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La Provincia agostiniana di Sardegna

La chiesa di S. Agostino vecchio ad Alghero

La chiesa di S. Agostino vecchio ad Alghero

 

 

LA PROVINCIA AGOSTINIANA DI SARDEGNA DAL XVII AL XIX SECOLO: CENNI STORICI

di Lino Neccia

da Analecta Augustiniana, LXIV (2001), pp. 179-268

 

 

 

 

IL CONVENTO DI S. SEBASTIANO DI ALGHERO

Sulla fondazione del convento algherese un ottimo studio è quello del sac. Antonio Nughes [1], che ha definitivamente chiarito alcuni aspetti controversi circa la data della fondazione. Pur non pervenendo ad alcuna precisa datazione, si è chiarito che gli agostiniani arrivarono in Alghero ancor prima del 1518, come si ricava da questa nota presente nel registro del Priore Generale dell'epoca: "27 decembris 1525. Facultas fratri Antonio Frugon de Bonifatio a nostris predecessoribus facta fuerat cuiusdam conventus in civitate Algueria capiendi atque administrandi" [2].

L'annotazione è del priore generale Gabriele della Volta, il quale aveva iniziato a governare l'Ordine nel 1518: è evidente quindi che, riferendosi ai suoi predecessori, sposti in addietro la data d'inizio della prima comunità algherese. I frati in un primo tempo si stabilirono presso la chiesa di S. Maria degli Angeli, edificio sacro molto antico e che secondo la tradizione conservava i resti di alcuni dei primi martiri cristiani della zona, come risulta da un documento presente nell'Archivio Comunale di Alghero: "Copia d'uno scritto esistente nell'Archivio dei RR. PP. Agostiniani della Città di Alghero. ‘Alguer. La deposiciòn de S. Golobert M que confessò publicamente la fé de Xsto delante del Presidente Barbaro por lo qual padeciò graves tormentos, y en fin hechado en la hoguera acabò su martirio. Año 300. Imperando Diocletiano. Està enterrado en la Iglesia de nuestra Señora de los Angeles" [3].

Gli agostiniani presero quindi dimora in un luogo molto significativo per la comunità cristiana locale, ma non per lungo tempo, giacché furono costretti da cause di forza maggiore a lasciare sia la chiesa che la casa religiosa per le necessità della città. Vi fu un breve lasso di tempo, durante il quale i religiosi vissero probabilmente in una casa privata e continuarono ad officiare la Chiesa di S. Maria degli Angeli anche dopo la sua ricostruzione. La primitiva chiesa era vicinissima alla città: "a un tiro di pietra da Porta-terra in direzione della croce, a destra uscendo dalla città" [4].

Più tardi, certamente dopo il 1526, gli agostiniani ottennero una nuova chiesa, del titolo di S. Rocco e S. Sebastiano, più lontano dall'abitato cittadino e in aperta campagna, in direzione della strada che portava al famoso santuario mariano di Valverde. Negli atti ufficiali della provincia di Sardegna il convento manterrà sino all'ultimo il titolo di S. Sebastiano, anche se per gli algheresi divenne presto "S. Agustì nou" (S. Agostino nuovo), per distinguerlo dalla prima fondazione conosciuta come S. Agustì vell" (S. Agostino vecchio). Nei registri del Superiore Generale viene annotata l'autorizzazione concessa ai frati di Alghero, di poter continuare a godere dei diritti di cui erano titolari nel primo convento: "cum vero cives Alguerii pro maiori civitatis commodo praefatum conventum sibi repetissent, ut alienis nec minus necessariis usibus deputarent, cuiusque vice domum aliam eidem dedissent, statuimus sicut equitati par erat ut in eadem domo nuper illi resignata eisdem omnibus praerogativis ac privilegiis potiretur, quibus in pristino conventu potiri eum decreverant nostri praedecessores" [5].

