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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Seicento > NapoliCICLo AGOSTINIANo di Cosimo fanzago aL MUSEO si San Martino a NAPOLI
Struttura degli stalli della chiesa di sant'Agostino degli Agostiniani Recolletti a Napoli
COSIMO FANZAGO
1630-1650
Museo S. Martino proveniente dalla chiesa di sant'Agostino degli Scalzi a Napoli
Episodi e miracoli della vita di sant'Agostino
L'insieme delle sculture furono eseguite per ornare la chiesa di sant'Agostino degli Scalzi che era stata edificata dai Recolletti verso i primi anni del Seicento e lussuosamente decorata. L'insieme dei quadri in legno di noce ha subito l'ingiuria del tempo ed oggi ne restano 28 che furono trasportati al Museo di San Martino al momento della confisca dei beni ecclesiastici. Sono stati alloggiati in una sala rettangolare detta coro di S. Agostino.
Lo scultore, forse Cosimo Fanzago (1591-1678), ha seguito l'analogo ciclo del fiammingo Bolswert anche se se ne differenzia per lo stile. Lo spirito barocco napoletano ha il sopravvento nella leziosità delle scene, che sono sempre molto ricche di personaggi, cortei e ricche ornamentazioni. Motivi vegetali, volute, teste riempiono gli spazi con vigore.
Cosimo Fanzago
Cosimo Fanzago era nato, in un giorno imprecisato del 1591, a Clusone nei pressi di Bergamo. Ancora giovane, si era recato a Napoli (1608) per lavorare nella bottega dello zio paterno Pompeo, «oripellaro». Quattro anni dopo aveva preso in sposa la figlia dello scultore fiorentino Angelo Landi, con il quale collaborava alla conduzione della bottega come «maestro di scultura di marmo». Come scrive Silvana Savarese, «l'artista bergamasco esercitò una rilevante e durevole influenza, nel Seicento ed oltre, in tutta l'Italia meridionale. Tra il 1619 e il 1620 si recò personalmente a Barletta per lavorare alla decorazione dell'abside della Cattedrale; nel 1626, e nuovamente dopo il 1628 soggiornò a Montecassino per la ristrutturazione del coro e l'ammodernamento dell'altar maggiore e delle cappelle della chiesa dell'abbazia.
Tra il 1626 e il 1628 visse a Pescocostanzo per i lavori al convento benedettino di S. Scolastica e, successivamente, intorno al 1630 per l'altare maggiore della chiesa di Gesù e Maria». (S. Savarese, L'architettura dal Viceregno spagnolo (1503) all'unità d'Italia, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso e R. Romeo, vol. XI, Edizione del Sole, Napoli, 1991, p. 408). Fondamentali furono i tre decenni (1623-1656) che lo videro impegnato a compiere i lavori di completamento della Certosa di S. Martino in Napoli, per la quale l'artista bergamasco creò alcuni capolavori (come il mirabile S. Brunone), pervenendo ad «un momento di grande felicità inventiva e di radicale rinnovamento del linguaggio scultoreo» (M. Mormone, Cosimo Fanzago, in Civiltà del Seicento a Napoli, Electa, Napoli, 1984, p. 181).
