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CICLo AGOSTINIANo di Bartolomè Esteban Murillo a Siviglia

Autoritratto di Murillo (1670-1673)

Autoritratto di Murillo (1670-1673)

 

 

BARTOLOME' ESTEBAN MURILLO

1678

Le Tavole di Murillo per il convento di San Leandro a Siviglia

 

Episodi della vita di sant'Agostino

 

 

 

BARTOLOMÉ ESTEBAN MURILLO (1617-1682)

 

Il pittore che fu variamente definito il Raffaello e il van Dyck dell' arte spagnola Sul cadere dell'anno 1617, nacque a Siviglia - dove Velazquez e Zurbaran avevano appena ultimato la loro preparazione artistica - Bartolomé Esteban Murillo: suo padre, Gaspar Esteban, e sua madre, Maria Pérez, lo fecero battezzare i il giorno di Capodanno 1618. A soli tre anni d'età, il piccolo rimase orfano e fu affidato alle cure d'uno zio, nella cui casa egli poté poi dar libero sfogo alla propria inclinazione per la pittura. Cominciò quindi a dipingere - ad acquarello o a tempera su sottili tele - quadri a soggetto religioso che riusciva a vendere nelle fiere sivigliane o ad esportare nel Sud America e tale piccolo commercio continuò sin quando lo zio non lo pose a studiare presso il pittore Juan del Castillo, altro suo parente e maestro, altresì, di Alonso Cano. Ivi Murillo profittò sia sotto il profilo teorico che nella pratica del disegno e della pittura, per cui, quando il Castillo partì per Cadice, il suo allievo ebbe l'incarico di soddisfare tutte le ordinazioni di quadri dai soggetti popolari che provenissero dai mercanti. Il 26 febbraio 1645, nella stessa chiesa sivigliana di S. Maria Maddalena in cui era stato battezzato, Murillo contrasse matrimonio con Beatriz de Cabrera, ereditiera piuttosto abbiente e proprietaria terriera nei pressi della città di Pilas, sua patria.

Il pittore, in quel tempo, realizzò le sue prime opere di successo, dipingendo, nel 1645-46, undici quadri per il chiostro piccolo del convento di S. Francesco a Siviglia. Egli ambiva assai viaggiare ma era troppo orgoglioso per chiedere in prestito alla consorte il denaro occorrente: acquistò quindi delle grandi tele e le ridusse in piccole parti dipingendovi tutta una serie di sacre miniature che cedette ad un navigatore in partenza per le Indie occidentali. Tale produzione di serie non giovava però alla qualità della sua pittura, avviata alla conquista di preziosi valori stilistici; inoltre si dubita che Murillo potesse mai allontanarsi da Madrid, vincolato com'era al suo studio per pressanti motivi di lavoro. Tuttavia gli fu possibile aprire una bottega anche a Siviglia, come, del resto, era nelle consuetudini di tutti i pittori spagnoli di rilievo del tempo. Pertanto gli giunsero commissioni così numerose da costringerlo ad assumere parecchi assistenti, ai quali impartì la propria lezione con l'amabilità che gli era naturale.

Il realismo delle sue Madonne, delle immagini di monelli o di mendichi, dei ritratti o dei Santi - le Madonne sono belle e giovani ragazze andaluse, S. Isidoro e S. Leandro della Cattedrale di Siviglia (1655) sono le effigi colte al naturale di due dotti dell'epoca - è temperato da un aggraziato e seducente senso di tenerezza. Gli eccessi d'un virtuosismo eccezionale, lo portarono tuttavia a far degenerare tale suo gusto per la realtà in un facile sentimentalismo, tuttavia la sua bravura resta l'elemento unificatore della sua produzione così vasta; dal Ribera egli aveva tratto lo spunto per una plasticità delle forme ottenuta mediante il sapiente gioco delle luci e delle ombre, senza con ciò ricondursi alla secchezza d'uno Zurbaran: infatti un tal gioco di contrasti conserva in Murillo calore ed armonia, mentre la sua tavolozza, ispirata ai coloristi veneziani e fiamminghi, appare delicata e sensitiva.

Un'ulteriore prova della sua paziente mitezza di carattere, egli la fornì col suo progetto di una pubblica accademia di pittura a Siviglia, per attuar la quale - e per convincere gli altri artisti a collaborare con lui anche sul piano finanziario - dovette smorzare la gelosia professionale e gli astiosi atteggiamenti di Juan de Valdés Leal e del giovane Francisco Herrera. L' 11 gennaio 1660, finalmente, i corsi dell'accademia poterono essere inaugurati negli edifici municipali, essendo diretti dallo stesso Murillo e da Herrera, mentre Valdés Leal assolveva le funzioni di tesoriere; Murillo, inoltre, tenne pubbliche lezioni di disegno anatomico e di nudo, il che costituiva un fatto senza precedenti a Siviglia. Nel 1662, poi, l'artista chiese di essere accolto nella Confraternita della Carità - sempre a Siviglia -, una congregazione fondata un secolo e mezzo avanti con lo scopo di aiutare i poveri e di seppellire i defunti. Vi fu ammesso dopo lunga inchiesta e più tardi a lui e al Valdés fu affidato l'incarico di decorarne la chiesa, allora ricostruita. Quantunque Murillo avesse, a quel punto, conseguito un'immensa popolarità, egli non mutò atteggiamento nei confronti della vita e dell'arte e quando una sua Immacolata Concezione fu presentata a Madrid in occasione della festa del Corpus Domini, nel 1670, egli rifiutò un invito a corte, prendendo a pretesto la propria età troppo avanzata. Dodici anni dopo l'artista si recò a Cadice per dipingervi un grande quadro con Le nozze mistiche di S. Caterina per il locale convento dei Cappuccini, ma durante il lavoro il pittore cadde con gravi conseguenze, per cui fu ricondotto a Siviglia assai scosso nel fisico e nella mente: si recava allora assai spesso nella chiesa della S. Croce, vicino a casa sua, sostandovi lungamente in preghiera davanti al dipinto con La deposizione dalla croce; chiedendogli il sagrestano perchè mai egli trascorresse tanto tempo in quel luogo, Murillo rispose che stava aspettando che i santi gentiluomini finissero di calar Cristo dalla Croce.

Il pittore si spense di lì a poco, il 3 aprile 1682, e fu sepolto nella cappella della stessa chiesa, proprio dove è appeso un suo quadro. Lasciò una grande fortuna ai suoi due figli ecclesiastici, l'uno, Gabriele, sacerdote in America, l'altro, Gaspare, canonico a Siviglia ed anch'egli pittore. Benchè Murillo non avesse mai varcato i confini della Spagna, i suoi quadri erano talmente richiesti all'estero che re Carlo IV ordinò ai funzionari della dogana di non lasciarli passare, senza con ciò poterne impedire del tutto l'esportazione più o meno clandestina. Grandissima fu l'influenza ch'egli esercitò sulla Scuola di Siviglia, un'influenza che pur modificandosi in seguito perdurò sostanzialmente per un secolo e mezzo.