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L'altare della cripta di sant'Agostino a Cagliari
LA PROVINCIA AGOSTINIANA DI SARDEGNA DAL XVII AL XIX SECOLO: CENNI STORICI
di Lino Neccia
da Analecta Augustiniana, LXIV (2001), pp. 179-268
IL SECOLO XVIII: DALLA SPAGNA AI SAVOIA
Il secolo in questione, come si può intuire, rappresentò una svolta decisiva nella storia della Sardegna: la guerra di successione spagnola, fra alterne vicende che interessarono direttamente l'isola dal 1708 al 1720, produsse un cambiamento significativo nella guida politica della regione, la sostituzione cioè degli spagnoli con la dinastia dei Savoia. Questo fatto avrà, come vedremo, importanti ripercussioni sulla storia posteriore dell'isola, ma decisivi ai fini della ricostruzione del cammino degli agostiniani, come degli altri ordini religiosi, sono proprio gli anni dello sconvolgimento politico provocato dalla guerra. Questo periodo, che vide l'alternarsi di diversi dominatori: gli inglesi prima, poi di nuovo gli spagnoli, ed infine i piemontesi, fu all'origine di forti disagi che misero in grave difficoltà la regione e i suoi abitanti, seminando disorientamento e senso di precarietà. Com'è comprensibile, momenti del genere favorivano ancora di più l'isolamento e la confusione.
Un'eco di questa situazione si avverte anche nelle lettere che il priore provinciale degli agostiniani inviava a Roma, come la seguente del 1715, scritta a margine di una visita del superiore ai conventi dell'isola: "... consocius eram de miserando hujus Provinciae statu", e relazionando sulla situazione degli studi: "... studia hic omnino defecerunt ... P. Salvator Detori Sasarensis Philosophiae Lector, et P. Augustinus Sacayoni Sasarensis hic prorespondens, necnon fr. Antonius Esmerella Sasarensis, inter ceteros sunt magis applicati, melioremque habent capacitatem... P. Patritius Combino, studiosus magister, bonus religiosus est, et ad studia applicatus, sed tantam non habet capacitatem, sicut et alii predicti. P. Michael Demontis et P. Josephus Manca, potius illis capacitas deficit, quam voluntas; ceteri autem sunt teterrimi genij, pessimae indolis, et pravae voluntatis, eorum non est ullus, qui faciat bonum" [1]. Soprattutto le ultime parole, citate in corsivo, appaiono di una durezza senza pari e che non lascia possibilità alcuna d'appello. In effetti, l'indisciplina e lo stato di abbandono in cui versavano i religiosi era, in parte, comprensibile: ad alimentare il caos di quegli anni contribuì anche l'afflusso nei conventi sardi di diversi religiosi provenienti dalle isole di Maiorca e Minorca, occupate dagli inglesi. I piemontesi diedero una vigorosa sterzata, rispetto agli spagnoli, nei confronti della Chiesa e della politica ecclesiastica in genere: per gli ordini religiosi finiva per sempre una posizione di privilegio e di sostanziale intoccabilità in tutti i campi. "Il fatto più importante per il futuro dell'Italia fu la trasformazione dello stato piemontese-savoiardo in Regno di Sardegna, merito precipuo di Vittorio Amedeo II (regnante dal 1675 al 1730). (...)
Non ancora ventenne, Vittorio Amedeo delineò in un memorandum privato un programma di riforme future, e fin dal 1688 fu ordinata la preparazione di un nuovo catasto; ma il grosso delle riforme dovette essere rinviato a dopo le guerre, allorché fu possibile vincere le difficoltà intrinseche e le tenaci opposizioni che avevano frustrato ogni precedente tentativo. Tutta l'amministrazione fu riordinata a partire dal 1717. Il potere venne distribuito in modo più razionale tra i consigli che componevano il governo, le numerose tesorerie vennero unificate e furono nominati intendenti in tutte le province. Gli stipendi annessi a tutte le cariche furono fissati con cura, e la venalità degli uffici fu soppressa. L'antica nobiltà feudale, pur conservando un virtuale monopolio delle carriere diplomatiche e militari, si vide per lo più esclusa dalle funzioni amministrative: più del novanta per cento dei funzionari non erano nobili tra il 1713 e il 1740 (...)
La lotta contro la giurisdizione ecclesiastica, che si accompagnò all'offensiva contro la manomorta, ottenne un successo solo parziale con il concordato del 1727; ma fu posto fine al monopolio dei gesuiti nel campo dell'istruzione dalla riorganizzazione dell'università di Torino e dalla istituzione di scuole statali. Come in altre parti d'Italia, le riforme ecclesiastiche furono ostacolate dall'esigenza politica di mantenere buoni rapporti con Roma..." [2]. Con tutto ciò, è evidente il cambio di rotta che verrà attuato dai Savoia fin dagli inizi, anche se con una certa moderazione e gradualità nel tempo: d'ora in avanti gli ordini religiosi, specialmente i più antichi, si vedranno al centro di una politica che li costringerà via via ad una sempre maggiore riduzione della loro presenza e dei loro privilegi. Di nuovo, è ancora il Martini che ci fornisce un quadro abbastanza obiettivo della situazione, per quanto concerne il clero in generale e i religiosi in particolare: "Assai umile era la condizione degli studi ecclesiastici, dacché ai vizi che da gran tempo gl'infettavano si erano congiunti i danni delle vicende guerresche del principio del secolo XVIII, ché al crollo delle due università precipitarono le lettere e le scienze. Donde tanto maggiore nocumento derivò alla instruzione clericale, in quanto quasi intieramente mancava l'ausilio dei collegi dei chierici decretati dal Concilio di Trento.
