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CICLo AGOSTINIANo di Johannes Wandereisen

Traslazione del corpo di Agostino, stampa seicentesca di Johannes Wandereisen pubblicata nel 1631 a Ingolstadt

Traslazione del corpo di Agostino

 

 

WANDEREISEN JOHANNES

1631

Ingolstadt

 

Traslazione del corpo di Agostino

 

 

 

L'iscrizione rammenta: cur patria peregrinus abit iam mortuus exul ? Nempe patris patriam fugerat ante fides. Questa incisione compare nell'elenco di Mair come ventesima immagine con la seguente spiegazione: Corpus Beati Augustini in Sardiniam trasportatur. Inde opera Luidprandi Longobardorum Regis Ticinum. Causa cur locum toties mutet. Liberalitas ac Pietas pijssimi Antistitis. Il mare, le rocce, le navi, il porto, l'approdo occupano la parte centrale della scena piuttosto ariosa. In basso le reliquie di Agostino arrivano al porto sormontate da sei ceri accesi. A destra gli ufficiali mostrano a Liutprando il corpo ritrovato in Sardegna. Il re è scortato da armati con le insegne pontificie. All'interno della città si nota un piccolo corteo: alla testa è Liutprando con le insegne reali, seguito da vescovi e da numerosi fedeli. Dominando la scena, Dio Padre sorge dalle nuvole: a sinistra Agostino, vestito da vescovo ha deposto il bastone e prega in ginocchio davanti a Dio cercando di intercedere per la Chiesa.

 

 

Sembra che il trasporto delle spoglie del santo in Sardegna nel 486 sia stata opera di vescovi africani fra i quali spicca Fulgenzio di Ruspe, uno dei più venerandi proscritti di famiglia senatoriale cartaginese. Le persecuzioni vandaliche contro i cristiani sotto i regni di Unerico e Trasamondo, consigliarono a molti cristiani l'esilio in Gallia e in Italia. Anche il vescovo Fulgenzio, che in una certa misura è l'ultimo discepolo di Agostino in terra africana, fu costretto all'esilio. Con lui le spoglie giunsero a Cagliari, dove ancora oggi nella chiesa di san Saturnino (V sec.) si venera la tomba vuota di Agostino. L'invasione saracena dell'isola di nuovo non concesse riposo alle spoglie del santo, che furono riscattate da Liutprando, il quale se le portò definitivamente a Pavia. Alcuni anni dopo la sua morte i barbari che erano divenuti padroni della città profanavano le chiese; allora i fedeli presero il corpo del santo e lo trasportarono Sardegna; erano passati 280 anni dalla sua morte.

JACOPO DA VARAGINE, Legenda Aurea

 

Vittore di Vita (latino: Victor Vitensis. Visse all'incirca tra il 430 e dopo il 484) fu un vescovo africano della provincia di Bizacena, autore della Historia persecutionis Africanae Provinciae, temporibus Geiserici et Hunirici regum Wandalorum, la principale testimonianza contemporanea delle politiche anti-nicene del regno ariano dei Vandali. Inizialmente divisa in cinque libri, l'opera è oggi pubblicata in tre, dei quali il primo, che si occupa del regno di Genserico (427-77), è un riassunto di altre opere, mentre i restanti due, che coprono il regno di Unnerico, sono il risultato della testimonianza diretta di Vittore. Sebbene talvolta esageri nelle sue descrizioni, sono pochi gli eventi raccontati e non accaduti.

VITTORE DI VITA, De persecutione Vandalica, II, 2-3, CSEL 7, 13-38