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renato corti: lettera pastorale 2003-2004 "un giovane diventa cristiano"

 Affresco di Gunther a Rottenbuch che descrive l'incontro di Agostino con Ponticiano

Agostino incontra Ponticiano: affresco di Gunther a Rottenbuch (1742)

 

 

 

PONTICIANO

"Lo ascoltavamo pieni di stupore"

 

 

Ponticiano? Chi era costui? In effetti molti di noi hanno sentito parlare del vescovo Ambrogio, forse anche della madre di Agostino e (sicuramente meno) di Simpliciano. Di Ponticiano, invece, probabilmente non sappiamo proprio nulla. Eppure nel racconto de Le Confessioni trova largo spazio e non è esagerato dire che anch'egli ha contribuito alla conversione di Agostino. Se la familiarità con Ambrogio e Simpliciano (senza dire di quella con sua madre) era durata a lungo, l'incontro con questo giovane appare quasi del tutto casuale e ristretto nel tempo. In seguito, nel racconto de Le Confessioni, quel personaggio non apparirà più. Ma la grazia passa da dove vuole, anche dagli incontri occasionali e brevi. Essi possono essere più decisivi di quelli che noi diciamo programmati.

 

 

1. ANTONIO E GLI ALTRI

 

 «Un giorno - scrive Agostino - venne a far visita a me e ad Alipio un certo Ponticiano, che ricopriva un'alta carica a palazzo e che era nostro compatriota, in quanto africano come noi: non so bene che cosa volesse [...]. Era un cristiano praticante e spesso, in chiesa, si prostrava dinanzi a te, Dio nostro, per innalzarti la sua lunga e fervente preghiera». [1]

«Non so bene che cosa volesse», sottolinea Agostino. [2] «Ci mettemmo a sedere per parlare, e, per caso, gli cadde l'occhio su un libro posato sopra un tavolo da gioco dinanzi a noi: lo prese, lo aprì e, con sua grande meraviglia, trovò che erano le lettere dell'apostolo Paolo, mentre si aspettava che fosse uno di quei libri che mi davo tanta pena a commentare a scuola. Allora, guardandomi, mi sorrise e si congratulò con me, dicendosi sorpreso di avere inaspettatamente trovato davanti ai miei occhi quel libro, e quel libro solo». [3]

 

E così la conversazione diventò un racconto. A una a una, venivano fatte emergere diverse testimonianze. Già Simpliciano aveva seguito questa pista, nei colloqui con Agostino. Qui la si riprende ancora. Più che alle parole ci si affida ai fatti.

Dalle lettere di Paolo il dialogo, continua Agostino, si diresse su Antonio, «il monaco egiziano che godeva di grande fama ma che noi, fino a quel momento, non conoscevamo ancora. Non appena se ne rese conto, si infervorò nel racconto per cercare di istruirci e manifestando la sua sorpresa per la nostra ignoranza. Lo ascoltavamo pieni di stupore». [4]

 

Monaci a Milano, monaci a Treviri

Da Antonio il discorso si spostò sulle comunità dei monasteri a cominciare da quello che si trovava «nella stessa Milano, fuori dalle mura [...], in cui vivevano dei bravi fratelli, e noi non lo sapevamo».[5] Perciò, mentre Ponticiano continuava il racconto, «noi, tutti attenti, lo ascoltavamo in silenzio». Dal monastero di Milano, Ponticiano condusse con le sue parole anche molto lontano da lì: a Treviri, una delle capitali dell'impero romano con Valentiniano I. Egli ricordava che alcuni suoi colleghi, personaggi dunque della corte, tempo addietro «erano andati a far quattro passi nei giardini attigui alle mura, un giorno nel quale l'imperatore era trattenuto al circo per lo spettacolo pomeridiano. Se ne andavano casualmente in giro a due a due, quando ad un certo punto lui e un amico presero una strada, gli altri due un'altra. Questi ultimi, girando di qua e di là, finirono in una casupola abitata da alcuni tuoi servi, quei poveri nello spirito ai quali appartiene il regno dei cieli. Lì trovarono un libro che raccontava la vita di Antonio; uno di loro cominciò a leggerlo». Subito si sentì profondamente interpellato e disse all'altro: «Che cosa speriamo di ottenere con questi sacrifici? Che cosa cerchiamo? Per quale causa stiamo lottando?». [6] Andando avanti nella lettura «fu preso da ammirazione ed entusiasmo, tanto che già meditava di abbracciare quella vita e di abbandonare la milizia del mondo per servire Te». [7] E così infatti avvenne: l'uno e l'altro abbandonarono tutto per consacrarsi al Signore. A nulla valse che Ponticiano li invitasse a ritornare a palazzo. Oramai avevano deciso.

