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Ciclo di affreschi della vita di sant'Agostino nella chiesa degli Eremitani a Padova

Ciclo di affreschi della vita di sant'Agostino nella chiesa degli Eremitani a Padova

 

 

FORMAZIONE DEGLI EREMITI DI SANT'AGOSTINO E LORO INSEDIAMENTI NELLA TERRAFERMA VENETA E A VENEZIA

di Franco dal Pino

in Gli Agostiniani a Venezia e la Chiesa di santo Stefano  (Atti della Giornata di Studio nel V Centenario della Dedicazione della Chiesa di Santo Stefano - Venezia 10 novembre 1995)

- ISTITUTO VENETO DI SCIENZE LETTERE ED ARTI

- Venezia 1997

 

 

 

 

INSEDIAMENTI DI EREMITI AGOSTINIANI NELLA TERRAFERMA VENETA

 

 

PADOVA

 

Passando a parlare delle origini del convento degli Eremitani a Padova si può subito premettere che disponiamo in proposito di studi recenti particolarmente validi, dovuti alla Pierri, ma soprattutto al Rigon, che permettono di correggere una serie di inesattezze anteriormente correnti relative sia agli anni di inizio che alla confusione tra Eremiti di san Guglielmo ed Eremitani di S. Maria della Carità dell'Arena, anche se questa volta la data dell'arrivo di questi ultimi era già stata fissata assai precisamente dal Rano [1].

Bisogna partire questa volta appunto da un accenno agli Eremiti di san Guglielmo che appaiono ubicati a Padova nel borgo suburbano di S. Croce già prima del 1238 quando i "fratres de busco", che qui si identificano, diversamente da Verona, con loro, sono nominati, tra numerosi altri enti religiosi, nel testamento di Buffono di Bartoloto del 9 agosto 1238; la dicitura ricompare il 22 novembre 1245 quando si parla di fra Bono "de ordine illorum a busco", identificati esplicitamente, in altro documento del 14 ottobre 1250, con i Guglielmiti ("fratrum de busco sancti Guilielmi") dei quali si indica poi l'ubicazione riferendosi "loco Sancti Wilielmi de busco qui est ad Sanctam Crucem" [2]. Più tardivo il primo atto conosciuto relativo ai Giambonini costituito da una vendita con cui il 4 marzo 1242 Lamicetto e Giovanni, figli del fu Oto Cagariento, cedono a fra Martino "de Ordine eremitanorum fratris Çanneboni" (lo stesso che sarà priore a Verona nel 1250?), che agisce "pro dicto ordine eremitanorum", al prezzo di 70 lire al campo, una pezza di terra di circa tre campi sita nella "campanea" di Padova a ponte Terranegra ("a ponte Terrenigre, ab alia parte fluminis qui labitur et fluit a Pontecorbo"), nella zona orientale della città, vendita confermata da Riccia e Saliceta, madre e figlia dei venditori [3].

L'atto sembra veramente costituire la premessa immediata di un insediamento non ancora esistente: fra Martino, che appare appositamente inviato (priore generale è ancora fra Matteo da Mantova), agisce a nome dell'Ordine detto ancora di frate Giambono e subito dopo solo "eremitanorum", e non di una comunità locale. Circa tre anni e mezzo dopo, il 3 ottobre 1245, fra Bonamico, detto "prior sive minister fratrum heremitanorum in Marchia" (la Marchia è già costituita in provincia?) e frate Girolamo dello stesso ordine, "pro se et toto suo conventu", danno a Perelda, moglie del fu Buffone da S. Matteo, un sedime con case e due cortili sito nel territorio della chiesa di S. Matteo, già acquistato da Alberto di Vitaclino, in cambio di una pezza di terra da orto, un tempo prato di Buffone, di circa un campo e un quartiere, sita in Arena; il giorno seguente, 4 ottobre, alla presenza di Marsoplo procuratore di Perelda, l'intero capitolo degli Eremitani di Padova, nominatamente "frater Bonamicus, minister ordinis fratrum heremitanorum de Padua, et frater Iacobus presbiter et frater Bonaçonta presbiter et frater Benvegnutus diaconus ..." e altri dieci "de conventu et ordine fratrum heremitarum" confermano la permuta di un sedime sito nel territorio della chiesa di S. Matteo con una pezza di terra sita in Arena, con la predetta Perelda [4]

