Contenuto
Percorso : HOME > Scriptorium > BelottiGiulio Belotti: L'educazione in sant'Agostino
Milano: Agostino illuminato dalla grazia divina
Capitolo 9
CONVERSIONE ALLA FILOSOFIA DI SANT'AGOSTINO
di Giulio Belotti
"Ego ab usque unde vicesimo anno
aetatis meae, postquam in schola
rhetoris librum illum Ciceronis,
qui Hortensius vocatur, accepi,
tanto amore philosophiae succensus sum,
ut statim ad eam me transferre meditarer."
(De beata vita, I, 4, col. 355)
"Et usitato iam discendi ordine perveneram in
librum quemdam cuiusdam Ciceronis ..."
(Confessiones, III, 4, 7, col. 103)
Non senza scopo abbiamo voluto iniziare l'indagine sulla conversione del Nostro, ravvicinando due espressioni solo apparentemente uguali, nelle quali egli ci dichiara d'essersi convertito alla filosofia in seguito alla lettura dell'Ortensio. La prima è contenuta nel De beata vita, opera che risale al 386, l'altra nelle Confessioni, scritte come si sa, nel 397, cioè undici anni dopo. In quella, come pure nei Dialoghi dove definisce l'autore "nostro amico Tullio", Cicerone è un uomo grande, degno del massimo rispetto; qui, nelle Confessioni, egli è semplicemente "un certo Cicerone, del quale si loda molto più la mente che il cuore". Ma i veri sentimenti di Sant'Agostino sono quelli delle prime opere. Nato da Monica cristiana, ma anche da Patrizio, pagano e solo alla fine della sua vita convertitosi al Cristianesimo, Agostino - lo abbiamo visto nei primi capitoli - aveva ricevuto un'educazione pagana. Due diverse concezioni della vita e dell'educazione, ambedue convergenti sull'animo del giovane Agostino, ci spiegano così quelle [122] indecisioni e contraddizioni che troveremo sempre nel corso della sua gioventù. Parlandoci dunque così di Cicerone, egli non ci dice altro che la pura verità e ci conferma quanto abbiamo detto fin qui: la progressiva trasformazione che avviene nello spirito del convertito, la costante ascesa ch'egli compie verso una concezione cristiana, la graduazione sempre più perfetta dei valori intellettuali in rapporto a quelli d'ordine etico - religioso. Ed è logico allora che «l'amico Tullio» diventi semplicemente «un certo Cicerone». Ma torniamo all'Ortensio. «In verità quel libro cambiò i miei sentimenti e fece perfino diverse le mie preghiere a Te, o Signore, e diversi fece i miei voti e i miei desideri. Improvvisamente mi diventò vile ogni umana speranza e con ardore incredibile dell'anima bramavo la Sapienza immortale» (Confessiones, III, 4, 7).
Sant'Agostino è in crisi. Di che natura è questa crisi? Ernesto Buonaiuti, nel suo Sant'Agostino, parla di una «crisi prevalentemente intellettuale» e scrive: «Sui diciannove anni l'Ortensio di Cicerone gli aveva messo indosso il fuoco sacro della ricerca speculativa ed egli si era sentito preso da un amore folle per la Sapienza. Ma la Sapienza ch'egli agogna è puramente razionale: gli deve cioè spiegare il mistero ineffabile dell'universo fuori di ogni rivelazione soprannaturale, secondo le semplici esigenze dell'intelletto» (ERNESTO BUONAIUTI, Sant'Agostino, pag. 26). E il Masnovo: «Se, deposte le pagine dell'Ortensio, Agostino, ormai tutto infiammato del problema della vita, si dà alla lettura assidua della santa Bibbia, questo avviene perché Cristo sta ancora ben alto nel cielo del suo spirito; se depone presto e insoddisfatto le sacre pagine, questo succede perché Cristo in quel cielo non occupa più e non rioccupa ancora la primitiva altezza suprema» (AMATO MASNOVO, Sant'Agostino, pagg. 35-36). Un convertito, il Papini, parla di un «rivolgimento nello spirito di Agostino» (GIOVANNI PAPINI, op. cit., pag. 56, Vallecchi, II edizione) e commenta: «Non più aguzzar la lingua, ma innalzar l'intelletto; non più giocare con le parole per amor di guadagno, ma per seguire la santa Verità a costo di sacrifici; non più infangarsi nei piaceri, ma ricominciare a pregare Iddio» (A. Guzzo, traduz. delle Confessioni, Ed. Loffredo, III ediz., pag. 37). La crisi non parrebbe preminentemente d'ordine intellettuale. Osserva A. Guzzo nella sua traduzione delle Confessioni: «Questa iniziazione filosofica alla vita religiosa non autorizza la conclusione che, almeno in [123] principio, la religione di Agostino non fosse che filosofia. La filosofia non prega: e invece il primo effetto dell'entusiasmo d'Agostino per la lettura dell'Ortensio, fu la modificazione, l'elevazione delle sue preghiere, dirette ora a chiedere la gioia della sapienza, e non più diletti sensibili, o l'esenzione da dolori corporei.