 

La tempesta, le lacrime, la luce

Gli esempi raccontati da Ponticiano erano assolutamente impensabili per Agostino. Era impensabile che nella vita della Chiesa cattolica esistesse il miracoloso dinamismo della vita consacrata e che ciò non riguardasse il passato remoto, bensì «un'epoca così vicina quasi a noi contemporanea». [8] Impensabile che avvenisse nel centro dell'impero. Impensabile che avvenisse nella stessa città di Milano, e dunque vicino anche nello spazio, oltre che nel tempo. Impensabile che tutto ciò riguardasse personaggi importanti, già affermati nella vita. Impensabile che ciò coinvolgesse persino le loro fidanzate. [9] Tutto questo sconvolse interiormente Agostino e costituì, forse, lo stimolo definitivo per la soluzione del suo dramma interiore.

Egli si sentì seriamente posto di fronte a se stesso: «Tu, Signore, mentre [Ponticiano] parlava, ricacciavi me in me stesso, scrollandomi da dietro le spalle dove mi ero sistemato per non guardarmi, mettendomi davanti al mio volto [...]. Mi ponevi di fronte a me stesso e mi spingevi davanti ai miei occhi per mettermi faccia a faccia con la mia malvagità». [10] Anzi, le parole di Ponticiano conducevano Agostino a rodersi dentro di sé: «Eran come colpi di frusta le parole con cui percuotevo la mia anima». [11] Provocavano una «furibonda lotta [...] nella stanza più segreta». [12] L'amico Alipio assisteva alla scena «sbigottito e senza parole» [13] e fissava Agostino in silenzio. Ad esprimere lo stato d'animo di Agostino erano «il volto, le guance, gli occhi, il colore del viso, il tono della voce». [14]

Certamente Ponticiano non immaginava di provocare una simile tempesta. Agostino si ritirò in un piccolo giardino che era a sua disposizione, come lo era tutta quanta la casa nella quale in quel giorno si trovavano, non essendo abitata dal padrone che li ospitava. [15] Quello non fu certo un giorno qualunque. Maturò infatti in Agostino la decisione di servire Dio. Da tempo egli se lo era proposto, ma lo aveva sempre rimandato. Era trattenuto da catene che oramai erano un filo sottile e che, tuttavia, invece che spezzarsi definitivamente, avrebbero potuto riprendere consistenza e tenerlo legato più stretto di prima. «Quando infine, dopo un'approfondita meditazione, ebbi la forza di far emergere dal fondo segreto di me stesso e di radunare davanti agli occhi del mio cuore tutta la mia miseria, l'anima mia fu scossa da una grande tempesta che provocò un'abbondante pioggia di lacrime. E per potermi completamente abbandonare al pianto e ai singhiozzi, mi alzai e mi allontanai da Alipio [...] e me ne andai in un luogo più appartato [...]. Strariparono allora i fiumi dei miei occhi, sacrificio a te gradito, e il mio cuore si confidò a lungo con te». [16]

 

"Prendi e leggi, prendi e leggi"