La comunità, costituita ormai da un certo numero di frati "chierici" e assai numerosa, si prepara dunque a spostarsi nel quartiere dell'Arena, borgo ancora semirurale, vicinissima comunque alle mura urbane quanto lo era il S. Agostino dei Predicatori e più di Mater Domini o S. Antonio dove avevano preso sede stabile da tempo i Minori. Ancora pochi anni e troviamo la comunità ormai stabilita nel nuovo sito, intenta ad allargarlo con nuove particelle di terreno, presso una chiesa che porta il titolo di S. Maria (come quella del primitivo luogo dell'Ordine a Butriolo) con lo specificativo assai raro "de Caritate" o più semplicemente "de Arena". Così in un atto di acquisto di terreno collocato "in Arena", dell'8 giugno 1248, i venditori ricevono 50 lire "a dompno Iohanne, priore Sancte Marie de Caritate de ordine fratrum romitanorum de Padua" e, dopo una lacuna di diversi anni, il 29 maggio 1254, in altro atto di vendita sostitutivo di uno precedente andato perduto fatto ad un procuratore laico "pro fratribus eremitaneis Sancte Marie de Arena", gli stessi venditori dell'atto precedente dichiarano di cedere per 55 lire una pezzetta di terra di circa mezzo campo sita in Arena a fra Angiolino da Treviso e a fra Omodeo che ricevono anch'essi "pro loco predicte Sancte Marie de Eremitaneis de Arena" [5]

L'impatto della riunificazione dell'aprile 1256 tra i vari ordini eremitici di recente costituzione, riguarderà a Padova le due comunità esistenti, quella dei Guglielmiti e quella dei Giambonini o Eremitani cointeressati dall'unione stessa. Alcuni documenti scandiscono il rapido incorporarsi della prima nella seconda. Pochi mesi dopo la lettera papale di unificazione, il 16 ottobre dello stesso 1256, un lascito di Bona, vedova di Anselmo di Aicardo, prevede 20 soldi ciascuno "loco fratrum heremitarum" e a quello "Sancti Guillelmi" che appaiono così ancora distinti e dotati di un proprio titolo; poco dopo, il 4 novembre, un altro lascito testamentario è fatto a favore "fratrum de busco et remi[tarum]", giustaposti nella donazione, ma forse non ancora unificati; a distanza di un anno, il 30 ottobre 1257, in un lascito analogo, dovuto al notaio Alberto del fu Artuxio e che ammonta alla discreta somma di 10 lire, destinato "fratribus a busco de Arena cum heremitanis", si conserva ancora il diverso titolo dei due gruppi (con una certa contaminazione: "a busco de Arena") che però ormai convivono, insediati nel luogo di S. Maria della Carità dell'Arena degli Eremitani stessi, mentre presso S. Guglielmo appaiono nei due anni successivi delle "sorores" non bene qualificate [6]. I Guglielmiti di Padova devono essersi perciò trovati tra quelli che, malgrado le decisioni, già ricordate, prese da Alessandro IV nell'agosto 1256 in favore di una loro autonomia, hanno finito per aderire all'unione programmata senza poi tornare sui loro passi come accadrà per numerosi conventi d'oltralpe [7].