Tranne le chiese d'Ampurias e di Bosa, le altre invero tenevano i loro seminari nelle residenze episcopali; ma una immagine troppo meschina essi erano di quelli cui volto avevano la mente i padri tridentini. In ciascuno sei alunni appena si alimentavano meglio per servire alle cattedrali, che per farvi tesoro di sapere, senza il presidio di buoni institutori, senza commoda abitazione, senza agiatezza di vivere, giacché all'uopo non rispondeva il valsente delle tasse imposte sopra i benefici. Tutto vi annunziava grettezza e somma ineguaglianza ai diocesani bisogni. Perlocchè l'ammaestramento dei giovani alunni del santuario dipendeva dalle private lezioni di ecclesiastici pregevoli per dottrina e per buon volere; da quelle che davano i padri gesuiti, che in Cagliari ed in Sassari continuarono le scuole di filosofia e di teologia a loro commesse nei due studi generali; dalle instruzioni dei padri istessi nel Collegio Canopoleno di Sassari, dove anche si educavano dei giovani al servizio divino. Sotto la signoria spagnuola questi studi clericali, come gli altri, erano deturpati da molti vizi che impedivano se ne cogliesse il frutto. Versavano infatti in una così detta filosofia piena di astrazioni metafisiche, di frivole sottigliezze, di ciance, di barbariche ed arcane parole, che pareva fatta meglio per corrompere la ragione, che per purificarla e condurla al vero; ed in quella teologia leggiera, arida, cavillosa, ed audacemente garrula, che tanto rendevano famosa gli arrabbiati ed insulsi scolastici e casisti. Quindi tesoro facevasi di parole e non di cose, si armeggiava per la vittoria di un termine e di una opinione metafisica, e frattanto le menti si oscuravano, ascose restavano le verità. Ciò che più incresce, ponevansi in non cale i veri fonti del divino sapere. Le sagre carte, le opere dei padri, i canoni dei concili, la storia della chiesa erano in perfetto abbandono. E la morale che a preferenza studiavasi come mezzo principale per l'acquisto dei benefici parrocchiali, non di rado si apprendeva in opere contaminate, e tutta quanta si raggirava nello scioglimento di alcuni casi privi di connessione e per lo più metafisici. In questo sterile campo si esercitavano i nostri chierici, e dove alcuni di quei casi disciogliessero, degni venivano riputati della cura delle anime. Se non che il frutto di sì scarsa intruzione, anch'esso veniva meno con gli anni; ché il salire agli ecclesiastici onori ingenerava di frequente l'inerzia.
Più intenti agli studi erano i regolari; ma le loro scuole dagli stessi vizi venivano deturpate; che anzi erano desse quelle trincee, dove con le armi le più affinate del peripatetismo si battagliava per vane sofisterie. Dai chiostri medesimi uscivano a preferenza i predicatori che per le città e per le ville correvano nei tempi della quaresima e dell'avvento. Ma troppe macchie imbrattavano i loro evangelici parlari. Tali erano, quali si usavano nella Spagna, tanto più lontani dalla vera eloquenza del pulpito, che si fonda nelle sane dottrine morali attinte alle sacre fonti, nel sodo ragionamento e nel semplice e commovente linguaggio del cuore, quanto più corrotti da concetti strani e lambiccati, da dommatici guazzabugli, da scolastiche sottigliezze, da gonfie figure, da scandalose buffonerie. Attalché volavasi ai sagri templi piuttosto pel sollazzo conseguente dai motti e dalle scede del predicatore, che per apprendervi la celeste morale del vangelo. Tale era il vero stato degli ecclesiastici studi per forza delle corrotte scuole. Non perciò può disconoscersi che il sardo clero dalla metà del secolo XVI avesse fatto notevoli progressi nelle vie della instruzione, in modo da svestirsi di molta parte delle antiche tenebre e disdicevoli pratiche.
Preso poi nella specialità, argomenti incontestabili di perenne lode ne somministra; ché uomini produsse di non volgare pregio, che superiori ai vizi dell'età diedero lucide prove di senno maturo e di copiosa scienza" [3]. Nonostante il quadro non molto rassicurante, gli ordini religiosi si andavano lentamente riprendendo anche nel settore degli studi e della formazione. Gli agostiniani smisero di inviare i loro studenti in Spagna, cominciarono a servirsi più spesso delle università isolane, ma provvedevano anche in proprio alla formazione dei futuri religiosi, specialmente a Cagliari e a Sassari. Vediamo, in proposito, l'intervento di Mons. Damiano Filia: "Quasi tutti gli ordini avevan scuole proprie, alcune salite in larga e buona fama nel passato, come quelle dei Domenicani e dei Mercedari, le quali modellate secondo l'indirizzo dei celebri teologi spagnoli, conferivano il grado di maestro dopo undici anni di lettura (insegnamento), tre cioè di filosofia e otto di teologia. Ma anch'esse come fan pensare le tesi a stampa, allontanandosi dal pensiero preciso e dal linguaggio sobrio di S. Tommaso d'Aquino e della scolastica pura si eran cristallizzate in morte formole. Invece Carmelitani e Agostiniani frequentavan d'ordinario l'università per conseguirvi i gradi dottorali (...) Nel 1762 il priore del convento agostiniano di Sassari dimandava l'invio di qualche lettore da Roma" [4]. Per restare sempre nel campo degli studi, bisogna sottolineare l'opera di alcuni docenti agostiniani nello studio cagliaritano, soprattutto la figura del P. Nicola Lippi: "Sempre a questo proposito (degli studi, nda), è pure da dire come alcuni altri frati agostiniani abbiano frequentato l'ateneo conseguendo i diversi gradi accademici, ed è da ricordare il P. Nicola Lippi che, laureatosi in Teologia e Filosofia nel 1743, fu successivamente chiamato all'insegnamento nella facoltà di teologia; nei confronti di questo religioso sappiamo pure che fu priore del convento di S. Leonardo nel 1755 e Priore Provinciale nel 1766" [5].
La ripresa degli studi, una migliore qualificazione dei frati, criteri formativi adeguati alla situazione, permisero agli agostiniani di ridare lustro ed efficacia alla loro testimonianza religiosa e alla loro presenza nell'isola. Si intervenne in maniera decisa anche nel reprimere gli abusi e l'indisciplina: si trattava, del resto, di venire incontro in tal senso a precise direttive del sovrano e della S. Sede. Molto interessante, a riguardo, perché presenta aspetti particolari e propri della vita isolana, quali il banditismo e l'uso di compiere delitti o reati mascherati, è il testo della sentenza di un processo svolto a carico di quattro religiosi della provincia, negli anni 1734-35.
