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RIFORME RELIGIOSE nei secoli XI-XII: La Riforma benedettina

Santi benedettini in san Pietro a Norcia

Santi benedettini in san Pietro

 

 

RIFORME RELIGIOSE nei secoli XI-XII:

La Riforma benedettina

 

 

 

Una delle note caratteristiche dell'Alto Medioevo consiste nel dare un maggior rilievo al soprannaturale nell'impegno culturale di definire i valori della vita. Tutto tende alla meta eterna, a cui in primo luogo ogni creatura deve mirare. Tale tendenza è contraria a una vita mondano-secolare, cosicché per arrivare a questo unico scopo principale della vita (il vivere in Dio e verso Iddio) viene richiesto un certo disprezzo per il mondo e per le cose create. Questa meta di vita si riferisce particolarmente al clero ed a tutti coloro che si consacrano a una vita religioso-monastica. I chierici debbono lasciare il mondo in tal guisa che il loro modo di santificazione personale significhi un disprezzo del mondo, "contemptus mundi". Questo disprezzo aveva dei gradi, perché la realizzazione di tale Ideale tra i canonici differiva da quella fra i monaci. I canonici avevano più contatti con il mondo che i monaci.

Questi contatti nel ceto canonicale potevano avere molti lati pericolosi, come le fonti del contempo chiaramente mettono in rilievo. Tali contatti erano necessari per la cura delle anime, per la scienza, per il compito culturale, che appartenne generalmente al clero. Per conseguenza, a questi contatti generalmente non partecipavano i monaci del secolo XII, cioè i monaci dell'ideale benedettino, nel quale non c'era posto per una vita pastorale, per l'insegnamento e per lo studio a scopo di servire lo sviluppo generale, culturale e secolare, del mondo. La vita monacale aveva soltanto una meta: l'onorare Iddio nella propria vita santificando se stesso. Quando le esigenze culturali mettono piede nei chiostri, dietro le mura claustrali si apre la via verso la decadenza e, come si dice spesso, nell'ambiente monastico, si annuncia un regresso, sebbene questo serva come sprone per una nuova riforma.

Tale decadenza molte volte veniva causata dall'introduzione delle scienze umane o dallo sviluppo di uno spirito umanistico. Questo spiega il disgusto per le scienze, come -ad esempio- è espresso da Bernardo di Clairvaux: "Ci sono quelli che vogliono sapere soltanto per sapere: c'è una curiosità scandalosa. Altri vogliono sapere per essere onorati come eruditi: è una vanità scandalosa. Ci sono altri che vogliono sapere per poter vivere: è un mercanteggio brutto... A che cosa mi serve la filosofia? I miei maestri sono gli apostoli, essi non mi chiedono di leggere Platone nè di decifrare sofisticherierie d'un Aristotele; essi mi hanno istruito come debbo vivere... Di conseguenza ci sono coloro che vogliono sapere per edificare gli altri, e questo è amore; come ce ne sono altri che vogliono sapere per edificare se stessi, e questa è la vera sapienza (Citato da J. DE JONG R. R. Post., Handboch der Kerkgeschiedenis, vol. II, Utrecht-Nijnmegen 1947, p. 194.

Le conseguenze di una vita accusata come mondana presenta G. SCHNÜRER, Kerk en Beschaving in de Middeleeuwen, vol. II., Haarlem 1940, pp. 170-206). Un riesame del disprezzo del mondo a scopo di una santificazione più sicura offrirono le riforme, in primo luogo quelle benedettine, che sbocciarono nel centro dell'Europa medioevale, nella Francia, e che sono conosciute come qulle di Cluny e di Citeaux. La riforma cluniacense interpretò l'Ordo S. Benedicti in una forma ristretta, più severa, ma introdusse anche una novità: il rapporto più diretto con la curia romana, con il centro della Chiesa, con il Papato, perché ogni abbazia o priorato cercava di ottenere il privilegio della protezione della Sede Apostolica. Tramite questa protezione i Cluniacensi volevano rompere i legami feudali con tutte le loro conseguenze annesse alla protezione da parte di principi e della nobiltà cavalleresca. Lo sviluppo delle abbazie era stato troppo in mano dei grandi secolari.

La protezione apostolica significava che l'elezione dell'abate diveniva di nuovo una questione interna del monastero, che la potestà del vescovo diocesano veniva limitata in modo particolare riguardo all'interdetto, e che i monaci potevano appellarsi alla Sede Apostolica. La sottomissione umiliante ai poteri secolari venne sostituita con quella al vicario di Cristo, al papa. Inoltre la riforma cluniacense introdusse una organizzazione amministrativa e reale: le abbazie avevano un certo diritto di visita sulle fondazioni da esse realizzate: era l'inizio d'una centralizzazione di governo (Questo sviluppo è stato geograficamente descritto da F. VAN DER MEER, Atlas van de Westerse Beschaving, Amsterdam-Brussel, 1951, 70, carta 22).

Tale centralizzazione si sviluppò ancora di più nella riforma susseguente, in quella di Citeaux. L'abbazia-madre ricevette un dovere di visita, e l'unione amministrativa e centralizzante venne ancora rafforzata da "capitoli generali". Questi si celebravano ogni anno con la partecipazione prescritta delle abbazzie e dei priorati non tanto lontani, cioè dei cismontani; ed ogni tre anni s'aspettavano anche i deputati delle fondazioni ultramontane ed ultramarine ai capitoli, detti generalissimi. Tramite questi "capitoli", e grazie al suo compito di visitatore, l'abate di Citeaux aveva un potere almeno indiretto su tutte le abbazie, priorati e monasteri, che avevano accettato la riforma cistercense (F. VAN DER MEER, op. cit. 70, carta 23; SCHINÜRER, vol. II cit., pp. 292-93. Altre riforme come quelle di S. Nilo e di S. Romualdo in Italia e quella di Hirsau nella Germania cadono fuori del nostro saggio.

Una buona orientazione offrono: P. COUSIN, Précis d'historie monastique, Paris 1958; G. DE BEAUFORT, La Charte de Charité et son évolution, RHE 49 (1954), pp. 391-437 e le diverse voci nei Dizionari e nelle Enciclopedie, come nel Lexicon für Theologie und Kirche e Die Religion in Geschichte und Gegenwart, negli ultimi anni completamente aggiornati). L'organizzazione fu codificata e descritta nella poi spesso applicata Carta Caritatis, cioè nelle Consuetudini, ossia Costituzioni cistercensi.