Anche in questa nuova chiesa vi era sepolta una santa martire del tempo di Diocleziano, santa Florentina, convertita alla fede dal presbitero Sisinnio ed uccisa dal re Barbaro. Nella chiesa agostiniana le due principali devozioni furono pertanto quella rivolta a S. Sebastiano e quella indirizzata a S. Agostino. Per quanto riguarda la prima, essa coincideva con una delle feste più sentite in Alghero: Nell'elenco dei voti fatti dalla città [pag. 263] in occasione della peste nel 1583 e successivamente ridotti dal vescovo Baccallar, troviamo: "lo die de Sant Sebastià à 20 jener van en processò los consellers i houen missa en Sant Agustì" [6]. Il comune si accollava le spese della festa, fino al pagamento degli strumenti musicali per la processione e le varie cerimonie. Dal Vico veniamo a sapere che nel 1600 vi erano nella chiesa anche due confraternite: "la tercera es la Iglesia de san Agustin con un Convento de frailes de la misma Orden poco lexos de la Ciudad; pero su puesto y camino es muy apacible, y deleitable; tiene dos Cofadrias, la una de los blancos, que son del Confallon, y la otra de los negros, que son de la Oraciòn; tiene en su distrito una Iglesia de mucha devocion con la invocaciòn de Nuestra Señora de Vallvert, a la cual acude gente de muchas partes del Reino" [7].

Come già notato in altre parti del presente studio, gli agostiniani in Alghero promossero anche altre devozioni: alla Madonna d'Itria, alla Madonna della Salute, alla Beata Rita e a S. Nicola da Tolentino. Una citazione a parte merita il fatto che in questa città si parlava, e ancora oggi si parla, la lingua catalana, per quanto leggermente diversa da quella in uso in Catalogna, per ovvi motivi. I religiosi erano sottoposti ad un vero e proprio disorientamento linguistico, dal momento che usavano parlare e scrivere in catalano, conoscevano il latino, in parte anche l'italiano e avevano una naturale domestichezza con gli idiomi propri dell'isola. Questa babele linguistica si riflette nei pochi documenti scritti che ci sono rimasti, quando, ad es., riferiscono che i frati "aont intervinguts ad sonu de campanedda" in capitolo, si sono cioè radunati in capitolo al suono della campanella; come si può notare, in sei parole sono presenti contaminazioni di tre lingue: latino, catalano e sardo. Riproduco qui di seguito il breve atto di vendita di una vigna in catalano-algherese, datato al 7 aprile 1607: "Io frà Augustì Coco Vicari Provincial y difinidor de la provincia de Serdegna del horde de nuestre pare Sanct Augustì abla fuit confirme la venda que afet lo pare prior mestre Salvador Mameli ab tota la Comunitat delas vigna che era de patro Pedru Murgia a Juan Costanzia genoues abitant en la ciutat delalguer asì con costa en lo estrumento rebut del noctari M.o Antoni Giame en lo mesos pasats en lo aign de 1607; axì considerant dita venda eser feta autil y profit del conuent y perque la dita venda y acte tinga mas forso fas la present de ma mia. Huoy en lalguer a los 7 del mes de abril de 1607. Frà Augustì Coco Vicari Provincial". [8]

Un tentativo di resa in lingua italiana potrebbe essere il seguente: "Io fr. Agostino Coco, Vicario provinciale e consigliere della provincia di Sardegna dell'Ordine del nostro Santo Padre Agostino dichiaro conforme la vendita che il padre priore maestro Salvatore Mameli ha fatto della vigna del padre Pietro Murgia, a Giovanni Costanzia genovese, abitante nella città di Alghero. Tutto ciò, così come consta dall'atto redatto dal notaio maestro Antonio Giame nei trascorsi mesi dell'anno 1607. Così detta vendita è da considerarsi fatta a utilità e profitto del convento e affinché la detta vendita ed atto abbiano maggior forza, scrivo (faccio) la presente di mia mano. Oggi, in Alghero, ai 7 del mese di aprile 1607." Il convento algherese fu terzo per importanza e numero di religiosi, oltretutto possedeva un consistente numero di appezzamenti di terreno, case e lasciti vari.

