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PITTORI: Jakub Pischel

Disputa con Fortunato manicheo

Disputa con Fortunato manicheo

 

 

PISCHEL JAKUB

1756

Havlíčkově Brodě, monastero agostiniano

 

Disputa con Fortunato manicheo

 

 

 

Il dipinto mostra la disputa che intercorse fra Agostino e il manicheo Fortunato. Una descrizione dettagliata dell'intera vicenda ci è stata tramandata da Possidio, che afferma che all'epoca in cui Agostino era già un vescovo, il movimento manicheo cominciò a moltiplicarsi in Ippona.

 

6.1 In quel tempo ad Ippona la peste dei manichei aveva infettato e contagiato molti sia cittadini sia stranieri, sviati e tratti in errore da un prete della setta, di nome Fortunato, che lì risiedeva ed operava.

6. 2. Allora alcuni cristiani, cittadini di Ippona e stranieri, sia cattolici sia anche donatisti, vanno dal prete Agostino e gli chiedono d'incontrare quel prete manicheo, ch'essi credevano dotto, e di discutere con lui intorno alla legge.

6. 3. Quello, che - com'è scritto - era pronto a rispondere ad ognuno che gli chiedesse spiegazioni intorno alla fede e alla speranza ch'è rivolta a Dio e ch'era in grado di esortare con sana dottrina e di confutare chi contraddiceva (1 Pt. 3, 15; Tit. 1, 9), non si sottrasse; chiese però se anche quello fosse d'accordo.

6. 4. Allora quelle persone riferirono subito ciò a Fortunato, chiedendo ed insistendo che neppure egli rifiutasse. Infatti Fortunato aveva già conosciuto a Cartagine il santo Agostino, quando questo era ancora implicato nel suo stesso errore, e temeva di entrare in discussione con lui.

6. 5. Tuttavia costretto soprattutto dalle insistenze dei suoi e spinto da un senso di vergogna, promise d'incontrare Agostino e di venire a discussione con lui.

6. 6. S'incontrarono nel giorno e nel luogo stabilito, dove si erano radunati molti che erano interessati alla questione e gran folla di curiosi: gli stenografi aprirono le tavolette e cominciò la discussione nel primo giorno per concludersi nel successivo.

6. 7. In essa il dottore manicheo -come riferiscono gli atti - non fu in grado di confutare la posizione cattolica e non riuscì a confortare con argomenti validi la dottrina manichea. Alle ultime battute si ritirò, dichiarando che avrebbe discusso insieme con i suoi superiori gli argomenti che non era riuscito a confutare: se neppure essi ci fossero riusciti, egli avrebbe provveduto alla sua anima. In tal modo tutti coloro che lo ritenevano capace e dotto, giudicarono che egli non aveva avuto alcuna efficacia nel difendere la sua setta.

6. 8. Fortunato, pieno di vergogna, successivamente partì da Ippona e non vi fece più ritorno. Così, grazie a questo uomo di Dio, quell'errore fu cacciato via dagli animi di tutti coloro che o erano stati presenti o assenti erano venuti a conoscenza di quel che si era svolto, mentre veniva confermata e rafforzata la veritiera dottrina cattolica.

POSSIDIO, Gesta Augustini 6, 1-8

 

Il principale esponente di questi eretici era un certo Fortunato, con il quale Agostino condusse molte discussioni pubbliche. Sulla base di questi eventi, nel 392 Agostino scrisse il libro Contra Fortunatum Manicheum. Il pittore introduce lo spettatore proprio nel mezzo del dibattito tra Agostino e Fortunato. Agostino è seduto a sinistra su una sedia di legno e accanto a lui c'è uno dei suoi confratelli religiosi seduto su uno sgabello. Entrambi sono vestiti con la tonaca nera dei monaci agostiniani eremitani. Di fronte a loro si trova Fortunato con il suo avversario, vestito con abiti colorati che ascolta le parole di Agostino. Dietro di loro si trovano gli scribi, che scrivono ogni parola e sullo sfondo ci sono molti partecipanti. La discussione sembra svolgersi pacatamente, ma evoca una sensazione di drammaticità il colore rosso con cui sono dipinte le tendee e i panneggi che chiudono la scena. Il commento all'episodio è assicurato da un cartiglio con la scritta "Disputatio coepta 1 et 2 finita est die in qva Fortunatus ut gestorum continet fides in Catholicam assertionem potuit vacuare nec Manichaeorum Sectam veritate subnixam ...", su cui si appoggia un angelo.

 

 

 

Pischel Jakub Antonin

Tre generazioni di pittori Pischel hanno vissuto a Jemnice, provenendo, secondo la tradizione, da Mohelnice. Non è noto l'anno del loro arrivo e la prima menzione risale al 1673, quando si parla del pittore Marcel, a volte Jan Marczelo, Pischel, un borghese e consigliere della città di Jemnice. Suo figlio fu il pittore Jakub Antonín e alla terza generazione troviamo il nipote Leopold Josef, a sua volta pittore.

Nel 1677 Marcel Pischel sposò Anna ed ebbe tre figli: Jan Jakub (1680), Veronika (1683) e Jakub Antonín (1695). Non è noto quali dipinti realizzò Marcel e per chi, ma per i suoi buoni rapporti con i francescani si può presumere che abbia partecipato alla decorazione dell'interno della chiesa del monastero a Dačice. Dopo prese con sé come assistente suo figlio Jakub che lo aiutò in alcuni lavori nella tenuta di Jemnice di proprietà della famiglia Jankovský di Vlašim.

Fortunatamente abbiamo più notizie del figlio Jakub Pischel, che dopo un viaggio in Germania si trasferì a Brod. Si sposò con Agneska nel 1732 ed ebbe i figli: Michele (1733), Anna (1735), Giovanni (1737), Antonina (1740), Giuseppe (1744), Maria (1746) e Catherine (1748). Jakub Pischel morì nel 1785 "... alla benedetta età di novanta anni nella casa di sua figlia Kateřina Horní ... "

L'attività artistica di Jakub Pischel fu strettamente legata al monastero agostiniano di Německý Brod. Nel 1723 dipinse un quadro per l'altare della Vergine Marie Bolestná. Nel 1731 decorò l'altare della Vergine Maria di Brno. Nel 1746 realizza per il monastero un primo ampio ciclo con scene della vita di San Giuseppe. Probabilmente l'ultimo lavoro risale al 1756, quando porta a termine un secondo grande ciclo di lunette per il monastero dipinti con scene della vita di Sant'Agostino. Per gli agostiniani realizzò anche dorature, timbrature di altari, pulpiti e vetrate, tanto che i monaci lo chiamavano "Dominus Pictor". Jakub Pischel non è uno dei migliori pittori barocchi boemi, ma è un artista di talento di rilevanza locale.