Lo riporto di seguito, così come è stato riprodotto in una copia conforme presente nelle carte del convento di Alghero, custodite nell'Archivio di Stato di Sassari:
"Magister Fr. Gelasius Mayo Sanctae Inquisitionis Qualificator, Examinator Synodalis Archiepiscopatus Calaritani, ac huius Provinciae Ordinis Eremitarum Sancti Patris nostri Augustini Prior Provincialis. - Jesus Christus - Et cum in causa, seu causis, quae coram nobis versae sunt, et vertuntur, ex iniuncto nobis praecepto a Rev.mo Patre nostro Magistro fr. Nicolao Antonio Schifinati totius nostri ordinis Generali, dato Neapoli sub die 20 septembris anni elapsi 1734 contra venerabilem P. fr. Simonem Flores sacerdotem, fr. Prosperum Mura subdiaconum, fr. Ignatium Satta diaconum, et fr. Vincentium Medda conversum, nostri ejusdem Ordinis Professos, reos inquisitos, et processatos, de et super inquisitione aliquorum insultuum respective, et precipue de egressione extra Monasterium dimisso Religionis habitu in nocte diei 9 Mensis Martij elapsi anni 1734, indutisque istrionum larvis, quoad omnes: de obedientiae transgressione, armorum delatione, conjuratione, rebellione, appostasys, percussionibus, furto, scandalis, alijsque insultibus, quoad aliquem, vel aliquos in actis seu processu apareat. Visa informatione, ac testibus legitime examinatis, ex quibus, necnon et ex confessione predictorum Mura, et Medda plane constat prefatos Flores, Mura, Satta et Medda ante dicta nocte diei 9 Martij anni 1734 habitum omnes deposuisse, ac larvatos extra septa Monasterij per murum cuiusdam horti exijsse. Et insuper clare compertum est predictum P. fr. Simonem Flores per quatuor vices ex diversis conventibus huius Provinciae fugam arripuisse, a quodam veneto sumam pecuniae arripuisse, cum bannitis per aliquod tempus vitam degisse, pugione seu cultro Rev. P. fr. Josephum Lay oppetijsse, Rev. P. Presentatum fr. Nicolaum Falchi, eiusdem Flores Priorem, legone percussisse, insolentem, temerarium, inobedientem, scandalosum, ac omnino irreligiosum esse, ut apparet ex predicta informatione, et ex epistola Ill.mi Domini Episcopi Alguerensis in processu inserta, aliaque facinora perpetrasse. Itemque plene et adamusim constet fratrem Prosperum Mura subdiaconum quinquies ex hoc conventu calaritano fugam arripuisse, contra obedientiae virtutem improperia ac sordida coram tota communitate dixisse, scandala comississe, Superiorem, aliosque Patres conventus morte minasse, aliaque scelera comitendi animum, ac conatum declaravisse, eaque omnia, et alia in termino constituto ad se deffendendum, plane ipsummet Mura confessum fuisse. Idcirco deliberatione sumpta cum Reverendis Patribus Diffinitoribus huius Provinciae, per hanc nostram difinitivam sententiam, quam in his scriptis ferimus, pronuntiamus, decernimus, promulgamus, et difinitive sententiamus supradictum Patrem fratrem Simonem Flores tanquam reum repertum culpabilem, et de iure punibilem fore, et esse relegandum ex hoc Calaritano Conventu absque ulla spe regressionis in perpetuum; necnon in aliquo Monasterio huius Provinciae a Rev. P. Provinciali destinando ad detrusionem per integrum annum esse condemnandum, inibique penitendum, et insuper utraque voce, activa scilicet ac passiva, per sexennium esse, et fore privandum. Ita pariter pronuntiamus, decernimus, promulgamus et difinitive sententiamus supradictum fratrem Prosperum Mura tanquam repertum reum culpabilem, et de iure punibilem fore, et esse relegandum ex nostro Calaritano Conventu, et absque spe regressionis in perpetuum. Insuper sententiamus per integrum triennium ad alios Ordines non esse promovendum, et postquam promotus fuerit per aliud integrum triennium utraque voce, activa scilicet, et passiva esse privandum. Demum quia fr. Ignatius Satta Diaconus, et fr. Vincentius Medda conversus postquam de egressione extra septa Monasterij in noctis silentio habitu deposito, ac cum larvis fuerunt deprehensi exijsse, correctioni ac penae a Superiore inflictae immo exilio ac depulsioni ab hoc Conventu sponte, ac humiliter sese submiserunt in omnibus obsequendo, et optemperando, sententiamus, decernimus, ac difinitive declaramus predictorum Satta et Medda penam et correctionem relinquendam esse arbitrio Adm. Rev. P. Magistri Provincialis; prout sic difinitum, et pronuntiatum esse volumus et mandamus. Sic pronuntiamus
Mag. fr. Gelasius Mayo Provincialis
Pre.tus fr. Thomas Espano Diffinitor
Regens fr. Nicolaus Murro Diffinitor
Pre.tus fr. Simon Crucas Diffinitor
Pre.tus fr. Nicolaus Falchi Diffinitor
Lecta, lata ac promulgata fuit haec presens difinitiva sententia per me Rev. P. Bacc. Fr. Gelasium Lenti Diana coram RR. PP., Pre.to fr. Nicolao Pala, ac Salvatore Curedda, testibus specialiter rogatis; de quo fidem facio in hoc nostro Regali Conventu Sancti Leonardi Calaris sub die 23 mensis Ianuarij anno 1735.
Pre.tus fr. Nicolaus Pala testis
Fr. Salvator Curedda testis
Bacc. Fr. Gelasius Lenti Diana secr.
Concordat cum suo originali, de quo fidem facio
Regens fr. Nicolaus Murro, Secr. Prov.
Die 3 februari anni 1735. Algueri.