Tuttavia, la non sempre oculata amministrazione portò, via via, la casa religiosa verso la rovina. Soprattutto nel XIX sec. assistiamo ad un continuo deterioramento delle strutture, sia della chiesa che del convento, al punto da costringere l'autorità pubblica ad intervenire. E' del 20 dicembre 1843 una perizia del complesso monastico fatta eseguire dalle autorità cittadine: "Dietro invito di questo Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Don Pietro Rafaele Ardoino, e dei Reverendi Padri Agostiniani, avendo quest'Illustrissimo Consiglio Civico dato incarico al suo Capo Mastro Muratore Sebastiano Guerino di visitare, e di riconoscere lo stato del convento e chiesa dei medesimi Padri posto fuori della città. Esso Capo Mastro riferisce che essendosi portato sul luogo, ed avendo attentamente perlustrato quel fabbricato, ha riconosciuto che la facciata del convento che guarda il levante trovasi in istato di prossima rovina, cagionata da diffetto di costruzione di essa facciata, la quale non può in alcun modo sostenere la spinta della volta della scala, non che quella della volta del corridoio terreno che dal convento conduce alla Chiesa, così che anche la scala e volta minacciano di rovinare, e sarebbero già rovinate, se non fossero alquanto sostenute dagli appositi appoggi, quali però non potranno impedire la rovina crescendo la pendenza della medesima facciata.

Alla spinta di questa volta terrena arroga ancora quella del corridoio superiore la quale trovasi appoggiata alla medesima facciata, e siccome più elevata agisce con più forza sullo stesso punto, cosiché tutto quel fabbricato deve da un momento all'altro rovinare, né potrebbe oggi senza grave pericolo abitarsi. Visitata anche la Chiesa si è osservato essere pericolosissimo il muro laterale di essa che guarda Mezzogiorno, posto sulla frequentatissima strada di Valverde. La volta della Cappella a man diritta entrando situata tra il coro e la Cappella del Santissimo che viene appoggiata alla detta muraglia è anche rovinosa, ed il coro stesso segna delle aperture che indicano un cedimento ed una mancanza di appoggio nel fianco, per lo che anche questa dovrebbe essere chiusa, onde evitare ogni qualunque disgrazia. Questo è quanto il predetto Capo Mastro dice aver osservato in quel fabbricato, e per essere questo il suo asserto lo sostiene, di che etc." [9].

Il convento e la chiesa vennero riparati alla meglio e la comunità potè tornare ad abitarvi, ma la struttura subì diverse modifiche nel tempo, in relazione ai diversi usi a cui venne adibita dopo la sua requisizione da parte del Demanio dello Stato. Gli agostiniani furono di aiuto alla popolazione algherese e prestarono la loro opera di assistenza spirituale nei modi consueti, ma la posizione così decentrata del convento, unita al continuo assottigliamento del numero dei religiosi, finì col rendere sempre più marginale la loro presenza. Pur tuttavia, fino al momento in cui abitarono il convento, e anche dopo la soppressione, la loro opera doveva essere apprezzata, se lo stesso vescovo Pietro Raffaele Arduino, nel 1863, nel relazionare alla Santa Sede lamentava il loro allontanamento: "Il vescovo denuncia la chiusura di due case degli Eremitani di S. Agostino, una in Alghero, convertita in carcere giudiziario, l'altra in Pozzomaggiore" [10]. L'ultima visita del Superiore provinciale alla comunità avvenne nel marzo del 1855, 3-4 mesi prima della requisizione del convento da parte dello Stato, ma i religiosi non davano grattacapi, anzi sembra che vivessero certamente in modo degno la loro vocazione religiosa.

