto coraggio, ci ricorda che nei giovani si nasconde un importante talento, una grazia per la Chiesa e per la società.[5]
Come vescovo vorrei sostenere questo cammino con tutte le forze e in piena convinzione. L'ho illustrato più volte e non vorrei ripetermi. Sento peraltro doveroso ringraziare vivamente le tante persone che hanno preso sul serio l'iniziativa e vi hanno profuso tempo, fatica, preghiera e amore. Non hanno sbagliato perché, in definitiva, siamo chiamati a rispondere a una domanda cruciale: Chi ama i giovani? Mi piacerebbe, e supplico Dio perché questo avvenga, che in un secondo anno dedicato ancora agli adolescenti e ai giovani, si allarghi e si approfondisca ulteriormente il lavoro avviato.
Il lavoro svolto e quello che ci attende
Sono stati tre i livelli proposti alla riflessione comune.
Alle singole parrocchie ho suggerito di rivisitare il Progetto Emmaus attraverso incontri mensili ai quali invitare giovani e adulti.[6] Seguendo l'indicazione del nostro XX Sinodo, si chiedeva di domandarsi di fronte a Dio quanto l'attuale proposta educativa cristiana lasci emergere l'esperienza dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35). Mi sembra che in molte parrocchie non siano mancati incontri di preghiera. Meno, forse, si è riusciti a dare spazio all'interrogazione profonda sui passi di conversione che tale esperienza suggerisce.
Ad un secondo livello, in maniera piuttosto nascosta, ma non per questo trascurabile, ben nove gruppi di lavoro hanno vissuto mesi di ascolto dei giovani e del loro vissuto reale.[7] Si sono poi domandati che cosa di tutto questo pensi il Signore Gesù Cristo. E infine, stanno cercando di capire quale servizio la Chiesa è chiamata a svolgere, dall'amore del Signore, in favore di un'esperienza di pienezza da parte dei giovani. Ci sono ancora dei passi da fare per arrivare ad alcune conclusioni che possano essere espresse in termini di scelte pastorali. Li compiremo.
Un terzo livello di lavoro è stato vissuto da un'assemblea molto numerosa di laici. Lungo lo scorso anno pastorale essi hanno partecipato a quattro ampi incontri domenicali. Anche le parrocchie più lontane erano presenti. Sono state occasioni preziose di approfondimento e di confronto. Due di questi incontri hanno messo in primo piano la responsabilità degli adulti; altri due sono entrati nel merito dell'esperienza progressiva di un giovane credente e della maniera cristiana di intendere e di sperimentare gli affetti, la corporeità, la sessualità, la relazione uomo-donna. I contenuti di tali incontri sono stati posti all'ordine del giorno degli incontri pastorali dei sacerdoti nei Vicariati. Non vanno lasciati cadere.
Agostino: chi lo ha aiutato a diventare cristiano?
Mi sono chiesto, in queste settimane, quale forma dare a questo mio intervento. Mi sono trovato a pensare che sarebbe stato molto stimolante mettere in primo piano la testimonianza concreta di un giovane che diventa cristiano. Sono molti, nella storia della Chiesa, i giovani che hanno deciso per Cristo. Non c'è generazione che non ne offra qualcuno. Ciò per tutti i secoli che abbiamo alle spalle e anche per questo nostro tempo. Mi sono sentito di privilegiare la testimonianza di un giovane del IV secolo. Il suo nome non è oscuro perché la sua vicenda e i suoi scritti hanno avuto un peso enorme per tutta la storia della Chiesa, e lo hanno tuttora. Mi riferisco a sant'Agostino (354-430 d.C.). Lungo la sua esistenza, la conversione al cristianesimo è stato l'avvenimento più travagliato e, alla fine, più decisivo.[8]
Quando leggo Le Confessioni di Agostino, da lui scritte circa dieci anni dopo la conversione, vedo il suo racconto popolato da riferimenti concreti e soprattutto da persone che hanno avuto un'importanza non sottovalutabile per la sua esperienza intellettuale, morale, spirituale. Vorrei soffermarmi su alcune di queste persone: un vescovo di nome Ambrogio, una madre di nome Monica, un prete di nome Simpliciano, un laico cristiano di nome Ponticiano. Vorrei pure soffermarmi su una comunità, perché anch'essa ha espresso una significativa presenza nella sua vicenda: mi riferisco alla Chiesa di Milano che Ambrogio guidava negli ultimi decenni del secolo IV.
