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CICLo AGOSTINIANo nel Manoscritto II di Firenze

Agostino portato a scuola dai suoi genitori

Agostino portato a scuola dai suoi genitori

 

 

DI LORENZO A.

1433

Manoscritto II della Biblioteca di Firenze

 

Agostino portato a scuola dai suoi genitori

 

 

 

La scena è strutturata secondo uno schema che diventerà comune nei cicli iconografici agostiniani: il piccolo Agostino viene accompagnato a scuola dai suoi genitori. All'ingresso della scuola viene affidato a un maestro che lo sta aspettando: le mani aperte vogliono esprimere l'accoglienza che gli viene riservata. Il maestro è anziano: altri giovani studenti sono seduti all'interno di quella che dovrebbe essere una scuola. Essi rivolgono il loro sguardo verso Agostino ed il maestro che lo accoglie all'ingresso. Due arcate perpendicolari riescono, pur nella loro semplicità, a dare un senso spaziale e prospettico all'ambiente in cui si svolge l'incontro. La scritta sottostante il disegno ricorda: "Il padre d'Agostino lo pone a la schuola chon un savio filosofo."

 

Agostino conduce i primi studi a Tagaste e a Madaura.

Di questo periodo Agostino non conserva un buon ricordo, soprattutto per i metodi utilizzati dai maestri con gli scolari. Le sue lamentale si scoprono leggendo in diversi punti episodi della sua vita giovanile riportati nelle Confessioni

 

Dio, Dio mio, quante ne ho viste di miserie e di raggiri allora, quando ancora bambino mi proponevano come ideale di vita l'obbedienza a quelli che volevano fare di me un uomo di successo e un vincitore nelle arti della chiacchiera, che servono a procacciare prestigio fra gli uomini e false ricchezze. Fui mandato a scuola, a imparare a leggere e a scrivere, senza avere la minima idea, infelice, di che uso se ne potesse fare. E tuttavia, se ero tardo nell'apprendere, mi battevano. Perché era un metodo approvato dagli adulti, e molti venuti al mondo prima di noi avevano aperto le dolorose vie per cui ci costringevano a passare, tanto per accrescere un po' la dose di fatica e affanno riservata ai figli di Adamo. Là però trovammo anche, mio Signore, persone che pregavano te, e da loro venimmo a sapere, per quanto era nelle nostre possibilità, che tu esistevi: eri grande, un personaggio capace di ascoltarci e soccorrerci anche senza apparire ai nostri sensi. E da bambino infatti cominciai a pregare te, soccorso e rifugio mio, e sfrenavo del tutto la mia lingua quando ti invocavo: e ti pregavo, per piccolo che fossi, con passione non piccola, di fare che non mi battessero. E siccome non mi esaudivi, a tutto svantaggio della mia ignoranza, gli adulti e perfino i miei genitori, che pure non volevano mi accadesse nulla di male, ridevano delle botte che mi toccavano: come non fossero allora, per me, un male grande e angoscioso.

Esiste, mio Signore, un animo così grande, capace di un'adesione così appassionata al tuo essere? Esiste, dico - perché a tanto può condurre anche un certo genere di insensatezza - un animo che in questo suo religioso aderire a te sia preso da una passione tanto sublime da fargli ritenere cosa da poco cavalletti e unghioni e simili forme di tortura, che in tutti i paesi della terra la gente ti supplica terrorizzata di tener lontane? E che per giunta li ami teneramente, questi altri che ne hanno una tremenda paura? Come facevano i nostri genitori: i quali sorridevano delle torture che i nostri maestri infliggevano a noi bambini? Ma non per questo noi ne avevamo meno paura, e non erano meno ferventi le suppliche che ti rivolgevamo perché ce ne scampassi. Certo, avevamo la nostra colpa, che era di scrivere o leggere o studiare di meno di quanto si esigeva da noi. Perché non erano la memoria o l'ingegno a farci difetto: di questi, mio Signore, hai voluto dotarci a sufficienza per quell'età. Ma ci piaceva giocare, e questo era motivo per esser puniti da persone che poi si comportavano proprio come noi. Ma i giochi degli adulti si chiamano occupazioni, mentre quelli dei bambini, che lo sono anch'essi, sono puniti dagli adulti: e nessuno ha pietà degli adulti o dei bambini, o di entrambi. Magari un giudice onesto approverebbe le busse che mi venivano date, perché giocavo a pallone da bambino e il gioco m'impediva di imparare rapidamente le lettere, grazie alle quali da grande avrei giocato giochi più vituperandi. Ma si comportava diversamente proprio la persona da cui venivo percosso? Se in qualche discussioncella era vinto da un suo collega d'insegnamento, si rodeva per la bile e l'invidia più di me quando in una partita di pallone venivo sconfitto da un mio compagno di giochi.

AGOSTINO, Confessioni 1, 9, 14-15