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CICLo AGOSTINIANo di Villanova

Combatte l'eresia pelagiana

Agostino combatte l'eresia pelagiana

 

 

ARTISTA DI VILLANOVA

1883

Villanova, chiesa di san Tommaso da Villanova

 

Combatte l'eresia pelagiana

 

 

 

Nel descrivere il dissidio che lacerava la sua mente e il suo cuore nell'episodio, che racconta nelle Confessioni e che si svolge nel giardino di Milano, dove il santo procede speditamente alla sua conversione, Agostino scrive: "I miei pensieri, le riflessioni su di te somigliavano agli sforzi di un uomo, che nonostante l'intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore. E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e, per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l'ora di alzarsi; così io ero sì persuaso della convenienza di concedermi al tuo amore, anziché cedere alla mia passione; ma se l'uno mi piaceva e vinceva, l'altro mi attraeva e avvinceva."

In questo passaggio Agostino allude a una grande questione teologica che ha dominato gran parte del suo pensiero e che è diventato significativo nel pensiero cristiano nel corso dei secoli. La questione è se gli esseri umani sono responsabili della propria salvezza attraverso le proprie libere scelte, o se gli esseri umani sono troppo deboli per salvare se stessi e perciò è necessaria richiedere la grazia di Dio per raggiungere la salvezza. Nella parte superiore della scena è possibile vedere un albero con un serpente avvolto intorno ad esso, che simboleggia il "peccato originale" di Adamo ed Eva, che è espresso dall'albero da frutto e dal serpente tentatore. I due libri rossi nella parte inferiore della pagina sono riferimenti espliciti a questa controversia. Il libro inferiore è intitolato "Pelagio", e il libro che vi è appoggiato sopra è etichettato "Peccato originale". Pelagio era un contemporaneo di Agostino, che era originario della Gran Bretagna che a quel tempo era ancora una regione dell'Impero Romano. Pelagio sosteneva l'idea che gli esseri umani possono e devono assumersi la responsabilità della propria salvezza. Agostino era contrario a questo punto di vista e sosteneva che a causa del peccato originale gli esseri umani hanno bisogno di grazia divina per la loro salvezza. Nell'immagine, Agostino sta insegnando e spiegando le sue opinioni, criticando la visione eretica di Pelagio. L'artista mostra l'esito della controversia ponendo il libro di Pelagio sotto il libro "peccato originale".

 

Nel 416 Agostino tratta la questione pelagiana. La fine della controversia donatista coincise pressappoco con l'inizio di una nuova disputa teologica che impegnò Agostino fino alla sua morte. L'Africa, dove Pelagio ed il suo discepolo Celestio si erano rifugiati dopo il sacco di Roma da parte di Alarico, era diventata il principale centro di diffusione del movimento pelagiano. Già nel 412 un concilio tenuto a Cartagine aveva condannato i Pelagiani per le loro opinioni sulla dottrina del peccato originale, ma, grazie all'attivismo di Agostino, la condanna dei Pelagiani, che avevano avuto il sopravvento in un sinodo tenuto a Diospolis in Palestina, fu reiterata dai successivi concili tenuti a Cartagine e a Milevi. Un secondo periodo di attivismo pelagiano si sviluppò a Roma; papa Zosimo, dopo essere stato convinto da Agostino, nel 418 pronunciò una solenne condanna contro i Pelagiani.

Questi errori ... cercavamo di confutarli ... allo scopo che anche Pelagio, venendone a conoscenza, li correggesse senza essere attaccato personalmente: in tal modo sarebbe stata eliminata la sua funesta dottrina e gli sarebbe stata risparmiata la confusione ... Furono pertanto inviati alla Sede Apostolica dai due Concili di Cartagine e di Milevi rapporti concernenti tale questione prima che arrivassero in mano nostra o nell'Africa i verbali del processo ecclesiastico in cui si afferma che Pelagio si sia giustificato davanti ai vescovi della Palestina.

AGOSTINO, Lettera 186, 2 a Paolino