Notificata fuit presens diffinitiva sententia coram Rev.do P. Priore Conventus Sancti Sebastiani Algueri dicto ven. Patri fr. Simoni Flores presentibus RR. PP. Present. fr. Fulgencio Fois et
fr. Salvatore Dettori, de quo fidem facimus
Fr. Augustinus Sanna prior
Pre.tus fr. Fulgentius Fois testis
Pre.tus fr. Salvator Dettori testis" [6]
I problemi riguardanti la qualità e lo spessore della vita religiosa dei frati agostiniani erano comuni anche agli altri ordini, ma non eccessivamente gravi, come denunciò la corte di Torino, allorché decise di intervenire più direttamente per limitare il numero dei religiosi, delle loro case e dei loro possedimenti. In ossequio alle idee del tempo, i Savoia si considerarono garanti del buon funzionamento della vita religiosa, della riforma di quest'ultima, del bisogno di mettere ordine e disciplina in un settore che sotto quel profilo lasciava molto a desiderare. Perciò, come ci ricorda Mons. Filia, a cominciare dal 1760, soprattutto ad opera del conte Giovanni Battista Bogino, si diede inizio ad un piano politico nei confronti dei religiosi volto a ridurne la presenza, favorevole quindi alla contrazione del personale e dei conventi, intenzionato a favorire la cessione di immobili e di terreni da parte dei frati, ben disposto solo verso quegli Istituti che svolgevano attività caritative, assistenziali e nel campo dell'istruzione. "I primi provvedimenti del Bogino relativi agli istituti regolari, collegati al nuovo indirizzo culturale ed economico, mirarono a limitare il numero dei frati e dei conventi, come volevano le dottrine economiche in voga sui fattori di consumo e di aumento della ricchezza. Secondo una statistica del 1746 c'erano 116 conventi, con un numero complessivo di 2469 religiosi, che nel 1759 discesero a 2198, distribuiti in 117 case. (...) Su la fine del 1759 arrivarono istanze ai superiori delle famiglie religiose affinché mettessero un freno alle vestizioni di aspiranti e con un esame più accurato si rendessero conto delle vocazioni. Codeste istruzioni, per il loro carattere effimero, messe in non cale, sembrarono conseguire l'effetto opposto. (...)
Di qui il dispaccio del 23 novembre 1762, con ordini severi al Viceré Alfieri di Cortemiglia perché ingiungesse verbalmente ai superiori regolari la sospensione di nuove ammissioni sino a che venisse fissato il numero dei frati per le singole case" [7] Quest'opera di ridimensionamento della presenza dei religiosi nell'isola venne perseguita in modo assiduo e continuo dalla corte di Torino, con decreti, invio di commissari ed altre iniziative che, nel tempo, ottennero l'effetto desiderato, fino ad arrivare alla soppressione definitiva sancita dalla Legge Rattazzi del 29 maggio 1855. Gli Agostiniani, tuttavia, non erano affatto numerosi, né presentavano particolari problemi interni, sempre a detta del Filia: gli interventi governativi li colpirono mentre erano già alle prese con una fase di riduzione numerica e con problemi di gestione economica delle proprie case. "I frati eremitani di S. Agostino non avevano molti conventi. Il P. Agostino Maglias, commissario nel 1755 ci trovava sparsi ventidue sacerdoti, e pochi aspiranti a vestire le lane del Santo dottore d'Ippona. Chiuso il convento d'Illorai, dove nelle celle sbrecciate dai fulmini, s'aggirava qualche romita laico, solo nel 1772, il Graneri, alto commissario di fatto degli ordini religiosi in Sardegna, inviava a Torino le sue indagini. Le ultime, e forse la mano gli tremò nel suggerire anche per essi l'abolizione.
Ma in realtà, di lì a poco, il grande ministro doveva abbandonare la scena politica e gli agostiniani restavano" [8] Mons. Filia ricorda, con toni un po' da romanzo gotico, la chiusura del convento di Illorai, primo segno d'inizio della parabola discendente della provincia agostiniana di Sardegna ma, come ampiamente documentato altrove [9] il convento venne chiuso perché piccolo e vessato continuamente dai banditi. Comunque sia, è da collocare proprio nella seconda metà del Settecento il momento in cui ebbe inizio, come detto, la crisi della provincia e il primo tentativo di sopprimerla. Nonostante tutti gli ostacoli di cui sopra, ancora nel 1769 il numero dei frati agostiniani della Provincia di Sardegna non era certo basso, come risulta dagli Atti della Segreteria di Stato del Viceré del tempo, che ci forniscono la situazione del personale a seguito dei censimenti dei religiosi ordinati dal governo di Torino.