Interessanti infine, tra il 1257 e il 1260, quale prova dell'unità conventuale raggiunta, della già avvenuta costituzione della provincia della Marca trevigiana, della consistenza e qualificazione proprie ormai della locale comunità e della sua inserzione nella società cittadina, sei atti di donazione di un terreno da parte della "domina" Maria, moglie "condam Iohannis de Çacaria de Arena", che trova da parte della comunità stessa e dell'Ordine un corrispettivo vitalizio che potrebbe far pensare ad un primo atto informale di oblazione, anche se le vicende e le disposizioni successive non portano certo ad escludere un marcato intento di sicurezza economica [8]. Nel primo atto, la "carta donationis inter vivos" del 10 novembre 1257, Maria dona "fratri Benvenuto qui fuit de Vicencia, priori loci Sancte Marie de Karitate de Arena", un sedime con case, culture e clausura sito in contrada Arena nelle vicinanze del convento; solo il 3 maggio dell'anno successivo fra Manfredino, costituito procuratore da fra Nascimbene priore in luogo dell'assente fra Benvenuto e dai frati riuniti capitolarmente "in loco monasterii Sancte Marie de caritate de Arena ubi morantur fratres heremitani", ne prende possesso a loro nome; a distanza poi di altri nove mesi, il priore fra Benvenuto, con il consenso questa volta dello stesso priore generale fra Lanfranco, di fra Ugo provinciale "in Marchia Trivisina" e dei frati del convento, si impegna a garantire alla stessa Maria, per tutto il tempo della sua vita (ciò che costituirebbe il corrispettivo della "oblatio"), "vittum et vestitum secundum suas facultates ... et ipsam sanam et egram tenere decenter" [9].

La donazione risulterà comunque nulla per la confisca dei beni di Giovanni dell'Arena, già marito della donatrice, che obbligherà poi il priore Benvenuto, il 15 febbraio 1259, pochi giorni dunque dopo l'impegno assunto con Maria dalla sua comunità, ad acquistare dagli stimatori del comune di Padova il terreno "donato", al prezzo di 150 denari veneti [10]. In due atti ulteriori del gennaio 1260, proprio in considerazione del vitto e vestito ricevuti comunque dai frati, la stessa Maria dona loro i propri diritti sui beni del marito relativi alla restituzione della somma corrispondente alla dote e agli aumenti totali valutabili in 300 lire e il priore Benvenuto compare poi come primo nell'elenco dei creditori dello stesso marito defunto [11] .. Da notare che nell'atto di procura del 3 maggio 1258 risultano presenti, oltre il priore, altri dodici frati tra i quali solo uno, fra Giovanni, è detto "presbiter"; in quello del 4 febbraio 1259, oltre il priore generale e quelli provinciale e conventuale, i frati sono diciotto e tra essi i primi otto sono detti presbiteri, tre "clerici" e sette "laici", segno di una forte presenza ancora di frati laici (che agli inizi doveva essere prevalente) ma anche di una progressiva clericalizzazione accentuata forse dalla venuta di frati esterni; tra i presbiteri e i chierici uno è figlio di un notaio, un altro di un giudice.