La filosofia, quindi, dette un contenuto incomparabilmente più elevato e puro alla vita religiosa d'Agostino, lungi dal crearla e dal sostituirlesi" (P. ROTTA, commento alle Confessioni, Ed. La Scuola, Brescia, pag. 98). «Tutte le difficoltà, tutte le deviazioni, tutti gli sperdimenti compreso il Manicheismo - commenta P. Rotta - non avevano distrutto interamente quell'affiato e desiderio di fede. Codesto nucleo religioso, quindi, fu in un certo senso sempre vivo sotto tanta cenere, tanti errori e tanti peccati, sicché il processo della conversione nei suoi riguardi intellettuali, in realtà non fu che una vittoria sui traviamenti del pensiero resi più facili dai traviamenti della vita, per ritornare ad un punto di partenza; fu così il pensiero che ha liberato se stesso dagli ostacoli per una riaccettazione piena e convinta della fede" (MARROU, op. cit., pag. 164). Un po' tutti gli aspetti troveremo in questa crisi, che è totale: ciò che conta è misurarne la portata e vederne gli effetti. A noi pare che si possa concludere col Marrou: "de quelque point de vue qu'on se place, on constate l'importance de cette crise. Sans doute il n'est pas de rupture complète dans l'évolution psicologique d'un homme; bien des changements étaient préparés depuis longtemps ...; il n'en reste pas moins vrai que cette "conversion" représente un tournant décisif » (Ibidem). In questa crisi egli vede un aspetto religioso, morale, sociale, filosofico e culturale insieme. Fino all'estate del 386 la cultura di Sant'Agostino è rimasta letteraria; poi, avviene la rottura con essa. Si cambiano le sue ambizioni filosofiche, e, conseguentemente, la sua cultura si organizza su nuove basi. Sant'Agostino concepisce ora una cultura tutta orientata al conseguimento della Sapienza, e vedremo fra poco quale sia il significato profondo e particolare ch'egli dà a questo termine (aspetto culturale); aderisce al neo-platonismo (aspetto filosofico); s'iscrive fra i catecumeni, ed entra quindi nella Chiesa Cattolica, con l'intento di ricevere il Battesimo (aspetto religioso); infine si separa dalla sua seconda concubina (aspetto morale) e rinuncia a fare il professore e il retore proprio quando poteva sperare, grazie alle molte conoscenze, d'ottenere onori (aspetto [124] sociale). Che possedeva di grande e di buono Sant'Agostino, viene dato di chiederci, da operare su se stesso, il miracolo d'una conversione così totale? Lo studio della sapienza - aveva detto Cicerone - non inganna mai coloro che a lei dedichino intero il loro tempo. Se tutto finisce con noi, qual maggior felicità che aver consacrato la propria vita a studi così belli? Se invece la nostra vita continua dopo la morte, la costante ricerca della Verità non è forse il più sicuro mezzo di prepararsi a quest'altra esistenza? (CICERONE, Ortensio, passi vari).