Alla "Nota de' Regolari esistenti ne' rispettivi Conventi delle Provincie qui sotto notate a tenore dello Stato dell'anno 1769", risulta che gli Agostiniani contano in tutto 76 membri, di cui: 31 sacerdoti, 12 coristi (ossia, professi chierici), 33 laici. Segue l'elenco dei frati e la loro distribuzione nelle case religiose, così come riportato appresso (manca un foglio contenente l'indicazione dei nomi di parte dei frati di Tortolì, di quelli di Pozzomaggiore e di quelli al momento fuori provincia):
Convento di S. Leonardo di Cagliari
P. Mag. Antonio Sanna Da Cagliari Provinciale
P. Pre.to Gelasio Lonti Da Nurri Ex-Prov.le Maestro de' Novizi
P. Giuseppe Maria Floris Da Cagliari Lettore, Definitore
P. Giuseppe Maria Biglia Da Torino Presentato
P. Egidio Frongia Da Cagliari Superiore, e Definitore
P. Simone Ponsillon Da Cagliari Sagrestano Maggiore
P. Tommaso Frongia Da Cagliari Segretario del Provinciale
P. Agostino Pasquale Massida Da Cagliari Studente
P. Alfonso Usay Da Tortolì
Corristi
Fr. Federico Sanna Da Cagliari Diacono, e Studente
Fr. Giuseppe Nicola Monetti Da Savigliano Subdiacono, e Studente
Fr. Antonio Pandachu Da Cagliari, Studente
Fr. Possidio De Juannis Da Cagliari, Studente
Fr. Prospero Bellu Da Cagliari, Studente
Fr. Aurelio Cocco Da Cagliari
Fr. Nicola Carra Da Cagliari
Laici
Fr. Guglielmo Serra Da Siliqua
Fr. Donato Olceoni Da Sizanus
Fr. Antonio Pirinu Da Algheri
Fr. Ignazio Incani Da Masuddas
Fr. Agostino Maria Lay Da Siliqua
Convento fuori delle Muraglie di Cagliari
P. Nicola Gregorio Naytza Da Cagliari Vicario, e Priore
Fr. Francesco Solinas Da Bussede
Convento di Sassari
P. Mag. Nicola Murro Da Sassari Ex-Prov.le, Vicario, e Priore
P. Pre.to Nicola Frassetto Da Sassari Regente de' Studj
P. Ignazio Murro Da Sassari Respondente
P. Tommaso Campus Da Sassari Lettore
P. Giuseppe Agostino Terranno Da Sassari Lettore
P. Agostino Manca Da Sassari Lettore
P. Carlo Agostino Cebun Da Algheri
Corristi
Fr. Giovanni Facondo Todde Da Villanova di Monteleone Sudiacono
r. Antonio Luigi Solis Da Sassari
Laici
Fr. Agostino Sau Da Sassari
Fr. Gavino Espissu Da Jave
Fr. Filippo Sequi Da Sassari, Procuratore
Fr. Giuseppe Delitala Da Sassari
Fr. Domenico Madrau Da Sassari
Fr. Guglielmo Cugurra Da Sassari
Fr. Giovanni Antonio Cossu Da Osilo
Fr. Liberato Pedoni Da Sassari
Fr. Salvador Serra Da Sassari
Convento d'Algheri
P. Nicola Espanedda Da Mores Da Algheri, Vicario e Priore
P. Nicola Paulino Da Algheri
P. Antonio Ignazio Cubeddu Da Algheri, Superiore
P. Giuseppe M. Pinna Da Algheri
P. Nicola Magliano Da Algheri
P. Sebastiano Crasta Da Algheri
Laici
Fr. Giovanni Mella Da Algheri
Fr. Giovanni Agostino Guilery Da Villanova Monteleone
Fr. Nicola Cugurra Da Sassari
Fr. Francesco Alivesi Da Algheri
Convento di Samassi
P. Gelasio Matta Da Cagliari, Priore
P. Pre.to Tommaso Marigiu Da Sassari
P. Nicola Galzerin Da Algheri
Laici
Fr. Pietro Maria Desogus Da Cagliari
Fr. Lorenzo Casu Da Sassari
Convento di Tortolì
P. Giovanni Agostino Mancosu Da Tortolì Vicario, e Priore
P. Tommaso Escano Da Algheri [10]
Da notare la presenza di religiosi provenienti dal Piemonte, i quali avevano probabilmente la funzione di rendere meno isolato l'Ordine in Sardegna e di favorire l'interscambio culturale e di mentalità: uno di loro, P. Agostino Terraneo, diventerà in seguito anche priore provinciale. Va inoltre evidenziato il fatto che l'estensore della lista è senz'altro un funzionario della Segreteria di Stato, e ciò spiega le evidenti inesattezze nell'attribuzione delle funzioni e delle cariche ai singoli frati. Con il tempo, i progetti del governo sabaudo vennero mandati ad esecuzione con sempre maggiore convinzione e, in maniera graduale e progressiva, venne attuata una significativa riduzione del numero dei religiosi, tanto che negli atti del Capitolo provinciale ordinario, tenutosi ad Alghero dal 24 al 30 aprile 1790, risultano presenti nell'isola solo 54 religiosi, di cui appena 23 sacerdoti: d'ora in avanti il declino sarà inarrestabile.
Tra le ragioni che i Savoia adducevano a sostegno delle misure che venivano adottate, oltre alle teorie giuseppiniste e alle convinzioni illuministe in materia economica, vi erano anche le seguenti: "La Sardegna era placidamente immersa nell'ancien régime, in cui il connubio trono-altare raggiungeva sfumature caratteristiche ed uniche. In questo sfondo isolano la vita religiosa, lontana dai centri direttivi, s'impoveriva nel circolo chiuso di consuetudini locali. Il rilassamento della vita regolare era dovuto alla scarsa selezione dei soggetti, all'intiepidimento dell'antica disciplina, alla mediocrità nell'apostolato, spesso privo di slancio e di fervore, alle diatribe interne proprie della vita comunitaria, e al fenomeno tipicamente isolano costituito dalla lotta campanilistica tra religiosi del Capo di Sopra e del Capo di Sotto per spartirsi il potere". [11]
Gli agostiniani sardi avevano risolto l'annoso conflitto tra il nord e il sud della regione con una soluzione salomonica: i conventi erano 8 (almeno fino al 1765), equamente distribuiti tra il Capo di Sopra e il Capo di Sotto, per cui avevano proposto al superiore generale dell'epoca, P. Francisco Xavier Vazquez, di autorizzare l'elezione alternativamente di un religioso del nord con uno del sud della Sardegna. Nell'Archivio Generalizio di Roma è contenuto il seguente documento del 1816, copia conforme di quello del 1761, che istituiva appunto tale uso e metteva fine, nel contempo, a qualsiasi ulteriore litigio:
"Fr. Franciscus Xaverius Vazquez Peruanus Sacrae Theologiae Magister Totius Ordinis Fratrum Eremitarum Sancti Patris Augustini Prior Generalis." Cum nomine Patrum Provincialis ac Diffinitorii Provinciae Sardiniae presentatus fuerit supplex libellus tenoris sequentis: "Eminentissimi e Reverendissimi Signori. Il Provinciale, e Definitorio della Provincia di Sardegna, dell'Ordine Eremitano di S. Agostino, ossequiamente espongono alle Eminenze Vostre qualmente per ovviare a qualche disturbo che potrebbe nascere in quella Provincia. Congregati nel Capitolo Provinciale di questo presente anno 1761, hanno determinato di stabilire un'alternativa del Provincialato in due Parzialità di Cagliari, e di Sassari, che hanno ciascheduna un egual numero di conventi, da cominciarsi da quella di Cagliari nel prossimo futuro Capitolo provinciale da celebrarsi l'anno 1765; ed essendo tale risoluzione già stata approvata dal Reverendissimo Priore Generale dell'Ordine, supplicano divotamente l'Eminenze Vostre anco per la di loro suprema approvazione e conferma, che dalla grazia, etc".