«Mentre dicevo queste cose e piangevo, ad un tratto mi parve di udire da una casa vicina una voce - di bambino o di bambina, non saprei dire - che cantava ripetendo più volte: prendi, leggi, prendi, leggi [...]. Trattenendo le lacrime, mi alzai, convinto che l'unico ordine che mi era stato impartito dal cielo era di aprire il libro e di leggere il primo capitolo che mi fosse capitato davanti. Mi era stato detto, in realtà, che proprio da una lettura del Vangelo alla quale aveva assistito per caso, Antonio si era sentito personalmente investire dall'esortazione di queste parole: va', vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi. Parole che ebbero subito l'effetto di convertirlo a te. Corsi allora verso il luogo dove era seduto Alipio perché là avevo lasciato il libro dell'apostolo. Lo presi in mano, lo aprii e, in silenzio, lessi il primo brano che mi cadde sotto gli occhi: "Non state nelle gozzoviglie, nelle orge, non nelle lussurie e nelle impudicizie, non nei litigi e nelle gelosie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo". Non volli leggere altro, né altro era necessario. Perché, dopo aver letto queste ultime parole, tutte le tenebre del dubbio scomparvero, come se il mio cuore fosse stato inondato da una luce di certezza» [17].

 

 

2. UNA REALTÀ IGNOTA E STUPEFACENTE

 

Un angelo di Dio

Agostino non poteva saperlo. E tuttavia, in quel giorno Ponticiano era un angelo inviato da Dio per fargli un annuncio. Nemmeno Ponticiano sapeva di essere un tale angelo. Ma così è. Ad Agostino, immerso nel travaglio della conversione, in modo del tutto inconsapevole quel giovane svela la sua vocazione futura. Diventerà cristiano. E non è tutto: la forma futura della sua esperienza cristiana sarà quella della consacrazione totale a Dio nella vita monastica. Una prospettiva che, in quel momento, era del tutto estranea al suo orizzonte mentale e al suo comportamento morale.

Ma quando mai noi sappiamo se una circostanza è importante o secondaria, decisiva o inutile? E quando, già preventivamente, possiamo prendere alla leggera circostanze e incontri come se fossero sicuramente secondari, se non del tutto inutili? La nostra stessa esperienza personale non ci dice forse che un incontro normale (o casuale) può diventare il luogo inedito di una grande scoperta? Le "occasioni di Dio" le conosce Dio. Noi le possiamo riconoscere più tardi (e nemmeno questo sempre avviene). Quello che a noi tocca è solo di "stare all'erta", come la sentinella, per non perdere nessuna opportunità. Soprattutto per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani (e i loro educatori) è fondamentale coltivare un atteggiamento di questo genere. La giovinezza è infatti un'età della vita nella quale, più che in altre, giunge inaspettatamente il giorno nel quale si può decidere per intero il futuro.

 

Una questione tutt'altro che banale: il senso della vita

C'è un aspetto, nel dialogo di Ponticiano con Agostino, che merita particolare riflessione. Una lettura distratta e affrettata de Le Confessioni ci potrebbe indurre a una banalizzazione della storia raccontata e quasi a sorriderne, se non addirittura ad avere compassione di coloro che ne sono stati i protagonisti. Ma il ricordo che Agostino ne fa riemergere ha ben altro spessore. Coloro dei quali Ponticiano parlava erano dei giovani che si ponevano la domanda sul senso della vita e su ciò che veramente vale per la vita dell'uomo. Se la ponevano anche se, guardando alla loro condizione sociale, potevano ritenersi molto fortunati rispetto ad altre persone. Avevano infatti un posto sicuro di lavoro e un'invidiabile responsabilità negli uffici della corte imperiale. Ma essi capivano che, quand'anche avessero potuto avere tutto, il problema del senso della vita rimaneva scoperto e le esigenze profonde del cuore dovevano ancora attendere. Tale grande sensibilità esistenziale ha reso interessante per loro l'incontro con alcuni giovani dedicati totalmente a Dio.

Questa sensibilità abitava da anni anche Agostino, [18] e in una misura che Ponticiano forse non poteva sospettare. Così come non poteva prevedere la deflagrazione che il suo racconto avrebbe provocato. In quegli anni Agostino era impegnato in una ricerca difficile, chiedendosi se mai ci fosse una via che porta alla verità sulla vita dell'uomo. Era anche coinvolto in un travaglio morale dal quale non immaginava di poter uscire, e dal quale nemmeno voleva uscire, rimandando sempre e per diverse ragioni una decisione: era il travaglio correlativo al dominio delle passioni che imperversavano con potenza dentro di lui. Nulla perciò lo poteva colpire e affascinare, più di chi era arrivato a prendere coraggiosamente posizione, mettendo in gioco fino in fondo, a causa di Dio, la propria vita. Perciò l'incontro con Ponticiano, probabilmente non ultimo come importanza tra quelli ricordati fin qui, ha agito come un catalizzatore provocando una nuova sintesi nella vita di Agostino.

