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CICLo AGOSTINIANo nella chiesa di S. Maria a Huesca

Agostino è rapito davanti alla Trinità

Agostino è rapito davanti alla Trinità

 

 

JUAN JERONIMO JALON

1650

Huesca, chiesa di Santa Maria in Foris

 

Agostino è rapito davanti alla Trinità

 

 

 

La scena replica abbastanza fedelmente la stampa di Schelte da Bolswert. La spiegazione indicata dall'autore fiammingo nella sua stampa originale recita: Divina tandem de sanctissima Trinitate volumina aliosque innumeros eruditus scriba ex omnigenae sapientiae suae thesauro protulit libros, tractatus et sermones, epistulas.

Poco dopo il 1400 Nelli dipinse Agostino a Gubbio rapito davanti alla Trinità: è lo stesso tema ripreso da Bolswert con una certa originalità. Agostino è invecchiato e un poco affaticato: sta scrivendo il De Trinitate ma guarda le persone che gli inviano un raggio di luce. E' la Trinità, con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Agostino esprime la propria sorpresa e una attenzione estrema.

Agostino indossa il saio nero dei monaci agostiniani e porta la tonsura.

 

Lo scopo del De Trinitate è rendere ragione, per quanto è possibile, del fatto che la Trinità è un solo Dio e che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima sostanza. I libri I-IV intendono innanzitutto mostrare che questo è il contenuto della fede nella Trinità, sulla base dell'autorità delle Scritture. I libri V-VII quindi formulano il dogma evitando gli errori opposti del triteismo (secondo cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sarebbero tre dèi) e del modalismo (secondo cui essi sarebbero soltanto manifestazioni estrinseche di un unico essere divino). Agostino si serve a tal fine della dottrina aristotelica delle categorie. Di Dio possiamo dire che è sostanza (substantia) o essenza (essentia); anzi, Egli "è" nel senso più vero del termine, perché è immutabile. Proprio perché immutabile, il Lui non vi sono accidenti; le sue perfezioni (bontà, giustizia, ecc.) si predicano dunque secondo la sostanza, cioè si identificano con il suo stesso essere. Non tutto ciò che si predica in Dio, tuttavia, si predica secondo la sostanza. Alcune cose si predicano in Dio secondo la relazione. È il caso dei nomi "Padre", "Figlio" e "Spirito Santo", che indicano appunto non la sostanza di Dio, ma le relazioni che sussistono in Lui. Il Padre è tale non in se stesso, ma in relazione al Figlio, e viceversa. Anche nomi come "principio" e "Signore" sono predicati di Dio secondo la relazione: essi fanno riferimento non all'essenza di Dio, ma alle sue relazioni nei confronti delle creature, o meglio alle relazioni che le creature intrattengono con Lui. Agostino dice di aver iniziato i libri Sulla Trinità da giovane e di averli pubblicati da vecchio (Prologo alla Lettera 174). La stesura dell'opera lo impegnò per più di vent'anni, a partire dal 400 circa. Il tema era in effetti uno dei più ardui anche per una mente come la sua. Nel Medioevo sorse al riguardo la nota leggenda destinata ad avere un'enorme fortuna iconografica: quella dell'incontro in riva al mare tra Agostino e un bambino che cercava di trasportare con una conchiglia o altro piccolo recipiente (a seconda delle versioni) l'acqua marina in una buca scavata nella sabbia, simbolo della vana pretesa di comprendere con l'intelletto umano il mistero infinito di Dio. La storiella, simpatica e istruttiva, non rende però giustizia all'instancabile sforzo agostiniano di avvicinarsi e avvicinarci alla luminosa verità del Dio uno e trino, alla cui visione beatifica l'uomo è chiamato per l'eternità.