Et cum eadem Sacra Congregatio rescriptum fecerit in forma seguenti: "Sacra Congregatio Eminentissimorum et Reverendissimorum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalium negotiis, et consultationibus, Episcoporum et Regularium praeposita, attenta relatione P. Procuratoris Generalis benigne commisit Patri Generali ut, veris existentibus narratis, oratorum precibus pro suo arbitrio, et conscientia indulgeat pro petita confirmatione. Romae 11 septembris 1761. Andreas Card. Cavalchini. S. Bonacorsi Secretarius. Ideo nos praedicta auctoritate per suprascriptum Decretum Sacrae Congregationis nobis benigniter comunicata ubi volentes, tenore praesentium supracitatam determinationem confirmamus, declarantes quod imposterum omnibus in Capitulis provincialibus de quatriennio in quatriennium celebrantis, in electione Provincialium servari debeant alternativa, incipiendo nempe a proximo futuro Capitulo provinciali celebrando anno 1765, in quo electio Provincialis erit facienda pro partialitate Calaris, et seguenti quatriennio pro partialitate Saceris; et sic in perpetuum hunc ordinem servari volumus, decernimus, et mandamus. Datum in Conventu nostro S. P. Augustini de Urbe die 14 septembris 1761.
Fr. Franciscus Xaverius Vasquez, Generalis.
B.s Fr. Nicolaus Giovannetti, pro R.P. Secretario absente Reg. lib. 9.
Exequantur praesentes litterae juxta earum seriem et tenorem. Provisa per Suam Eccellentissimam ex deliberatione in Regia audientia Canc.tis aulis sumpta, interveniente Nobili et Magnifico Regii Fiscii Advocato, die trigesimo primo mensis octobris anni Domini Millesimi Septingentesimi Sexagesimi primi. Calari. Ioannes Iacobus Daga Secretarius.
Lectum, et publicatum fuit hoc suplex libellum a Sacra Congregatione confirmatum, et a Regia audientia approbatum in hoc Regali Conventu Sancti Leonardi Calaris coram Patribus legitime congregatis hac die 4 novembris 1761, de quo fidem facio. Mag. Augustinus Mallas Prior.
Lectum, et publicatum fuit hoc suplex libellum a Sacra Congregatione confirmatum, et a Regia Audientia aprobatum in hoc conventu S. P. Augustini, Saceris, coram Patribus legitime congregatis die 9 novembris 1761, de quo fidem facio. Bacc. Fr. Ioannes Battista De Betta, Provinciae Secretarius.
Lectum, et publicatum fuit hoc suplex libellum a Sacra Congregatione confirmatum, et a Regia Audientia aprobatum in hoc Conventu Sancti Sebastiani Alguerij, coram Patribus legitime congregatis die 21 Ianuarii 1762, de quo fidem facio. Bacc. Fr. Nicolaus Espanedda Praesidens.
Sassari li 4 agosto 1816.
La presente copia estrata dall'originale, che risiede in potere di questi Rev.di Padri di Santo Agostino in questa Città, comprovata, concorda col medesimo. In fede mi soscrivo, e la munisco col mio solito sigillo. Nicolò Diana, publico Notajo di questa Città". [12]
In coincidenza con l'inizio della crisi di cui si è detto, crisi che riguarderà la consistenza numerica dei frati, delle case e della qualità della presenza religiosa agostiniana nell'isola, cominciano ad avvertirsi dei problemi anche riguardo le strutture, chiese e conventi, mentre un'amministrazione non sempre attenta dei beni patrimoniali porterà, nel tempo, a serie difficoltà anche nel settore economico. Durante il capitolo provinciale del 5 maggio 1781, ad es., si ha notizia di lavori di restauro per il convento di Pozzomaggiore: "Provisio Conventus S. Antonii Abbatis Puteimaioren. Confirmatus fuit in Priorem causa fabricae perficiendae ac bona eiusdem Conventus securius promovendi et tuendi R. P. Bacc. Fr. Antonius Ioseph Piras, Diffinitor". [13] Il 4 agosto 1784, il P. Provinciale, P. Giovanni Facondo Catte, scrive al Viceré di Sardegna per proporre la permuta del convento di Tortolì con quello lasciato incompiuto, sempre nello stesso paese, dai Padri Cappuccini una ventina di anni prima. C'era bisogno di una nuova parrocchia e gli agostiniani, d'accordo in questo con l'Arcivescovo di Cagliari, allora ordinario del luogo, propongono di permutare la propria chiesa "in buon sito, nuova e bella..." con quella ancora non ultimata dei frati Cappuccini: sembrerebbe uno scambio non conveniente, ma in realtà agli agostiniani andava bene a motivo del convento. Il nuovo convento era migliore come costruzione, ubicazione, con un'aria più sana, mentre quello "ove attualmente dimorano a più d'esser vecchio, è situato vicino allo stagno, e questo col fettore ch'esala cagiona ogn'anno delle infermità, massime alli religiosi esteri che vi s'attrovano".