Una sintesi che lo condurrà ad essere, a suo modo, un monaco; e ad esserlo anche quando verrà consacrato prete e vescovo. L'esperienza monastica che «nei secoli prenderà varie forme a seconda dei fondatori e delle condizioni storiche, esprime una saggezza nel mondo prima che una trasformazione del mondo, pur avendo cura di esso. Si situa sul piano delle finalità, non sul piano dei mezzi, della sapienza offerta al mondo, non della competitività con il mondo». [19]

In tale direzione anche oggi deve sporgersi, e con forza, la vita consacrata per chiamare in causa i giovani. Essi devono vedere uomini e donne che, a causa di Dio, sono pronti a lasciare tutto, certi di trovare in lui il tesoro che non sta altrove. In questo senso, ciò che può parere del tutto contro corrente è anche il dato più affascinante. Al contrario, la caduta di tensione a questo livello segreto e profondo, infiacchirebbe inesorabilmente tutto il resto e lo renderebbe prevedibilmente grigio, vecchio, poco meritevole di attenzione. Perciò la vita monastica può essere considerata un significativo riferimento per tutte le forme di vita consacrata, e anzi per tutti i cristiani. E lo è semplicemente perché ricorda agli Ordini e alle Congregazioni religiose che «tutta l'antica tradizione ha visto nel monaco nient'altro che un cristiano che cerca di vivere in pienezza la vocazione cristiana». [20]

 Le cosiddette forme di vita religiosa attiva sono diverse da quella contemplativa solo secondariamente. E il segreto per vivere bene l'esperienza "attiva" è di intenderla come espressione molteplice di quell'unica intuizione di fondo.

 

Pensando ai giovani di oggi

Peraltro, il giovane Agostino, problematico com'era, ci sospinge a non aver paura del fatto che i giovani si pongano domande di fondo sull'esistenza. Dovremmo anzi dire: "Meno male che se le pongono!". Sono infatti proprio le domande che, come ho già rimarcato nel capitolo dedicato a Simpliciano, vanno suscitate e tenute vive. È forse il caso di riaffermare che il guaio vero per i giovani sarebbe quello di una vita ridotta all'effimero, a una costante ricaduta dal nulla nel nulla, di un presente che non ha vero futuro, di un'esistenza nella quale non abita la ricerca appassionata della verità e della bellezza.

Agostino incoraggia anche a non dare per perduti gli adolescenti e i giovani quando sembrano letteralmente travolti dalle passioni, e vogliono (più o meno consapevolmente) esserne travolti e non venirne liberati. È proprio questa l'esperienza che Agostino ha vissuto per tanti anni. [21] Per grazia di Dio è giunto al giorno della liberazione. E ciò non ha voluto dire cancellazione delle passioni, ma una loro valorizzazione. Ciò ha potuto avvenire non lasciando le passioni in un mondo a sé stante, ma collocandole in un orizzonte di amore, di verità e libertà. A questa meta possono giungere anche i giovani di oggi riscoprendo con profondità antropologica la realtà dei sentimenti, degli affetti, della corporeità, della sessualità, e detestando come tradimento di se stessi ogni appiattimento sulla pura istintualità, sul piacere per il piacere, su un amore puramente possessivo. C'è qualcosa di molto più bello e grande che essi possono sperimentare. A questa ricchezza di umanità può condurre una virtù morale oggi dimenticata e addirittura derisa. Di essa ha parlato recentemente Giovanni Paolo II in occasione del centenario della morte di Maria Goretti: «Oggi si esaltano spesso il piacere, l'egoismo o addirittura l'immoralità, in nome dei falsi ideali di libertà e di felicità. Bisogna riaffermare con chiarezza che la purezza del cuore e del corpo va difesa perché la castità "custodisce" l'amore autentico». [22]

 

 Altri tempi?