Nella visita del priore provinciale fatta nel 1850 risulta invece qualche "pecca", che però oggi farebbe sorridere; la riporto qui di seguito a titolo di documento d'epoca: "Fr. Agostino Podestà Bacc. in Sacra Teologia, Provinciale dell'Ordine Eremitano del Santo Padre Agostino di questa Provincia di Sardegna. Personalmente visitato questo nostro Convento di S. Sebastiano d'Alghero, abbiamo dato principio a questa nostra visita con visitare il SS.mo Sagramento, Olio Santo, Chiesa, Sacristia, Officine, etc., e fatto il debito scrutinio siam passati ad esaminare i libri d'Entrata ed esito generale del Convento ...

Prima di chiudere questa nostra Visita includiamo questo seguente decreto: avendo osservato in questa nostra dimora di pochi mesi che i Religiosi abusano delle nostre Regole e Costituzioni, cioè di non potersi stare senza tonaca né fuori né dentro la cella; ordiniamo che d'ora in avanti, nessun Religioso possa comparire senza il nostro Santo Abito e particolarmente fuori di porteria e di quanto ordiniamo, se ne incarica la sorveglianza del Padre Priore, perché in caso contrario si serva della sua autorità dando i gastighi che crederà opportuni a seconda delle circostanze. In fede di che diamo le presenti da Noi sottoscritte, munite col sigillo minore della Provincia, e referendate dal nostro infrascritto Provinciale Segretaro. Alghero, S. Sebastiano, 15 marzo 1850. - Fr. AGOSTINO PODESTÀ Provinciale" [11].

I libri di spesa del convento si chiudono al 31 luglio 1855 con la firma dell'ufficiale regio incaricato dell'incameramento dei beni. L'edificio venne dapprima adibito a carcere, poi, dal 1885, venduto dal Demanio al Comune di Alghero per farne un lazzaretto. Nel 1938 il Comune permutava l'ex Convento di S. Agostino col vecchio Seminario della Diocesi: da allora divenne Ricovero di Mendicità. Oggi, dopo aggiunte, ampliamenti e rifacimenti, è diventato la "Casa di riposo S. Agostino" per la cura e l'assistenza delle persone anziane. I vescovi agostiniani che ressero la diocesi algherese nel periodo che stiamo esaminando furono i seguenti:

 

1. Andrea Aznar. Nato a Zaragoza nel 1612, divenne vescovo di Alghero il 15 gennaio 1663, per poi essere di nuovo trasferito in Spagna nelle diocesi di Jaca e Teruel. Su di lui esiste uno studio completo ed esauriente messo a punto da Juan José Polo Rubio, Fray Andrés Aznar Naves (1612-1682), Obispo de Alguer, Jaca y Teruel, Editorial Revista Agustiniana, Madrid 1996.

 

2. Francisco Lopez de Urraca. "Spagnuolo e religioso agostiniano. Già vescovo di Bosa, il 13 settembre 1677 venne trasferito a questa sede. In seguito passò alla Chiesa di Barbastro" [12]

 

3. Giuseppe di Gesù Maria.

"Spagnuolo e religioso agostiniano scalzo. Eletto predicatore di corte dal Re Cattolico, fu dal medesimo nominato vescovo di questa Diocesi, consenziente il Pontefice, il 18 maggio 1693. Ma passò a miglior vita prima d'esser consacrato" [13]. A chiusura di questo contributo sulla storia degli agostiniani nell'isola, mi sembra indicato e significativo proporre una poesia sulla chiesetta di S. Agostino di Alghero, scritta in catalano dal poeta algherese Rafael Sari: una poesia che rievoca con nostalgia un passato fatto di fede, di cultura, di profonda umanità, a ricordo di persone che, nel bene e nel male, hanno fatto sicuramente la loro parte nei cammino della gente di Sardegna.