Vi erano comunque problemi con il Monte Nummario che avanzava dei diritti su alcune parti del convento dei Cappuccini e non se ne fece più nulla. Da questi documenti risultano anche le seguenti informazioni sul terreno degli agostiniani di Tortolì: "quel Serrato o sia Ortali, che posseggono alle spalle del loro Convento egualmente grande (rispetto a quello dei Cappuccini, nda), con fonte, e molino": [14] Le lamentele sulla inadeguatezza dei locali dei conventi minori sono continue; basti, fra tutte, questa nota del capitolo provinciale ordinario del 1787: "Cum Domus religiosae hujus nostrae Provinciae sint admodum angustae, una tantum cella singulis religiosis concedatur, exceptis Regentis." [15]
La situazione, tuttavia, peggiorerà nel secolo seguente, interessando anche i conventi di Sassari e di Alghero. Uno spazio a parte merita l'azione pastorale svolta dagli agostiniani sardi. In ordine alla gestione di parrocchie, c'è da dire che solo una loro chiesa, quella di S. Gimiliano di Samassi, era stata per un certo periodo parrocchia; ebbero inoltre in affidamento la parrocchia di Semestene, curata dai religiosi del vicino convento di Pozzomaggiore e, come di solito accadeva, prestarono la loro opera nelle chiese parrocchiali dei luoghi in cui avevano i conventi. Ma le loro attività più importanti riguardarono la predicazione, la confessione, la diffusione del culto della Vergine e dei Santi. Intensa presso i fedeli fu la promozione della venerazione dei Santi e dei Beati dell'Ordine Agostiniano, come anche della Madonna, secondo i titoli con cui veniva venerata nell'Ordine e in Sardegna. Il culto della Madre di Dio veniva prima di tutti gli altri: la Vergine era venerata con i titoli di S. Maria del Rimedio in Sassari, altra versione della Vergine del Soccorso; con il titolo di Maria SS.ma d'Itria, in Cagliari dove esisteva un oratorio specifico, mentre negli altri conventi le veniva dedicata una cappella, con il martedì come giorno commemorativo e la festa vera e propria il martedì dopo la Pentecoste; presso ogni chiesa agostiniana vi era inoltre una confraternita della Madonna d'Itria [16]. Altra invocazione con cui veniva venerata la Vergine era quella di Madonna della Salute, che sembra essere una versione locale della "Madonna delle Grazie", particolarmente nelle chiese di Pozzomaggiore e di Alghero.
In tutti i conventi, infine, veniva celebrata la festa della Madonna della Consolazione o della Cintura, mentre a Cagliari era stata diffusa la devozione alla Madonna del Parto, sulla scia del culto che le veniva tributato in S. Agostino di Roma. A proposito del culto della Madonna d'Itria, oltre a quanto già scritto in precedenza, appare interessante il modo con cui veniva regolato il rapporto tra i frati e i membri della confraternita nella chiesa di Pozzomaggiore: "i Confratelli hanno una cappella propria da loro edificata, munita di banchi, candelieri, ed altri effetti d'altare acquistati a spese della Confraternita (...) giusta uno scritto disteso da 80 e più anni dal Priore del Convento di quell'epoca (siamo nel 1830: ci si riferisce quindi al 1750 ca., nda) col Priore della vergine d'Itria, ove ambi Priori venivano d'accordo, quello d'Itria alla questua della lana, grano, e formaggio e quello del convento a ricevere quella limosina come paga delle Messe Domenicali celebrate da un Religioso Agostiniano nella cappella della Vergine d'Itria." [17]. Insomma, come spesso accadeva nei piccoli centri, il servizio religioso veniva remunerato con i prodotti della terra. Dopo la Vergine, la devozione più diffusa era ovviamente quella di S. Agostino, verso cui la Provincia si sentiva particolarmente legata, dal momento che lo aveva come protettore e ne custodiva il luogo della sepoltura; purtroppo non poteva esibire le reliquie degli abiti pontificali del Santo, che invece venivano custodite presso i francescani conventuali di Cagliari. A proposito di queste presunte reliquie, mi sembra utile riportare la ricostruzione storica che ne ha fatto il frate conventuale Costantino Devilla: "Fra i tanti cimeli che arricchivano la Chiesa dei Frati Conventuali di Cagliari, vi era pure la preziosa Reliquia delle Vesti Pontificali: Pianeta, Dalmatica e Tunicella del Grande Dottore S. Agostino Vescovo d'Ippona.
Quando e come gli pervenne. L'insigne Reliquia pare fosse in possesso dei Frati Minori di Stampace sino dalla prima metà del sec. XIV. (...) In proposito così si ha dal Serra: "L'anno 504, S. Fulgenzio Vescovo di Ruspe, il Vescovo d'Ippona e moltissimi altri Vescovi, Monaci e Chierici Africani, cacciati in esilio da Trasamondo, rifugiandosi in Sardegna, a Cagliari, con molte altre Reliquie portarono per salvarle dalle profanazioni vandaliche anche le spoglie mortali del Grande Agostino le quali, raccolte poi in una Chiesa fuori delle Mura del Quartiere della Marina, detta quindi di S. Agostino Vecchio, vi rimasero per oltre due secoli. L'anno 722, non potuta impedire la vendita ai legati del pio Liutprando del Corpo del Santo Dottore fatta dai Saraceni, alcuni poterono porre in salvo gli Abiti Pontificali, togliendoli dalla Cassa ov'era racchiuso il Corpo, nascondendoli, per opera di un Analogeo, nella Spelonca detta di S. Giovenale: "condogentes vestimenta", così la pergamena d'Arborea, "de Analogeo ad speloncam de Sancto Iuvenale Episcopo Calaritano".
