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CICLo AGOSTINIANo di Villanova

Agostino e il bambino sulla spiaggia

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

ARTISTA DI VILLANOVA

1883

Villanova, chiesa di san Tommaso da Villanova

 

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

 

Questa vetrata presenta una famosa leggenda che riguarda Agostino: l'episodio vede il santo vescovo parlare con un ragazzo che incontra un giorno su una spiaggia. Agostino sta presumibilmente studiando il problema teologico della Trinità. Il fanciullo in quel momento stava cercando di utilizzare una conchiglia per versare l'acqua dal mare in una buca che aveva scavato nella sabbia. Agostino, osservando il suo lavoro, richiama il ragazzo dicendogli che sarebbe stato un compito difficile. Al che il ragazzo gli rispose: "No, è meno difficile che cercare di mettere tre Dei in uno, come stai facendo nel tuo libro sulla Trinità." Secondo alcune leggende il ragazzo poi sarebbe scomparso, suggerendo ad Agostino di essere un messaggero divino, Nella finestra il ragazzo non a caso ha proprio ha un alone o nimbo dei santi. Ci sono anche altri bambini misteriosi che svolto un ruolo importante nella conversione di Agostino: basti pensare al canto che ripeteva la frase "tolle lege, tolle lege".

Si noti il libro aperto sopra la testa del ragazzo sormontato da una mitra. Data la natura della storia, ci si aspetterebbe che il titolo del libro fosse "De Trinitate" ossia Sulla Trinità, ma, per qualche altro motivo in testa all'artista, il libro è De Civitate Dei cioè La città di Dio. Anche Benozzo Gozzoli ha raffigurato questo episodio in un suo affresco. A motivo di questa leggenda, la conchiglia di mare è diventata un simbolo cristiano iconografico che individua S. Agostino, così come il battesimo.

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino ? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263. In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.

Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.

"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso.

"Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.