Un ultimo elemento documentario interessante, che attesta rapporti tra conventi di Eremitani della Marca e quello di Venezia e ci introduce a quanto diremo di quest'ultimo, è offerto da un atto del 2 aprile 1261 in cui fra Benvenuto, ancora priore del "monasterium Sancte Marie Heremitanorum" e procuratore di fra Martino commissario, unitamente agli altri due commissari Pietro prete di S. Lorenzo e il notaio Rolandino di Lovato, fidecommissari di Imiza moglie del fu Pietro Berreda, vendono una pezza di terra, già della stessa, di quattro capi e mezzo, sita in Vallonga, al prezzo di 9 lire al campo, a fra Biagio "qui fuit de Cesena de ordine heremitanorum" (fa pensare al gruppo originario dell'ordine dei Giambonini), procuratore del capitolo "Heremitanorum Sancte Marie de Naçareth de Veneciis" [12]. Nel nuovo sito dell'Arena, comunque, gli sviluppi edilizi, anche se sostenuti da una comunità ormai numerosa, non saranno rapidi. Il 4 aprile 1259, con la Favore sacre religionis Alessandro IV concede agli Eremitani di Padova l'uso dell'altare portatile o mobile per celebrarvi la messa dato che, dice, "in loco vestro ..., ut asseritis, adhuc ecclesiam non habetis": il privilegio, che veniva concesso, come già rilevato, per andare incontro alle esigenze degli inizi e supponeva spesso l'esistenza soltanto di un oratorio provvisorio, era già stato concesso a Giambonini e Toscani da Innocenzo IV il 20 settembre 1250, ma viene ora rinnovato dopo l'unione, dal successore, probabilmente appunto per la particolare situazione esistente a Padova [13]. Sarà passando dall'oratorio o chiesetta primitivi alla costruzione di una nuova chiesa che il titolo degli Eremitani di Padova, ancora indicato nel 1261 come quello di S. Maria, si muterà nell'altro dei Santi apostoli Filippo e Giacomo. Esso appare come già assunto in due atti di acquisto e di presa di possesso di un terreno e case posti vicino al ponte Porciglia, del 14 gennaio 1265, in cui si dice appunto che il priore fra Benvenuto agisce ora "pro se et ecclesia et loco Sanctorum Philippi et Iacobi de Arena Padue" [14].

La chiesa doveva essere allora agli inizi e in tal senso si potrebbe interpretare la lapide esistente sul muro absidale della chiesa: "Capella haec fundata fuit anno MCCLXIV prima die mai", il giorno appunto della festività dei due apostoli, e potrebbe riferirsi alla posa della prima pietra benedetta e agli inizi dei lavori a partire dalla cappella maggiore. Il primitivo titolo ormai abbandonato di S. Maria della Carità sarà ripreso agli inizi del Trecento dallo Scrovegni per la chiesetta dell'Arena affrescata da Giotto e poi detta dell'Annunciata. La situazione dunque dell'inserimento degli Eremitani a Padova risulta particolarmente articolata anche per la ricca documentazione di cui disponiamo in merito. Da ponte Terranegra, dove si localizza la loro prima dimora nel 1242, passeranno, più rapidamente che altrove, nella zona suburbana dell'Arena dove assumeranno il titolo di S. Maria della Carità e saranno vitalizzati, nell'ottobre 1256, dall'inserimento dei Guglielmiti già insediati nel borgo S. Croce da prima del 1238. Vi si svilupperanno notevolmente accrescendo via via la loro componente clericale e intessendo rapporti di un certo rilievo con la popolazione locale fino a potere impostare, dal 1264, la costruzione di una nuova chiesa intitolata agli apostoli Filippo e Giacomo.

 

 

 

Note

 

(1) - A. PIERRI, Il convento degli Eremitani a Padova nel Duecento (1242-1300). Con appendice di documenti e di regesti fino al 1325, tesi di laurea presso l'Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia (rel. P. Sambin), anno acc. 1975-76 (in appendice edizione di 21 documenti e regesti di altri 174); A. RIGON, Ricerche sull'eremitismo nel padovano durante il XIII secolo, in "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova", 4 (1979), pp. 217-53, riedito in "Esperienze religiose e opere assistenziali nei secoli XII e XIII", a cura di G. G. MERLO, Torino 1988, pp. 135-140 (lo citeremo secondo questa riedizione); e inoltre C. BELLINATI, Monastero e chiesa degli Eremitani a Padova nel Duecento, in "Eremitani. Per l'inaugurazione degli Eremitani in Padova, 30 marzo 1971", e DE SANDRE GASPARINI, La vita religiosa, p. 81 e cartina a p. 63. Nel RANO, Fr. Juan Bueno, p. 198, il primo documento conosciuto è datato 5 marzo 1242 invece che 4 marzo.