Qualcuno potrebbe obiettare: "Altri tempi!". Ma è proprio vero che il IV secolo era del tutto diverso dal nostro? Anche ad Agostino pareva, allora, che quanto veniva raccontato appartenesse a "un altro mondo". Tuttavia, se Dio ha saputo suscitare allora l'esperienza straordinaria della vita consacrata, non sarà capace di farla fiorire anche oggi? Se allora dei giovani e delle ragazze hanno abbracciato la scelta della vita consacrata, perché mai una simile "scandalosa" avventura non potrebbe ripetersi in questa nostra società e cultura, apertamente pagana? Perché non presentare anche noi, almeno qualche volta, la testimonianza di coloro che oggi intraprendono quella strada così "strana"? Perché non assumerci il compito di svolgere la parte di Ponticiano nell'incontro con i ragazzi, gli adolescenti e i giovani? Chi mai può sapere se ad ascoltarci non vi sia qualche "Agostino" che, proprio attraverso antichi e nuovi testimoni, può trovare la chiave di lettura più appropriata per decidere sul proprio futuro?

 

E i laici?

In tutto il suo racconto Ponticiano non parla di se stesso. Il suo compito provvidenziale, in quel momento, era un altro. Né Agostino dà spazio ad un ragionamento sull'esperienza che, come uomo di corte, impegnato nell'amministrazione dello Stato, Ponticiano stava compiendo. Possiamo dispiacerci di questa lacuna. Sarebbe stato certamente interessante per noi sapere come un cristiano affrontava la responsabilità personale all'interno di una "macchina" che molto probabilmente obbediva a criteri lontani dalla logica del Vangelo (anche se il diritto romano era da considerare una grande conquista in ordine alla regolazione della giustizia).

Emerge però, nelle pagine de Le Confessioni, una piccola osservazione preziosa. Ponticiano viveva da cristiano proprio dentro quel contesto, non nascondeva la sua appartenenza alla Chiesa e sosteneva il suo compito di testimone con una seria esperienza di preghiera: non temeva infatti di prostrarsi davanti a Dio. E così, sia pure con molta discrezione, Le Confessioni di Agostino offrono ai fedeli laici di oggi l'esempio di un cristiano del IV secolo che, in una società ancora largamente pagana, viveva la vita pubblica come discepolo di Cristo.

 

[1] Conf., VIII, 6.14.

[2] Conf., VIII, 6.14.

[3] Conf., VIII, 6.14.

[4] Conf., VIII, 6.14.

[5] Conf., VIII, 6.15.

[6] Conf., VIII, 6.15.

[7] Conf., VIII, 6.15.

[8] Conf., VIII, 6.14.

[9] Cfr. Conf., VIII, 6.15.

[10] Conf., VIII, 7.16.

[11] Conf., VIII, 7.18.

[12] Conf., VIII, 8.19.

[13] Conf., VIII, 8.19.

[14] Conf., VIII, 8.19.

[15] Cfr. Conf., VIII, 8.19.

[16] Conf., VIII, 12.28.

[17] Conf., VIII, 12.29. Newman, in un momento cruciale della sua vita e del suo cammino verso la Chiesa cattolica, troverà in Agostino un riferimento decisivo. Citerà esplicitamente il tolle, lege, tolle, lege de Le Confessioni (cfr. J.H. NEWMAN, Apologia pro vita sua, cap. III, Milano 2001, p. 257).

[18] A questo riguardo è stato per lui molto importante l'incontro fatto, già attorno ai diciannove anni, con l'Ortensio di Cicerone: "Nel mio cuore divampò un'incredibile passione per la sapienza" (Conf., III, 4.8).

[19] CAPRIOLI, La conversione, pp. 81-84.

[20] Ibidem.

[21] Cfr. Conf., II, 10.18.

[22] GIOVANNI PAOLO II, Angelus, in "L'Osservatore Romano", 7-8 luglio 2003, p. 5.