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I miracoli nel santuario di S. Stefano a Ippona
MAESTRO VETRAIO BAVARESE
1909
St. Augustine, cattedrale di sant'Agostino
I miracoli nel santuario di S. Stefano a Ippona
La vetrata raffigura uno dei miracoli che sarebbero avvenuti a Ippona grazie alla intercessione delle reliquie di santo Stefano. Sotto la vetrata si legge in effetti MIRACLE AT THE SHRINE OF ST. STEPHEN AT HIPPO. Agostino seduto in cattedra riceve un ragazzo miracolato, che è attorniato da molte altre persone del popolo che testimoniano l'accaduto. La scena si svolge all'interno di uno spazio della chiesa, probabilmente la stessa che venne costruita per accogliere alcune reliquie di santo Stefano a Ippona.
La riscoperta e la diffusione in Occidente e in Africa delle reliquie del protomartire scatenò un'ondata di fervore senza precedenti nel mondo cristiano di cui Agostino ci ha lasciato molteplici testimonianze nei suoi scritti.
Gli Atti degli Apostoli non dicono dove Stefano sia stato seppellito. Dopo la narrazione dell'episodio della sua uccisione di lui non si sa più nulla. Stefano ritorna alla ribalta nel 415, quando viene ritrovato il suo corpo, la cui "inventio" viene tramandata da un testo del presbitero Luciano di Caphargamala, villaggio sito a circa 30 Km da Gerusalemme.
Orosio, partito dalla Palestina, portando le reliquie con sé, si recò in Africa, prima a Cartagine e poi da Agostino a Ippona.
In Occidente le reliquie di Stefano si diffusero rapidamente in molte città: a Roma (la chiesa di S. Stefano Rotondo risale al 450 ca.), ad Ancona, in Africa a Uzalis, Cartagine, Ippona, Acque Tibilitane, Siniti, Calama, Bulla Regia, Thaborra, Telergma, Sitifis, nelle isole Baleari, in Gallia a Bourges. Accanto alla grande partecipazione popolare favorita dai vescovi, ci furono guarigioni e i miracoli, di cui quelli più conosciuti avvennero a Uzalis (parzialmente tramandati nel De miraculis S. Stephani), a Ippona e in alcune località della Numidia che vengono citati nella predicazione di Agostino e nelle notizie riportate nel De civitate Dei (22, 8). Purtroppo molto del materiale letterario, i cosiddetti libelli miraculorum, che ne parlavano è andato perduto.
La diffusione delle reliquie di Stefano in Africa del Nord con l'implementazione del loro culto è davvero straordinario. I due primi luoghi conosciuti sono Uzalis, dove era vescovo Evodio, compatriota e grande amico di Agostino, e Calama, dove era vescovo Possidio.
La redazione del De miraculis Sancti Stephani, una specie di raccolta delle guarigioni in due piccoli libri, avvenute per opera delle reliquie di santo Stefano, è da collocarsi verso il 425. Agostino, che, tornando da Cartagine, si era fermato a Uzalis, scrive che qui non c'era l'usanza di serbare memoria per iscritto gli avvenimenti miracolosi, per cui aveva esortato la nobildonna Petronia a compilare una relazione da leggere al popolo (De civ. Dei 22,8,22).
Il libellus di Petronia, conosciuto da Evodio, è andato perso, ma il contenuto è stato conservato da Agostino. L'anonimo redattore del De miraculis scrive che era stato indotto a comporlo dall'esortazione di Evodio, ed Evodio, a sua volta, molto probabilmente aveva seguito l'esempio e la parola di Agostino.
Agostino fu molto coinvolto sia nella diffusione del culto, sia per dargli una valenza cristologica, sia per correggere le comuni superstizioni a cui ricorrevano anche i fedeli in casi di malattie e sventure. La predicazione agostiniana su Stefano è abbondante e almeno 11 discorsi (altri tre sono brevissimi, e la lettera 212) riguardano in rima persona il martire. Molti di essi sono stati pronunciati in occasione della sua festa il 26 dicembre (314-317), un giorno che si prestava ad un paragone fra la nascita di Cristo e il dies natalis di Stefano (sermo 314, 1): "Ieri abbiamo celebrato il Natale del Signore; oggi celebriamo il Natale del suo Servo: ma, quale Natale del Signore, abbiamo celebrato il giorno in cui si degnò nascere; quale Natale del Servo, celebriamo il giorno nel quale ricevette la corona. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, in cui egli ricevette la veste della nostra carne; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi lasciò la sua veste di carne. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, nel quale egli si fece simile a noi; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi passò accanto a Cristo".
La preoccupazione di Agostino è l'esortazione a imitare Stefano, che a sua volta è imitatore di Cristo. Un paragone tra Stefano e Cristo nella nascita, ma in particolare nella passione lo troviamo in queste parole: "Egli infatti è il Signore, costui è il servo: ma Stefano, da servo, è amico. Quanto a noi, siamo indubbiamente dei servi: egli ci conceda di essere anche amici" (sermo 316, 1).