(2) - Vedere RIGON, Ricerche sull'eremitismo, pp. 135-136; verranno colpiti, nel 1253, insieme a predicatori, Minori e altri Ordini, da misure vessatorie scagliate contro di essi, in Padova e Verona, da Ezzelino III, secondo il cronista Rolandino: ROLANDINI PATAVINI, Cronica in factis et super facta Marchie Trivixane (aa. 1200 cc.-1262), a cura di A. BONARDI, in Rerum ltalicarum scriptores, n. ediz., VIII/1, Città di Castello (1905-1908), p. 107, segno di un certo impatto sulla vita urbana da essi allora raggiunto.

(3) - Archivio di Stato di Padova, Corona, perg. 72, c vedere: RANO, Fr. Juan Bueno, p. 198; PIERRI, Il convento degli Eremitani, pp. 31-34, doc. n. I; RIGON, Ricerche sull'eremitismo, p. 137.

(4) - Archivio di Stato di Padova, Diplomatico, part. 1716, e vedere PIERRI, ibid., pp. 102, 108, doc. n. II-III, e RIGON, ibid., pp. 137-138.

(5) - Per il primo atto: Archivio di Stato di Padova, ibid., part. 1716, per il secondo, ibid., part. 1745, e vedere PIERRI, ibid., pp. 102 e 108-112, e RIGON, ibid., pp. 137-138.

(6) - Atto del 16 ottobre 1256: Archivio di Stato di Padova, S. Maria della Riviera di Polverara, t. 1, perg. 1b; atto del 4 novembre: ibid., S. Giovanni Battista del Venda, b. 2, perg. 136; atto del 30 ottobre 1257: Archivio capitolare di Padova, Tomus niger, ff. 45v-46r, e in proposito: RIGON, ibid., pp. 138-139, dove, alla nota 71, si rinvia a due lasciti del settembre 1258 e del marzo 1259 fatti "sororibus qui morantur ad locum Sancti Guilielmi" o "que stant ad Sanctum Guilielmum".

(7) - Vedere precedente nota 73

(8) - In proposito: BELLINATI, Monastero e chiesa, pp. 15-16; PIERRI, ibid., pp. 46-48; A. RIGON, I laici nella Chiesa padovana del Duecento. Conversi, oblati, penitenti, in "Contributi alla storia della Chiesa padovana nell'età medioevale", l (1979), p. 60, nota 219; F. DAL PINO, Oblati e oblate conventuali presso i Mendicanti "minori" nei secoli XIII-XIV, "Quaderni di storia religiosa", l (1994), p. 39 (di fronte alla documentazione complessiva che riguarda tale donazione sarei portato ora ad escludere che si tratti di un'oblazione vera e propria anche se sono presenti alcune sue caratteristiche).

(9) - Archivio di Stato di Padova, Diplomatico, b. 13, perg. 1881, e b. 14, perg. 1893 e 1919, e cfr. PIERRI, ibid., pp. 39-44, doc. VI-VIII.

(10) - PIERRI, ibid., p. 44, e, per i due atti del 15 febbraio 1259: quello di vendita da parte degli stimatori del comune e l'altro di consegna da parte del precone incaricato a frate Benvenuto, ibid., doc. IX X, tratti dall'Archivio di Stato di Padova, ibid., b. 14, perg. 1922-1923.

(11) - IDEM, ibid., pp. 44-48, doc. XI-XII, tratti sempre dall'Archivio di Stato di Padova, ibid., b. 14, perg. 1947-1948.

(12) - IDEM, ibid., pp. 53-55, doc. XV-XVI, tratti dallo stesso archivio e fondo, b. 15, perg. 2158-2159.

(13) - IDEM, ibid., pp. 49-50.

(14) - IDEM, ibid., pp. 53-55, doc. XV-XVI, tratti sempre dallo stesso archivio e fondo, b. 15, perg. 2158-2159. Sulla chiesa vedere in particolare S. BETTINI - L. PUPPI, La chiesa degli Eremitani di Padova, Vicenza 1970.