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Gloria di Giovanni Bono
opera di Mussini del 1863 a Recco
LA SCISSIONE
di B. Van LUIJK
Le conseguenze della rapida espansione dopo il 1240 furono superiori alle forze del più che settuagenario Gian Bono. Considerando anche le deficienze nella sua formazione intellettuale, egli decise, per consiglio di alcuni confratelli, di rinunciare al supremo governo e di rimetterlo nelle mani della giovane generazione. Nel capitolo del 1243 gli succedette il "priore provinciale" della Romagna, fra Matteo, sacerdote ed originario di Mantova. L'elezione fu approvata dal vescovo di Cesena. Nei conventi, però, fuori della diocesi di Cesena e della Marca di Verona fu introdotto un aggiornamento della formula di professione: in luogo di promettere obbedienza alle costituzioni praticate nel convento di S. Maria di Cesena, si diceva: "in obbedienza alle costituzioni dell'Ordine". Tale mutamento era inaccettabile per il gruppo di Cesena, perché questi frati non volevano far violenza al carattere diocesano del loro istituto.
Di conseguenza fra Matteo non prese, come anche l'aggiornamento suggeriva, il titolo di "priore generale", ma si nominò, come prima, "priore maggiore di Cesena". Questo parere egli divideva con la maggioranza dei membri anziani, quasi tutti romagnoli. Coloro però che avevano introdotto la novità nella formula della professione, genericamente indicati come i "Lombardi", non rinunciarono al loro punto di vista. La tensione crebbe tanto e le fazioni furono tanto intransigenti, che una scissione fu inevitabile. Per sanare la situazione venne convocato un "capitolo" a Ferrara nel 1249.
Anche Gianbono, nonostante la sua età d'ottanta anni, volle parteciparvi e partì per Ferrara. Arrivato nella sua città natale, Mantova, cadde malato e mori il 23 ottobre poco prima della chiusura del "capitolo", consapevole delle tensioni che minacciavano gravemente il suo istituto. I fratelli, molti dei quali parteciparono al funerale, consideravano lo scomparso come il santo fondatore e speravano che intercedesse nei momenti difficili. Dopo la sua morte si verificarono anche edificanti episodi. Lanfranco dichiarò che fu liberato, per intercessione del suo padre spirituale, da una affezione cutanea molto somigliante ad una forma di lebbra, quando la salma non era ancora sotto terra. Al "capitolo" parteciparono i due "priori provinciali": Dotello o Dobello della Romagna e Lanfranco della Lombardia con i loro "discreti" e "capitolari". Prima dell'apertura del capitolo, fra Matteo dichiarò di rinunciare, ma fece prima scegliere i "definitori capitolari" secondo le costituzioni. I "capitolari" romagnoli non erano d'accordo; lasciarono l'assemblea ed aprirono un contro capitolo in Cesena. Fra Matteo rinunciò e diede il potere ai "definitori" eletti ed al rappresentante del vescovo di Cesena. Dopo lo scrutinio e l'elezione del frate-sacerdote Ugone da Mantova a superiore maggiore, i lavori capitolari proseguirono.
Uno dei primi decreti riguardò la formula della professione nella nuova versione, che venne accettata: Ego NN. facio professionem et promitto obedientiam Deo et B. Mariae Virgini et tibi Priori Generali Eremitarum [Johannis Boni] tuisque successoribus usque ad mortem secundum Regulam B. Augustini et Constitutiones Fratrum istius Ordinis. Il vescovo-eletto di Aquilea, il monaco cistercense Nicola, approvò come delegato apostolico tutti i decreti capitolari, dei quali questi due ci sono stati tramandati. Il "priore generale" eletto si procurò inoltre un approvazione papale in forma di breve, che gli venne concesso senza difficoltà. I cesenati e romagnoli, però, radunati in Cesena, elessero come "priore maggiore di Cesena" fra Marco.
