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 Cenacolo agostiniano

Mosaico della villa del dominus Iulius a Cartagine nel IV-V sec.

Mosaico della villa del dominus Iulius a Cartagine nel IV-V sec.

 

 

Il Cenacolo agostiniano a rus Cassiciacum

 

Agostino non si recò a Cassiciaco da solo, ma, come spesso accadeva nel IV secolo, si mosse assieme a conoscenti e amici, per il gusto della compagnia e per evitare disagi e lungaggini nel viaggio. La loro presenza e il lungo soggiorno a Cassiciaco si spiegano anche in ragione del tentativo di formare una comunità cristiana fra amici, dalla quale tuttavia restò escluso l'inquieto Verecondo, che generosamente si offrì di ospitarli.

I Dialoghi ci descrivono il cammino intrapreso da questa piccola società, che, come era nei suoi piani, non si sciolse alla fine delle vacanze. Infatti Agostino al termine delle ferie vendemmiali avvertì i milanesi di provvedersi d'un altro insegnante per i loro studenti, poiché non era più in grado di esercitare quella professione, per le difficoltà di respirazione e i dolori ai polmoni manifestatesi durante quella medesima estate con una sintomatologia preoccupante. In realtà Agostino esagerò la gravità della sua malattia per potersi liberare con una scusa dagli impegni del foro, avendo ormai scelto di passare al servizio di Dio. Preparandosi al battesimo nella tranquillità della campagna, assieme agli amici, dispose l'animo ad accogliere la parola divina, approfondendo e risolvendo numerosi problemi filosofici, che lo avevano sempre tormentato nella giovinezza. Nella sua villa assieme ad Agostino soggiornarono la madre Monica, il figlio Adeodato, il fratello maggiore Navigio, i cugini Rustico e Lastidiano, i discepoli Trigezio e Licenzio, tutti presenti in occasione del suo compleanno il 13 novembre 386 d. C. e inoltre l'amico Alipio.

In gran parte intervengono tutti, con diversa autorità filosofica, nei discorsi, che formano gli argomenti dei Dialoghi, dai quali emergono le loro personalità e qualche rara notizia sulla loro vita.

Più volte Agostino parla della madre con affetto. A Cassiciaco ella partecipa alle discussioni e interviene attivamente in diverse occasioni. Era nata a Tagaste nel 331 e morì a Ostia nel 387 poco prima del rientro in Africa.

Adeodato era dotato di notevole intelligenza, ma piuttosto malato. Morì appena diciassettenne nel 389 quasi sicuramente a Tagaste.

Navigio in quei mesi era ammalato e soffriva di dolori alla milza o al fegato. Venuto in Italia assieme alla madre Monica, era il fratello maggiore di Agostino. Ebbe probabilmente un figlio, Patricius come il nonno, ordinato sacerdote a Ippona e diverse figlie, che entrarono nel monastero della loro zia, una sorella di Agostino, che, divenuta vedova, diresse una comunità di religiose a Ippona.

Poco sappiamo di Rustico e Lastidiano Lartidiano, come riporta un codice dell'Ambrosiana e lo Knöll. Essi sono ricordati sempre solo marginalmente. Dotato di una più spiccata personalità era Trigezio, un discepolo e concittadino di Agostino, amante della storia e discreto interlocutore nelle discussioni.

Poco più che ventenne, aveva appena concluso il servizio militare (C. acad. 1, 1, 4). Era coetaneo di Licenzio, il figlio di Romaniano, ricco cittadino di Tagaste, che fu amico e mecenate di Agostino dopo la morte del padre. Al suo benefattore, con il quale a Milano nel 385 d. C. aveva progettato di ritirarsi a vivere in pace lontano dalla folla, così come stava realizzando ora a Cassiciaco, Agostino riservò sempre sinceri apprezzamenti di lode, tanto da dedicargli il Contra Academicos.