Le parole di Cicerone, in quel tempo colpito da tante amarezze, avendo perso la figlia amatissima e assistendo incapace a reagirvi alla rovina della Repubblica, devono aver avuto un tono veramente profondo e sublime. Eppure Sant'Agostino capiva che quelle pagine, così ricche di alti ideali, descritti magistralmente come solo poteva fare Cicerone, non riuscivano ad appagarlo della sua ardente sete della Verità; potevano sì commuoverlo e farlo decidere a iniziare una conversione, ma non avevano, quei concetti, la forza persuasiva ch'egli richiedeva loro. Se un vantaggio vero egli ebbe da quella lettura, fu il ricordo delle sante parole di Monica, la quale gli aveva tante volte parlato della Verità cristiana. L'Ortensio poteva appagare un bisogno dell'intelletto, non poteva però avere la forza persuasiva delle umili, ma ben più grandi parole udite nei primi anni della sua vita. "... Quoniam hoc nomen secundum misericordiam tuam, Domine, hoc nomen Salvatoris mei filii tui, in ipso adhuc lacte matris, tenerum cor meum praebiberat, et alte, retinebat, et quidquid sine hoc nomine fuisset quamvis litteratum et expolitum et veridicum, non me totum rapiebat" (Confessiones, III, 4, 8, col. 104). E fu una fortuna. Perché - osserva Giovanni Papini – "se la conversione fosse avvenuta allora, Agostino sarebbe diventato un buon avvocato cristiano, ma non sarebbe giunto alla grandezza né alla santità". "Per esser felici - e Agostino vuol essere felice e non avrà pace finché non trovi l'autentica e piena felicità - bisogna cercare Dio, possedere Dio. La frase famosa ch'è al principio delle Confessioni - "e inquieto è il cuor nostro, finché non riposi in te" - ha la sua prima origine nell'Ortensio di Cicerone" (G. PAPINI, op. cit., pag. 58), Egli capirà l'incompletezza e la vanità delle esortazioni ciceroniane e continuerà [125] a naufragare, diremo meglio anzi, a navigare, ché ormai il suo non è più un naufragio, ma una corsa sicura verso il porto della salvezza. Siamo nel 373. Agostino, lo abbiamo visto, ha ricevuto dalla lettura dell'Ortensio una forte scossa. Cicerone gli ha rivelato la saggezza e la filosofia. Comincia l'ascesa, ma quanti anni dovranno passare ancora prima che egli consegua la vera felicità!
LA CULTURA, SUBORDINATA AL CRISTIANESIMO
"Philosophiae tutissimus jucundissimusque portus »
(Contra Academicos, II, I)
Nella prima parte di questo lavoro abbiamo diffusamente trattato del problema della felicità nella filosofia agostiniana e dimostrato come l'uomo aneli alla felicità, come essa non possa consistere nell'appagamento dei comuni desideri, nelle soddisfazioni dei piaceri umani, ma si debba ricercare unicamente nel possesso di una conoscenza atta ad appagare il nostro anelito alla beatitudine. Il problema centrale del pensiero agostiniano, per il quale è erede della tradizione ellenica, è proprio questo. E alla domanda, dove trovare la felicità, Agostino risponde: nella Sapienza. E poiché la Sapienza è uno degli attributi di Dio, Egli è il solo Bene che possa assicurarci la felicità. Ormai per il nostro Santo non v'è che una preoccupazione sola: orientare tutta la propria vita alla conquista della Sapienza; organizzare perciò e anzitutto lo studio della Sapienza stessa. «A' l'époque de saint Augustin - scrive il Boissier - ... les âmes avaient besoin de croyances solides, et comme la philosophie avait peine à les leur donner, elles les demandaient à la réligion. C'est ce qui les amenait, de tous les cotés au christianisme » (BOISSIER, op. cit., pag. 373). Siamo nel novembre del 386 e scrive i primi dialoghi filosofici, il «Contra Academicos », il «De Beata Vita» il «De Ordine», nei quali egli evita di proposito di porre il problema religioso così com'egli ha nella mente e nel cuore, e dove ci aspetteremmo di leggere il nome di Cristo, leggiamo invece ancora quello della filosofia e della sapienza. Ma promette a coloro che lo seguiranno, che un giorno, presto, [126] scopriranno con lui i misteri del mondo e della natura di Dio.
