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PITTORI: Maestro di Sutamarchan

Tolle lege

Tolle lege

 

 

MAESTRO DI SUTAMARCHAN

1700-1750

Sutamarchan, Convento agostiniano Ecce Homo

 

Tolle lege nel giardino di Milano

 

 

 

La scena del tolle lege è stata realizzata dall'anonimo pittore seguendo una struttura ampiamente diffusa dal Seicento in poi. L'ambientazione riprende l'esempio già noto da Bolswert, conservando la struttura fondamentale e modificando alcuni particolari. la scena si svolge in un giardino con un ampio panorama campestre che presenta sulla destra la vista di alcuni imponenti edifici cittadini. Agostino è seduto sotto un albero e alza il braccio destro in direzione di tre angioletti che appaiono in una nube e gli lanciano una striscia luminosa, dove però non compare la solita scritta tolle lege.

Ai piedi del santo è abbandonato a terra un libro aperto che è stato appena letto. Alle spalle lo stesso Agostino si confronta con l'amico Alipio su quanto ha letto e glielo porge mostrandogli il passo del libro. Da una apertura della casa vicina si vede in una camera aperta una donna che prega. Si tratta della madre Monica che finalmente ha visto realizzarsi il suo sogno di vedere Agostino farsi cristiano.

Nelle opere scritte subito dopo la conversione, Agostino non fa cenno alla famosa scena dell'orto o del tolle lege, che ricorda nelle Confessioni. L'episodio dimostrerebbe che Agostino conobbe l'epistolario di san Paolo proprio all'inizio della sua conversione.

Tuttavia questa scena, vera senza dubbio in molti, probabilmente in tutti, i suoi particolari, è stata redatta con la preoccupazione di dimostrare appunto il contrario di ciò che taluno ha creduto di scorgervi: di mettere in luce cioè l'impotenza dell'uomo a operare da solo la propria salvezza e la necessità dell'intervento, subito efficace della grazia divina, intervento che non ha nulla di miracoloso.

Possiamo anche ammettere che il testo paolino, di contenuto così caratteristicamente etico, e inserito in una esortazione morale ed escatologica, fosse per l'appunto quello che Agostino lesse effettivamente, ricavandone la forza di tradurre in atto i progetti che da qualche tempo maturavano nella sua mente.

 

E, come racconta nelle Confessioni, recatosi in giardino, si mise sotto una pianta a piangere amaramente, e diceva: - Quanto tempo ancora? Quanto ancora? Domani, domani ! ancora un po' di tempo. Ed era desolato di non sapersi decidere o a restare nel mondo o a consacrarsi a Dio.

JACOPO DA VARAGINE, Legenda Aurea

 

Così parlavo e piangevo nell'amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: «Prendi e leggi, prendi e leggi». Mutai d'aspetto all'istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte ... Tornai al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell'Apostolo all'atto di alzarmi.

Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: « Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze ... » Non volli leggere oltre né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.

AGOSTINO, Confessioni 8, 12, 29