In seguito cacciati dalla Sardegna i Saraceni, essi furono riportati alla sua Chiesa ove dovettero rimanervi sino alla metà del sec. XIV, quando furono consegnati ai Francescani. Si sa infatti come circa l'anno 1400, sotto Filippo II, Chiesa e Monastero, già abbandonati dai Monaci, furono abbattuti perché ritenuti d'impedimento della sicurezza delle fortificazioni della Città. Con tutta probabilità essi rimasero allora in custodia di qualche Cappellano, il quale, forse ospite nel vicino Convento dei Claustrali, li affidava, racchiusi in una cassetta alla Chiesa di S. Francesco, ove rimasero fino al 1875, quando abbattuta questa Monumentale Chiesa, vennero consegnati alla Chiesa Primaziale ove tuttora si conservano" [18]. Nella citazione risulta evidente l'errore che fa risalire al 1400 la costruzione del nuovo convento agostiniano di Cagliari da parte di Filippo II, regnante invece dal 1556 al 1598 mentre, per quel che concerne le reliquie, esse sono tuttora conservate nel museo della cattedrale di Cagliari. Nell'Ordine le feste in onore del Santo d'Ippona erano 5: oltre a quella principale del 28 agosto, nell'isola veniva data particolare rilevanza a quella che si celebrava l'ultimo giorno di febbraio, ricorrenza della traslazione del corpo del Santo dall'Africa in Sardegna, e alla festa dell'11 ottobre, allorché si commemorava la seconda traslazione dalla Sardegna a Pavia. Importanti festività diffuse presso tutte le chiese agostiniane erano, tra le altre, soprattutto quelle di S. Nicola da Tolentino e della Beata Rita, che, per quanto non ancora canonizzata, conosceva tuttavia una devozione abbastanza sentita. Ad alcune festività erano legate anche delle specifiche questue, le cosiddette cerche, che gli agostiniani effettuavano, come facevano del resto i membri degli altri ordini mendicanti. In Sardegna, con il tempo, l'Ordine aveva acquisito un consistente numero di terreni e di beni immobili, tale da farlo considerare uno degli istituti religiosi più benestanti. I conventi erano per la maggior parte situati fuori degli abitati e i frati vivevano anche del lavoro dei campi e dei prodotti dell'allevamento. La testimonianza dello storico Goffredo Casalis assicura che nel 1836 gli agostiniani: "Possiedono, e prima che per difetto di buona economia si lasciassero deteriorare i fondi, possedevano in comune non meno di lire sarde 500.000". [19]
Nel 1848, quando si avanzava con maggior forza la proposta di abolizione degli ordini religiosi nell'isola "si voleva dapprima la soppressione dei Mercedari perché i pirati Saraceni non infestavano più i mari sardi; degli Agostiniani, Domenicani e Minimi, perché inutili e ricchi" [20]. Le questue pertanto potevano apparire non molto giustificate, ma sempre nel 1848 il P. Provinciale Fr. Massimo Serra scriveva a proposito del Convento di Pozzomaggiore: "Egli è pure esagerato il dire, che possedendo quel Convento beni di campagna, faccia non di meno la questua del pane, e di altre limosine. E come no? Se l'Ordine Agostiniano venne annoverato dai Romani Pontefici fra gli Ordini dei mendicanti, ben ponno i religiosi servirsi del privilegio di questuare, di cui hanno usato fin da tempo immemoriale per tutta la Sardegna senza contradizione alcuna" [21].
E' comunque interessante notare come dette questue fossero legate sì alle festività religiose, come visto sopra, ma anche ai ritmi e ai tempi del mondo contadino. Ho voluto, per curiosità, fare un elenco delle questue del convento di Alghero: la questua delle Anime a fine ottobre, la questua dell'Avvento, la questua del lardo a febbraio, la questua del formaggio in aprile "per gli ovili d'Alghero" e a maggio "per i villaggi della costiera", una non meglio specificata "questua della Nurra "sempre in aprile, le questue per la Beata Rita e la Vergine d'Itria nel mese di maggio presso i paesi di Putifigari, Tissi ed Ossi, sempre nel mese di maggio la questua del pane ad Olmedo, la questua del grano in agosto, un'altra cosiddetta "questua generale del grano" in ottobre, e così via: certo, occorre dire che i religiosi battevano incessantemente paesi, campagne e villaggi per elemosinare, ma è altrettanto vero che spesso compare la voce, nei registri di spesa, "dato ad un povero", "a due poveri", "ad un passeggiere", etc.: insomma, la carità cristiana metteva in una comunicazione reciproca frati e popolo, anche allo scopo di sostenersi vicendevolmente. Il sec. XVIII si chiude con gli sconquassi provocati dalla Rivoluzione Francese, ma la Sardegna non ne conobbe gli effetti, fatta eccezione per il fallito tentativo di occuparla nel 1792.
Risparmiata anche dalle occupazioni napoleoniche, l'isola fu una sorta di porto franco per gli ordini religiosi quando Napoleone Bonaparte li abolì e ne confiscò i beni.
Note
(1) - AGA, Notitiae..., cit., cc. 177-185v.
(2) - CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, Storia del mondo moderno, Garzanti editore, Milano, ristampa 1988, vol. VI, pp. 669-72.
(3) - MARTINI P., Storia ecclesiastica..., cit., vol. III, lib. IX, pp. 51-54.
(4) - FILIA Damiano, Gli ordini religiosi e l'assolutismo riformista in Sardegna nel XVIII secolo, in "Mediterranea", rivista mensile di cultura e di problemi isolani, Ed. Tip. Giovanni Ledda, Cagliari, anno II (VII), n. 11, nov. 1928, p. 29.
(5) - SORGIA G., Gli Agostiniani in Sardegna..., cit., pp. 23-24
(6) - Archivio di Stato di Sassari, Fondo Corporazioni Religiose Soppresse, Alghero, Agostiniani, Busta n. 1, vol. 4d, doc. n. 13, cc. 1-1v-2.
(7) - FILIA Damiano, La Sardegna cristiana, dal 1720 alla pace del Laterano, vol. III, Sassari, Stamperia della Libreria Italiana e Straniera, 1929, pp. 122-125.
(8) - Ibidem, p. 147.
(9) - Vedi: Analecta Augustiniana, vol. LXI, 1998, pp. 151-70.
(10) - Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, Vol. 575, 2° Serie, Agostiniani dal 1762 al 1848.
(11) - CABIZZOSU Tonino, Chiesa e società nella Sardegna Centro-settentrionale, Ed. il Torchietto, Ozieri 1986, p. 136. (Il testo in questione, nel Cap. Terzo, intitolato: Il Clero Regolare, offre un esauriente quadro dei problemi che hanno interessato gli ordini e le congregazioni religiose nell'isola tra il Sette e l'Ottocento).
(12) - AGA, Acta Capitularia 1805-31, cc. 132-133v.
(13) - AGA, Acta Capitularia 1778-82, vol. II, c. 511.
(14) - Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.
(15) - AGA, Acta Capitularia 1784-96, cc. 206-11.
(16) - In proposito, vedi: Analecta Augustiniana, Vol. LXI (1998), pp. 161-64.
(17) - Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.
(18) - C. DEVILLA, I frati Minori Conventuali in Sardegna, Ed. Gallizzi, Sassari 1958, pp. 228-29.
(19) - G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1836, vol. III, p. 279.
(20) - C. DEVILLA, I frati Minori Conventuali in Sardegna, cit., p. 133.
(21) - Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.