Egli, per ora, intravede soltanto la Verità; dovrà compiere ancora molto cammino, ma è sicuro di giungere alla meta. «Oremus ergo - scrive nel De Ordine - non ut nobis divitiae, vel honores, vel huiusmodi res fluscae atque mutantes, et quovis resistente transeuntes, sed ut ea proveniant, quae nos bonos faciant ac beatos » (De Ordine, II, 19, 52, col. 424) e va alla ricerca della Sapienza, perché Dio ve l'ha chiamato, perché Monica ha pregato: "cujus precibus indubitanter credo atque confìrmo mihi istam mentem Deum dedisse, ut inveniendae veritati mihi omnino praeponam, nihil aliud velim, nihil cogitem, nihil amem" (De Ordine, II, 19, 52, col. 424-425). Con la fiducia di giungere a questa meta costruisce quel meraviglioso piano che gli darà appunto la felicità. Dallo studio della Sapienza alla beatitudine, ecco la via che seguiremo ora con Sant'Agostino. Come s'organizza lo "studium sapientiae?" Direttamente non si può raggiungere la conoscenza di Dio. È necessario seguire un metodo rigoroso, che consiste nell'osservanza della legge di Dio (De Ordine, II, 19, 26, col. 3120). Essa comprende due aspetti: l'uno, morale, riguarda la condotta della vita; l'altro, intellettuale, l'ordine degli studi. Il Marrou ritiene che occorra aggiungerne, però, un terzo: quello religioso o soprannaturale (MARROU, op. cit., pag. 175) al quale Sant'Agostino accenna di sfuggita. Chi osserverà questo metodo, egli assicura, vedrà Dio. L'anima, così purificata, potrà contemplare lo splendore divino (De Ordine, II, 19, 51: "videbit autem qui bene vivit, bene orat bene studet"). Anzitutto, credere per capire.
Il Gilson ha magistralmente dimostrato come proprio questo sia il primo grado attraverso il quale si giunge alla conoscenza di Dio. Parrebbe una contraddizione «puisque elle consiste à accepter d'abord sans preuves ce qu'il s'agit précisement de prouver ». Ma non è, se si pensa, continua il Gilson, che la conferma ci viene proprio dalla stessa personale esperienza del nostro Santo. « Pendant de longues années il a cherché la vérité par la raison; à l'époque de ces convinctions manichéennes, il a même cru l'avoir trouvée par cette méthode, puis, après une douloureuse période de scepticisme, tourmenté de désespoir de trouver le vrai, il a constaté que la foi tenait en permanence à sa disposition cette même vérité que sa raison n'avait pu saisir » (GILSON, op. cit., pag. 31-32), Non bisogna dunque trascurare l'elemento religioso. L'anima deve poi "comporsi e [127] ordinarsi" (AMERIO, De Musica, pag. 10) perché la sapienza esige una vita morale perfettamente virtuosa: "summa opera danda est optimis moribus" (EGGERSDORFER, op. cit., pag. 51-52) perché "Deus enim noster aliter nos exaudire non poterit" (De Ordine, II, 20, 52) e non è virtuosa la vita di chi non fugge anche la gloria e l'ambizione politica, oltre che i piaceri carnali e mondani (De Ordine, II, 8, 25). E, dopo la grazia che ci dà la fede e la virtù che si conquista nell'ordine è necessaria la cultura, in quanto la sapienza è data solo a chi "bene studet"; è frutto, quindi, di un'attività d'ordine razionale. Due sono i momenti che la compongono, la ricerca metafisica e la contemplazione (De Ordine, II, 6, 19). E' una "cultura preparatoria" riservata a quei pochi che hanno la necessaria capacità intellettuale, libertà di spirito, gusto dello studio e tempo per dedicarvisi. Soluzione aristocratica, come si vede. Sant'Agostino lo sa bene e per questo afferma che un'altra via conduce ugualmente alla salvezza: la fede; via riservata ai semplici. Affermata e dimostrata la necessità per il filosofo d'una cultura preparatoria, che gli serva per il conseguimento della sapienza che lo porterà alla beatitudine, Sant'Agostino definisce ora il contenuto di questa cultura. Il programma non è nuovo, non è originale, e l'autore stesso ci parla delle varie questioni come se già le conoscessimo e definisce le materie di studio "disciplinae liberales" usando un termine