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Gloria di Giovanni Bono
opera di Mussini del 1863 a Recco
ULTERIORE ESPANSIONE
di B. Van LUIJK
Come gli Eremiti Toscani, anche i Gianbonini avevano un istituto simile a una forma di Terz'Ordine, i cui membri si chiamavano Fratres et Sorores Poenitentes Joannis Boni. Probabilmente essendo l'Ordine giambonino divenuto clericale, i laici cercavano un'altra forma di partecipazione ai doni spirituali annessi al fatto d'essere socio dell'istituto di Gian Bono, creando una specie di Terz'Ordine (Lo scopo e i doveri di tali confraternite sono stati descritti da G. M. MONTI, Le confraternite medievali dell'Alta e Media Italia, Venena 1927, I, pp. 106-107; II, pp. 5-21, 81, 110-143; E. DELAH, L'influence de S. François d'Assise sur la pitié populaire, in "Relazioni del X Congresso Internazionale di Scienze storiche", Roma 1955, III, Firenze 1955, p. 453 e da J. B. PIERRON, Die Katholischen Armen, op. cit., pp. 159-160).
Fra i primi, i documenti indicano nel 1229 Bonaccorso e Maria Belli.
Nel processo della canonizzazione si trovano anche le deposizioni della "soror" Papia e dei "frati penitenti" Gualtieri e Artusio. Questi si distinguono da un altro gruppo di penitenti, probabilmente Umiliati, che erano ostili verso quelli appartenenti ai Gianbonini (Notizie prese dal processo della canonizzazione). Probabilmente anche Suore Mantellate si unirono ai Gianbonini, e il primo monastero potrebbe essere stato quello di Vigoncolo nella diocesi di Parma (Secondo una notizia contenuta nel codice 1314 della Biblioteca Angelica (Roma) riguardo al breve Justis petentium del 23 maggio 1255, L. 128).
La scissione all'interno dei Gianbonini si fece sentire ancora per un certo periodo in diverse conseguenze. Fra i membri esisteva un'agitazione che si manifestò nella partenza irregolare di frati e nell'atteggiamento incerto di vescovi diocesani. Dal 1254 venne con energia preteso il permesso scritto per allontanarsi legalmente dai conventi. Il priore generale ed altri superiori potevano adoperare la scomunica, ferri, catene e carcere per costringere gli "apostati" alla sottomissione. Ai vescovi venne prescritto di confermare il loro atteggiamento a quello dell'Ordine (Cum paupertatem e Cum dilectorum, ambedue del 27 aprile 1254, e Ea parte dilectorum, del 1 marzo 1255, L. 112, 113, 123).
Fu difficile per diversi ordinari diocesani della Romagna e della Lombardia cedere il potere sui superiori locali al priore-generale dei Giambonini, ma Roma volle diminuire sempre più l'influsso episcopale, e nel mese di luglio 1255 prescrisse a Lanfranco di non lasciarsi influenzare o intimidire dai vescovi circa la nomina di priori locali. Ai vescovi venne inoltre chiesto con energia di non allontanarsi dai decreti apostolici né opporvisi ostinatamente (Ne pro eo ut, del 14 luglio 1255 e Odore soavi bonorum del 15 luglio 1253, L. 137, 139). Come gli altri frati mendicanti, i Giambonini si dedicavano alla missione popolare e percorrevano il paese in tutte le direzioni. Poiché la politica chiedeva spesso la scelta pro o contro il vassallaggio verso la Sede Apostolica, le regioni contrarie a questo furono non di rado colpite da interdetto. Una delle conseguenze era, che i frati in comunione con la Chiesa non avrebbero potuto accettare elemosine, né cibi o dotazioni, necessari per il loro mantenimento di vita, da parte della gente abitante in una regione sotto interdetto. Per rassicurarsi, i Gianbonini chiesero ed ottennero nel 1255 l'esenzione da questa conseguenza di un interdetto papale, che, se osservato, avrebbe paralizzato lo sviluppo della loro vita materiale e spirituale (Vobis, extremam patientibus, del 3 febbr. 1255, L. 122. Una dotta descrizione delle situazioni in Italia del secolo XIII offre: H. NOLTENIUS, Duecento. Zwerftocht door Italie's late middeleeuwen, Utrecht 1953).
Mezzo anno prima, il 14 luglio 1255, i Giambonini avevano gia ricevuto il privilegio di poter sciogliere i candidati per il loro Ordine da censure, come anche, in caso che fossero sacerdoti, dalla sospensione o da altre pene ecclesiastiche subite per non aver osservato l'interdetto e aver celebrato funzioni solenni e aver somministrato i sacramenti con pompa pubblica. Il privilegio di esenzione venne concesso con la restrizione che non sarebbe stato applicabile se le persone stesse fossero state la causa della scomunica: un crimine di cui l'assoluzione era riservata alla Sede Apostolica (Caelestis amor Patriae, del 14 luglio 1255, L. 136). L'attività bellica costringeva i Giambonini ad abbandonare le loro fondazioni fuori delle mura, perché direttamente esposte a invasioni e assalti. Essi si trasferirono dentro le città. Così fece il sacerdote Alberto, che ebbe la cura della chiesa di S. Clemente fuori di Cremona, dopo l'affiliazione della sua comunità ai Giambonini. Questi chiesero ed ottennero dal vescovo Bernerio un sito nel sobborgo per costruire un convento con chiesa, che poi diventò quello famoso di S. Agostino.
Vedendo nel 1255 che mai sarebbe ritornato a S. Clemente, il priore Alberto conferì con permesso papale i diritti e doveri di S. Clemente alla chiesa di S. Agostino (Dilecti filii prior et fratres del 13 aprile 1255, L. 127).