 

Iglesieta de Sant'Agostì

Horts entorn i la pedrera: / verd i or / com la gran bandera del gremit. / En fons blau de marina / i la platja de plata. / A mig tu, Sant'Agostì, / iglesieta de res / sola i blanca / a una vora de camì. / Una bandera de pau. / Passant-te davant / a la tardeta suaual / saluts i pregàries / te donava la gent. / A juliol la festa. / Alegria de campanyes, / plenes de sol, / arbres colorits de fruites / i meses aparelladese / sota parres de raim primerene. / Vi a rius / entre esclats de risa. / I gran que fe / a l'hort de l'obrer: / foc rabent / a les calderes, / banyes al caliu / i crabits a l'ast / damunt a les brases. / Missa gran i processò / i cada hort beneit. / Fins a nit / beure i mengiar a tot arreu. / I l'iglesieta plena de llumera, / de cants i de paraules de Déu. / Temps passat, finit. / Horts ara estreinyts de cases; / prepotenta la ciutat és vinguda / a degollar en aquìa / verd i pau. / Una pena, o Sant'Agostì! / A la tardeta encara / faixa el sol l'iglesieta / i abraca les pedres velles. / Passa encara la gent / no saluda però, no prega. / Va en pressa en pressa. / I la nit davalla / trista i obscura, aixì. / Les parets caigudes / ja plenes de herbes salvatges / pareix alhora que plorin, / o Sant'Agosti.

 

Chiesetta di Sant'Agostino

Orti intorno e la petraia: / verde e oro / come la grande bandiera del gremio. / In fondo azzurro di mare / e la spiaggia d'argento. / In mezzo tu, Sant'Agostino, / chiesetta da nulla / sola e bianca / al margine della strada. / Una bandiera di pace. / Passandoti davanti / tramonto soave / saluti e preghiere / t'offriva la gente. / A luglio la festa. / Allegria di campagne / piene di sole, / alberi coloriti di frutta / tavole imbandite / sotto pergolati d'uva primaticcia. / Vino a ruscelli / fra scoppi di riso. / E gran da fare / nell'orto dell'obriere: / fuoco rovente / sotto le caldaie, / sughi al caldo e capretti allo spiedo / sopra le braci. / Messa grande e processione. / E ogni orto benedetto. / Fino a notte / bere e mangiare in abbondanza. / E la chiesetta piena di luci, / di canti e di parole di Dio. / Tempo passato, finito. / Orti ora stretti dalle case; / prepotente la città è venuta / a disperdere qui / verde e pace. / Una pena, Sant'Agostino! / Al tramonto ancora / fascia il sole la chiesetta / e abbraccia le pietre antiche. / Passa ancora la gente, / non saluta però, non prega. / Va in fretta in fretta. / E la notte scende / Triste e oscura, così. / I muri caduti / già pieni di erbe selvagge / sembra allora che piangano, / o Sant'Agostino" [14].

 

 

 

 

Note

 

(1) - A. NUGHES, Alghero: Chiesa e società nel XVI sec., Ed. Del Sole, Alghero 1990, pp. 102-103; 106-108; 253-254.

(2) - AGA, Dd. 15, Registri PP. Generalium, f. 25v

(3) - Archivio Comunale di Alghero, G. 49/ 846, fasc. 36, n. 3.

(4) - A. NUGHES, Alghero ..., cit., p. 103.

(5) - AGA, Dd. 15, Registri PP. Generalium, f. 52v.

(6) - A. NUGHES Alghero ..., cit., p. 108

(7) - F. DE VICO, Historia General ..., cit., parte VI, cap. 12

(8) - Biblioteca Universitaria di Sassari, Manoscritti Corporazioni Religiose Soppresse, sub voce Agostiniani/Alghero, n. 815-826.

(9) - Archivio Comunale di Alghero, Busta n. 823/134, ff. 1-1v.

(10) - T. CABIZZOSU, Chiesa e società ..., cit., p. 123.

(11) - Archivio di Stato di Sassari, Corporazioni Religiose Soppresse, Agostiniani-Alghero (dal 1829 al 1855), Busta n. 2.

(12) - S. PINTUS, Vescovi di Ottana e di Alghero, in "Archivio Storico Sardo", vol. V, fasc. 1-2, Cagliari 1909, p. 117.

(13) - S. PINTUS, Ibidem, p. 117.

(14) - R. SARI, da Ombra i sol, Ed. della Torre, Cagliari 1980.