ciceroniano. Egli, tuttavia, vede nelle varie scienze un aspetto nuovo e, in alcuni passaggi, dimostra come il male serva talvolta al bene: la prostituzione, ad esempio, è un male necessario. "Togli le meretrici dalla società umana e turberai ogni cosa con le funeste passioni ...; così dunque è questo genere di persone, impurissimo nella vita per i suoi costumi e vilissimo per condizione, ma secondo le leggi dell'ordine". Quei barbarismi, che parrebbero difetti, usati dai poeti, diventano artefici di espressioni meravigliose, e sono anch'essi espressioni d'un ordine. Dalla grammatica alla retorica, a tutte le altre scienze, ovunque si può trovare qualche elemento utile alla cultura preparatoria. [128]
IL CICLO DELLE SCIENZE
Da uno sguardo panoramico alle opere di Sant'Agostino si può dedurre che il ciclo delle scienze comprende sicuramente: la grammatica, la dialettica, la retorica, e l'aritmetica, la musica, la geometria, l'astronomia e la filosofia. Vien fatto di chiederci subito come mai il ciclo comprende anche la filosofia che Sant'Agostino identifica con l'ideale ("De anima"). Egli non ci spiega chiaramente il perché e a noi non resta che fare una supposizione. Forse il Santo ha inteso riservare a questa disciplina un carattere preparatorio alla filosofia vera e propria, intesa come scopo del filosofo che vuol giungere alla conquista della sapienza, ma questa è una semplice illazione, non giustificata dai suoi scritti, ma basata sui nostri moderni criteri di ordinare i mezzi utili alla formazione del pensiero; in ogni caso occorre sottolineare che non v'è distinzione netta fra i due tipi di filosofia essendo impercettibile il passaggio dall'una all'altra forma, nel progressivo svilupparsi che fa la ragione (De Ordine, II, 12, 35). Esaminiamo brevemente la fisionomia delle scienze sopraelencate. Per la grammatica e la retorica non occorre aggiungere altro a quanto abbiamo detto (Vedasi il Cap. VII della parte IV di questo studio).
La dialettica presenta per Agostino due aspetti: è da intendersi come scienza delle leggi che regolano la ragione, cioè la logica, e come scienza pratica della discussione. L'aritmetica s'occupa dello studio teorico delle proprietà del numero e non comprende il calcolo e i problemi (ROBIN, Pensée grecque, pag. 235); la geometria è studio delle figure ideali: "figurarum positas sine pulvere formas" (Lettere, 26, 3, v. II); l'astronomia, com'egli ci spiega nel Capitolo XV del secondo Libro del De Ordine, studia le leggi del movimento degli astri ed è "grande argomento per la religione e un grande tormento per la curiosità umana" (De Ordine, II, XV, 42; 2, 15, 42); quanto alla musica egli non porta innovazioni nel programma tradizionale di studi. Per Sant'Agostino essa non è un'attività estetica ed artistica, anzi, in questo senso, è indegna del filosofo. Al contrario essa è un insieme di conoscenze razionali, una scienza matematica come l'aritmetica e la geometria (AMERIO, op. cit., pag. 52-63). Ecco il ciclo delle scienze che Sant'Agostino propone. Come si [129] vede, esso, se si eccettua la cultura preparatoria, è identico a quello tradizionale, cioè a quello, almeno teorico, dell'alta cultura antica del pensiero greco. La nozione di una scienza universale risale ai Sofisti (Platone ci parla dell'eclettismo di Ippia) (Hippias Minore 366 e 368; Hippias Maggiore 285 C, 286 a.) prima ancora che ad Aristotele e Platone, - dei quali conosciamo le tendenze all'enciclopedismo -; ma sarebbe uno sbaglio affermare che il programma di studi agostiniano s'identifica con quello platonico, in quanto, se è vero che esso è stato ereditato dalla tradizione eclettica, non si può tuttavia parlare affatto di affiliazione e Platone non resta che un ispiratore, che offre la materia nella quale Sant'Agostino imprimerà il suo spirito. Se si tiene conto di due opere sue, il De Musica e i Disciplinarum libri, dobbiamo convenire che egli possedesse questa cultura scientifica.