A Ippona due erano le occasioni per predicare su Stefano: il dies natalis del 26 dicembre (Serm. 314, 1; 317, 4, 5) e l'anniversario della deposizione delle reliquie nella cappella a lui dedicata nel mese di luglio, quando faceva caldo (cfr. Sermo 319, 8). Nel 424-425 Agostino permise al diacono Eraclio di costruire a sue spese una cella-memoria destinata a custodire le reliquie di santo Stefano da poco avute non dice però da chi (Sermo 356, 7. E' possibile che le reliquie siano state portate a Ippona da Galla e Simpliciola, che viaggiavano "portando con sé le reliquie del beatissimo e gloriosissimo martire Stefano" (Agostino, Ep. 121, 1).
Questa coppia sicuramente contribuì alla diffusione delle reliquie del protomartire. Dentro la cappella Agostino fece incidere quattro versi per inculcare al popolo il significato del culto dei martiri. Nella cappella una pittura illustrava il momento dell'uccisione di Stefano: "Ha grande forza di attrattiva questo dipinto, dove riscontrate santo Stefano che viene lapidato e Saulo che custodisce le vesti dei lapidatori" (Sermo 316, 5).
Anche ad Ippona, in relazione con le reliquie, avvenivano numerosi miracoli (De civ. Dei 22, 8,). Agostino pronuncia il discorso 318 nel 425 in occasione della deposizione delle reliquie nella cappella vicina alla Basilica Maior. Tale discorso è importante per capire come mai egli favorisse il culto di Stefano: "Può capitare che un fedele si ammali; ecco là presente il tentatore. In vista della guarigione gli si promette un sacrificio illecito, un amuleto riprovevole e sacrilego, un nefando incantesimo, un rito magico, dicendo: Quella persona e quell'altra si sono trovate in più grave pericolo di te e in questo modo ne vennero liberate; regolati così se vuoi vivere; morirai se non l'avrai fatto. Nota se non è lo stesso che ‘morirai se non avrai rinnegato Cristo [...] Hai trovato identità di lotta, guadagna un'autentica vittoria. Sei in un letto e sei in un anfiteatro; ti trovi a giacere e sei impegnato a lottare. Persevera nella fede; e, mentre ti affatichi, sei vittorioso. Perciò, carissimi, avete non piccolo conforto: un luogo di preghiera. Qui sia venerato il martire Stefano, ma, ad onore di lui, si adori colui che ha coronato Stefano" (Sermo 318,1-3).
Quanto ai miracoli e alle occasioni per divulgarli tra il popolo dei fedeli Agostino scrive: "feci stare in piedi i due fratelli, mentre si leggeva la loro redazione, sui gradini del coro, da cui in una posizione più alta io parlavo. Tutto il popolo dell'uno e dell'altro sesso osservava l'uno che rimaneva in piedi senza movimento anormale, l'altra che aveva convulsioni in tutto il corpo. E coloro che non conoscevano il fratello scorgevano nella sorella quel che per la bontà di Dio era avvenuto in lui. Vedevano di che rallegrarsi per lui, che cosa chiedere nella preghiera per lei. Letta frattanto la loro redazione, ordinai che i due si allontanassero dalla vista del popolo e cominciavo a esporre un po' più diligentemente il caso, quando all'improvviso, mentre parlavo, dalla cappella del martire si odono altre voci di un altro rendimento di grazie. I miei uditori si voltarono da quella parte e cominciarono ad accorrere. La giovane infatti, appena scesa dai gradini, sui quali stava in piedi, si era diretta verso il santo martire per pregare. Appena toccò l'inferriata, dopo essere caduta in coma come il fratello, si levò in piedi guarita. Mentre chiedevamo che cosa era avvenuto, per cui si era levato quel festoso schiamazzo, i presenti entrarono con lei nella basilica per accompagnarla guarita dalla cappella del martire. Si levò allora dall'uno e dall'altro sesso un grido di ammirazione così potente da sembrare che la voce, unita al pianto senza interruzione, non potesse aver termine. Fu condotta in quel posto in cui poco prima era stata in piedi tremante. Esultavano che era simile al fratello, poiché erano rimasti afflitti che era rimasta dissimile, e facevano notare che non erano state innalzate preghiere per lei, eppure la volontà che le precorreva fu così presto esaudita. Esultavano nella lode di Dio senza parole, ma con un frastuono così grande che le nostre orecchie potevano appena sopportare. E che cosa v'era nel cuore di coloro che esultavano se non la fede di Cristo, per la quale era stato versato il sangue di Stefano?" (De civ. Dei 22, 8, 23).
Le guarigioni di Paolo e Palladio avevano colpito Agostino, alle quali dà importanza sia nella predicazione che nella Città di Dio. Egli riferisce numerose altre guarigioni, sia avvenute ad Ippona che in altri luoghi, in relazione al protomartire Stefano. Ora con l'implementazione del culto di santo Stefano, nello spazio di meno di due anni dalla costruzione della cappella una settantina di guarigioni corporali sono state registrate nella sola Ippona, pur essendo Agostino assolutamente certo che "non siano state molte le redazioni dei fatti avvenuti per prodigio" (De civ. Dei 22,8,) per essere lette in pubblico.