Dopo la conversione, la vita di Agostino è proseguita per molti anni. È stato monaco, prete e vescovo. Mentre aveva vissuto parte della sua giovinezza a Milano, dopo la conversione è ritornato in Africa, a Tagaste (suo paese di origine, città berbera della Numidia, ora Algeria) e a Ippona, dove svolse il suo ministero. Di questo non farò nessun approfondimento. A quei tempi la costa nordafricana faceva parte dell'impero romano. La lingua nella quale egli ha scritto anche Le Confessioni è quella di Roma, cioè il latino. L'essere cittadino dell'impero romano spiega come mai egli dall'Africa sia venuto a Roma e poi anche a Milano che, a quei tempi, era una delle quattro capitali dell'Impero. Ambrogio, prima di diventare vescovo, era la più alta autorità civile come governatore di un territorio vastissimo che comprendeva gran parte delle attuali regioni dell'Italia settentrionale. Mentre in questa nostra epoca sono presenti sul nostro territorio molti nordafricani, è bello pensare che Agostino venga da quelle terre e che proprio là abbia annunciato il Vangelo per circa quarant'anni. Non ha mai avuto vita facile, sia per le difficoltà interne alla Chiesa e i pericoli dell'eresia, sia per i problemi che hanno investito la società. Quando egli morì anche in quell'area dell'impero romano giungevano i Vandali, che stavano assediando Ippona. Iniziava una nuova epoca.
Lasciarci trascinare da lui
Intendo trattare la vicenda singolare della conversione di Agostino soltanto per cenni. Esistono, sull'argomento, moltissimi studi di grande pregio. Chissà che questa lettera pastorale non conduca qualcuno a dire: "Voglio conoscere meglio sant'Agostino!" Sarebbe un bel risultato. La sua esperienza può infatti aiutare i giovani a rileggere se stessi in profondità. Può aiutare le nostre comunità, e in particolare gli adulti, a capire come essere luogo eloquente del Vangelo e della sua reale comunicazione ai giovani perché diventino discepoli di Cristo. Ho fiducia che Agostino offra a tutti noi "un colpo d'ala", di cui abbiamo sempre estremo bisogno, contro il rischio della banalità e dell'impoverimento della nostra umanità.
Pensando a me stesso, mi dovrò in qualche modo lasciare trascinare da lui: dalla sua passione, dal suo tormento, dai suoi ripensamenti, dalle sue lacrime, dalla sua commozione, dal suo coraggio, dalle sue scelte. Mentre scruterò la sua esperienza, vorrò tenere sempre dinanzi agli occhi i giovani della nostra diocesi. Egli, con la sua storia mirabilmente raccontata ne Le Confessioni, ha qualcosa di importante da dire a tutti. Penso, per esempio, ai sacerdoti e soprattutto al fatto che, nella vita della Chiesa di oggi, essi possono incontrare qualche nuovo Agostino nei confronti del quale essere simili a quel prete, di nome Simpliciano, che tanto ha dato a lui. Vorrò avere dinanzi agli occhi mamme e papà, in riferimento alla complicata vicenda familiare di Agostino: anche in questo senso la sua storia può essere detta una storia moderna. Dovrò inoltre pensare a me stesso, in quanto responsabile di una Chiesa particolare: qui infatti ci sono certamente persone che, oggi, aspettano di poter vedere una Chiesa simile, almeno in qualche misura, a quella che ha intimamente ispirato Agostino a chiedere il battesimo e a diventare cristiano.
Sono contento che questa Lettera pastorale ci conduca alla scuola di un santo perché, in questo modo, si stabilisce un collegamento con la Lettera pastorale immediatamente precedente e che era intitolata: Primo, la santità (2001). Chi, più dei santi, può meglio istruirci sulla santità e persuaderci a coltivarla?
***
Inizio a scrivere queste pagine nella festa di san Benedetto (11 luglio). Mi colpisce l'orazione proposta dalla liturgia eucaristica:
O Dio,
concedici di non anteporre nulla
all'amore del Cristo
e di correre con cuore libero
nella via dei tuoi precetti.
[1] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Appendice, 4.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, n. 40.
[3] Cfr. l'Assemblea pastorale diocesana di Pallanza del 25-26 aprile 2002.
[4] Cfr. CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 47;50-51;56-62.
[5] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, n. 40; cfr. anche n. 9.
[6] Cfr. DIOCESI DI NOVARA, Chi ama i giovani? La comunità parrocchiale prega e riflette con i giovani, Novara 2002; cfr. anche R. CORTI, Comunicare il Vangelo alle nuove generazioni. Suggerimenti per l'anno pastorale 2002-2003, Novara 2002.
[7] Gli ambiti approfonditi dai gruppi di lavoro sono i seguenti: giovani e comunità cristiana; giovani, vocazione e scelte di vita; giovani e famiglia; giovani e scuola; giovani e lavoro; giovani e tempo libero; giovani, cittadinanza e impegno socio-politico; giovani, missione, solidarietà e mondialità; giovani e disagio.
[8] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Augustinum Hipponensem, 28 agosto 1986, nel XVI centenario della conversione di sant'Agostino.