Licenzio aveva in particolare predisposizione per le lettere e la poesia (C. acad. 2, 3, 7 e 4, 10), nonchè singolari capacità di intuizione. Dei presenti a Cassiciaco, il grande amico di Agostino fu comunque Alipio, benchè di lui più giovane. Era anch'egli di Tagaste, apparteneva ad una famiglia di rango ed era stato suo scolaro anche a Cartagine.

Precedette Agostino a Roma per dedicarsi agli studi di diritto e con lui, obbedendo alla volontà dei genitori, si portò a Milano. Come Agostino anche Alipio aderì dapprima al manicheismo, dopodichè si convertì al cristianesimo ricevendo il battesimo a Milano. Nel 394 d. C. divenne vescovo di Tagaste, l'odierna Souk-Ahras e, dopo un'intensa attività pastorale, morì qualche anno dopo l'amico. Fu acclamato santo e la sua festa viene celebrata dalla Chiesa il 13 agosto.

Con ogni probabilità altri amici fecero occasionalmente visita ad Agostino a Cassiciaco, fra cui forse Romaniano (C. acad. 2, 3, 8) e Verecondo (De Ord. 1, 2, 5). Quest'ultimo era un cittadino milanese, maestro di grammatica e molto amico di Agostino. Era schiettamente generoso verso tutti, ma particolarmente verso Agostino e i suoi amici africani, ai quali richiese in nome dell'amicizia quell'aiuto fedele di cui mancava.

Nebridio, un letterato di vasta cultura nativo di Cartagine, accondiscese soavemente alle richieste degli amici diventando suo assistente. Verecondo, pagano ma sposato con una donna cristiana, in quel tempo era consumato dall'inquietudine, poichè non poteva partecipare alle progettate esperienze di vita comune cristiana, fra Agostino e amici, verso le quali si sentiva attratto. Non potendo realizzarle nei modi che appunto gli erano preclusi, preferiva piuttosto restare pagano, rattristato in cuor suo, benché consolato ed esortato da Agostino all'osservanza fedele dei suoi doveri verso la vita coniugale.

 

 

Idibus novembribus mihi natalis dies erat: post tam tenue prandium, ut ab eo nihil ingeniorum impediretur, omnes qui simul non modo illo die, sed quotidie convivabamur, in balneas ad consedendum vocavi; nam is tempori aptus locus secretus occorrerat. Erant autem (non enim vereor eos singulari benignitati tuae notos interim nominibus facere) in primis nostra mater, cuius meriti credo esse omne quod vivo, Navigius frater meus, Trygetius et Licentius, cives et discipuli mei; Lastidianum et Rusticum consobrinos meos, quamvis nullum vel grammaticum passi sint, deesse volui, ipsumque eorum sensum communem, ad rem quam moliebar, necessarium putavi. Erat etiam nobiscum aetate minimus omnium, sed cuius ingenium, si amore non fallor, magnum quiddam pollicetur, Adeodatus filius meus.

 

De Beata Vita 1, 6

Il tredici novembre ricorreva il mio compleanno. Dopo un pranzo tanto frugale che non impedì il lavoro della mente, feci adunare nella sala delle terme tutti coloro che non solo quel giorno ma ogni giorno convivevano con me. S'era presentato come luogo appartato, adatto all'occorrenza. Partecipavano e non ho timore di presentarli per ora con i soli nomi alla singolare tua benevolenza, prima di tutto mia madre, ai cui meriti spetta, come credo, tutto quello che sto vivendo, Navigio mio fratello, Trigezio e Licenzio miei concittadini e discepoli. Volli che non mancassero neanche Lastidiano e Rustico, miei cugini, sebbene non avessero frequentato neppure il maestro di grammatica. Ritenni che il loro buon senso fosse sufficiente all'argomento che intendevo trattare. Con noi era anche mio figlio Adeodato, il più piccolo di tutti. Egli ha tuttavia un ingegno che, salvo errore dovuto all'affetto, promette grandi cose.