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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Settecento > Maestro di SutamarchanPITTORI: Maestro di Sutamarchan

Agostino in contemplazione
MAESTRO DI SUTAMARCHAN
1700-1750
Sutamarchan, Convento agostiniano Ecce Homo
Agostino in contemplazione
La scena qui rappresentata dall'ignoto pittore è di difficile interpretazione. Sono stati rappresentati due distinti eventi separati da un albero che introduce a due paesaggi diversi. A sinistra due monaci in tonaca nera sono impegnati a leggere con attenzione un libro seduti in un luogo appartato con alle spalle le mura cittadine. L'ambiente è calmo e pacato e richiama un desiderio di pace.
La scena di destra ha per protagonista Agostino in abiti monacali. Indossa la tunica nera dei frati agostiniani e se ne sta in preghiera con le mani giunte davanti a un crocifisso. Il santo è inginocchiato ed ha davanti a sé tre libri, di cui due chiusi ed uno aperto che sta consultando. La scena è ambientata in un bosco dalle tonalità scure, cui si contrappone l'orizzonte alquanto luminoso che mostra in lontananza dei monti e una casa. Agostino ha un volto ancora giovanile, con una folta barba e il capo circondato dall'aureola dei santi.
L'aspetto contemplativo è ben presente nelle opere di Agostino, di cui ne diamo qualche esempio:
Nel De beata vita Agostino sostiene che la beatitudine equivale al possesso di Dio; Egli si rivela come luce all'anima: "Questo sole nascosto infonde quella luce ai nostri occhi interiori (Hoc interioribus luminibus nostris iubar sol ille secretus infundit)."
AGOSTINO, De Beata Vita, 4, 35
"Dio, padre della verità, padre della sapienza, padre della vera e somma vita, padre della beatitudine, padre del bene e del bello, padre della luce intelligibile, padre del nostro risveglio e della nostra illuminazione ..."
AGOSTINO, Soliloquia I, 1, 2
Nel De quantitate animae Agostino afferma che risulta più facile apprendere qualcosa riguardo allo "spirito a coloro che con una buona cultura iniziano ad applicarsi a questi problemi, non per amore di vana gloria, ma infiammati di amore divino per la verità ..." Così nel Libro VIII delle Confessioni, al capitolo 4 sembra quasi che invochi Dio sollecitandolo, quasi istigandolo ad operare questo miracolo: "Agisci, Signore, svegliaci e richiamaci, accendi e rapisci, ardi, sii dolce ... Si avvicinano e sono illuminati da quella tua luce ..." Dirà poi nel De Magistro: "Dalla luce interiore della verità viene illuminato con godimento l'uomo che è considerato interiore" (12, 40).
Ma l'affermazione più volte ribadita è che Dio, e soltanto Lui, può "illuminare le anime e renderle sapienti e felici, donando loro se stesso in godimento" (De diversis quaestionibus 53, 2; Enchiridion 27, 103; De vera Religione 3, 3; 28, 51). L'illuminazione è sempre opera divina (De Consensu Evangelistarum III, 25, 86).
"La nostra illuminazione è una partecipazione del Verbo, cioè di quella vita che è la luce degli uomini (Gv. 1,4). Ma noi eravamo veramente inadatti e ben poco idonei a tale partecipazione per la immondizia dei peccati. Dovevamo dunque essere purificati. Ora la sola purificazione dei peccatori e dei superbi è il sangue del Giusto, e l'umiltà di Dio; affinché, per poter contemplare Dio, che per natura noi non siamo, venissimo purificati da Dio stesso fattosi quello che per natura siamo e quello che per peccato non siamo. Infatti non siamo Dio per natura, siamo per natura uomini, non siamo giusti per il peccato. Dunque Dio, fattosi uomo giusto, ha propiziato Dio per l'uomo peccatore. Non c'è infatti rapporto tra peccatore e giusto, ma tra uomo e uomo. Dunque aggiungendo a noi la sua umanità, uguale alla nostra, ha sottratto a noi la dissomiglianza della nostra peccaminosità e, fattosi partecipe della nostra mortalità, ci ha fatto partecipi della sua divinità."
AGOSTINO, De Trinitate, IV, 2, 4
"Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido vinse la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità (splenduisti et fugasti caecitatem meam); diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo a te, gustai e ora ho fame e sete (di te); mi toccasti, e arsi del desiderio della tua pace."
AGOSTINO, Confessioni, 10, 27, 38