Le tre arti del trivium, grammatica, retorica e dialettica, costituivano le basi della cultura normale ai tempi d'Agostino. Alla retorica sono fatti due cenni soltanto, nel De Ordine (De Ordine, I, 7, 18 e II, 4, 13), perché, avendo essa una utilità eminentemente pratica, non è una scienza vera e propria nel significato che le dà Sant'Agostino, ed egli infatti la dice "più necessaria che pura" (De Ordine, II, 13, 38). Più complessa è la posizione della grammatica. Essa può esser posta sul piano delle scienze ed esser definita disciplina, quando si dilata nello studio teorico delle leggi linguistiche ed espressive (De Ordine, II, 12, 35-37) e non si limita allo scopo pratico d'insegnare il leggere, lo scrivere e alla conoscenza empirica degli autori nell'erudizione letteraria; funzioni che vediamo attribuite in diverse opere, fra le quali i Soliloqui (Soliloqui, II, 5, 8), le Lettere (Lettere, III, 5), il De Beata Vita (De beata vita, IV, 30-32) e infine il De Magistro (De Magistro, II, 3 e III, 6), dove Sant'Agostino fa spiegare ad Adeodato un verso di Virgilio. Come la retorica, la dialettica presenta due aspetti, uno teorico, l'altro pratico: studia le leggi del pensiero e s'occupa dell'arte del discutere. Sant'Agostino ce ne parla assai poco, perché, nel suo ciclo di studi, l'importanza di questa disciplina è dovuta quasi esclusivamente all'aspetto teorico (De Quantitatae animae, II, 47 e De Magistero, XIII, 43 e De Musica, I, 2, 2). Si hanno tutti gli elementi per [130] affermare che egli abbia ugualmente approfittato sia delle leggi del ragionamento, come dell'arte della discussione. "C'est grace à l'incomparable maitrise qu'il en possédait - dice il Marrou - qu'Augustin a pu connaître tant de succès au cours des longues polémiques qu'il a soutenues contre les hérétiques; c'est grace à elle qu'il a pu surclasser sans peine Manichéens et Donatistes, qu'il a pu tenir tête plus tard aux Pélagiens, ces techniciens redoutables de la dispute » (MARROU, op. cit., pag. 459). Se la logica Agostino l'ha appresa da Aristotele (BRÉHIER, Histoire de la philosophie, I pag. 444), per la dialettica si ricollega invece a quella stoica, della quale ci attesta l'importanza (Contra Cresconium, I, 13, 16; I, 19, 24 e Lettere, 118, 3, 15).
