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PITTORI: Luca Giordano

Agostino e Monica in estasi nel Convento madrileno de l'Encarnacion

Agostino e Monica in estasi

 

 

GIORDANO LUCA

1657

Madrid, Monastero de la Encarnaciòn, Portineria Regolare

 

Agostino e Monica in estasi a Ostia antica

 

 

 

Questa magnifica tela opera di Luca Giordano, che raffigura sant'Agostino assieme a sua madre Monica, si trova nella sala della Portineria regolare all'entrata del monastero de l'Encarnaciòn a Madrid. Il santo è stato vestito con i paramenti episcopali. La mitra è tenuta in mano da un angioletto che volteggia in cielo assieme ad altri due. Giordano ha tuttavia ben evidenziato la nera tunica dei monaci agostiniani secondo una consuetudine consolidata nell'Ordine che vuole così riaffermare la sua stretta dipendenza da Agostino quale fondatore. Il santo porta ai fianchi anche la tipica cintura in cuoio che caratterizza i monaci dell'ordine agostiniano. Anche Monica, che gli sta di fronte è abbigliata come una monaca agostiniana in fervente preghiera.

La mano destra Agostino è stesa verso il fedele quasi ad accompagnare il gesto che sta per compiere. Con la mano sinistra sta offrendo il suo cuore trafitto da una freccia, simbolo di amore per la Trinità che appare fra le nuvole in alto in una luce molto luminosa. Agostino ha un aspetto ancora giovanile, calvo con una folta barba nera riccioluta che gli cade fino sul petto.

Stranamente Giordano ha dipinto Monica più giovane del figlio. La scena è un insieme di piccole scene ciascuna con una propria simbologia che richiama a specifici episodi ben descritti nella iconografia agostiniana. Il cuore fiammante richiama il grande desiderio di Dio di Agostino, c'è spazio anche al mistero della Trinità, e infine, la scena predominante si accentra sulle figura di Agostino e Monica, che sembrano rivivere l'ascesa al cielo che provarono durante l'estasi di Ostia.

 

Alcune delle pagine più belle delle Confessioni sono dedicate da Agostino al commosso ricordo della madre Monica. In particolare, è rimasto famoso l'episodio della cosiddetta "estasi di Ostia", un'esperienza mistica che i due ebbero a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

 

Luca Giordano

Luca Giordano (Napoli, 1634-1705) è stato attivo soprattutto a Napoli, Firenze, Madrid e Roma. Luca Giordano nacque a Napoli da Antonio, mediocre pittore, e da Isabella Imparato. I biografi del tempo riferiscono che il padre lo mandava a disegnare le opere più rare delle chiese e delle gallerie di Napoli. Infine lo condusse con sé a Roma per fargli studiare le opere classiche e quelle degli artisti insigni. Luca Giordano è conosciuto anche con il soprannome di "Luca Fa presto", che gli venne dato quando stava lavorando nella Chiesa di Santa Maria del Pianto a Napoli dato che riuscì a dipingere in soli due giorni le tele della crociera. Veniva chiamato così anche per la sua sorprendente velocità nel copiare i grandi maestri del Cinquecento, tra cui Raffaello e Annibale Carracci, Giovanni Lanfranco e Pietro da Cortona. Luca Giordano è a tutt'oggi uno dei pittori più prolifici che siano mai esistiti, poiché ha al suo attivo circa 3000 dipinti distribuiti in moltissimi paesi del mondo. Alcuni di essi appartenenti a musei, altri a chiese, altri a collezionisti privati. Nelle sue opere Luca Giordano sembra voler ripercorrere l'itinerario della pittura a Napoli nel primo periodo del Seicento, con l'interesse per il naturalismo post-caravaggesco e con la replica puntuale di Ribera, quando dalla fase vigorosamente naturalista passa a quella dell'impreziosimento cromatico e dell'intenerimento espressivo. Mantenne tuttavia una sua personale disponibilità, tramite il contatto con i nuovi filoni veronesiani e correggeschi, a sperimentare, nella capitale del vicereame, le nuove tendenze barocche in pittura senza negarsi nei suoi lavori i contributi di altre esperienze pittoriche.