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CICLo AGOSTINIANo con le incisioni di Guglielmo Collaert

Agostino e il Bambino sulla spiaggia

Agostino e il Bambino sulla spiaggia

 

 

COLLAERT GUGLIELMO

1629

Edizione a stampa del volume Flammulae Amoris Sancti Patris Nostris Augustini Versibus et Iconibus Exornatae

 

Agostino e il Bambino sulla spiaggia

 

 

 

La didascalia riporta il seguente testo: Libros de Trinitate, quos susceperat Sanctus Augustinus, pueruli monitu relinquit.

Agostino appare qui nelle vesti di un eremita fiammingo, con il suo cappello piatto a tesa larga in testa, il suo viso massiccio e la folta barba. Questo è una delle scene leggendarie più apprezzate e diffusa dell'iconografia agostiniana: Agostino regge il suo libro De Trinitate aperto nella mano destra e fa un gesto con la mano sinistra verso Gesù Bambino accovacciato sulla sabbia.

Quest'ultimo mostra sia il buco che il cucchiaio con la tazza dove tenta invano di versarvi dentro il mare per riempirlo. Un raggio divino trafigge le nuvole. Piccole vele, in lontananza, e lo schizzo di una cappella, a sinistra, fanno da contorno alla scena principale.

 

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

La leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149). Secondo Roland Kany [Il pensiero trinitario di Agostino] l'episodio, prima che fosse associato esclusivamente ad Agostino, venne utilizzato in modo simile anche con altri teologi. Secondo Kany il legame con Agostino fu creato dal canonico agostiniano Tommaso da Cantimpré intorno al 1260. La narrazione leggendaria si trova per la prima volta nel Catalogus Sanctorum del vescovo Petrus de Natalibus intorno al 1370 e successivamente divenne un elemento distintivo delle biografie agostiniane e degli episodi leggendari attribuiti al santo.

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263, dove viene citata nel Bonum universale de proprietatihus apum del domenicano belga Tommaso di Cantimpre, il quale ambientö la vicenda sulla spiaggia di Ippona, «in tempore quo beatus Augustinus librum de Trinitate composuit.»

 

In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.

 

L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del mistero della Trinità, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.

Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa. Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.

"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso. "Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.