Il Boyer osserva che nella dialettica di Agostino si notano imperfezioni: la discussione procede lenta, frequenti "excursus" fanno perdere il filo del discorso, e via dicendo (BOJER, Cristianisme et Néoplatonisme, append. 2, pag. 205-225). Quanto alla tecnica non si può dire altrimenti. "Dans les Dialogues - osserva il Marrou - on a parfois l'impression qu'il s'agit moins de dégager la vérité que d'obtenir que l'adversaire se confesse vaincu; on avance moins de découverte en découverte que de concession en concession; tout l'édifice de la discussion repose en général sur une définition posée au début et acceptée sans trop d'examen par l'adversaire » (MARROU, op. cit., pag. 243). Eppure egli nel De Magistro ci dice che bisogna discutere più sulle cose che sulle parole: "eluceret, aiunt, non de re, sed verbo esse controversiam ..." (De Magistro, XIII, 43). E così nel Contra Academicos: "Non est ista, mihi crede, verborum, sed rerum ipsarum magna controversia" (Contra Academicos, II, 10, 24) e nel De Musica: "Amo quidam rixas verborum praeterire atque contenere" (De Musica, I, 3, 4). Gli è che Sant'Agostino lo fa di proposito perché ha di mira il raggiungimento d'uno scopo preciso. Anzitutto egli attribuisce alla dialettica una funzione pedagogica, come vedremo in seguito (exercitatio animi, per la preparazione dello spirito alla sapienza), e poi il pubblico al quale si rivolge non è composto di veri e propri filosofi, e perciò il suo stile deve evitare una tecnica difficile e esagerata. Sarebbe lungo il discorso su questo argomento, ma avremo occasione di trattarlo più particolarmente in seguito, quando vedremo il nostro Santo applicare la dialettica allo studio della Sacra Scrittura. [131] E passiamo al Quadrivium. Dell'astronomia Sant'Agostino ci parla assai poco e, se non avessimo una esplicita testimonianza sua, nelle Confessioni (Confessiones, V, 3, 3-6) saremmo portati a credere, anche perché nei Disciplinarum Libri, non figura il progetto per un trattato sull'astronomia, che questa scienza manchi nel suo programma di studi. Senonché, ci avverte l'Alfaric, Agostino scoperse certamente l'esistenza della astronomia scientifica e il suo valore sperimentale, pur senza dedicarsi allo studio diretto di essa e le Confessioni ci attestano che si dedicò agli studi astronomici (ALFARIC, op. cit., pag. 234-238). Infine, la musica.
Sappiamo che Agostino aveva in mente di aggiungere altri sei libri a quelli che ci ha tramandato, ma gliene è mancato il tempo. Senza addentrarci nei particolari, perché tratteremo più avanti diffusamente di questa disciplina, ci basti dire che dalla lettura dell'opera si giunge a una conclusione sconcertante. La cultura scientifica posseduta da Agostino è abbastanza diversa da quella che il suo programma designava ed è spiegabile se si tiene conto ch'egli non può non risentire della cultura letteraria ricevuta nella sua giovinezza, che lo fa essere, anche in questo diciamo così « periodo filosofico », un grammatico e un retore, prima ancora che un filosofo. E infatti, la sola scienza ch'egli ha imparato in più della cultura normale, è la dialettica, ma, per quanto indiscussa sia la sua competenza in essa, non riesce a far tacere lo spirito letterario che riaffiora continuamente in lui, e ciò, naturalmente, crea nelle sue opere quelle imperfezioni che abbiamo avuto occasione di lamentare. Per le matematiche, magri risultati. Conclusione? Evidentemente - osserva il Marrou - la sua cultura non è fondata sulla tradizione antica, ma invece sulla forma particolare che questa aveva preso ai tempi della decadenza.
LE SCIENZE AL SERVIZIO DELLA FILOSOFIA
L'uomo vuol essere felice, la felicità non si consegue che nella beatitudine, e alla beatitudine non si perviene se non attraverso lo "studium sapientiae". Il conseguimento della sapienza, dunque, deve essere lo scopo del filosofo. Orbene: lo studio delle discipline liberali, secondo il piano che abbiamo testé illustrato, è il mezzo [132] col quale l'uomo può prepararsi a quella ricerca filosofica che lo porterà alla méta agognata. Dunque esso studio, lungi dal costituire un fine in se stesso, deve essere subordinato a quel fine. Sta qui tutta l'importanza dello studio cui si assommano i vantaggi che il filosofo si attende dalle discipline del Trivio e del Quadrivio: l'orientamento dello spirito verso la Verità assoluta e suprema, Dio. Viste in sé, le singole discipline sono per lo meno inutili se non addirittura da condannarsi.