Questa elezione venne approvata dal vescovo Michele di Cesena. Esistevano allora due superiori maggiori, ambedue legalmente approvati dall'autorità ecclesiastica. E così si formarono due obbedienze. Poiché nell'anno tanto amaro per i Gianbonini (1249) la guerra fra l'imperatore tedesco e le città italiane ebbe conseguenze indesiderate, specialmente nella Lombardia, i Gianbonini chiesero ed ottennero il permesso temporaneo di non portare più il bastone di questuante per non rischiare di venir arrestati dai belligeranti sotto pretesto di spionaggio. Il suddetto bastone destava sospetto, perché i Gianbonini come eremiti e mendicanti neri non erano ancora noti nella vita urbana. Dopo due anni e meno questa dispensa temporanea fu cambiata in perpetua, cosicché dopo il 1250 i Gianbonini nella Lombardia non portarono più questo bastone (Ex parte tua, del 7 sett. 1250 e Quanto studiosius del 14 marzo 1253, L. 78 e 101).
Nello stesso periodo si consolidò anche il carattere attivo dell'istituto. Nel breve Devotionis augmentum del 20 settembre 1250 vennero concessi alcuni privilegi riguardanti attività parrocchiali, a condizione che i frati non negassero le consuete decimae et primitiae agli aventi già diritto, cioè ai parroci secolari. Due anni dopo, questo permesso venne notificato agli arcivescovi e vescovi con l'aggiunta che i Gianbonini potessero liberamente stabilirsi dappertutto. Questo documento diede la possibilità di espandersi anche fuori d'Italia e significò il riconoscimento delle fondazioni già realizzate (Devotionis augmentum, del 20 sett. 1250; Dilecti filii priores, del 3 agosto 1252 e In regesto, del 20 sett. 1255, L. 80, 97 e 150). Tre anni dopo la scissione ambedue le parti desideravano un accomodamento. Anche la curia papale lo sosteneva e affidò i preparativi a Guglielmo, cardinale-diacono di S. Eustachio, poco tempo prima nominato protettore dell'Ordine. Questi a sua volta nominò come suoi sostituti l'eletto di Padova, Gaufredo (?), ed il frate minore Simone da Milano, ambedue cappellani alla corte papale. Essi si misero in contatto con le parti e giunsero a un accordo. Ambedue i priori generali avrebbero convocato un capitolo comune di riconciliazione a Bologna. Radunati, si elessero i definitori capitolari, ed il priore maggiore Marco partì per Cesena e rimise là il suo incarico nelle mani del vescovo diocesano Manzino. Il priore-generale Ugone rassegnò le dimissioni al deputato curiale maestro Bernardo da Bologna. Ambedue gli ex-superiori maggiori avevano concordato di non partecipare più al capitolo e avevano nomimmato una commissione di quattro fratelli i quali eleggessero un solo priore generale per tutti.
Concordemente nominarono il milanese Lanfranco, ex priore di Bologna e priore provinciale della Lombardia, ex-segretario di Matteo da Mantova. Il capitolo lo confermò e notificò l'elezione alla curia papale. Nella comferma la curia decise che i Giambonini portassero in futuro il titolo: Fratres Ordinis Eremitarum senza alcuna aggiunta, per evitare una rinnovazione della scissione ora composta. Ai vescovi che desideravano di nominare i priori locali secondo l'usanza primitiva venne concessa la persistenza del loro privilegio. Il priore generale però con i priori provinciali e priori conventuali, non sottomessi ai vescovi, avrebbero dovuto soltanto riconoscere il potere vescovile secondo il diritto generale, a condizione però che i vescovi non intraprendessero alcun passo contro i superiori maggiori senza previa consultazione con la curia papale. La formula della professione stabilita nel capitolo di Ferrara diventò obbligatoria per tutti, senza l'aggiunta: "Johannis Boni" dopo il titolo: "Fratres Ordinis Eremitarum". Le professioni emesse secondo la formula cesenate e ferrarese, in quanto non acora aggiornate, vennero risanate con effetto retroattivo. Inoltre venne cambiata l'intitolazione del breve concesso dalla curia all'ex-generale Ugone; vi fu inserito il nuovo titolo dell'Ordine, in modo che questo breve, di cui non conosciamo il contenuto, assumesse valore generale.
Tutto questo sviluppo riguardante la scissione e la ricomposizione dell'unione è stato ampiamente descritto nel lungo documento papale Admonet Nos cura del 15 aprile 1253. In questo sono anche inseriti in forma di una lettera Variam (Eremitarum) Ordinis vestri formam, i decreti del Cardinale Protettore, emessi il giorno 8 gennaio dello stesso anno (L. 102).