Di Napoli Fanzago inventò il «volto» barocco, rimanendo legato alla città fino alla morte, sopraggiunta il 13 febbraio del 1678. L'incarico per la realizzazione del grande Ciborio della Certosa di S. Stefano del Bosco venne affidato a Cosimo Fanzago nel 1631, durante il priorato di Don Ambrogio Gasco, in un'epoca di intensa collaborazione di importanti artisti con il monastero, com'è pure splendidamente testimoniato dai bassorilievi marmorei scolpiti da David Müller due decenni prima. Nell'esecuzione l'artista bergamasco si avvalse dell'aiuto dei fonditori S. Scioppi e Raffaele Matiniti o Materico detto il Fiammingo, nonché dell'opera dello scultore toscano Innocenzo Mangani, giunto a Serra proprio su invito dello stesso Fanzago. Tuttavia, dopo quasi un ventennio, abbandonò i lavori, che vennero ultimati da Andrea Gallo. L'«Iliade funesta» del terremoto (7 febbraio 1783) inaugurò un nuovo capitolo per la Certosa. I monaci furono costretti ad abbandonare il monastero; i libri e i manoscritti andarono dispersi; le fabbriche e le opere d'arte divennero preda dell'incuria. Un patrimonio artistico e culturale formatosi lentamente nel corso di diversi decenni cominciò a smembrarsi e assunse le più varie direzioni: parte andò a finire nelle Chiese serresi; parte prese la strada di paesi vicini; il Ciborio fanzaghiano venne rimontato pressoché integralmente (ma con alcune modifiche della complessiva composizione dell'altare originario) nella Chiesa dell'Addolorata di Serra, dove attualmente si trova. Un pesante smembramento riguardò le figure bronzee inserite nel Ciborio, alcune delle quali furono portate a Vibo Valentia e sono oggi visibili nel Museo del Valentianum.
Si tratta delle statuette, ammirate anche dai visitatori della mostra organizzata presso il Museo della Certosa, che rappresentano angeli oranti, putti alati e quattro santi, identificabili, secondo l'erudito Vito Capialbi, con S. Bruno, S. Stefano, S. Lorenzo e S. Ugo vescovo di Grenoble, laddove quest'ultima statua sembra piuttosto raffigurare S. Martino a cui è intitolata la Certosa napoletana. Le altre statuette di Fanzago sono visibili nel grande altare dell'Addolorata di Serra proveniente dalla Certosa e sormontato dalla figura del Cristo risorto. Intorno al vertice del Ciborio sono collocati S. Pietro, S. Paolo, S. Giovanni Evangelista; sopra il magnifico tabernacolo in pietre dure, centro e «cuore» della scena architettonica, quattro Santi vescovi; alla sommità e a lato delle porte che affiancano l'altare dei putti con canestri di frutta.
I modelli originari, lasciati peraltro da Fanzago incompiuti, del S. Pietro e del S. Paolo del Ciborio serrese sono stati rintracciati, da Aurora Spinosa, in due statuine di marmo, di identico soggetto e di circa 60 cm. di altezza, conservate a Napoli nella chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci. Un giudizio di Gianfranco Gritella sintetizza efficacemente la natura del capolavoro fanzaghiano: «Collocato sullo sfondo del presbiterio a separare lo spazio luminoso della crociera dal retrostante coro, il grande altare costituiva nella chiesa di fine cinquecento il punto focale dell'ornamentazione interna del campo verso cui convergevano le attenzioni degli spettatori che assistevano alle celebrazioni liturgiche. Ne risultava un organismo globale. dove scultura, architettura, oreficeria e arti applicate si amalgamavano in una componente unica dallo schema costruttivo ormai decisamente barocco, realizzando una “concrezione” preziosa di marmi policromi e di metalli dorati» (G. Gritella, La Certosa di S. Stefano del Bosco a Serra S. Bruno. Documenti per la storia di un eremo di origine normanna, L'Artistica Savigliano, Savigliano, 1991, p.79). Resta da sottolineare il fatto che le statuette fanzaghiane finite a Vibo Valentia vengono a costituire un singolo capitolo di una vicenda più ampia, che le affianca ad altri preziosi reperti dell'antico monastero certosino serrese. Infatti, quando tra metà Ottocento e inizio Novecento la Certosa venne «recuperata», tanto negli edifici - costruiti sotto la direzione dell'architetto francese Pichat - quanto nel culto, con la solenne consacrazione della Chiesa conventuale il 13 novembre 1900, e fu arricchita con lavori dei fratelli Scrivo (serresi) e di Zimatore e Grillo (di Pizzo Calabro), le importanti opere disperse dopo il terremoto non tornarono più e si trovarono a costituire una «Certosa perduta», ricollocata pezzo a pezzo lontano dal suo luogo originario. Una «Certosa perduta» che, ormai, quasi solo con gli strumenti della cultura è possibile lentamente «ritrovare».