E Sant' Agostino s'oppone ad ogni forma di cultura letteraria comune, e in essa combatte non solo quegli elementi artistici ed estetici che esulano da questo scopo, ma anche la curiosità e l'erudizione, sempre per lo stesso motivo. perché non sono "utili" all'elaborazione della cultura filosofica, allo « studium sapientiae ». La differenziazione fra filosofia e sapere, fra sapienza e scienza - lo abbiamo già detto - non è una innovazione di Sant'Agostino: da Aristotele in poi, col progresso scientifico, noi assistiamo a un tale sviluppo d'ogni scienza, da richiedere la specializzazione. Quello che era il sapiente, diventa un professionista con una sua particolare, determinata cultura. Le singole discipline si rendono autonome e indipendenti. Leggiamo nel Capitolo VIII del primo Libro del De Ordine: « Si ordinem, inquam curas, redeundum tibi est ad illos versus. Nam eruditio disciplinarum liberalium modesta sane atque succinta... » (De Ordine, I, 8, 24), col. 388) ecco posto un limite a questo studio, il quale, scientifico o letterario che sia, oltre ad evitare la curiosità (De Vera Religione, 49, 94), non deve assolutamente esser perseguito per se stesso, ma orientato alla formazione di filosofi e non di sapienti di professione. Detto lo scopo e posti i limiti della cultura, Sant'Agostino ne precisa l'utilità. Scrive nel « De Quantitate animae »: « Nam et exercet animum hoc genus disciplinarum, ad subtiliora cernenda, ne luce illoram repercussus, et eam sustinere non valens in easdem tenebras quas fugere cupiebat libenter refugiat; et adfert argumenta, nisi fallor, certissima ..." (De Quantitate animae, 15, 25, col. 504) Anzitutto essa contribuisce positivamente all'elaborazione della filosofia pur senza dare all'anima il frutto essenziale ch'essa cerca, la virtù, che solo la filosofia può dare (Lettere, I, 17). [133] Seneca aveva detto che non dobbiamo studiare le scienze, ma averle studiate. Quel suo "non discere debemus, sed didicisse ..." spiega bene il concetto che diverrà poi fondamentale in Sant'Agostino, esser le scienze cioè, al servizio della filosofia.
E questo corrisponderebbe all'"affert argumenta certissima". Inoltre, essa serve come esercitazione, come ginnastica intellettuale che consenta all'occhio dell'anima, incapace altrimenti, di sopportare la luce della Verità, d'abituarsi a sopportare il fulgore ch'essa sprigiona. L'occhio dell'anima è la ragione, il sole è Dio. La luce di questo sole riluce nelle scienze razionali (Soliloqui, 1, 6, col. 436); la ragione deve dunque esercitarsi, attraverso la grammatica, la dialettica, la matematica, a muoversi nel mondo dell'idea, a comprendere la natura della realtà intelligibile. E Sant'Agostino stesso ce ne dà l'esempio, dicendo in molte parole quel che potrebbe benissimo far capire con poche, proprio perché vuole che il lettore arrivi alla sostanza del suo dire, preparato, ben esercitato. "Per corporalia, ad incorporalia", il viaggio è difficile (Confessiones, III, 7, 12), per cui occorre non solo ancorarsi ad "argumenta cortissima", ma anche preoccuparsi dell' "exercitatio animi"; per questo nei Soliloqui ci fa attendere fino al secondo Libro la spiegazione (Soliloqui, II, 20, 34), di qui la ragione del preludio dialettico nel De Ordine (De Ordine, I, l, l); questo ci spiega ancora il labirinto di argomentazioni dei primi sei Capitoli del De Magistro che fanno capire anche ad Agostino la necessità di un buon riassunto di esse". (De Magistro, VII, 19, col. 683). "Tractata enim res - scrive nel Contra Academicos - est pro suscepto negotio satis, quae post pauca omnino posset verba fìniri, nisi exercere vos vellem, nervosque vestros et studia, quae mihi magna est cura, esplorare ..." (Contra Academicos, L I, 9, 25, col. 309) e, nel secondo Libro "non ideo tamen tu causam tuam debes deserere, praesertim cum haec inter nos disputatio suscepta sit exercendi tui causa et ad elimandum (Contra Academicos, L. II, 7, 17) animum provocavi ...» . E così si può dire delle altre opere di Sant'Agostino.
Là dove parrebbe far difetto la sua tecnica, dobbiamo vedere, invece, un proposito e una precisa determinazione di esercitare l'animo "hoc quaeris quod videre nisi mundissimus potest, et ad cujus rei visionem parum es exercitatus; neque nunc per istos circuitus aliud quam exercitationem tuam, ut illud videre sis idoneus, operamur ..." (Soliloqui, II, 20, 34).